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La campagna in Russia e l'estetizzazione della sconfitta - La seconda guerra mondiale
Nel frattempo, appena i contingenti italiani giunsero in Russia, il Reparto Guerra effettuò le prime fotografie, continuando una rappresentazione che potesse esaltare la tranquillità della guerra. Gli operatori fotografarono essenzialmente scene di campagna, riprendendo la popolazione intenta ad effettuare la trebbiatura, ritraendo i soldati salire sui trattori per dar una mano alla popolazione o a mangiarsi sereni delle pannocchie immersi fra immensi campi di grano. Anche gli stessi operatori del Reparto Guerra si lasciavano spesso raffigurare in tali immagini, fotografandosi a vicenda mentre erano intenti a familiarizzare con la popolazione del posto, come le fotografie di alcuni cineoperatori che mangiavano tranquilli con i contadini di una casa locale.
Ma queste immagini, oltre a tranquillizzare la popolazione italiana su una guerra lontana, potevano essere utilizzate anche in un'ulteriore chiave propagandistica, attestando le innumerevoli risorse naturali della Russia, che sarebbero potute essere utilizzate dagli italiani una volta vinta la guerra e conquistato il paese.
La guerra sembrava lontana dai soldati italiani, e la sua esistenza era semmai ricordata dalle fotografie di colonne di prigionieri russi che marciavano fra i soldati italiani e tedeschi. Importanti erano anche le consuete fotografie che cercavano di simbolizzare la sconfitta del comunismo, come le innumerevoli immagini di soldati che posavano accanto a statue di Lenin divelte e gettate a terra, e che a volte, prima d'essere abbattute sul terreno, erano state decapitate. La guerra in Russia fu rivestita anche da altri valori simbolici, come attraverso le fotografie che riprendevano le messe in campi militari della divisione Pasubio, in cui, come recitavano le didascalie, avveniva spesso il «battesimo di bambini russi da parte di un cappellano italiano».
Le fotografie di messe religiose, inizialmente, non
erano gradite al regime, tanto che nel 1940 il Minculpop aveva diramato alcune
disposizioni in cui si affermava che erano vietate le «fotografie di cerimonie
religiose nelle caserme», così come era interdetta la pubblicazione di
«fotografie di militari in ginocchio durante
Infatti, fino ad allora, tutte le fotografie concernenti cerimonie religiose nei vari fronti erano state archiviate come fotografie riservate. Così era successo a Tirana, nel novembre del 1940, per le fotografie della celebrazione della messa in un cimitero militare; e successivamente sarebbe avvenuto in Africa Settentrionale, nel febbraio del 1942, con le immagini di un soldato italiano intento a pregare in una chiesa, o quelle di una messa al campo militare celebrata da un vescovo di Tripoli.
Ma riguardo alle immagini provenienti dalla Russia, il Minculpop non dispose nessun divieto. D'altronde, le fotografie che ritraevano la celebrazione di messe da parte degli italiani, ed a cui partecipava «la popolazione russa per la prima volta dopo venticinque anni», potevano far leva sui sentimenti cattolici della popolazione italiana, accrescendo un consenso alla decisione di far la guerra alla Russia, riproponendo il tema del soldato italiano portatore della civiltà, e sacralizzando così il conflitto con l'immagine di una crociata religiosa ed antibolscevica.
Con l'arrivo dell'inverno, le fotografie del Reparto Guerra iniziarono a testimoniare l'arretratezza dell'esercito italiano. Emblematiche erano le fotografie che riprendevano i muli impantanati nella neve, od i viveri trasportati da slitte trainate da cavalli che faticavano a percorrere strade innevate e gelate, evidenziando così l'impreparazione di un conflitto male interpretato dal regime fascista. Gli stessi alpini, ripresi nelle loro tute bianche per avanzare mimetizzati nell'ambiente invernale, assumevano in alcune fotografie delle tragiche sembianze, simili a fragili ombre immerse nella neve che copriva il tutto.
Nel frattempo, la fascistizzazione dei comportamenti umani sembrava quasi sgretolarsi sotto la lontananza dall'Italia. Nel novembre del 1941, il Reparto Guerra fotografò più volte il generale Messe stringere la mano ai soldati della Pasubio dopo averli decorati, sospingendo il Minculpop ad emettere disposizioni per vietare la pubblicazione di tali fotografie. Il Reparto Guerra, durante tutto l'inverno, produsse molte fotografie che potessero celebrare l'interesse e l'affetto della nazione e del regime fascista verso i soldati. A tal fine, furono spesso riprese le slitte che portavano al fronte i doni del PNF o dell'OND, ed i rifornimenti provenienti dall'Italia. Ma nella primavera la morte iniziò ad apparire nelle fotografie, anche se non nella sua cruda realtà, ma eternizzata nell'immagine del cimitero militare.
Già nel novembre del 1941, gli operatori del Reparto Guerra avevano fotografato l'interramento in una fossa comune di soldati caduti, riprendendo le bare stese sul terreno scavato, ed alcuni soldati che le cospargevano di terra per coprirle. Ma tali fotografie furono forse giudicate troppo cruenti dagli apparati della censura, tanto che furono archiviate come riservate. Se era vietato riprendere il momento della sepoltura, era possibile, tuttavia, fotografare il cimitero militare, una volta che esso fosse stato totalmente realizzato.
Nell'aprile del 1942, infatti, il Reparto Guerra fotografò il cimitero dei caduti della divisione «Torino», per riprendere poi la cerimonia religiosa e la parata militare. Ma ancor più suggestive erano le immagini del luglio 1942, quando il Reparto Guerra fotografò le tombe dei caduti della III divisione «Celere», sia esse fossero tombe singole o tombe comuni con più soldati seppelliti accanto. Il Reparto produsse circa 150 fotografie di tali tombe, riprendendo nella fotografia la striscia di terra sotto cui era seppellito il soldato, la croce di legno su cui era stato scritto il nome del soldato ed affisso un elmetto.
Diversa era la rappresentazione della morte del nemico. Di solito essa avveniva attraverso la fotografia di un corpo abbandonato nelle sterpaglie, difficilmente da identificare, e che era indicato appartenente al nemico attraverso una didascalia apposta sulla fotografia stessa. Il Reparto fotografò anche il ritrovamento di alcuni cadaveri nudi immersi nella neve, non identificati nella didascalia, ed il conseguente funerale locale. Ma per non spaventare il fronte interno con l'immagine di un'atroce morte, la cui modalità poteva colpire anche i soldati italiani, queste fotografie furono catalogate come riservate.
Alcuni fotografi del Reparto cercarono anche di indagare la realtà sociale in cui si trovavano ad operare. Essi iniziarono così a produrre delle fotografie che raccontassero le scene di vita dalle varie città del fronte russo orientale, o della popolazione delle campagne, ritraendo le donne nei propri caratteristici costumi popolari. Gli operatori si aggirarono per la cittadina di Vorosilovgrad, a fotografare i mercati che sorgevano spontanei nella periferia, riprendendo le persone nella loro quotidianità, non mancando però di effettuare la solita fotografia di bambini che salutavano con il braccio alzato verso la macchina fotografica. Ma fra i sorrisi dei bambini fotografati a giocare per strada, ed i visi stanchi di qualche anziana del luogo ripresa ad aggirarsi fra i banchi del mercato, gli operatori fotografarono anche la celebrazione di un funerale a Leopoli, consegnandoci la surreale immagine di un cadavere di un uomo sistemato all'interno di una culla.
Nel frattempo, sempre nella primavera del 1942, il Reparto Guerra fu incaricato di fotografare le preparazioni per il rimpatrio del I contingente degli italiani dall'Africa Orientale. Se precedentemente il Reparto non aveva lasciato immagini della sconfitta avvenuta in Etiopia, ora era inviato ad addolcire l'amarezza della popolazione riguardo alla perdita della giovane colonia. Tali fotografie, infatti, dovevano servire a celare la delusione delle disfatte in Africa dell'esercito italiano, per spostare l'attenzione dell'opinione pubblica sull'immagine paternalistica del regime, che si preoccupava dei propri connazionali, e si prodigava a farli rientrare incolumi in Italia.
Gli operatori si aggirarono negli interni delle varie navi predisposte per l'operazione, quali la «Vulcania», la «Saturnia» e la «Giulio Cesare», fotografando le varie sale, la mensa, la cucina, le camere, l'infermeria, cercando di attestare ed estetizzare i servizi messi a disposizione dei rimpatriati dal regime. Gli operatori effettuarono tutto il tragitto del ritorno, fotografando il personale della nave, dai marinai alle crocerossine, immortalando i bambini sorridenti, con le mani strette su piccoli fucili giocattolo, abbracciati alle proprie madri che indicavano l'approssimarsi delle città all'orizzonte. Il Reparto Guerra fotografò l'arrivo della nave a Napoli, riprendendo le persone scendere dalla nave, salutando romanamente la popolazione che li aspettava. Il Reparto Guerra, nel gennaio del 1943, fotografò anche il rimpatrio del II contingente di italiani dall'Africa Orientale. Gli operatori si aggirarono anche questa volta nelle navi, cercando di fotografare i momenti più particolari e sereni del viaggio, come alcuni neonati in culla disposti in fila accanto alle stanze da letto, od ancora dei bambini intenti a giocare in un box, od alcune ragazze ritratte a fare la ciclette e guardare dentro gli oblò. Anche le donne erano fotografate in momenti spensierati e sereni, preferibilmente sedute sul pontile a lavorare la maglia, o a chiacchierare ascoltando dei piccoli concerti di musica effettuati a bordo da orchestre improvvisate.
La fotografia estetizzava così il rimpatrio della popolazione, costruendo l'immagine di un viaggio più simile ad una crociera di vacanza, che ad un rientro di profughi.
Un ampio spazio era poi attribuito ad immagini di carattere religioso, come le fotografie che ritraevano l'altare di bordo per la messa, o il battesimo di un piccolo neonato, od ancora la prima Comunione per un gruppo di ragazzi avvenuta durante il viaggio. Il viaggio si concludeva con le immagini dell'arrivo al porto di Venezia, e prima di scendere dalla nave, il Reparto Guerra effettuò diverse fotografie di gruppo, riprendendo sia le donne ed i bambini, sia le crocerossine e gli uomini dell'equipaggio.
Se nel settembre e nell'ottobre del 1942 il Reparto Guerra si prodigò a fotografare gli arrivi in Russia di ceste cariche d'uva e di altri generi alimentari per i soldati al fronte; nel novembre esso tornò ad interessarsi della situazione francese, per seguire le truppe italiane mentre invadevano la «zona libera» sottoposta al regime di Vichy.
Il Reparto Guerra fotografò i bersaglieri marciare
tranquilli con le loro biciclette per le strade dei paesini della Corsica,
sfilando davanti alle palazzine della Gendarmeria francese, per poi riprenderli
sotto la statua di Napoleone. In seguito, esso fotografò anche le truppe
italiane mentre entravano a Nizza, riprendendo i vari autoblindo attraversare
le vie della città. Gli operatori del Reparto Guerra seguirono i soldati
marciare nelle vie o fra i binari della ferrovia, fotografando anche i messaggi
di propaganda per l'arruolamento nell'esercito di Vichy, come il tricolore
francese dipinto sul muro della stazione, e su cui sopra era stata impressa la
frase «Un chef Petain - Un but
In molte fotografie la guerra era trasfigurata mediante una rappresentazione che sembrava assimilarla più ad una vacanza, che ad un vero e proprio conflitto. Tale modalità rappresentativa, che durò fino al gennaio del 1943, era presente nelle fotografie che il Reparto Guerra effettuò ai soldati mentre montavano la guardia sul lungomare, riprendendoli con sullo sfondo il paesaggio costiero e turistico della Costa Azzurra. Ancor più simili a foto-ricordo di un viaggio erano le immagini scattate sotto la casa dove era nato Garibaldi.
Nel maggio del 1943, il Reparto Guerra continuò, per certi versi, a sacralizzare l'intervento italiano in Russia. Gli operatori del Reparto, infatti, fotografarono gli esterni delle chiese di Kiew, «adibite dai russi a magazzini», per cercare di propugnare ancora l'immagine del soldato italiano come il baluardo della civiltà. Ma tale politica iconografica non riusciva più ad attecchire nei sentimenti della popolazione, il cui distacco verso la guerra andava ormai costantemente aumentando, essendo essa sempre più cosciente dell'impossibilità di una vittoria.
Il Reparto Guerra provò allora, per l'ultima volta, a rassicurare l'animo degli italiani, attraverso una produzione fotografica che innalzasse la socialità e la tranquillità della guerra, rappresentando i momenti di letizia e di cameratismo fra i soldati. Le fotografie che furono scattate sui vari fronti riprendevano essenzialmente le scene di pausa nelle retrovie, ritraendo i soldati a ricevere la posta, a fare il solitario con le carte, od ancora placidamente sdraiati sui prati a conversare tranquillamente.
Il Reparto Guerra, inoltre, cercò in continuazione anche di attestare l'interesse del regime verso i soldati, forse anche per cercare di contrastare i sentimenti di sfiducia e rabbia che molti soldati provavano nei confronti dei gerarchi e del PNF. A tale scopo gli operatori fotografarono la distribuzione dei doni inviati dal PNF ai soldati, sia in Grecia, sia in Corsica.
Ma riguardo la sostanza di questi pacchi dono, e l'effetto che producevano sullo stato d'animo di molti soldati, sono rimaste celebri le parole di Rigoni Stern che, durante il Natale del 1940, così li descriveva e commentava:
«Un pacco per ogni cinque conteneva.1/2 Kg. di
panettone Motta; 2 torroncini da 40 gr.; una bottiglia da 100 cc. di grappa; 5
sigarette AOI; 5 cartoline illustrate; un biglietto della lotteria; un
cartoncino con gli auguri che diceva "Caro camerata, il Dopolavoro delle Forze
Armate di Milano.ha organizzato
Non potendo più ormai negare l'esistenza di una guerra che provocava i morti ed i feriti, gli operatori del Reparto Guerra si aggirarono dunque negli ospedali di campo, con l'intento di documentare le attenzioni e le cure che i medici apportavano a chi era stato colpito.
Le attenzioni del regime nei confronti dei soldati, sempre a Tunisi, erano testimoniate attraverso le fotografie che riprendevano i vari spettacoli d'intrattenimento in onore dei feriti che si trovavano nel convalescenziario. Gli operatori fotografarono sia gli attori sul palcoscenico adibito nel cortile interno del locale, sia i soldati seduti nella platea. Ma tali fotografie, se dovevano dimostrare appunto le premure del regime, testimoniarono invece ancor di più lo stato d'animo dei soldati, che nessuno spettacolo riusciva a rafforzare.
Indicativa è la fotografia che ritraeva alcuni soldati affacciati su un balcone che dava sul cortile interno del convalescenziario, e sui cui era stato affisso un ritratto di Mussolini con l'elmetto ed uno di Hitler, al centro dei quali sventolavano la bandiera italiana e la svastica tedesca. Alcuni di questi soldati appoggiavano i propri visi stanchi sulle mani o si stringevano disperati la testa, non guardando minimamente gli attori sul palcoscenico. E forse furono proprio tali soldati a sorridere ai cineoperatori anglo-americani al momento della loro cattura, mossi dalla speranza di poter tornare a casa senza dover più combattere, avvertendo soprattutto la loro cattura non come una sconfitta, ma più come una sorta di liberazione e di salvezza.
[i] Disposizioni dell'8 aprile 1940 e del 6 agosto 1940 rispettivamente riportate in Mignemi A., L'Italia s'è desta, pag.67-68; in Matteini C., Ordini alla stampa, pag.84 e 114; Coen F., Tre anni di bugie, pag.59.
Cap. 2 La costruzione del fronte interno.
[ii] Vedi Rigoni Stern M., Quota Albania, Einaudi, Torino, 1971, pag.102.
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