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Il taylorismo - tesina




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IL TAYLORISMO

















SOMMARIO








v  Frederick Winslow Taylor.



v  Il Taylorismo



v  L'alienazione del lavoratore.



v  Il diritto al lavoro nella Costituzione Italiana.



v  La Seconda Rivoluzione Industriale.














MAPPA CONCETTUALE


























Parlare oggi di Taylorismo evoca in ogni persona di media cultura, un'idea negativa, che designa lavori ripetitivi, parcellari e standardizzati.

Nel complesso si può dire che con le sue proposte Taylor si prefiggeva non solo una rivoluzione nel modo di lavorare ma anche e soprattutto una rivoluzione nel modo di comandare.



FREDERICK WINSLOW TAYLOR


Scheda biografica


Frederick Winslow Taylor nasce il 20 marzo del 1856 nel ricco e residenziale  quartiere di Germantown a Filadelfia. A quel tempo gli Stati Uniti sono uno dei paesi più ricchi del mondo, Filadelfia è una delle città più ricche d'america e la famiglia Taylor è una delle famiglie più ricche di Filadelfia. Quaccheri sia il padre Franklin sia la madre Emily, vissero sempre di rendita come "pensionati fin dalla nascita". Filantropo lui, femminista ed abolizionista lei; entrambe persone di elevata cultura, amanti di una vita "raffinatamente semplice" e culturalmente ricca; appassionati dell'Europa dove viaggiarono per alcuni anni allo scopo di acculturare i figli alle meraviglie del vecchio continente. Frederick però a differenza dei genitori e dei fratelli, non si interesserà mai né alle lingue, né all'arte, né alla letteratura; resterà sempre estraneo al mondo degli intellettuali e dei filantropi.

Fin da giovane Taylor coltiverà una sola ideologia: la convinzione che ogni problema, anche se di natura personale o sociale, possa essere risolto con la razionalità, l'organizzazione e la tecnologia. Tre o quattro passioni lo accompagnarono per tutta la vita: lo sport, le invenzioni meccaniche, il giardinaggio, la mania di tradurre ogni cosa in termini metrico-decimali.

Per il liceo non poteva essere destinato ad un istituto più esclusivo della Phillips Exter Accademy, che poi gli avrebbe schiuso le porte di Harvard. Ma proprio quando stava per iniziare il corso accademico, alcuni seri disturbi alla vista lo costrinsero ad abbandonare questi studi e tornare a Boston a Filadelfia. Risolto il problema fisico, Frederick si iscrive alla facoltà di ingegneria e parallelamente inizia una esperienza pratica come apprendista macchina e costruttore di modelli presso imprese meccaniche locali.

Nel 1878 l' aspirante ingegnere Taylor entrò alla Midvale Company, un'industria metalmeccanica, dove resterà fino al 1889, sperimentando le sue prime, famose invenzioni sia organizzative sia tecniche. La laurea fu conseguita nel 1883 attraverso corsi per corrispondenza.

Nel 1884 Frederick sposa Louise M. Spooner, una ragazza di buona famiglia, dalla quale non avrà figli.

Il periodo trascorso alla Midvale, soprattutto quello compreso tra il 1881 e il 1889,  sarà fondamentale per il destino di Taylor e per il destino di tutta l'umanità. In quei pochi anni egli realizzò tre salti mentali:

  • Capì che i problemi del lavoro e della produzione non potevano essere risolti con il buon senso ma  richiedevano profonde innovazioni tecnologiche attentamente progettate.
  • Dall'introduzione di nuove tecnologie ricavò la necessità di accompagnarle con innovazioni organizzative altrettanto radicali, scientifiche e pianificate.
  • Dalle sperimentazioni organizzative comprese che il loro successo dipendeva in misura notevole dai buoni rapporti psico-sociologici tra direzione e lavoratori.

A partire dal 1883, Taylor affianca agli sforzi per il miglioramento tecnologico nuovi sforzi per il miglioramento organizzativo: un sistema di controllo della produzione, una suddivisione del lavoro in fasi elementari, uno studio dei tempi per l'esecuzione delle singole fasi e il salario a incentivi sotto forma di "cottimo differenziale".

Lasciata la Midvale, nel 1889, Frederick iniziò con la moglie un periodo da "girogavo". Nei primi tre anni lavorò per la Manufacturing Investment Company, una cartiera dove si dedicò soprattutto all'incremento della produzione tramite il cottimo differenziale.

Dopo la Manufacturing Investment Company, Frederick passò dalla Johnson Company alla Simonds Manufacturing Company, continuando a condurre esperimenti organizzativi e ricerche, introducendo nuove tecniche di selezione e gestione del personale.

Il successo di tutte queste esperienze concrete, fruttarono a Taylor un posto ambizioso presso una delle più grandi fabbriche d'acciaio del mondo: la Bethlehem Company dove vi rimase sino al 1901.

Lasciata la Bethlehem Company, Taylor è ormai sicuro di sé e decide di intraprendere la carriera di consulente aziendale, di azionista e di giocatore in borsa; nel 1903 scrive un testo di sintesi sullo scentific management, pubblicato con il titolo di Shop Management, seguito a breve tempo da The Principles of Scientific Management (Principi di organizzazione scientifica del lavoro).

Negli anni avvenire la sua salute fu indebolita da un infezione bronchiale e forse anche dal diabete.

Morì di polmonite il 21 marzo 1915, a 59 anni; sua moglie Louise morì più tardi nel 1949.

Frederick resterà per gli Stati Uniti, fino alla morte, l'esperto più apprezzato e corteggiato; e resterà per il mondo intero, dopo la morte, il Father of Scientific Management, come è scritto sulla sua tomba.


IL TAYLORISMO


Panorama storico


Ci troviamo nel periodo che va dagli anni '70 del XIX secolo ai primi quindici anni del XX secolo. In questo periodo si ha l'ingresso degli Stati Uniti sulla scena dei paesi più industrializzati del mondo. Lo scopo delle aziende è quello di sfruttare al massimo i macchinari, così da recuperare gli ingenti investimenti realizzati nell'acquisto degli stessi; gli imprenditori iniziano a  ricercare i mezzi più adottati per ridurre i costi di produzione ed aumentare i profitti, ponendo attenzione agli studi sull'Organizzazione Scientifica del Lavoro (O.S.L)


Il Taylorismo


Il Taylorismo è una teoria economica dell'Organizzazione Scientifica del Lavoro elaborata da Frederick Winslow Taylor. Essa si fondava sul principio che la migliore produzione si determina quando a ogni lavoratore è affidato un compito specifico, da svolgere in un determinato tempo e in un determinato modo. Per ottenere ciò Taylor attuò la catena di montaggio, un sistema produttivo diviso in tante piccole unità semplici e ripetibili che non consentivano alcuno spreco di energia né di tempo. Gli operai della catena di montaggio dovevano svolgere solo determinati movimenti sempre uguali per tutta la durata della giornata lavorativa. Chi aveva la capacità di essere straordinariamente veloce era anche incentivato economicamente con una maggiorazione variante dal 30 al 100 per cento rispetto alla propria paga base.

I principi dell'Organizzazione Scientifica del Lavoro (O.S.L) di Taylor si possono riassumere in vari punti:


Il principio dell'One Best Way ( = la via migliore per svolgere un compito): dinanzi a qualunque problema tecnico o organizzativo esiste sempre e comunque una sola soluzione universale, non una serie di soluzioni alternative fra loro. Questo significa che la produzione migliore avviene se il lavoratore smette di pensare a quello che deve realizzare ma si concentra solo sui gesti sempre uguali legati al momento produttivo che gli è stato assegnato.


Il principio dell' "Operaio Bue": il lavoratore deve fare solo quello che gli viene ordinato senza crearsi problemi e senza neanche chiederne la ragione. Deve rispettare regole, impegni e tempi previsti senza anticiparli, né attardarli.





"Osserviamo che uno dei requisiti essenziali per un individuo idoneo

a eseguire come normale occupazione il trasporto della ghisa,

è quello di essere così sciocco e paziente,

da ricordare come forma mentis più di ogni altro tipo di persona,

la specie bovina."

F.W.Taylor



Separazione tra progettazione ed esecuzione: ossia applicare una separazione istituzionale tra coloro che organizzano e coloro che eseguono, stabilendo una divisione sociale del lavoro e privando gli operatori di quel potere di organizzazione che era loro tradizionalmente riconosciuto.


Il Task Management : con questo principio l'obiettivo di Taylor era quello di conseguire un aumento della produzione in un altro ordine di grandezza rispetto agli standard precedenti; ogni giorno verrà stabilito un determinato ammontare di lavoro, che gli operai dovranno eseguire senza apportarvi diminuzioni né aumenti. L'immenso vantaggio del Task Management è secondo Taylor quello di ottenere un lavoro standardizzato e uniforme con una resa prevedibile e con un rendimento doppio talvolta triplo di quello ottenuto con i vecchi sistemi. La paga più alta va quindi considerata come un premio di rendimento che percepirà solo chi esegue per intero la produzione fissata secondo i metodi previsti. In caso di mancato raggiungimento del Task vi sarà un a diminuzione del salario.


The right man to the right place; selezione attitudinale del personale, le mansioni non possono essere distribuite indistintamente, ma bisogna utilizzare un criterio: "One Man, One Job" ogni operaio deve essere assegnato al compito più idoneo per la sua abilità e per il suo fisico.


Principio della Disciplina: l'uomo è naturalmente pigro ed ha un' istintiva tendenza a prendersela comoda e questa tendenza si traduce in un rallentamento sistematico della produzione, è necessario quindi prevedere delle sanzioni.


Distribuzione uniforme del lavoro tra amministrazione e manodopera.


"Un'officina meccanica dovrà avere un dirigente ogni tre operai.

Ciò significa che un terzo del lavoro

viene sottratto agli operai e affidato alla direzione".

F.W.Taylor











Taylor stesso applicò il suo sistema scientifico di produzione nella Compagnia Bethleem Steel e ne ottenne il seguente quadro:




Prima del Taylorismo

Col Taylorismo

Salario di un operaio

fr. 5,75

fr. 9,40

Prezzo di costo per la manutenzione di una tonnellata di materiale

fr. 0,36

fr. 0,16

Personale adibito

N. 8.000

N. 2.700




Teoricamente pertanto, dati questi sorprendenti miglioramenti, il Taylorismo non è da rifiutarsi. Se però si osserva che in pratica esso tende ad uccidere l'uomo per farne una macchina automatica, non più libero neanche della scelta dei suoi movimenti, dal momento che è la macchina, con la sua velocità, a fissare i tempi che gli operai hanno a disposizione per eseguire le operazioni; se si considera che esso non lascia posto alla collaborazione intellettuale e psicologica del lavoratore atrofizzandone cosi progressivamente la volontà; se si pensa ancora al facile rischio di uno sfruttamento eccessivo e anche alla diminuzione degli operai e quindi al conseguente aumento dei disoccupati, allora ci si accorge dei non pochi lati negativi del taylorismo. Con il Taylorismo l'attività produttiva si fece sempre più specializzata e anonima e la nuova figura dell'addetto macchina divenne sinonimo di alienazione e di mancanza di autonomia, privandolo quasi totalmente della possibilità di far valere le proprie  scelte e le proprie capacità individuali.

Per Taylor ciò che dovrebbe spingere gli operai ad adattarsi alle nuove condizioni di lavoro è l'incentivo economico reso possibile dalla maggiore produttività; anche questa versione strettamente economista del lavoro venne contestata dai sindacati, che d'altra parte Taylor, tutto proteso verso la massima efficienza e il massimo profitto, considerava inutili, nocivi e destinati alla dissoluzione.


LE CONSEGUENZE DEL TAYLORISMO:

Imposizione e intensificazione dei ritmi di lavoro;

Burocratizzazione del processo produttivo;

Separazione della fase ideativa da quella esecutiva;

Parcellizzazione del lavoro;

Dequalificazione dei mestieri operai, un' eccessiva specializzazione del lavoro porta ad una forte rigidità.











CRITICHE AL TAYLORISMO


Critica alla pretesa di fondare tutto sulla scienza:

La ricerca scientifica procede mettendo continuamente in discussione i

propri risultati.

La scienza può dare solo indicazioni di tipo tecnico, non di ordine

strategico, poiché queste implicano giudizi di valore e scelte politiche.


Critica marxista: Taylorismo come strumento per intensificare lo sfruttamento del lavoro operaio (sottolineatura degli effetti devastanti sul fisico e sulla psiche degli operai).


Alcuni studi di psicologi del lavoro sui rapporti tra sforzo psico-fisico e rendimento fanno emergere alcuni limiti del taylorismo:

Attenzione insufficiente per gli aspetti psicologici del lavoro

Semplicistica l'idea sullo scambio tra semplice incentivo monetario ed esecuzione passiva di un lavoro a bassissimo contenuto intelligente.

Critica agli standard di fatica fisica rilevati da Taylor: non esiste una soglia standard, ci sono differenze non solo in base ad età, sesso, costituzione fisica, ma anche a seconda del grado di motivazione psicologica nell'esecuzione del compito (grado di soddisfazione).

Studio sugli effetti della monotonia: fatica e monotonia sono legate, entrambe provocano un rallentamento dei ritmi di lavoro.






L'ALIENAZIONE DEL LAVORATORE



"[.]Certamente il lavoro produce per i ricchi cose meravigliose; ma per gli operai produce soltanto privazioni. Produce palazzi, ma per l'operaio  spelonche. Produce bellezza, ma per l'operaio deformità. Sostituisce il lavoro con macchine, ma ricaccia una parte degli operai in un lavoro barbarico e trasforma l'altra parte in macchina . Produce cose dello spirito, ma per l'operaio idiozia e cretinismo[.]"

Marx



Il termine "alienazione" può essere inteso in senso lato come la crisi del rapporto dell'uomo con la realtà, e perciò è una costante umana, anche se come ha intuito Marx è stata accentuata dalla società capitalistica, che ha parcellizzato, frammentato, standardizzato il lavoro, rendendolo estraneo all'uomo. L'alienazione secondo Marx deriva dal fatto che i prodotti diventano potenze indipendenti rispetto al lavoratore, dato che quest'ultimo è estraneo all'intera attività produttiva ed all'intera fase del processo di fabbricazione dell'utensile, ed allo stesso tempo tramite il plusvalore gli viene sottratta parte della ricchezza, che lui stesso aveva creato. Per Marx sono le macchine che riducono l'uomo a macchina e i prodotti creati possiedono l'uomo, piuttosto che essere posseduti dall'uomo. Il filosofo invece vorrebbe che il lavoro umano autorealizzasse l'individuo, lo relazionasse alla sua vera essenza di uomo, gli permettesse di sprigionare sana energia psichica, fisica e liberasse i suoi impulsi creativi. Ma il lavoratore è alienato e si rende conto che gli atti nell'ambiente di lavoro sono meccanici, rituali, ripetitivi e quindi si sente degradato a cosa. Marx scrive che tramite l'alienazione "ciò che è animale diventa umano, e ciò che è umano diventa animale". Ma l'uomo appunto non è una cosa, l'uomo non è un animale. L'uomo per ogni gesto che compie è sempre "circondato da se stesso", dalla propria interiorità e dalla propria attività psichica. Il concetto di alienazione è stato elaborato filosoficamente per primo da Hegel, egli chiamò alienazione la fase in cui la coscienza diviene oggetto a se medesima. Grazie alla scissione hegeliana della coscienza Marx ha potuto sviluppare il suo concetto di alienazione.

"Eternamente legato solo ad un piccolo frammento e non avendo mai altro nell'orecchio che il monotono rumore della ruota che egli gira, non sviluppa mai l'armonia del suo essere, e invece di esprimere nella sua natura l'umanità, diventa soltanto una copia della sua occupazione, della sua scienza"

"Schiller"  1795



IL DIRITTO AL LAVORO NELLA COSTITUZIONE ITALIANA


LE LIBERTÀ E I DIRITTI FONDAMENTALI NELLO STATO MODERNO


La formazione dello stato moderno è stata accompagnata da una serie di dichiarazioni dei diritti, prima fra tutte quella di indipendenza americana del 4 luglio 1776, i cui principi furono trasfusi nei celebri primi dieci emendamenti aggiunti alla Costituzione degli Stati Uniti.

Tuttavia, il primo organico riconoscimento delle libertà fondamentali fu la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino, con la quale i rappresentanti del popolo francese proclamarono nel 1789 quelli che essi consideravano i diritti inalienabili e sacri dell'uomo.

Si affermano così le libertà civili, fondate cioè sulla rivendicazione per l'individuo di una sfera riservata, nella quale potesse essere autonomo e indipendente rispetto allo stato: fra esse la libertà personale, la libertà di domicilio, le libertà economiche, il diritto di proprietà e così via.

A partire dalla seconda metà dell'Ottocento, con l'emergere delle rivendicazioni del proletariato urbano, le libertà civili si rafforzarono e iniziò una lenta, ma progressiva, affermazione dei diritti di partecipazione alla vita pubblica, i diritti politici: il diritto di voto, il diritto di associazione in partiti e sindacati.

Dopo il Primo dopoguerra si reclamava un sempre maggior intervento statale al fine di riequilibrare le disparità sociali e rendere accessibile alla collettività intera le cosiddette libertà mediante lo stato, ovvero i diritti sociali: il diritto alla previdenza sociale e il diritto alla salute.


IL DIRITTO AL LAVORO


L'art. 4 della nostra Costituzione afferma: «la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto»; il suo inserimento fra i principi fondamentali incide profondamente sulla stessa forma di stato, definita «Repubblica fondata sul lavoro».

La libertà al lavoro deve agganciarsi al secondo comma dell'articolo, che prevede il dovere per il cittadino di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, «un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società».

La norma in esame ha dunque una natura precettiva ma poiché richiede l'intervento degli organi pubblici per rendere effettivo il diritto al lavoro, è anche norma promozionale, la quale vincola i pubblici poteri a perseguire una politica di piena o maggiore occupazione.

Ma un diritto al posto di lavoro non è configurabile nel nostro ordinamento, che garantisce la «libertà di professione» e di iniziativa economica privata: si è così negato che il diritto al lavoro possa consistere nel «diritto a conseguire un posto di lavoro e a conservarlo».

Accanto all'accezione del diritto al lavoro quale obiettivo che la Repubblica deve perseguire, vi sono altri significati di natura precettiva:

la libertà del cittadino di scegliere l'attività lavorativa o professionale da esercitare, nel senso di non subire limitazioni irrazionali nell'accesso al lavoro, e di esercitare un lavoro o una professione adeguati alle proprie capacità;


il diritto del lavoratore a non essere licenziato in modo arbitrario, nel senso che il licenziamento non può verificarsi se non in presenza di «una giusta causa o un giustificato motivo»;


il diritto ad una giusta retribuzione, ossia «proporzionata alla qualità e quantità del suo lavoro» e comunque «sufficiente ad assicurare a sé e alla sua famiglia un'esistenza libera e dignitosa»;


il diritto al riposo settimanale e alle ferie, entrambi retribuiti e ai quali il lavoratore non può rinunciare.


I SINDACATI E IL DIRITTO DI SCIOPERO


I sindacati sono chiamati a svolgere compiti di tutela professionale nei confronti degli associati e possono stipulare i contratti collettivi di lavoro «con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie» alle quali essi si riferiscono.

L'art. 40 Cost. tutela il diritto allo sciopero, ovvero l'astensione programmata di uno o più lavoratori dall'attività lavorativa.

Diverso dallo sciopero è la serrata, cioè la chiusura totale o parziale dell'impresa da parte del datore di lavoro, considerata manifestazione lecita ma non un vero e proprio diritto: il che significa che l'imprenditore che compie la serrata sarà comunque tenuto a risarcire i lavoratori per la mancata prestazione lavorativa.

Del diritto di sciopero possono avvalersi i lavoratori subordinati e anche quelli autonomi, ma non gli imprenditori.

In seguito ad un intervento della Corte costituzionale, si è affermata di recente la tutela del cosiddetto sciopero economico, ossia quello posto in essere dai lavoratori per qualsiasi tipo di rivendicazione salariale o, in senso ampio, economica.

A differenza di quanto accadeva sotto il regime fascista che sanzionava penalmente lo sciopero, oggi questo oltre ad essere configurato come attività lecita è anche un vero e proprio diritto soggettivo (tutelabile davanti ai giudici) dei lavoratori in quanto tali, ovvero della persona umana, in quanto legittimo anche se indetto per sostenere le rivendicazioni di altri lavoratori (c.d. scioperò di solidarietà).


IL DIRITTO ALL'ASSISTENZA E ALLA PREVIDENZA


L'art. 38 della Costituzione garantisce l'assistenza e la previdenza sociale.

Il primo comma garantisce l'assistenza sociale nei confronti di «ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto di mezzi necessari per vivere», mentre il secondo comma assicura ai lavoratori la previdenza sociale in caso di «infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria» mediante l'erogazione di pensioni, assegni o assicurazioni contro gli infortuni.

L'assistenza viene erogata sulla base di esigenze personali del beneficiario che spetta alla pubblica amministrazione valutare discrezionalmente, mentre la previdenza viene erogata da appositi organi ed istituti predisposti dallo Stato sulla base di parametri oggettivi.




LA SECONDA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE


Nella seconda metà del XIX sec. in tutta Europa avviene un profondo mutamento sociale ed economico, grazie a due fattori fondamentali: le scoperte scientifiche e l'avvento del Capitalismo. Infatti, dopo la prima Rivoluzione Industriale ci fu un grande avanzamento tecnologico dovuto in larga parte al "sistema industriale americano", che ricorreva alle catene di montaggio ed ai supporti elettromeccanici nelle fasi lavorative della costruzione e dell'assemblaggio. Questo causò una modificazione del ruolo degli operai e quindi un mutamento sociale. Oltre a ciò ci fu l'incremento della produzione aiutato dalla politica economica capitalista. Il fenomeno più importante della seconda metà dell'Ottocento, denominato "il secolo dell'industrializzazione', fu appunto il diffondersi dell'economia industriale. L'Inghilterra, che alla fine del Settecento aveva dato inizio alla rivoluzione industriale, era l'unico Paese in cui l'industria si era sviluppata sensibilmente, mentre in tutti gli altri Stati europei prevaleva un'economia di tipo agricolo.

Nella seconda metà dell'Ottocento, quindi, l'industria non solo si diffuse, ma si trasformò; per questo gli storici indicano questo fenomeno come seconda rivoluzione industriale, per distinguerla da quella avvenuta in Inghilterra alla fine del Settecento.

Se l'industria tessile era stata il motore della prima rivoluzione, nella seconda presero questo ruolo due nuovi settori: la siderurgia e la chimica. Questo fu un fatto importante in quanto: l'industria tessile produce beni di consumo, merci cioè che sono destinate ad un consumo rapido e che poi vengono sostituite; l'industria siderurgica e chimica invece producono merci (come l'acciaio, i fertilizzanti, la soda) che non vengono consumate direttamente, ma che vengono trasformate prima di essere immesse sul mercato. Alla fine dell'Ottocento si svilupparono anche nuove forme di energia; al carbone si affiancarono, infatti, l'energia elettrica e il petrolio. Quest'ultimo in particolare, che sarebbe poi diventato la più importante forma di energia nel nostro secolo, cominciò ad avere una grande importanza con l'invenzione del motore a scoppio (fine Ottocento). Le invenzioni che invece permisero di utilizzare, trasportare ed accumulare l'energia elettrica furono la turbina, la dinamo e il generatore. Le centrali elettriche erano alimentate col carbone o con l'energia idraulica; in questo modo, anche Paesi poveri di risorse minerarie ma ricchi di acqua come l'Italia, poterono prendere parte alla rivoluzione industriale.

L'industrializzazione portò un grande cambiamento nella società e nell'economia dei Paesi che toccò: l'industria divenne il settore trainante dell'economia che, da agricola che era, si trasformò quindi in economia industriale, e venne introdotto un nuovo metodo per stabilire la ricchezza degli Stati, a seconda delle tonnellate d'acciaio prodotte e dell'energia (cavalli vapore) impiegata nelle fabbriche. I Paesi così misurati venivano poi suddivisi in Paesi ricchi (grado di industrializzazione alto) e Paesi poveri (produzione industriale bassa o nulla).

I primi a seguire l'Inghilterra nell'industrializzazione furono la Francia e il Belgio nei primi decenni dell'Ottocento; poi, attorno alla metà del secolo, emersero anche Germania, Olanda, Svezia e, fuori dall'Europa, Stati Uniti e Giappone. L'Austria, la Russia e l'Italia invece dovettero aspettare gli ultimi decenni dell'Ottocento per veder sorgere le industrie.

Lo sviluppo politico ed economico fu favorito dai miglioramenti scientifici e tecnologici che portarono ad un capovolgimento della visione del mondo. Ad esempio la macchina a vapore di Watt e i motori a scoppio ed elettrico di nuova concezione favorirono sia i trasporti che il lavoro in fabbrica.

Queste furono tutte scoperte derivanti dagli studi teorici eseguiti da numerosi studiosi, al contrario di quanto avvenuto nel corso della prima Rivoluzione Industriale che, per le sue invenzioni, si era "appoggiata" alle menti di gente comune con una grande abilità pratica.


Importante in questo periodo fu anche lo sviluppo dei trasporti (con l'espansione in tutto il mondo della rete ferroviaria e l'aumento del numero delle navi a vapore) e delle comunicazioni (con la diffusione delle reti telegrafiche) che modificarono il senso delle distanze ed introdussero una nuova dimensione nel commercio internazionale. Nella seconda metà dell'Ottocento si espanse la rete stradale e vennero resi navigabili numerosi fiumi e canali. Le nuove locomotive, inventate verso il 1850, viaggiavano a 50 chilometri orari, che divennero poi 80 alla fine del secolo. La rete ferroviaria più sviluppata era quella britannica, ma, dopo la metà del secolo, le ferrovie si diffusero rapidamente anche in Germania, in Francia e negli Stati Uniti.

Lo sviluppo dei trasporti e delle comunicazioni fu molto importante per l'industria, per due motivi: in primo luogo perché permetteva alle fabbriche di commerciare i loro prodotti in breve tempo e a grandi distanze e analogamente di ricevere le materie prime rapidamente; in secondo luogo perché per costruire le ferrovie erano necessari l'acciaio e la ghisa, che venivano richiesti in grandi quantità alle industrie siderurgiche, le quali incrementavano la produzione e, di conseguenza, i guadagni. Lo sviluppo delle comunicazioni non interessò solamente le ferrovie; dopo il 1870 i battelli a vapore sostituirono le navi a vela e gli scafi in metallo presero il posto di quelli in legno. Vennero costruiti dei canali navigabili che ridussero le distanze tra i continenti: il canale di Suez, inaugurato nel 1869, permise di andare dal Mediterraneo al Mar Rosso e all'oceano Indiano senza dover circumnavigare l'Africa, mentre il canale di Panama, aperto nel 1913, collegò l'oceano Atlantico all'oceano Pacifico.

Nella seconda metà dell'Ottocento altre due invenzioni contribuirono a far diventare il mondo sempre più piccolo: il telegrafo (1851) e il telefono (1876), con cui si poteva comunicare da una parte all'altra del globo dapprima con impulsi elettrici, poi con la voce. Tutte le invenzioni sopraccitate non rivoluzionarono solo il mondo economico e il mondo degli affari, ma anche la vita quotidiana di ogni persona.

Le frontiere fra i singoli stati sembravano destinate quindi a scomparire; invece in questo periodo più che mai le aree di influenza economica si trovarono al centro dei conflitti.

Infatti, con il fenomeno dell'Imperialismo iniziò una corsa sfrenata all'accaparramento delle terre africane e asiatiche, ancora lontane dalla civiltà europea. Il pianeta fu distrutto ancora una volta da una serie di conflitti ed imprese militari, nei luoghi in cui confinavano le aree in cui i paesi industrializzati avevano diviso il globo.

L'espansione dei trasporti e delle comunicazioni ebbe anche altre conseguenze, ad esempio l'estensione e l'unificazione del mercato, ovvero l'insieme della domanda e dell'offerta delle merci. Il mercato si ampliò enormemente grazie ai nuovi mezzi di trasporto e di comunicazione, che permisero a ogni città, paese o villaggio di partecipare intensamente al commercio mondiale e contribuirono alla creazione di un mercato globale. Tra il 1850 e il 1870 la quantità di merci commerciate nel mondo si triplicò, espansione dovuta anche al fatto che in questo periodo prevalsero le idee economiche del liberalismo.

I liberali sostenevano che il commercio mondiale dovesse diventare totalmente libero e che le merci, quando attraversavano le frontiere degli Stati, non dovessero essere soggette a tasse doganali (dazi), così da arricchire le nazioni e migliorare la vita di tutti.

I dazi erano delle tasse che gli Stati applicavano sulle merci straniere per aumentarne il prezzo e favorire quindi i prodotti nazionali. I liberali invece pensavano che la libera concorrenza, conseguenza dell'abolizione dei dazi, avrebbe migliorato il commercio, in quanto ogni produttore avrebbe dovuto immettere sul mercato merci di eguale qualità di quelle della concorrenza, ma a minor prezzo; per far questo avrebbe dovuto sperimentare mezzi di produzione nuovi e tecnologie più avanzate e meno costose, migliorando così la produzione e il commercio mondiale.

Secondo i liberisti, infine, lo Stato non deve intervenire nella vita economica, se non costruendo strutture che possano favorire il commercio. I prezzi dei prodotti devono essere dettati interamente dalla domanda e dall'offerta.

Gli industriali furono favorevoli al liberalismo, in particolare quelli inglesi, tedeschi e dei Paesi economicamente e tecnologicamente più avanzati, perché potevano vendere le loro merci, prodotte con tecnologie più avanzate e meno costose, sui mercati stranieri a minor prezzo di quelle locali, battendone così la concorrenza.

A mano a mano che si sviluppavano anche le altre nazioni europee seguirono l'esempio inglese e abolirono i dazi doganali; per questo motivo il periodo che va dal 1850 al 1870 è detto "l'età d'oro del libero scambio".


Da come ne ho parlato fino ad ora, l'economia ottocentesca sembrerebbe quasi perfetta, ma ciò non è vero; nell'Ottocento, infatti, più volte si ebbero crisi economiche.

Per quanto riguarda l'agricoltura, le crisi erano causate da eventi naturali come siccità o, al contrario, piogge troppo abbondanti, neve o grandine. Quando si verificavano questi fenomeni, i raccolti di frumento, granturco, patate, che costituivano la principale alimentazione della maggior parte della popolazione, andavano distrutti e intere regioni rimanevano senza cibo. Una crisi agricola di questo tipo colpì l'Europa nel 1846-47: a causa del cattivo raccolto di grano e di patate, centinaia di migliaia di persone morirono, soprattutto nelle regioni agricole più povere come l'Irlanda; altrettante dovettero emigrare all'estero in cerca di un posto in cui poter sopravvivere.

L'industria fu soggetta fin dall'inizio della rivoluzione industriale, periodicamente, a frequenti crisi economiche. L'alternarsi di periodi di sviluppo ad altri di crisi era ritmico: prima si aveva un lungo periodo di rapido sviluppo, con aumento dei guadagni degli industriali e, seppur in forma minore, degli operai; poi sopraggiungeva una breve ma disastrosa crisi che portava alla chiusura di numerose fabbriche e, di conseguenza, alla disoccupazione e alla miseria.

La più grande crisi economica dell'Ottocento fu quella che durò, in varie fasi, dal 1873 al 1896 e che colpì sia l'economia europea sia quella statunitense. La crisi prese inizio dal settore agricolo: a causa dello sviluppo dei trasporti l'Europa venne invasa dal grano americano, prodotto a minor costo e quindi più economico di quello europeo. Per battere la concorrenza statunitense allora i produttori europei diminuirono il prezzo del loro grano, diminuendo anche la percentuale del guadagno che andava agli agricoltori. Nello stesso periodo le fabbriche di tutto il mondo (ora anche quelle statunitensi e di altri Paesi neo-sviluppati) immisero sul mercato grandi quantità di merci, molto superiori alla domanda. In questo modo una parte di quelle merci rimase invenduta e gli industriali, come avevano già fatto gli agricoltori, abbassarono i prezzi per far sì che tra le merci vendute ci fossero le loro. Molti stabilimenti, di tutti i settori, fallirono, gettando sul lastrico migliaia di operai. A quel punto lo Stato, che con il liberalismo era stato estromesso dalle faccende economiche, intervenne pesantemente nell'economia (fatta eccezione che in Inghilterra). Vennero attuate politiche protezionistiche, vennero cioè aumentati in maniera esorbitante i dazi doganali per far diventare più costose le merci estere e favorire quelle interne.

IL CAPITALISMO CAMBIA: DALLA LIBERA CONCORRENZA AI MONOPOLI

La crisi del 1873 provocò il fallimento di molte industrie. Furono soprattutto le piccole industrie a chiudere, in quanto non disponevano di grandi capitali e quindi non erano in grado di rinnovarsi e di modernizzare i sistemi di produzione. Le industrie maggiori invece diventavano sempre più potenti ed erano avvantaggiate dalla diminuzione della concorrenza. Si verificò un fenomeno di concentrazione industriale (in inglese trust): molte aziende si fusero insieme e crearono grosse compagnie dirette da un'unica direzione. In questo modo si riusciva ad eludere, facendola diminuire, la concorrenza e ad ottenere la supremazia su alcuni settori. Negli ultimi venti anni dell'Ottocento quindi il capitalismo cambiò profondamente: dalla libera concorrenza si passò al monopolio di alcune aziende in dati settori. Più frequente del monopolio è però l'oligopolio (dal greco oligos = poco), in cui il mercato è controllato da poche industrie.

I trust decidevano liberamente i prezzi delle merci che esponevano, senza dover più tenere conto della concorrenza, ma solo regolandosi in base ai costi di produzione e alla convenienza. Quanto più le industrie si sviluppavano e si concentravano, tanto più avevano bisogno di denaro per i loro investimenti. Soprattutto nel settore meccanico e chimico, in cui le innovazioni si susseguivano senza sosta, le imprese necessitavano di capitali per rinnovarsi.

All'inizio della rivoluzione industriale le industrie nascevano coi finanziamenti dei proprietari; poi però, con lo sviluppo dell'industria, furono necessari i finanziamenti delle banche, le uniche che disponevano del denaro necessario per aprire un'industria. Per questo motivo le banche divennero sempre più importanti, fino a diventare comproprietarie delle fabbriche; questa dipendenza si accentuò con la crisi di fine secolo, in quanto l'unico mezzo che avevano le industrie per ottenere dei capitali era chiederli alle banche.


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