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LA CITTA
E LE
AMMINISTRAZIONI
LOCALI
I primi abitanti dell'area romana si stanziarono in una zona di colline boscose, popolata soprattutto di querce, faggi e lauri stabilendosi soltanto sulla parte più alta dei colli e, fra questi, ebbe un maggiore sviluppo la zona del Palatino. Secondo le confuse tradizioni, la città romulea avrebbe dovuto essere soltanto un quadrilatero su questo colle, ma rilevando il fatto che la parola stessa "urbs quadrata" in latino indica più propriamente il concetto di una città divisa in quattro parti, è probabile che il pomerium (ovvero il tracciato della linea terminale della città più antica) comprendesse una zona molto più estesa.
La Roma divisa in quattro parti ha il suo centro commerciale e politico nella grande piazza principale del foro romano, dove si incrociavano le strade che collegavano e dividevano i diversi quartieri.
Le cave di Grotta Oscura e di altre zone dirupate dei colli romani fornirono abbondante materiale per la costruzione di mura e di monumenti in travertino.
Le mura serviane vennero costruite sull'esempio delle fortificazioni ellenistiche megalitiche, rafforzate con torri, aggiri e fossati e l'area da loro cinta era più vasta di 1/3 rispetto alle prime mura.
Fino dal IV secolo si ebbero strade selciate, l'aera civica e quella immediatamente circostanze furono bonificate con canalizzazioni per il drenaggio di terreni umidi e di acque stagnanti e nello stesso tempo fu imitata l'urbanistica delle città greche con la costruzione di canali di spurgo dei rifiuti dell'abitato e la città venne fornita di una dotazione d'acqua sufficiente per quel tempo, con l'acquedotto costruito da Appio Claudio. Negli ultimi anni prima della seconda guerra punica e nel periodo successivo, l'urbanistica della città venne ancora migliorata con la costruzione di locali coperti (basilicae) o di porticati (porticus) per dare mercati e luoghi di riunione ai commercianti all'infuori dell'aera del foro che si faceva ristretta. I mercati dei generi alimentari furono trasportati in luoghi appositamente costruiti.
Ancora prima della guerra punica fu gettato il primo ponte in muratura sul Tevere.
A monte dell'isola Tiberina le rive del Tevere vennero sistemate a gradinate per avere un porto fluviale adatto allo scarico delle merci, con edifici per lo smistamento delle merci stesse.
La prima grande riforma sistematica delle città per renderle simili alla comodità e al prestigioso aspetto delle città ellenistiche si ebbe in epoca sillana, quando iniziarono ad essere costruite grandiose opere monumentali, soprattutto negli edifici pubblici. Questa tendenza sarà poi ulteriormente sviluppata da Pompeo.
Cesare oltre ai lavori sul foro che prenderà il suo nome, progettò anche un piano regolatore sistematico, che avrebbe dovuto dare un nuovo corso al Tevere, deviandolo lungo i Monti Vaticani, destinando il vecchio Campo Marzio ad area residenziale e trasportandolo nelle immediate vicinanze del nuovo corso del fiume.
Augusto abbandonò il piano regolatore del padre adottivo e divise la città in 12 regiones, 8 delle quali dentro le mura serviane e 6 fuori, di cui una sulla riva destra del Tevere.
Gli acquedotti
Gli acquedotti frattanto erano aumentati con le opere dell'Acqua Marcia e con la condotta delle acque dell'Aniene e della Tepula, ma Augusto costruì l'Acqua Giulia, l'Acqua Vergine, l'Acqua Alsietina, destinata quest'ultima a Trstevere, restaurando anche e migliorando la cloaca Massima.
La zona del Palatino, che nella tarda età repubblicana era diventata il centro residenziale delle famiglie più aristocratiche o facoltose, venne in parte occupata dalla residenza dell'imperatore e dagli edifici sacrali che la circondavano.
Svetonio
Tiberio sistemò maggiormente il Palatino come area residenziale del capo dello stato (domus augustana)
Caligola costruì due nuovi acquedotti che furono poi finiti da Claudio, l'Acqua Claudia e l'acquedotto nuovo dell'Aniene, con enormi lavori in aree di montagna.
Nel corso del I secolo l'Aventino, che era stato un quartiere plebeo, era diventato, insieme con il Quirinale e l'area pinciana, il gruppo delle zone residenziali nuove per le classi elevate cui era stata tolta la zona del Palatino e delle sue pendici. Per poter fornire l'acqua a questi nuovi quartieri furono necessarie le grandi opere idriche iniziate da Caligola e finite da Claudio. Sotto quest'ultimo venne creato il porto artificiale di Ostia, che rendeva più facile l'approvvigionamento dell'urbe con le risorse provenienti d'oltremare.
La "nova urbs"
Nerone, dopo l'incendio del 64 a.C., trovando la città distrutta o gravemente danneggiata per oltre metà, emanò una nuova regolamentazione urbanistica e una nuova pianificazione della città, tendente a rinnovarla secondo le regole architettoniche e i piani regolatori del mondo ellenistico.
Le nuovi leggi -alcune-
le case non dovevano più essere costruite in modo da avere pareti in comune, ma dovevano avere una sufficiente intercapedine tra l'una e l'altra;
le pietre calcaree, soggette a disgregarsi ad alta temperatura, dovevano essere escluse dalle costruzioni, le quali dovevano avere le strutture portanti in pietra resistente al calore e tutte le pareti visibili in laterizi.
le case non dovevano superare certi limiti d'altezza che ne garantissero la sicurezza rispetto al pericolo dei crolli
gli edifici dovevano essere tenuti lontani con la loro fronte dalla sede stradale, portando lungo la facciata porticati.
ai portici dovevano sovrastare le terrazze per rendere più facile l'opera di spegnimento degli incendi
nelle vie e nelle piazze delle città dovevano essere sistemate numerose fontane, sia per la comodità del pubblico, sia per dare sufficiente fornitura d'acqua per poter lottare contro gli incendi.
Le terme situate a settentrione del Pantheon furono costruite da Nerone prima dell'incendio, e così il prolungamento dell'acquedotto Claudio al Palatino.
Le case furono fornite di grandi finestre, contrariamente alle abitudini invalse nel mondo ellenico fin dai tempi antichi: i balconi, che in passato a Roma erano proibiti, divennero di uso comune, le scale furono obbligatoriamente costruite in muratura, i solai furono fatti in legno o a volta.
La regolamentazione neroniana rimase rigorosamente applicata almeno nel II secolo.
Una delle maggiori caratteristiche della città neroniana fu la Domus Aurea, opera che Nerone non finì e che ebbe vita effimera, per quanto, negli anni in cui era rimasta in piedi, avesse modificato totalmente il centro urbano con la presenza di un monumentale complesso residenziale di tipo ellenistico, mentre la via Sacra era stata trasformata in una di quelle monumentali strade colonnate.
I massimi sforzi dei Flavi furono dedicati a lavori di restauro, alla costruzione dell'anfiteatro Flavio, del tempio alla Pace.
Il piazzale si stendeva su un'aera circostante alla Domus Aurea. Domiziano, oltre al nuovo palazzo imperiale sul Palatino e all'arco di Tito, creò un nuovo stadio in corrispondenza della piazza Navona, i carceres per le factiones del circo, il teatro presso lo stadio, un'aera inondabile con le acque del Tevere per tenervi le battaglie navali e un nuovo ampliamento nelle zone del foro.
Il continuo accrescersi della capitale e le difficoltà derivanti dai bisogni di una popolazione molto numerosa e costituente una costante preoccupazione per il governo obbligava a creare nuove opere pubbliche e nuovi servizi, per rendere il centro più adatto alle necessità commerciali, e mettendo la città in condizione di poter servire, con le terme e gli acquedotti, le esigenze di un enorme agglomerato di popolazione. Traiano non poté fare a meno di continuare nelle stesse direttive, costruendo nuove terme, una nuova area commerciale (foro Traiano), di un gusto largamente influenzato da esempi orientali, e completando, con l'Acqua Traiana, l'approvvigionamento idrico della metropoli.
Il periodo che va da Nerone a Traiano rappresentò la totale trasformazione di Roma in una grande città adatta alle sue funzioni di centro dell'impero, e la creazione di un sistema e di un piano regolatore urbanistico, che non fu più alterato sino al Medio Evo, anche se alcuni imperatori crearono nuovi edifici religiosi o pubblici, come le caserme di cavalleria sul Celio, le grandi terme di Caracalla, di Diocleziano e di Costantino.
Il più grande documento topografico illustrativo della storia della città fu la pianta descrittiva della topografia urbana e dei singoli monumenti, fatta interamente sul marmo e murata nel Foro Vespasianeo della Pace.
Edifici di carattere commerciale, cioè magazzini e porticati destinati a gruppi di negozi, furono costruiti da diversi imperatori, mentre Severo Alessandro costruì un nuovo acquedotto e nuove terme, rifacendo quelle di Nerone ultimate nel 63 d.C.
L'aspetto urbanistico di Roma subì nel 272 d.C. una grandissima trasformazione, di cui si vedono tuttora caratteristiche tracce monumentali, con la costruzione della cinta di mura che circondava la città per uno sviluppo di circa 19 km, con 14 porte e 5 pusterle, 383 torri e migliaia di bocche per collocarvi catapulte per la difesa a distanza. Le torri, tutte rettangolari, erano situate a distanza di circa 30 metri l'una dall'altra e le mura erano in gran parte massicce, con qualche tratto vuoto all'interno, con gallerie, mentre era incorporato nella fortificazione il grande muro ancora oggi esistente e conosciuto con il nome di "muro torto", e appoggiandosi anche alle mura di recinzione delle caserme dei pretoriani (castra pretoria) e ad altri edifici. Questa grande fortificazione era costruita in modo da non essere adatta a sostenere un assedio secondo la tecnica militare e le macchine disponibili dagli antichi, per l'ovvia considerazione che nessuno dei nemici che Roma aveva in quel periodo sarebbe stato in condizione di attaccare la metropoli con tutti i ritrovati della poliorcetica, ma soltanto di compiere incursioni, per le quali le mura offrivano un riparo abbondantemente sufficiente.
L'amministrazione periferica: le colonie
Quando i Romani cominciarono a dominare territori lontani dal centro urbano sentirono il bisogno di rendere sicure le loro conquiste, pur evitando di stabilire presidi armati formati da distaccamenti legionari, creando centri nei quali venivano trasferiti cittadini romani con le loro famiglie, cioè creando coloniae, i cui cittadini diventavano coloni. Le prime colonie romane furono gruppi di 300 famiglie, che vennero stabilite in località disabitate o sulla regione costiera, a protezione degli approdi marittimi che interessavano la città di Roma. Logicamente, il primo di questi gruppi da famiglie venne stanziato, nel IV secolo a.C., alle foci del Tevere, formandosi così la colonia di Ostia, cui succedettero le altre due colonie di Anzio e Terracina. Al tempo della seconda guerra punica le colonie costiere, dette coloniae maritimae erano 12. I cittadini romani che diventavano coloni nei presidi costieri conservavano la cittadinanza e ricevevano, in assegnazione come proprietà, parcelle di terreno che venivano assegnate con speciali procedure.
Le colonie venivano fondate portando sul terreno dell'aera prescelta per la fondazione i coloristi inquadrati militarmente, in centurie di cavalieri e di fanti. Quando le centurie giungevano sul luogo, i magistrati che la conducevano iniziavano le cerimonie religiose occorrenti per assicurarsi la collaborazione degli dei alla fondazione, e quindi, secondo l'uso romano, risalente a Romolo, si tracciava con l'aratro il solco che doveva delimitare l'appezzamento di terreno destinato alla fondazione della città e alla distribuzione della terra fra i coloristi. Una parte di terreno era destinata agli dei, per costruire templi e per dar loro una dotazione si terra, e una parte andava alla colonia come ente amministrativo, per costituirle un patrimonio e quindi una rendita.
Tutto il resto della terra arabile o boschiva veniva diviso in quadrati, con un reticolato di linee perpendicolari fra loro; nei tempi più antichi, ogni lotto di terra, per la parte della popolazione della colonia inquadrata nella fanteria, era limitato al minimo di 2 iugeri per famiglia, mentre gli equites avevano quantitativi superiori. I lotti di terra così distribuiti diventavano proprietà privata e i coloni conservavano il diritto di cittadinanza romana, pur avendo i diritti di cittadinanza della nuova comunità entro la quale partecipavano all'amministrazione con diritto elettorale attivo e passivo.
In base agli antichi trattati per cui gli alleati latini avevano in molte cose gli stessi diritti dei cittadini romani, fin dai tempi più antichi le colonie potevano anche essere formate da cittadini delle città latine alleate; mentre le colonie romane si chiamarono coloniae civium romanorum, le seconde si chiamarono coloniae latinorum. D'altra parte, quando si cominciarono a fondare colonie in zone lontane dal territorio romano di diretto dominio, questi stanziamenti, anche se formati da cittadini romani, vennero considerati colonie latine: i Romani che entravano a farne parte, perdevano la cittadinanza romana per assumere quella latina, con tutti i diritti relativi, in base ai quali all'atto stesso di un loro possibile rientro in città, per stabilirvisi nuovamente, avrebbero riacquistato il diritto di cittadinanza romana.
Le colonie marittime
I coloni maritimi non avevano l'obbligo di servizio militare poiché erano già impegnati nella difesa della località costiera a loro affidata. Nelle colonie latine i coloni erano in numero molto superiore a quello delle originarie colonie romane: il numero minimo era di 1500 capifamiglia, ma erano frequenti colonie di numero anche quattro volte superiore. Nei tempi più antichi le colonie marittime furono governate da magistrati inviati da Roma, ma presto ebbero l'autonomia amministrativa. Invece, nelle colonie latine la legislazione imitava le condizioni di vita delle città latine, le quali avevano un trattato di alleanza con Roma in base al quale c'era la possibilità di relazioni di affari e di stringere rapporti matrimoniali. Gli appartenenti alle colonie latine, come gli appartenenti alle città della stessa categoria giuridica, se si trovavano presenti a Roma durante le votazioni avevano diritto di parteciparvi, però in una sola tribù; non dovevano pagare tasse o imposte allo stato romano, ma potevano essere chiamate a fornire uomini per reparti ausiliari, che quindi non venivano incorporati nelle legioni.
I Romani collocarono colonie nei luoghi che ritenevano potessero diventare in qualche modo pericolosi, non intendendo formare nuove città italiane, ma piuttosto capisaldi della loro potenza.
La formazione di colonie romane o latine è connessa sin dai tempi più antichi con la formazione di un demanio pubblico romano in Italia. Infatti, durante le loro guerre di conquista, anche nella prima fase della storia repubblicana e con l conquiste nell'Italia centrale, i Romani ebbero l'abitudine di confiscare una parte del territorio delle città che avevano resistito fino all'ultimo giorno con le armi in pugno oppure quelle che, dopo essersi sottomesse, si erano ribellate. Qualche parte di questo territorio rimaneva indivisa e lasciata a disposizione di chi intendeva prenderne possesso, soprattutto ad uso di pascolo. All'infuori di questo, parti dell'agro pubblico potevano essere vendute dai questori, oppure affittate in perpetuo, o per periodi brevi o lunghi, con l'obbligo di pagare una specie di fitto annuale (vectigal), in proporzione al reddito presunto o puramente simbolico. Viceversa altre parti di questo territorio furono trasformate in proprietà private per mezzo di distribuzione, fatta direttamente a individui singolo (virtim), creando così ager viritanus, oppure per mezzo della deduzione di colonie di cittadini romani o di cittadini latini. La pratica della deduzione di colonie latine divenne particolarmente frequente dopo il 338 a.C., dopo lo scioglimento della lega latina.
Le colonie latine
Con la sistemazione delle colonie latine in Italia, e soprattutto con le 12 grandi colonie latine fondate in Italia nel corso del III secolo a.C. e al principio del II, le diverse dimensioni della massa di popolazione condotta nelle nuove colonie diede a queste fondazioni un diverso carattere perché erano state fondate non con lo scopo originario della fondazione di colonie. Le colonie di questo periodo non erano più presidi, ma erano vere nuove città, le quali disponevamo di una specie di legge fondamentale che le istituiva, ne regolava l'amministrazione e prevedeva funzionari statali o magistrati che vigilassero sulla regolarità della loro amministrazione, lasciando a tutti i componenti della colonia quasi tutte le condizioni giuridiche derivanti dalla cittadinanza romana.
In queste condizioni, la distinzione originaria fra colonie di cittadini romani e la colonia perdette progressivamente significato, rimanendo viva la distinzione in una maniera completamente estranea all'originaria derivazione dei membri della colonia. Infatti, come era avvenuto con Ostia, Anzio e Terracina, ancora nel III secolo e nel II le colonie di cittadini romani conservarono il carattere di capisaldi di dominio ( pro-pugnacula imperii, secondo la definizione di Cicerone)
Le municipalità
L'Italia e la cittadinanza
In realtà, con la guerra sociale e con le leggi Iulia e Plautia Papiria, rispettivamente del 90 e dell'89 a.C., con il senatusconsulto dell'86 e con la legge di Giulio Cesare per la concessione della cittadinanza romana alle popolazioni dell'Italia settentrionale, il diritto romano di cittadinanza venne esteso, in meno di mezzo secolo, a tutta la penisola, cosicché di perdette completamente il significato della distinzione tra colonie, municipi, città o municipi senza diritto elettorale, e tutte le altre condizioni amministrative previste nell'Italia romana. In realtà, una completa parificazione non dovette avvenire, anche se le differenze, soprattutto fra colonie e municipi, dovettero riferirsi principalmente a questioni di prestigio. Tutta la grande quantità di documenti epigrafici di molti centri dell'Italia settentrionale dimostra che, in quell'aera dell'Italia romana, il titolo di colonia, soprattutto se accompagnato da indicazioni relative alla fondazione della colonia da parte di un imperatore, era considerato normalmente come grande e ambito onore.
In alcuni casi si ebbero anche, in Italia, municipia di diritto latino, cioè città che venivano annesse allo stato romano però senza avere altro diritto di cittadinanza che quello riservato ai Latini.
Minori aggruppamenti di cittadini romani si ebbero dove se ne stabilivano gruppi in numero non sufficiente per costituire una colonia civium romanorum. In questi casi, l'amministrazione romana provvedeva alla creazione di comunità prive di completa autonomia amministrativa, e per queste il governo locale poteva dipendere dallo stesso tipo di magistrati romani itineranti che amministravano le città erette in municipi di condizioni inferiori, cioè le praefecturae e, infatti, anche questi gruppi di cittadini romani ebbero l'analogo nome di praefecturae, in quanto in essi l'amministrazione della giustizia e tutto il governo locale era sottoposto alle funzioni di un praefectus iure dicundo. Quando la comunità di cittadini romani aveva sufficiente importanza da costituire un centro di fiere o di mercati, poteva essere diritto dei consoli o dei pretori romani di costituirla in forum, in base alla sua propria autorità, e quindi senza bisogno di una lex coloniae. Questi fora, che sorgono frequentemente lungo le strade di grandi comunicazioni, portavano il nome del magistrato che li aveva costituiti dando lo status speciale di questo tipo di entità amministrativa. Quindi abbiamo tracce di questo uso in Fréjus (Forum Iulii) e in Fossombrone (Forum Sempronii).
I fora avevano una loro amministrazione locale come le colonie e i municipi, ma dipendevano da magistrati romani itineranti per l'amministrazione della giustizia (praefecti iure dicundo), nominati e mandati dai pretori, Inoltre gli aggruppamenti di cittadini romani potevano anche avere la forma più modesta di conciliabula, i quali non erano, in realtà, niente altro che luoghi di riunione dei cittadini romani residenti nei villaggi o nelle case isolate di una determinata zona, per cui il conciliabulum non ha nessun carattere urbano, ma è soprattutto un organo diretto alla tutela degli interessi amministrativi dei cittadini romani residenti. Si devono ancora aggiungere le piccole organizzazioni di comunità, per lo più non cittadine, sino al I secolo a.C., che dipendono da maggiori centri, anch'essi cittadini o non cittadini: questi centri, costituenti nient'altro che villaggi, frazioni o sobborghi, vengono chiamati vici o castella, possono eleggersi propri magistri, o edili, o amministratori con diversi nomi, ma non hanno, per questo, nessun carattere di autonomia amministrativa e nessuna personalità indipendente e separata.
Tutte queste categorie di enti amministrativi locali possono rappresentare la sintesi delle varie suddivisioni dei centri abitati da cittadini romani, e cioè, se originati da una decisione di fondazione o di trapianto proveniente dal governo centrale di Roma, si hanno colonie di diritto romano, le praefecturae, i fori e i conciliaboli e, eccezionalmente, possono appartenere alla cittadinanza romana anche abitanti di vici e di castella. Quando l'origine della costituzione in città o comunità deriva dall'annessione di un gruppo etnico allo stato romano, si hanno i municipia o civitates cum suffragio e sine suffragio, ma sempre con completa autonomia amministrativa, mentre quando viene negata l'autonomia amministrativa si hanno praefecturae.
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