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La costruzione del fronte interno - La seconda guerra mondiale




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La costruzione del fronte interno - La seconda guerra mondiale





1 L'annuncio della guerra.


Quando il 10 giugno 1940 Mussolini, nella sua divisa in orbace e con berretto rigido, si affacciò dal palazzo di piazza Venezia per annunciare l'entrata in guerra dell'Italia contro la Francia e l'Inghilterra, l'Istituto Luce effettuò ancora una volta la copertura fotografica dell'avvenimento. Gli operatori scattarono diverse fotografie a Mussolini durante il suo discorso, ed anche alla folla assiepata nella piazza. Essi ripresero spesso la folla da lontano, e quando cercarono di riprendere alcuni aspetti particolari nella gestualità degli spettatori, non specificarono nelle didascalie se quei visi sorridenti fossero stati ripresi prima dell'annuncio della guerra, e quindi ancora speranzosi di una continua non belligeranza italiana, o dopo l'annuncio medesimo, e quindi in pieno sostegno alla decisione interventista del regime fascista. Ma i fotografi, tuttavia, erano commissionati soltanto di rappresentare e costruire l'immagine ufficiale di un consenso, anche se esso, nella realtà, era alquanto fragile; e secondo numerose testimonianze, la folla radunata nella piazza salutò l'annuncio della guerra più con espressioni di sconcerto che d'entusiasmo. In alcuni visi ritratti in primo piano dalle fotografie, infatti, è possibile leggere più pacata apprensione che vero e proprio sostegno. Anche a Milano, la folla assiepata a piazza del Duomo, dinanzi agli altoparlanti che diffondevano la voce di Mussolini, secondo alcune testimonianze, accolse con disciplinata e silenziosa attenzione la decisione di Mussolini di scendere «in campo contro le democrazie plutocratiche e reazionarie dell'Occidente, che, in ogni tempo, hanno ostacolato la marcia, e spesso insidiato l'esistenza medesima del popolo italiano», senza assumere alcun atteggiamento contrario, ma senza neanche dimostrare eccessive manifestazioni favorevoli[i].

Molte note fiduciarie dell'aprile, inoltre, attestavano il continuo e profondo radicamento, all'interno della popolazione, di un desiderio di pace, e di una crescente avversione contro la Germania e la politica dell'Asse. La popolazione accolse in maniera alquanto fredda le proiezioni del film di propaganda tedesco «Sei mesi di guerra», riservando fischi, e conseguenti scene di pugilato, all'indirizzo di Hitler[ii]. Tali sentimenti ostili alla Germania furono momentaneamente placati sia dalla rapida sconfitta della Francia, sia da alcuni meccanismi psicologici, primari fra tutti la percezione dell'ineluttabilità del conflitto frammista alla speranza e alle prospettive di una guerra breve e vittoriosa.

Dopo l'entrata in guerra, anche la politica iconografica di Mussolini, che per tanti anni aveva imperversato in Italia, iniziò a subire dei contraccolpi all'interno dell'opinione pubblica. De Bono ha raccontato come a Roma, nell'estate del 1940, durante la proiezione in un cinema di un cinegiornale del Luce, l'esibizione di Mussolini in un numero equestre spinse il pubblico ad una serie di commenti irriverenti.

«Mentre i nostri soldati morivano al fronte, il duce si dava all'ippica[iii]», era il nuovo significato che ora, una delle icone mussoliniane più ricorrenti durante il Ventennio, iniziava ad assumere nei sentimenti di alcuni italiani.

E forse proprio per tale motivo, o forse perché potevano incrinare l'immagine militare e condottiera del duce, nel luglio del 1940, le fotografie del Luce concernenti Mussolini mentre si allenava «allo sport dell'equitazione alla presenza dei giornalisti stranieri», e quelle che lo ritraevano intento a giocare a tennis, sotto la visione di un Pavolini spettatore seduto sul tavolino del segnapunti, furono tutte catalogate come riservate[iv].


2 La rappresentazione del fronte interno.


Analizzando la produzione fotografica dell'Istituto Luce[v] nei primi anni di guerra, si possono riscontrare alcune tendenze permanenti nella rappresentazione del fronte interno. Le tematiche fotografiche più ricorrenti oscillavano fra una produzione di immagini di evasione, tendenti a celare i problemi e le preoccupazioni della società, ed un'estetizzazione del consenso, con il quale il Luce cercava, appunto, di fotografare, e contemporaneamente costruire, il consenso del fronte interno, nella speranza di riottenere i successi avuti durante il conflitto etiopico.

Al fine di rappresentare l'adesione della gioventù alla guerra, alcuni fotografi del Reparto Guerra ripresero, nella tarda estate del 1940, la «marcia della gioventù.» Circa 23.000 giovani della GIL[vi], «nati tutti nell'anno della Rivoluzione e cresciuti interamente nel clima vibrante ed eroico del Fascismo[vii]», inquadrati da più di 600 ufficiali dell'esercito, e provenienti da tutte le regioni italiane, si concentrarono in Liguria, in Lombardia e nelle Marche. Essi marciarono per circa 21 giorni, a simbolizzare l'appoggio della gioventù al conflitto ed al regime fascista, percorrendo 420 chilometri prima di arrivare a Padova, dove alla presenza di Mussolini e di alcune delegazioni straniere, iniziarono a fornire una prova del loro addestramento al combattimento. Il Reparto Guerra li fotografò prima di partire dalle proprie città, riprendendoli mentre salutavano le madri o le persone care, sotto immensi striscioni su cui era scritto «Vincere». Od ancora li seguì mentre attraversavano le varie regioni, per poi fotografare il loro ingresso nelle città, raccogliendo i saluti della folla od i fiori e le carezze di giovani ragazze, come nel caso di Pavia.

Nell'ottica di tranquillizzare la popolazione, e contemporaneamente attestare le capacità difensive del regime, intanto il Reparto Guerra, nell'ottobre del 1940, fu incaricato di fotografare la città di Roma in toletta di guerra, riprendendo l'allestimento di precauzioni e sistemi di difesa contro i bombardamenti al Campidoglio, all'Ara Pacis, alla Chiesa di Santa Maria della Vittoria od al Foro Romano. Anche Venezia fu fotografata mentre si procedeva alla preparazione della toletta in Piazza San Marco. Inoltre, sin dall'aprile del 1939, per non suscitare allarmismi nella popolazione, il Luce aveva spesso fotografato le esercitazioni di protezione antiaerea, riprendendo lo stesso Mussolini passare in rassegna i militari ed i civili che vi partecipavano. E proprio per non incrinare l'immagine rassicurante del sistema di difesa contraerea, il Luce non fotografò gli effetti del bombardamento inglese sulla base navale di Taranto, nella notte del 12 novembre 1940, che portò all'affondamento della corazzata «Cavour» e al grave danneggiamento della «Littorio» e della «Duillio[viii]

La strategia di occultamento degli eventuali bombardamenti, d'altronde, risaliva ai primi di settembre, quando il Minculpop diffuse un fonogramma della R. Questura di Roma, con la quale si vietava «la riproduzione fotografica dei danni riportati da stabilimenti industriali ed edifici civili in seguito ad  incursioni aeree, lasciando tale eventuale documentazione all'esclusiva competenza di Enti appositamente autorizzati da Autorità Centrali[ix]

Durante l'autunno del 1940, gli operatori del Reparto Guerra ripresero gli effetti dei bombardamenti su Genova o a Torino, dove qui fotografarono anche l'incendio che era divampato in un deposito ferroviario a causa delle bombe. Ma le immagini furono tutte catalogate come riservate, così come furono archiviate anche le fotografie che gli operatori del Reparto Guerra avevano effettuato a Messina, nel luglio del 1940, riprendendo la popolazione che accorreva ai funerali dei caduti nella battaglia dello Ionio.

La drammatica realtà del primo inverno di guerra era in gran parte negata nella rappresentazione del fronte interno. La fotografia del Luce non testimoniò gli effetti sulla popolazione dell'arrivo delle prime restrizioni alimentari e del ritardo in molte città degli approvvigionamenti, con la conseguente speculazione di molti profittatori ed il rincaro di alcuni prodotti. La tendenza del Luce, in tale periodo, era infatti di produrre una sorta di fotografia di evasione, che sdrammatizzasse appunto la realtà, per costruire l'immagine di un paese che continuava a vivere nella più piena tranquillità. A tale politica dell'immagine, che si protrasse fino alla successiva primavera, appartenevano le fotografie scattate la domenica del 24 marzo 1941, che riprendevano una giornata nel parco divertimenti di Piombino, contenenti dettagli di bambini e ragazzi sulle giostre. Od ancora le fotografie scattate a Bari il 21 aprile, in un giorno di mercato. Gli operatori del Luce si aggirarono fra la folla a fotografare le scarpe, le scatole di vimini, le pentole di rame accatastate a terra. E fra i tanti visi dei bambini intenti a seguire il teatro dei burattini con Pulcinella, compariva il viso stanco di qualche anziana signora. Una settimana dopo, ad attestare come la vita continuasse nella normalità, il Luce fotografò, sempre a Bari, le varie attività della pesca, concentrandosi sulla preparazione delle reti, sui bambini che lavoravano i polipi, od ancora riprendendo qualche fase dello smercio al pubblico, per poi aggirarsi a Venezia fra i banchi del mercato generale o di quello del pesce. L'esistenza della guerra era soltanto ricordata, semmai, dalle fotografie che ritraevano i feriti ricoverati negli ospedali, ma come già precedentemente notato, simili immagini tendevano a ricoprire la drammaticità della guerra con la celebrazione dell'interesse del regime nei confronti di chi combatteva per la patria. A questa intenzionalità appartenevano le fotografie che ritraevano, nell'aprile del 1941, Anna Maria e Romano Mussolini distribuire i doni ai feriti ricoverati nell'ospedale di San Giuseppe di Roma; o la visita dello stesso Mussolini ai feriti dell'ospedale «Carlo del Prete» di Bari.

Nell'ottica di rappresentare la continuità di una vita normale, rientravano anche le diverse fotografie del Luce concernenti il cicloturismo per le vie di Roma, del Lido di Roma, od a Ferrara, stando però attenti alle direttive del Minculpop che ricordava di non scattare «fotografie di donne in pantaloni. Quindi non fare propaganda per le donne con i pantaloni in bicicletta[x]

Accanto alla fotografia d'evasione, il Luce cercò appunto di rappresentare e costruire il consenso della popolazione alla guerra ed alle scelte di Mussolini, riprendendo i consueti temi iconografici del conflitto etiopico. L'estetizzazione del consenso, infatti, accompagnò tutte le decisioni politiche e gli avvenimenti ufficiali che avvenivano in Italia. Così fu per il soggiorno in Italia del ministro degli esteri giapponese, Matsuoka, nel marzo del 1941. Il Luce fotografò le manifestazioni di accoglienza della popolazione, dipinte nelle didascalie come veri e propri atti di giubilo, attorniate dalle bandiere italiane, tedesche, e giapponesi che sventolavano sul palazzo delle assicurazioni a Piazza Venezia, per poi fotografare Mussolini e Matsuoka affacciarsi insieme dal balcone a salutare la folla. Il Luce riprese anche la manifestazione ginnico-sportiva tenuta la sera al Foro Mussolini, in onore sempre di Matsuoka, fotografando i corpi che danzavano all'interno dello stadio, i cui confini erano contornati da bandiere con sopra impresse svastiche e Sol levanti giapponesi, affisse nel mezzo delle statue.

Nel costruire l'immagine di un consenso che permeava l'intera società, il Luce, nel febbraio del 1941, aveva prima fotografato la raccolta di rottami e ferro, e successivamente aveva ripreso le cerimonie di giuramento delle reclute e dei volontari. Per rappresentare, invece, la decisione di Mussolini d'inviare alcuni contingenti italiani in Russia, il Luce fotografò sia la partenza delle truppe dell'82 reggimento fanteria dalla stazione di Ostiense a Roma, concentrandosi a riprendere i saluti fra i soldati ed i propri cari, sia lo stesso Mussolini passare in rassegna la I Legione delle camicie nere. Accanto alle fotografie che cercavano di attestare l'adesione alla guerra, il Luce continuava intanto ad effettuare dei servizi fotografici che dovevano far risaltare la tranquillità della vita. A tal fine, alcuni operatori ripresero lo svolgimento del corso fotografico, svoltosi al Foro Mussolini, ed organizzato dalla GIL, per le Giovani Fasciste e le Giovani Italiane, fotografando le ragazze sorridenti mentre si accingevano ad imparare l'utilizzo della macchina fotografica. Se negli anni precedenti raramente il Luce aveva prodotto immagini dalle fabbriche, e solitamente per ostentare l'adesione della classe operaia alle parole del duce, le esigenze della guerra ora richiedevano una maggiore copertura fotografica di tale settore dell'economia. Gli operatori del Reparto Guerra, dunque, furono spesso inviati negli stabilimenti lavorativi di guerra di Piombino, Sestre, La Spezia, a fotografare sia gli operai sia i mezzi meccanici nel pieno della lavorazione, cercando di attestare l'ancora intatta potenza della nazione.

Ma nell'autunno del 1941, gli effetti dei bombardamenti britannici sull'Italia stavano deprimendo sempre più l'animo della popolazione. Inoltre, iniziava a divenire difficile per la propaganda negare una realtà che era tangibile agli occhi degli italiani. A tal punto, il Luce deteneva l'arduo compito di fotografare la situazione, prestando attenzione a non indebolire il morale della popolazione.

Da un lato, gli operatori del Reparto Guerra continuarono a riprendere l'allestimento in toletta di alcune parti della città, effettuando numerose fotografie agli operai che si arrampicavano sulla Colonna Traiana di Roma, per la protezione della suddetta. D'altro lato, per non rischiare di produrre un'immagine del regime interessato soltanto a proteggere i monumenti nazionali, e noncurante delle abitazioni civili, gli operatori iniziarono a effettuare una propaganda visiva che riuscisse a coinvolgere direttamente i sentimenti delle masse.

Una delle tante iniziative della propaganda, per modificare la valenza negativa di tali immagini sull'opinione pubblica, fu di far apparire le rovine create dai bombardamenti come il superamento eroico, da parte della popolazione, di una difficile prova di coraggio e forza. A tal fine, sulle mura dei palazzi colpiti era solito trovare apposte delle scritte, quasi mai spontanee, che inneggiavano alla tenacia del popolo italiano.

Il Reparto Guerra, nel novembre del 1941, fotografò il muro di una casa di Palermo, su cui alcune squadre fasciste avevano impresso una frase in dialetto, la cui traduzione era «Il Siciliano ha coraggio e sa pagare», e che fu successivamente pubblicata da alcuni giornali[xi], prima di essere anche utilizzata per una serie di cartoline propagandistiche edite dal Cineguf di Catania, su cui, ad accompagnare l'immagine, era stata posta la scritta: «La fiera risposta di Catania fascista e combattente ai bombardamenti del nemico.» Anche l'operatore privato Maltese fotografò il muro sbrecciato di un'abitazione di Siracusa, su cui era stato scritto, sempre in dialetto, una frase il cui significato era «le pietre cadono, il cuore è d'acciaio, noi vinciamo[xii]

Dopo aver simbolizzato i bombardamenti in questa chiave eroica, il Luce tornò a concentrarsi sulla rappresentazione dell'adesione della popolazione alla guerra. Durante la dichiarazione di guerra agli Stati Uniti, gli operatori del Luce si aggirarono a Piazza Venezia, fotografando la popolazione che acclamava Mussolini, agitando braccia e bandierine, sotto il balcone su cui egli era affacciato. Anche in questa occasione, il Luce non specificò nelle didascalie se quelle braccia festanti salutassero la decisione di combattere contro l'America, o se fossero mosse dalla speranza di ricevere altre notizie da Mussolini, come la comunicazione della resa della Russia e la fine della guerra.

Nei giorni successivi gli operatori del Luce fotografarono la raccolta della lana, nell'annuale della giornata della fede, per poi produrre fotografie che testimoniassero inequivocabilmente la mobilitazione ed il sostegno femminile alla guerra. A tal fine, il 22 dicembre del 1941, alcuni operatori del Luce fotografarono le ragazze adibite alla lavorazione della lana di coniglio d'angora a Perugia, mentre lavoravano sotto immense gigantografie di Mussolini, con sopra scritto «Bisogna lavorare e produrre, lavorando e producendo dimostrerete il vostro amore per la patria.»

Simile rappresentazione continuò anche nei primi mesi del 1942, attraverso le fotografie che riprendevano donne e ragazze al lavoro sui telai per la produzione dei succedanei in sostituzione alle fibre tessili d'importazione straniera. La mobilitazione per la guerra sovietica fu ancor più enfatizzata, nel febbraio del 1942, attraverso le fotografie che ritraevano le Giovani Italiane di Trento dedite a confezionare i giubbetti di pelliccia per i soldati inviati in Russia. Va premesso, d'altronde, che sin dal dicembre del 1940 Pavolini[xiii] aveva invitato i giornali a concentrarsi su tali tematiche iconografiche, dedicando maggior spazio alle donne riprese in attività quali il cucire i passamontagna o le calze di lana per i soldati combattenti. E se le studentesse erano fotografate a preparare doni e vestiti per i soldati del fronte; il consenso degli studenti alla guerra era invece costruito attraverso le fotografie di Mussolini che premiava al valore i caduti della Milizia universitaria e passava in rassegna i reparti che marciavano fra i viali della Città Universitaria.

Intanto, sempre nel febbraio del 1942, il Luce iniziò a fotografare anche quale fosse il nuovo ruolo che le esigenze della guerra richiedevano alle donne. Il Luce, infatti, effettuò in alcune città d'Italia diversi servizi fotografici alle donne postine. A Roma, il Luce seguì queste giovani donne dalla mattina alla sera, cercando di costruire una loro giornata tipo di lavoro, dallo smistamento della posta alla consegna delle singole lettere a persone e portoni. Anche a Torino il Luce fotografò le postine in servizio, per quasi tutto il corso del turno di lavoro, ritraendole sempre sorridenti nell'effettuare le consegne, o aspettando insieme il tram alla fermata, od ancora riprendendole a camminare fiere e contente nella neve e con gli zaini pieni di posta. Le postine erano seguite anche al ritorno nelle proprie case, per essere fotografate mentre accudivano, dopo una giornata di duro lavoro, i propri figli o effettuavano i consueti lavori domestici, riassumendo il loro antico ruolo di protettrice della famiglia e della casa. La stessa rappresentazione accompagnò l'impiego delle prime donne ferroviere o tranviere, sempre fotografate con espressioni di letizia sul viso, mentre si accingevano a svolgere i propri compiti lavorativi e domestici. Identica rappresentazione raffigurava le massaie rurali di Terni, che gli operatori del Luce fotografarono mentre si recavano al Celio per portare doni e sorrisi ai feriti di guerra ricoverati nell'ospedale, per poi essere riprese mentre tornavano ai propri lavori quotidiani.

Ma il corso della guerra influenzò anche la rappresentazione degli avvenimenti ufficiali, gradualmente che aumentavano i segnali di stanchezza della popolazione per l'ampliarsi, e di conseguenza il prolungarsi della guerra. Il Minculpop, già nel 1941 aveva iniziato a gettare le tendenze di una politica iconografica che ponesse l'accento sull'estetizzazione delle masse e del consenso, piuttosto che sulla rappresentazione fotografica del culto del duce[xiv], che tanto aveva imperversato nel decennio precedente.

A determinare questa decisione era stato il continuo sormontare di manifestazioni di malcontento per la situazione alimentare. La fotografia, allora, doveva sempre più testimoniare il legame che stringeva Mussolini alla popolazione italiana, e per tale motivo era vietato pubblicare le fotografie che ritraessero Mussolini da solo, o in compagnia soltanto delle autorità, perché potevano rappresentare un distacco fra la classe dirigente fascista e la società civile.

Durante il viaggio di Mussolini a Bologna, nell'ottobre del 1941, il Luce effettuò la solita copertura fotografica, riprendendo il duce visitare gli stabilimenti della ceramica, parlare acclamato dalla folla, assaggiare grappoli d'uva offertigli dai rurali che lo attorniavano. E subito il Minculpop diramò ai giornali i criteri da seguire nella pubblicazione delle fotografie riguardanti la visita di Mussolini a Bologna.

La disposizione[xv], ricordando di impostare la prima pagina sulla visita del duce e «sull'entusiasmo di non meno di 400 mila cittadini», intimava che si potevano pubblicare «solo le fotografie del Duce con la folla oppure della sola folla», e di non pubblicare «nessuna di quelle col Duce solo o con le autorità».

Le immagini preferite erano appunto quelle che riprendevano Mussolini circondato dalla popolazione, intento a regalare le consuete carezze sui visi di anziane, che nelle didascalie erano sempre indicate come familiari di soldati al fronte. L'Istituto Luce, inoltre, stampò nel 1942 anche il volume fotografico «Duce e popolo», diffuso in circa 50.000 esemplari, e composto quasi per la totalità dalle fotografie che ritraevano tali colloqui e scambi d'affetto fra Mussolini e le donne vedove o madri di caduti in guerra.

«(.) Alle voci di sfiducia, stanchezza, avvilimento, fame, rivolte, repressioni, esecuzioni e soprattutto odio odio odio del popolo contro il Duce è il popolo stesso che risponde: queste fotografie, le più calde, le più vive, le più affettuose, sono state riprese in questi ultimi mesi di guerra», era scritto nell'introduzione del libro, e la fotografia era chiamata a ratificare inequivocabilmente tale consenso permanente al duce.

Per certi versi, tuttavia, queste fotografie testimoniavano davvero uno stato d'animo diffuso nella popolazione.

Fino al 1942, infatti, nelle masse italiane era consistente un'ampia ostilità contro i gerarchi e gli organi responsabili del regime, additando nelle loro persone la causa di tutte le colpe ed i problemi interni alla nazione. Ma tale diffidenza era spesso affiancata da una credenza popolare che induceva una parte della popolazione a confidare le proprie speranze in Mussolini, qualificandolo nelle vesti dell'unica persona che poteva davvero frenare le dilaganti speculazioni e le disuguaglianze sociali, e pertanto invitandolo ad intervenire contro gli approfittatori e l'inefficienza dei funzionari statali o dei PNF locali, per ristabilire la giustizia e la fine dei soprusi. «Ci penserà il nostro Duce a colpirli severamente questi assassini!», era scritto in una lettera del giugno del 1942, densa di lamentele e critiche verso gli organi statali e locali del PNF[xvi].

L'Istituto Luce produsse anche alcuni fotomontaggi, accostando l'immagine di Mussolini che carezzava il viso di una donna, e riempiendo lo sfondo con frammenti di altre fotografie riprendenti la folla che innalzava striscioni con sopra scritto il nome del duce. Tale politica iconografica doveva caratterizzare anche le rappresentazioni fotografiche delle manifestazioni a carattere militare. Così, dopo la manifestazione celebrativa della giornata dell'Esercito e dell'Impero, svolta alla presenza del re e di Mussolini, il Minculpop dispose di «pubblicare fotografie delle truppe schierate e della folla». E anche quando nel 1942 si svolse la celebrazione del primo annuale della fondazione dei battaglioni «M», il Minculpop, se dispose ai giornali di redigere il testo in maniera tale che «l'allocuzione del Duce» potesse costituire «la nota dominante nei commenti», ammonì tuttavia, riguardo alla scelta ed alla pubblicazione delle fotografie, di «dare la preferenza a quelle di massa, e particolarmente a quella di tutto lo schieramento[xvii]

E gradualmente che la situazione nei vari fronti diveniva sempre più preoccupante, e si affievolivano negli italiani le speranze della fine della guerra, anche le fotografie d'evasione vennero sempre più sostituite da immagini che innalzassero lo spirito pubblico, cercando di far sentire la popolazione partecipe in prima persona alla sforzo della guerra. Gli operatori del Luce si aggirarono a Roma per fotografare, nell'aprile del 1942, la raccolta della lana per i combattenti, riprendendo la popolazione che la trasportava sopra i carretti, o i sacchi che si accumulavano negli appositi depositi. Successivamente, in un rapporto dell'agosto del 1942, il Minculpop ricordò ai vari giornali di dedicare anche più spazio del consueto agli avvenimenti militari, ed ammonì a non pubblicare alcuna fotografia di genere balneare, di cronache di divertimenti, di spiagge e bagnanti[xviii]. Tali fotografie, d'altronde, non avrebbero fatto altro che acuire l'ostilità che una parte della popolazione iniziava a provare verso le classi sociali meno colpite dai sacrifici di guerra, e che ancora potevano così concedersi dei lussi e divertimenti.

Sempre nell'estate del 1942, tutti i giornali d'Italia furono riempiti dalle fotografie riguardanti la trebbiatura del grano negli orti di guerra predisposti nelle varie città. Al fine di negare la drammaticità economica e sociale del paese, sin dall'estate del 1941, il Luce aveva iniziato a fotografare i vari orti di guerra che riempivano gli spazi pubblici delle città. Gli operatori fotografarono gli orti di guerra di Villa Torlonia, nei giardini di San Giovanni, od ancora nei giardini di fronte a Fisiologia Generale all'Università La Sapienza.

Gli orti di guerra iniziarono a riempire sempre di più ogni angolo delle città, ed il Luce, nel febbraio del 1942, fotografò il loro allestimento a Villa Umberto, a San Giovanni in Laterano, lungo viale dell'Impero, al Colle Oppio. Oltre a Roma, gli orti furono fotografati anche in altre città, come Milano e Genova. Ma questa propaganda raggiunse il suo apice nell'estate successiva, quando il Luce fu incaricato, appunto, di fotografare le operazioni di trebbiatura del grano negli orti di guerra a piazza del Duomo a Milano, a piazza del Popolo a Roma, riprendendo la popolazione intenta nelle varie fasi della lavorazione.

Tali fotografie servivano ad attestare la produttività dell'agricoltura italiana, per enfatizzare la mobilitazione della popolazione, e potevano ricollegare la rappresentazione dell'Italia fascista come continuazione storica dell'antica Roma, in cui il cittadino era dipinto come guerriero e contadino veterano.

Nel settembre del 1942, il Luce cercò ancora di documentare la potenza dei sistemi difensivi preposti dal regime, fotografando le esercitazioni nella Scuola centrale servizi antincendio, o le apparecchiature dei servizi antincendio nei porti di alcune città. Ma queste immagini avrebbero assunto presto un effimero significato nella popolazione, costretta a convivere con una realtà ben più drammatica. La sistematicità dei bombardamenti anglo-americani, infatti, divenne di tale entità che ormai non si potevano più celare i segni che la guerra stava imprimendo sempre più evidenti sulla realtà, neanche sotto la falsariga di qualche scritta tracciata dalle squadre del PNF.

E la politica iconografica degli anni precedenti, tendente a rappresentare il bombardamento come una virile prova di coraggio, non aiutava molto la popolazione, che ormai viveva stancamente nella paura di essere colpita. A questo punto, la macchina della propaganda iniziò a simbolizzare il bombardamento come un martirio impartito all'Italia dalla criminalità anglo-americana. Sotto l'impulso del Minculpop, la stampa iniziò a sostenere, attraverso un'accurata campagna propagandistica, come i piloti anglo-americani lanciassero sul territorio cioccolatini e penne, che una volta raccolte, esplodevano colpendo e martoriando vittime innocenti, soprattutto di giovane età.

I fotografi del Reparto Guerra, che operavano sul fronte interno, ritrassero in primo piano delle mani che sorreggevano ed indicavano alcune matite e penne stilografiche esplosive, specificando poi nelle didascalie come fossero state «lanciate dai piloti anglo-americani.» 

Ma ancor più cruenti furono le immagini successive, ed il conseguente utilizzo propagandistico, scattate sempre dai medesimi fotografi. Gli operatori del Reparto fotografarono «il bimbo Romeo Franco di R. Calabria, di anni cinque», che era rimasto vittima di tali penne, riprendendogli la piccola mano mutilata, sorretto da una crocerossina che sorridendo lo mostrava alla macchina fotografica. Le fotografie ripresero anche il bambino con il braccio fasciato, mentre la madre lo abbracciava. Anche a Roma, il Reparto Guerra fotografò il bambino «Walter Gentile, vittima delle barbarie anglo-americane colpito all'occhio da una matita esplosiva», riprendendolo con quasi tutto il viso fasciato, steso sul suo letto all'ospedale San Giovanni, con il genitore sedutogli accanto, e dietro la spalliera del letto una suora dell'ospedale.

Queste immagini divennero di primaria importanza per il Minculpop nell'opera di demonizzazione del nemico. Il Minculpop, infatti, accusando i giornali che «la polemica contro la criminalità dei piloti anglo-americani assassini dei bambini e delle donne» non avesse «sufficiente mordente», e ricordando di «sviluppare i concetti di barbarie, gangsterismo, vigliaccheria» e di «evitare tono pietistico», dispose che «la pubblicazione di una fotografia circa il bambino ferito dalle penne stilografiche esplosive è obbligatoria per domani e dopodomani[xix]

Tale propaganda fu ritenuta vera da una gran parte della popolazione, la quale successivamente non esitò a protestare e indignarsi quando, dopo la caduta del fascismo, furono ritrovate nelle sedi e nelle direzioni del PNF casse piene di penne stilografiche esplosive di fabbricazione tedesca[xx]. Per attestare la crudeltà anglo-americana, anche in altre fotografie furono spesso utilizzati i bambini. Così fu a Grossetto dopo i bombardamenti sulla casa della madre e del fanciullo, dove gli operatori del Reparto Guerra fotografarono i bambini feriti seduti su dei lettini, per poi riprendere le mura colpite dell'ospedale civile.


3 Dal marzo del 1943 ai «quarantacinque giorni» di Badoglio.


Nel frattempo, la situazione sociale andava sempre più sfaldandosi, ma l'Istituto Luce, essendo incaricato di visualizzare la storia ufficiale e fascista dell'Italia, ovviamente non testimoniò, attraverso le proprie fotografie, gli scioperi nelle fabbriche dell'Italia settentrionale nel marzo e nell'aprile del 1943[xxi]. Al posto di queste immagini, negli stessi mesi, il Reparto Guerra fu incaricato di evidenziare il lavoro disciplinato degli operai e gli sforzi industriali del paese.

A tal fine, mentre gli operai si assentavano dal lavoro in molte fabbriche, il Reparto Guerra effettuò circa duecento fotografie negli stabilimenti del «Tubificio Dalmine S.A.», riprendendo tutte le fasi della lavorazione, estetizzando i corpi degli operai e gli stessi tubi per le condotte dell'acqua e del gas, con appositi giochi di prospettive e luci, che potessero enfatizzare la potenza e la produttività della fabbrica. Gli operai furono ripresi mentre entravano od uscivano dalla fabbrica, mentre si accingevano ad effettuare la propria pausa pranzo, ed altrettanta attenzione fu dedicata alla scuola per apprendisti del tubificio. Nei mesi successivi, gli operatori entrarono anche negli stabilimenti di acciaierie e ferriere della Falk, riprendendo le varie fasi della lavorazione dei rottami, fotografando anche le donne impegnate ai propri posti di lavoro, in sostituzione degli uomini impiegati al fronte. Un'analoga rappresentazione fotografica fu effettuata nelle officine «Breda» di Sesto S. Giovanni, dove gli operatori ripresero sia gli operai nelle fasi di costruzione degli aerei e del montaggio degli apparecchi, sia le operaie sorridenti durante le pause di lavoro. Od ancora all'Istituto di Chimica Guido Donegani di Novara, dove gli operatori del Reparto fotografarono il personale impiegato nelle ricerche e nelle documentazioni chimiche.

Per tutta la primavera del 1943, intanto, il Reparto Guerra continuò a fotografare gli effetti dei bombardamenti a Civitavecchia, per poi aggirarsi nelle sale dell'ospedale «Littorio» di Roma, a riprendere i feriti adagiati nei letti, con il viso e gli arti escoriati, soffermandosi a fotografare una madre che stringeva il figlio fra le braccia fasciate dalle garze. Anche a Reggio Calabria il Reparto fotografò i crateri che si aprivano nel terreno, i mattoni accatastati in cumuli di macerie, unico ricordo di quelle che una volta erano state abitazioni di civili.

Il Reparto entrò anche nelle chiese colpite di Messina e Palermo, a fotografare i dipinti di Gesù Cristo che affioravano fra blocchi di marmo sbriciolati e panche divelte. Queste fotografie furono utilizzate dagli apparati della propaganda per denunciare l'inciviltà degli Alleati, che non rispettavano i luoghi sacri e culturali dell'Italia.

Ma tale propaganda non attecchiva più nei sentimenti degli italiani, che ormai giudicavano soltanto il regime fascista, Mussolini compreso, il vero responsabile di tutto ciò che stava avvenendo, la causa principale di questi continui bombardamenti, per aver condotto l'Italia dentro una guerra disastrosa.

Il Minculpop, già nei mesi precedenti, aveva accurato come la sfiducia delle persone stesse investendo lo stesso Mussolini, tanto che nel maggio del 1943[xxii] vietò anche una delle immagini più consuete del Ventennio, quella di Mussolini sul balcone, avvisando i vari giornali che «non si desiderano fotografie del Duce al balcone e del Segretario del Partito», ma che bisognava invece «dare una simpatica impostazione alle fotografie della moltitudine», intendendo per moltitudine la popolazione che era presente in Piazza Venezia, e che veniva quantificata in centinaia di migliaia. D'altra parte, una simile immagine, se in passato poteva produrre un effetto ottico di trasfigurazione del duce in mito, ora poteva soltanto stimolare la percezione di una spaccatura verticale fra il regime e la società, in un distaccato rapporto di subordinazione delle masse al duce stesso.

E se a Palermo gli operatori del Reparto fotografarono i manifesti della Federazione Fasci di Combattimento locale, affissi sui muri non crollati, ad incitare la popolazione a lavorare e combattere contro i criminali anglo-americani; nei giorni successivi essi non effettuarono nessun'immagine sullo sbarco alleato in Sicilia. Se volessimo cercare l'immagine di quei giorni, dovremmo analizzare le produzioni dei fotografi privati locali, o ancor più le immagini scattate dai fotografi americani al seguito delle truppe[xxiii], tra cui Robert Capa[xxiv]. E sarebbe stato proprio Capa ad effettuare un servizio fotografico, dietro commissione della rivista americana «Life[xxv]», sulle «quattro giornate» di Napoli.

Capa produsse immagini folcloristiche a rappresentare la tipicità regionale, come le fotografie sui venditori ambulanti nelle strade o i suonatori di chitarra all'interno delle trattorie cittadine, ma fotografò anche il dolore e la disperazione delle persone che avevano visto i propri cari morire per la liberazione della città. Celebri sono rimaste le immagini dei funerali dei caduti nella città, o la fotografia con cui si chiudeva il servizio della rivista, e che ritraeva alcune madri napoletane vestite a lutto, che piangevano disperate indicando a Capa la fotografia dei propri figli morti.

Mentre gli Alleati cercavano di risalire l'Italia, il Luce tornò spesso per le strade di Roma a fotografare la città dopo il bombardamento del 19 luglio 1943, producendo un'ampia documentazione sui luoghi e sugli edifici colpiti. Già un mese prima il Luce aveva testimoniato, attraverso le proprie fotografie, l'accurata totale inefficienza della protezione antiarea sulla città.

Se in passato Roma era stata spesso raffigurata in toletta da guerra, il Luce aveva fotografato, nel giugno del 1943, le operazioni per rimuovere la statua equestre del Marc'Aurelio dalla piazza del Campidoglio, e trasportarla nelle cantine del Tabularium, non potendo ormai essere protetta in altra maniera da eventuali nuovi bombardamenti. Gli operatori ripresero gli effetti dei bombardamenti a viale Regina Margherita, fotografando i tram divelti, o gli edifici colpiti quali l'Istituto di Sanità e la facoltà di Chimica all'interno della Città Universitaria. I fotografi si aggirarono poi a riprendere le abitazioni distrutte nel quartiere San Lorenzo o lungo la via Tiburtina.

Gli operatori del Reparto Guerra entrarono anche al Verano, a fotografare le tombe danneggiate, riprendendo in primo piano la lapide della famiglia Pacelli, con i vasi per fiori sparsi sul terreno. Anche il bombardamento della Basilica di San Lorenzo fu copiosamente documentato, attraverso immagini sia dall'esterno, sia all'interno. Gli operatori fotografarono un frate che si aggirava sperduto fra le colonne abbattute, prima di ritrarre la principessa di Piemonte Maria Josè arrivata a vedere i danni.

Lo stesso giorno, il Minculpop dispose[xxvi] ai giornali di Roma di dedicare un'intera pagina «all'illustrazione storica, religiosa ed artistica della Basilica», ordinando loro di pubblicare le fotografie scattate dall'Istituto Luce, soprattutto quelle che riprendevano «la facciata prima e dopo il bombardamento e con l'interno - riferentesi alla Basilica di S. Lorenzo e agli edifici colpiti dell'Università.»

Durante la giornata, gli operatori del Luce produssero anche la celebre fotografia di Pio XII attorniato dalla folla davanti alla Basilica di San Giovanni in Laterano, prima di recarsi a visitare i luoghi del bombardamento. Il Reparto Guerra seguì anche Mussolini nella sua visita all'aeroporto di Ciampino, ritraendolo aggirarsi solitario e con lo sguardo nascosto da vistosi e spessi occhiali da sole. Furono le ultime fotografie che il Luce produsse del duce nelle vesti di Capo del Governo d'Italia, rappresentando l'immagine di un uomo senza più le folle di una volta, che ormai sapeva di aver perso il proprio potere.

E quando la radio annunciò la destituzione di Mussolini, gli operatori dell'Istituto Luce, che per tutto il Ventennio avevano ripreso le adunate oceaniche di Piazza Venezia e le acclamazioni popolari ai discorsi del duce, si gettarono nei giorni seguenti di nuovo per le strade, questa volta con l'intento, però, di fotografare il consenso della popolazione alla decisione di porre fine al regime fascista.

Gli operatori del Luce fotografarono la popolazione riversare nelle strade di Roma per acclamare Badoglio nella veste del nuovo Capo del Governo. Essi fotografarono la città imbandierata, nonché la folla di persone che gremiva via del Corso, via Nazionale, innalzando cartelloni con sopra scritto «W l'Italia libera.»

In una piazza Colonna riempita dalla folla, gli operatori del Luce ripresero alcune persone innalzare un cartello con sopra impressa la scritta «Piazza G. Matteotti»; per poi seguire le persone che, arrampicandosi su lunghe scale, iniziavano a demolire i fasci littori dalle mura dei palazzi. Anche a Milano diversi operatori, sia del Luce sia privati come Carrese, fotografarono i festeggiamenti della popolazione avvenuti dopo gli avvenimenti del 25 luglio, immortalando le  persone che si soffermavano a leggere le scritte ironiche contro Mussolini, che sempre più affioravano sulle mura e sui portoni dei palazzi, quale «VOLEVA ESSERE CESARE, MORI' VESPASIANO.» Sempre a Milano, l'acronimo UPIM dei grandi magazzini veniva tradotto da alcune persone con la frase «Uniamoci Per Impiccare Mussolini.»

Ma il Luce, oltre a fotografare il popolo che si gettava nelle vie a distruggere tutti i simboli del fascismo che trovava lungo il suo corso, iniziò a riprendere anche i primi provvedimenti del nuovo governo Badoglio, i primi picchetti armati e l'affissione dei primi manifesti murali, come quello datato 26 luglio, e che così recitava:

«Romani, dopo l'appello di S.M. il Re Imperatore agli Italiani e il mio proclama, ognuno riprenda il suo posto di lavoro e di responsabilità. Non è il momento di abbandonarsi a dimostrazioni che non saranno tollerate. L'ora grave che volge impone ad ognuno serietà, disciplina, patriottismo fatto di dedizione ai supremi interessi della Nazione. Sono vietati gli assembramenti e la forza pubblica ha l'ordine di disperderli inesorabilmente. Badoglio".»

Nell'agosto del 1943, il Reparto Guerra tornò a documentare gli effetti dei bombardamenti a Roma, riprendendo una cerimonia militare con la bandiera italiana a mezz'asta in segno di lutto, ma soprattutto fotografando i cadaveri che affioravano fra le macerie. Gli operatori del Reparto fotografarono i corpi morti di un gruppo di neonati, i cadaveri stesi sul selciato divelto davanti ad un asilo comunale nella zona romana di Tiburtina, i treni incendiati nella stazione Casilina, o i corpi senza vita che venivano ritrovati fra le macerie, o stesi nel mezzo della ferrovia bombardata. Ma queste fotografie furono tutte archiviate come riservate, a testimoniare come la censura sull'immagine fotografica continuasse, nonostante il cambio di governo.

Il 15 agosto, invece, gli operatori del Luce fotografarono la folla che riempiva Piazza San Pietro per acclamare Pio XII a testimoniare l'affetto ed il ringraziamento che la popolazione gli donava per aver visitato i luoghi colpiti dai bombardamenti, oltre alla riconoscenza per l'intervento e l'interessamento che la diplomazia vaticana aveva avuto nel far dichiarare Roma «città aperta[xxvii]». Queste fotografie, se da un lato potevano testimoniare il persistere della fede cattolica, od il riavvicinamento alla religione che si stava operando in una parte della popolazione, d'altro lato potevano riflettere anche come la popolazione romana ormai affidasse le proprie speranze soltanto alla Santa Sede ed al Papa[xxviii].

Il Luce, per certi versi, testimoniò emblematicamente anche la confusione in cui fu gettata la nazione, ed in assenza di vere e proprie direttive politiche su cosa fotografare, nei «quarantacinque giorni» di Badoglio, si concentrò a produrre un innumerevole quantitativo di fotografie sulla lavorazione del vetro a Murano, a Trieste, o sulla produzione ortofrutticola di Chioggia. Gli operatori del Luce effettuarono un ampio servizio fotografico sulla lavorazione del pesce nello stabilimento Arrigoni, riprendendo tutti i vari momenti ed aspetti, dalla costruzione di una barca da pesca alla lavorazione delle scatole di latta ed all'imballaggio. Analogo approfondito interesse fu dedicato alla sezione conserviera dell'industria Arrigoni, fotografando le fasi della lavorazione delle marmellate, della frutta e delle verdure essiccate, dalla prima selezione della frutta alla lavorazione del confezionamento, e ad alla successiva spedizione, effettuando anche una serie fotografica comprendente i ritratti in primo piano di ciascun'operaia. Infine, prima di essere trasferito a Venezia, il Luce fotografò la costituzione del Partito Fascista Repubblicano, riprendendo le varie manifestazioni pubbliche, le iscrizioni degli aderenti, il maresciallo Graziani tenere il discorso del teatro Adriano, la Federazione Romana del PFR rendere omaggio al Milite Ignoto, o confezionare i pacchi dono per sinistrati e sfollati. Ma soprattutto, ci consegnò l'immagine di una Roma ormai pattugliata dai soldati tedeschi, a vigilare «sulla linea di confine a Piazza San Pietro», come recitava la didascalia impressa nei registri dell'Archivio Fotografico del Luce.






[i] Vedi Melograni P. Rapporti segreti della polizia fascista, pag.39-41.

[ii] Le relazioni fiduciarie sono riportate in Colarizi S., L'opinione degli italiani sotto il regime, pag.300 e ss.

[iii] Vedi Luzzatto S., L'immagine del duce, pag.10; Masini C., Mussolini. La maschera del dittatore, pag.46.

[iv] Come riservate furono catalogate anche le fotografie del luglio 1941 che ritraevano Mussolini sempre nei suoi esercizi d'equitazione o nel gioco del tennis.

[v] La produzione fotografica del Servizio Attualità del Luce negli anni 1940-1943 (fino al 25 luglio) ammontò alle seguenti quantità di materiali archiviati:

Anno

Numero di negativi

1940

8.051 negativi

(di cui 3.811 realizzati a partire dal 10   giugno)

1941

9.115 negativi

1942

7.306 negativi

1943

4.996 negativi

(fino alla data del 25 luglio)



[vi] Forze inquadrate nelle organizzazioni del PNF o dipendenti da esso:







Fasci di combattimento






Gruppi Universitari Fascisti






Gioventù Italiana del Littorio





Fasci Femminili






Opera Nazionale Dopolavoro






Dati rilevati in De Felice R., Mussolini l'alleato. Crisi ed agonia del regime., pag.969


[vii] Vedi L'Illustrazione italiana del 15 settembre 1940, n.37 .

[viii] Tuttavia, ben presto iniziarono a circolare alcune fotografie clandestine, e l'avvenimento divenne di dominio pubblico, suscitando un ampio sgomento e preoccupazione fra la popolazione, non soltanto per l'indebolimento della potenza navale italiana, ma soprattutto per l'assodata deficienza della forza antiaerea.

[ix] Vedi la disposizione del 3 settembre 1940 riportata in Matteini C., Ordini alla stampa, pag.120 e in Mignemi A., L'Italia s'è desta, psg.68.

[x] Disposizione del 25 giugno 1941 riportata in Matteini C., Ordini alla stampa, pag.87 e in Mignemi A., L'Italia s'è desta, pag.70. La questione continuò anche nei successivi rapporti, vedi a proposito ACS, MCP, Gabinetto, b.49-50.

[xi] Il Popolo d'Italia, pubblicando la fotografia nel gennaio del 1942, così la commentava: «Questa scritta tracciata sopra una casa colpita dalle bombe inglesi esprime con evidenza lapidaria l'indomabile spirito che anima le popolazioni dell'eroica Sicilia e quanto vana sia l'illusione di fiaccarne la fiera resistenza con atti di sterile crudeltà».

[xii] Il Popolo d'Italia, pubblicando la fotografia nel luglio del 1943, cercò di ribadire la spontaneità di tale scritta, commentando e sottolineando che era stata scritta da una mano ignota. Vedi Mignemi A., La seconda guerra mondiale. 1940-1945, pag.40-41.

[xiii] Vedi a proposito il rapporto conservato in ACS, MCP, Gabinetto, b.49, f. 313.18 Rapporto ai giornalisti 11 dicembre 1940.

[xiv] De Luna, effettuando una ricerca sulla pubblicazione di fotografie di Mussolini su La Stampa, ha constatato come nel 1941 il giornale pubblicò 68 foto di Mussolini, per poi diminuire a 48 nel 1942, e ad 8 nel 1943 (fino al 25 luglio). De Luna non ha specificato se tale declino riguardasse le immagini di Mussolini da solo o con altre persone, ma ha riportato che le fotografie di Mussolini nella veste di condottiero si dimezzarono dal 1941 (12 foto) al 1942 (6 foto). Vedi De Luna G., Mignemi A., Storia fotografica della Repubblica sociale italiana, pag.16.

[xv] Disposizione del 7 ottobre 1941 riportata in Matteini C., Ordini alla stampa; Coen F., Tre anni di bugie, pag.59; Mignemi A., L'Italia s'è desta, pag.70.

[xvi] Per uno studio accurato sull'evolversi di questi sentimenti, vedi Cavallo P., Italiani in guerra, pag.233-241, pag.339-345, pag.361 e Imbriani A.M., Gli italiani e il Duce.

[xvii] Disposizione del 1 ottobre 1942 riportata in Matteini C., Ordini alla stampa, pag.200 e in Mignemi A., L'Italia s'è desta, pag.7

[xviii] Vedi la disposizione conservata in ACS, MCP, Gabinetto, b.51, f.315.7 Rapporto del 1 agosto 1942, sf.15.

[xix] Vedi la disposizione del 5 maggio 1943 riportata in Matteini C., Ordini alla stampa, pag. 234; Flora F., Ritratto di un ventennio, pag.179; Mignemi A., L'Italia s'è desta, pag.73.

[xx] A tal proposito, vedi le lettere e le relazioni informative riportate in Cavallo P., Italiani in guerra, pag.386-387.

[xxi] Per una quantificazione delle astensioni dal lavoro e degli scioperi avvenuti in Italia dal 1 febbraio al 7 aprile 1943, vedi De Felice R., Mussolini l'alleato. Crisi ed agonia del regime, pag.928-931. Nello stesso tomo, riguardo agli scioperi avvenuti nel periodo marzo-aprile del 1943 a Torino e Milano, sono riportati anche i rapporti dei Sindacati fascisti e dei Carabinieri. A tal proposito vedi pag.1480-1518.

[xxii] Disposizione del 5 maggio 1943 riportata in Matteini C., Ordini alla stampa, pag.234; Flora F., Ritratto di un ventennio, pag.129-130; Mignemi A., L'Italia s'è desta, pag.73.

[xxiii] A tal proposito, vedi le fotografie raccolte in Olla R., Combat film, pag.133-22

[xxiv] Robert Capa, pseudonimo di Endre Arno Friedmann, seguì sia lo sbarco in Sicilia, sia quello ad Anzio, per poi, il 6 giugno 1944, fotografare lo sbarco degli Alleati in Normandia, seguendo le truppe fino a Parigi, dove il 25 agosto ne fotografò la liberazione, riprendendo la festa della folla che invadeva le piazze, ma anche il panico che colorò il viso di molte persone, quando alcuni cecchini tedeschi, nascosti negli edifici, iniziarono a sparare contro i passanti. Nel 1945, Capa si fece paracadutare insieme ai soldati in Germania, per fotografare l'ingresso degli Alleati a Lipsia, Norimberga e Berlino.

[xxv] Il servizio uscì sul numero 19 di Life dell'8 novembre 1943. Oltre alle immagini citate, il servizio includeva alcune fotografie di George Rodger, tra cui l'immagine di una riunione antifascista, ed i ritratti di tre giovani patrioti napoletani realizzati da Alessandro Aurisicchio De Val, la cui pellicola era stata acquistata per qualche dollaro da Capa, e da questi unita al proprio materiale fotografico.

[xxvi] Vedi la disposizione del 20 luglio 1943 riportata in Matteini C., Ordini alla stampa, e in Mignemi A., L'Italia s'è desta, pag.74.

[xxvii] Vedi il saggio Roma "città aperta" nelle fotografie ufficiali dell'epoca pubblicato all'indirizzo www.romacivica.net/anpiroma/ Resistenza/resistenza2c20a.html

[xxviii] Agli occhi della popolazione romana, durante i mesi dell'occupazione tedesca, Pio XII apparve come il «defensor urbis», e la Chiesa acquisì un prestigio che avrebbe assunto un peso decisivo nelle vicende politiche del dopoguerra. A tal proposito, vedi Chabod F., L'Italia contemporanea, pag.124-125.

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