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Il risorgimento Italiano
Il Risorgimento come motivazione etica
di un popolo, nasce in sordina nel 1821, ma termina nel 1943.
Virtualmente è ancora una Italia unita, ma l' individualismo del singolo o di
piccoli gruppi (ieri una casta, una signoria, una nobiltà, oggi potenti gruppi
economici oligarchici) o egocentrismi regionali (ieri Comuni, Signorie, Ducati,
oggi feudi elettorali) seguitano ad avere spinte secessionistiche.
Termina nel 1943, perchè l' 8 settembre lacerante ha portato l'Italia, il Sud,
la Sicilia, nuovamente a un passo dalla frattura; poi un dopoguerra deprimente
uguale per tutti; poi un trentennio stimolante quasi uguale per tutti; infine
chi si è trovato nel punto geografico giusto, in quello geopolitico più
fortunato (col padrino giusto) ha fatto passi da giganti nella prosperità; ed
ecco ritornare i personalismi, ai regionalismi
che sono ancora tutta una incognita.
L'ideale della 'coscienza nazionale' del Risorgimento c'è o è stata
una illusione? E il popolo c'era o fu utilizzato a fare delle comparse, mentre
nei Palazzi si univa l'Italia (degli affari)?
Dal 1821 al 1870 si compie quello che molti definirono 'il miracolo'
dell'Unità d'Italia.
Il Risorgimento non é solo un fatto politico, ma soprattutto una grande
affermazione di eterni valori di umanità.
La Rivoluzione francese (1789) é l'avvenimento che rompe l'equilibrio della
vecchia società europea: essa apre l'era moderna, nella quale il sistema
sociale si modifica profondamente. Alle monarchie assolute, agli stati
dispotici, ai sovrani poco illuminati, al potere esercitato esclusivamente dai
gruppi aristocratici-nobiliari, subentra un sistema più flessibile, che rinnega
il 'diritto divino' del sovrano e afferma, per contro, che il potere é esercitato per delega del
popolo. Esso é quindi un esercizio e non un diritto; viene affidato
attraverso la scelta (elezioni) cui partecipa tutta la collettività.
La Rivoluzione francese fu come il dilagare di un impetuoso uragano su una
pianura colma di messi: le idee rivoluzionarie si diffusero ben presto in tutta
Europa. In Francia dopo molteplici vicende (la rivoluzione, la soppressione
della monarchia, il terrore, la convenzione, il direttorio) Napoleone Bonaparte
riassunse in sé tutto il potere dello Stato. Sarebbe facile dire, che il dispotismo
napoleonico era soltanto un nuovo assolutismo in luogo del vecchio potere
regio: in realtà anche se l'impero napoleonico si costituiva sotto le apparenze
di una concentrazione del potere di tipo autoritario, esso rappresentava un
fatto nuovo, una specie di parentesi provvisoria destinata a rafforzare le
conquiste della rivoluzione. (questo, Napoleone lo sapeva benissimo, le sue
riflessioni nelle Memorie, sono
profetiche. E oggi a cosa tendiamo? A una UNIONE EUROPEA, che prima o dopo avrà
un unico capo quando salirà al potere un uomo forte. Nel 1940 si era già
sfiorata questa tendenza, proprio perché gli altri governi erano deboli,
poveri, e alcuni anche 'accattoni' oltre che ambigui. Ma anche quelli
di oggi pur forti nell'economia, e forse anche capaci di condizionarla, sono
incapaci di esprimere una politica forte nei confronti di un paio di nazioni
che o per tradizione o perché equivalenti come forza non vogliono sentirsi
subalterne.
Come non ricordare queste frasi di Napoleone' per istituire la nazione
italiana io ho impiegato vent'anni, quella dei Tedeschi esige ancor più
pazienza, io ho potuto soltanto semplificare la loro mostruosa complicazione.
Con ciò io volevo preparare la fusione dei grandi interessi dell'Europa, così
come avevo in Francia uniti i partitiIl malcontento delle popolazioni poco
mi preoccupava, il risultato le avrebbe di nuovo ricondotte a me.'
' L'Europa sarebbe diventata di fatto un popolo solo; viaggiando ognuno
si sarebbe sentito nella patria comune Tale unione dovrà venire un giorno o
l'altro per forza di eventi. Il primo impulso è stato dato, e dopo il crollo e
dopo la sparizione del mio sistema io credo che non sarà più possibile altro
equilibrio in Europa se non la lega dei popoli'.''deve
passare una generazione, poi i giovani che verranno, capiranno, e vendicheranno
l'oltraggio che io ora soffro qui' (S. Elena, Memoriale)
E ancora: 'Abbiamo bisogno di una legge europea, di una Corte di
Cassazione Europea, di un sistema monetario unico, di pesi e di misure uguali,
abbiamo bisogno delle stesse leggi per tutta Europa. Voglio fare di tutti i
popoli europei un unico popolo Ecco l'unica soluzione che mi piace.'
(N. )
Eccola qui chiara, la visione napoleonica degli Stati Uniti d'Europa. Un
disegno genialmente demoniaco nella sua origine, perfettamente razionale nelle
sue deduzioni. 'L'Europa non è più una tane di talpeQuello che vuole
ottenere a forza coi suoi 800 mila uomini in armi dovrà un giorno fondersi,
spintovi dalla ragione e dalla necessità, in un patto spontaneo: un giorno da
tutti quei popoli nascerà un popolo solo Ecco l'unica soluzione che mi
piace.' (N. )
In Italia, la Rivoluzione francese rappresentò ad un tempo l'affermazione dei
principi di libertà individuale e personale, e il primo albeggiare della
risorta coscienza nazionale. Nel 1796 a Reggio sventolava per la prima volta il
tricolore, simbolo della Repubblica Cispadana, nata con l'aiuto dei
rivoluzionari francesi.
Ma quando, nel 1815, cadeva l'impero napoleonico l'Italia ritornava sotto gli
antichi sovrani, : l'Austria aggiungeva alla Lombardia (già annessa dopo la
lunga dominazione spagnola, nel 1748) il Veneto, a seguito del tramonto
inglorioso della Repubblica di S. Marco; i Savoia tornarono in Piemonte Liguria
e Sardegna; i Borboni nel Regno delle due Sicilie; i Lorena-Medici nel
granducato di Toscana; il Papa nello Stato Pontificio; i duchi d'Austria-Este
nel modenese; e l'Emilia-Romagna con le Marche veniva restituita allo Stato
Pontificio.
Ma questo assetto, che é quello del 1815 (pace di Vienna), rappresentava
semplicemente un illusorio ritorno all'antico, dopo l'uragano napoleonico. In
realtà i primi fermenti rivoluzionari avevano già preparato gli avvenimenti che
si sarebbero successivamente sviluppati: la Restaurazione degli antichi Re e
Principi era soltanto una provvisoria parentesi che preparava il Risorgimento e
l'Unità.
GLI IDEALI
Che cosa é il Risorgimento? E' la coscienza del fatto che non esisteva solo l'Italia 'geografica' composta di entità regionali affini per lingua e costumanze, ma esisteva anche un' Italia 'storica' destinata a creare una nuova unità politica, a divenire uno stato, unitario retto dalle stesse leggi, governato allo stesso modo, capace di reggere il confronto con gli altri stati nazionali europei. Doveva esistere, insomma, anche un'Italia con una espressione politica, come sintesi di valori, di ideali, di civiltà, di espressione culturale-artistica, e aspirazioni a costituire un popolo libero e unito.
GLI UOMINI
'Liberi non
saremo se non siamo uni', suonava un verso famoso di Alessandro Manzoni,
cui faceva eco l'inno garibaldino 'Si scopran le tombe, si levano i morti
'. Il Risorgimento, si può dire, inizia con la stessa restaurazione
(questa fu la vera 'restaurazione'!) degli antichi princìpi e si
esprime sia attraverso le società segrete dei patrioti (Carboneria, Giovane
Italia), sia attraverso i moti rivoluzionari (moti di Nola 1820, moti del
Piemonte 1821, moti dell'Emilia 1831, ecc.). sia attraverso l'opera dei
pensatori, patrioti e poeti che nei loro scritti diffondono le idee di libertà,
di unità, di indipendenza (Manzoni, Mazini, Pellico, Balbo, Gioberti,
Guerrazzi, Capponi, D'Azeglio, ecc.).
Il Risorgimento diventa così un fenomeno che gradualmente educa sempre più
profondamente l'animo degli italiani. E comincia ad essere temuto e combattuto.
La persecuzione dei patrioti apre infatti una storia di sacrifici eroici.
L'Austria, insediata nel Lombardo-Veneto, ma più di ogni altro lo Stato
Pontificio, non danno tregua a questi spiriti precorritori dell'Italia Unita,
li processa e li condanna spietatamente a morte o al carcere; dai processi del
1821 di Milano (Pellico, Confalonieri) alle orrende stragi di Belfiore del
1852-53, il Risorgimento italiano trova nei suoi patrioti una testimonianza
degna degli eroi e dei martiri. Feroci rappresaglie di piccoli sovrani come il
duca di Modena o i Savoia in Piemonte, le esecuzioni sommarie come quelle che
funestarono il Regno delle due Sicilie governato dai Borboni, i processi senza
appello dei tribunali pontifici, non disarmano i patrioti. I primi moti del
1821 finiscono tragicamente; ma rappresentano il preludio del Risorgimento.
I PROTAGONISTI
Le figure che più rappresentano e incarnano gli ideali del Risorgimento italiano, sono molte: quelle popolari e pittoresche come Giuseppe Garibaldi o quelle più intellettuali come Giuseppe Mazzini: il primo sarà 'l'uomo d'azione' capace di conquistare un regno in un impresa leggendaria con un pugno di uomini; il secondo é invece l'anima del Risorgimento, colui che diede un senso alla ribellione, alla rivolta, alla cospirazione, non soltanto alla luce di un meschino ideale nazionalistico di potenza, ma alla luce di valori esterni di umanità. Anche se entrambi i due uomini -e molti altri- commetteranno errori.
Se, infatti, il Risorgimento ha un significato che trascende la storia dell'Italia anche come movimento d'ispirazione supernazionale, si é proprio perchè esso non vuole soltanto affermare ideali di forza, di potenza, di superiorità, ma al contrario difendere con moderazione il diritto di libertà per cooperare, insieme con altri popoli, e in maniera giusta e generosa, alla creazione di un mondo fondato su ideali di giustizia, di comprensione, di pacificazione, di convivenza rispettosa.
I FATTI
Il Risorgimento
italiano, nasce e si svolge in questo spirito. Dopo le tragiche vicende del
1821, dopo i moti del 1831, con i protagonisti finiti nelle repressioni e nelle
carcerazioni, l'alba della speranza risorge nel 1848: Milano si solleva (5
giornate); le truppe del re di Sardegna, Carlo Alberto arrivano fino a
Peschiera, e sogna già di liberarsi dal dominio austriaco il Lombardo-Veneto;
perfino Papa Pio IX in un primo tempo benedice l'impresa. Ma si preparano dure
delusioni; i Borboni di Napoli restaurano l'antico potere, il Papa ritratta le
parole piene di speranza, e Carlo Alberto ambiguo oltre che debole, viene
clamorosamente sconfitto a Novara (1849) e prende la via dell'esilio dopo venti
anni di discutibile (un vero enigma) comportamento.
Sembra che tutto sia finito. Invece dieci anni dopo ha inizio la fortunata
(secondo alcuni punti di vista) impresa che porta all'Unità. Sotto la guida di
Cavour e di Vittorio Emanuele II, il Piemonte alleato dell'Imperatore dei
Francesi Napoleone III, dichiara guerra all'Austria e dopo le battaglie di
Palestro e di Magenta (1859) é aperta la via di Milano.
La Lombardia viene ceduta con la pace di Villafranca (1859) tranne Mantova,
alla Francia, la quale a sua volta consegna la regione al Piemonte. La pace
firmata il 12 agosto da Vittorio Emanuele II, purtroppo sacrifica ancora il
Veneto. Cavour (e con lui Garibaldi) che mirava a ben altre conquiste, si
dimette per alcuni mesi dal governo ed é sostituito da Alfonso La Marmora.
Ma intanto si solleva la Toscana, si sollevano i ducati di Modena e di Parma,
si ribellano le legazioni di Romagna allo Stato Pontificio; vengono effettuati
dei plebisciti che proclamano l''annessione' di queste regioni al
Piemonte. (una parola anche questa che si rivelerà poi equivoca - soprattutto
quando 'annessione' significherà 'sudditanza').
Ed é a questo punto che accade ciò che potrebbe sembrare leggendario se non
fosse un fatto storico realmente accaduto. (anche se ci sono opinioni
contrastanti su chi ostacolava (Cavour), chi appoggiava (oltre Mazzini, gli
Inglesi!), o chi ambiguamente attendeva prima l'esito per poi intervenire (come
a Peschiera).
I MILLE
Con poco più di un
migliaio di uomini Giuseppe Garibaldi salpa da Quarto il 5-6 maggio 1860 sbarca
a Marsala, sconfigge le truppe borboniche, conquista Palermo attraversa la
Sicilia, passa lo stretto, conquista tutto il napoletano: il 29 ottobre 1860
egli consegna a Vittorio Emanuele II, conquistato senza spargimento di sangue,
il Regno d'Italia. Di lì a poco i plebisciti (2 ottobre 1860) 'annettono'
le due Sicilie al Piemonte seguiti a breve distanza da analoghi plebisciti
nelle Marche e nell'Umbria.
Il 17 marzo 1861 Vittorio Emanuele II assume il titolo di re d'Italia.
L'unificazione
avvenne nel 1861, ma non fu frutto di quel moto nazional popolare auspicato da
Giuseppe Mazzini, ma fu la vittoria della linea monarchica e liberale di
Camillo Benso conte di Cavour, per cui l'unità nazionale non era altro che
l'ampliamento del Regno di Savoia; non a caso il primo Re d'Italia non mutò il
numero della linea dinastica mantenendo il nome di Vittorio Emanuele II, segno
tangibile della poca sensibilità nei confronti dei nuovi sudditi. Come ebbe a
dire Gaetano Salvemini: "A mezzo il
secolo XVIII, la parte settentrionale della penisola italiana era divisa fra quattro
dinastie e due repubbliche. Se ora saltiamo da mezzo al secolo XVIII al 1871,
troviamo che l'intera penisola è stata unificata sotto una sola delle dinastie,
la casa Savoia. Tutte le altre dinastie erano state spossessate'. (ora
in Giovanni Spadolini, Gobetti un'idea
dell'Italia, Longanesi & C., Milano 1993- p. 299)
Nel 1861 l'Italia smetteva di essere soltanto quella "espressione geografica" di cui aveva parlato il Metternich
all'inizio del XIX secolo, ma non era ancora divenuta quell'unica entità cara a
Manzoni, "una d'arme, di lingua,
d'altare,/di memorie, di sangue e i cor.' (A. Manzoni, Marzo 1821, v.
31-32, ora in L. Bianchi - V. Mistruzzi, Convegno, ed, Zanichelli, Bologna
1960, p. 900). Ciò riuscirà solo grazie alle trincee della Grande Guerra, ai
diciotto mesi di lotta partigiana e, anche se ciò può sorprendere o risultare
paradossale, soprattutto ad opera della televisione negli anni '50-'60 del XX
secolo.
Nel 1866, dopo la guerra Austro-Prussiana, si liberava (!?) il Veneto; nel 1870
Roma occupata dal generale Cadorna, veniva proclamata capitale del Regno
d'Italia. Era l'Unità raggiunta dopo cinquant'anni di lotte e di sacrifici. Era
il coronamento della vicenda risorgimentale che faceva dell'Italia uno stato
libero unito 'sotto' la monarchia Sabauda, nato per volontà di popolo
(si disse- ma alla partecipazione elettorale mancava proprio il popolo che non
fu 'invitato') desideroso di realizzare, finalmente, le grandi
speranze e le grandi attese di uomini che per questi ideali avevano combattuto,
sofferto, operato.
Il PRIMO CINQUANTENNIO DELLO STATO UNITARIO
'Ora é fatta
l'Italia: bisogna fare gli italiani', scrisse D'Azeglio - E i primi
cinquant'anni di vita unitaria misero a dura prova questo programma - L'Italia
Unita pareva un assurdo disegno realizzato contro la storia, contro la
geografia, contro l'economia . (Cattaneo, invano aveva scritto Psicologia delle menti associate).
Nessun paese ha posseduto come l'Italia una tale quantità di culture
'particolari e reali', una tale quantità di 'piccole
patrie' , una tale quantità di mondi dialettali. Sembrava solo una
impossibile utopia di inguaribili sognatori. Invece la prova fu in qualche modo
superata (anche se con molti malcontenti- quelli che credevano che
'annessione' significasse autonomia, stati federali o repubblica,
come la concepiva Mazzini sull'intera Italia, nel Veneto Manin e nel Sud i
Siciliani).
Il Risorgimento italiano non è comprensibile se lo si estrapola dal resto della
precedente storia italiana. Fin dalla caduta dell'Impero romano d'Occidente era
mancata una unica realtà geopolitica in grado di unificare la penisola che si
era trasformata in un campo di battaglia su cui erano transitati tutti gli
eserciti nazionali o mercenari dei principali paesi europei.
Mentre si formavano le principali nazioni europee, la penisola stentava a
riconoscersi in un'unica realtà politica e culturale e continuavano ad esistere
le rivalità tra i principali principi italiani, forte era l'influenza dei
poteri stranieri e, come ben aveva sottolineato Machiavelli, fin dal XVI secolo
vi era stato un esorbitante potere temporale delle gerarchie ecclesiastiche
sempre contrarie all'unità nazionale.
I primi tempi del nuovo Stato non furono tempi facili: problemi enormi e
spaventosi, differenze di costumi, di leggi, di condizioni economiche, di
sviluppo industriale e sociale resero i primi anni dell'Unità estremamente
difficili: bisognava vincere resistenza occulte o palesi, trasfondere gli
ideali del risorgimento in uomini scettici o impreparati che pure ricoprivano
cariche pubbliche nei vari settori; vincere i dislivelli, combattere i soprusi,
affermare dovunque il valore della legge e della giustizia, realizzare l'Unità
della Nazione cementandone l'adesione sincera di tutti gli abitanti, infine
superare quelle distanze psicologiche, che sembravano incolmabili tra regioni e
regioni.
Nel frattempo bisognava superare le difficoltà che nascevano dai primi moti
sociali, dall'affermarsi graduale delle classi diseredate e del proletariato,
sempre più organizzato sia sul piano politico che sul piano sindacale. (Anche
questo 'un mondo' che correva in parallelo con il 'mondo'
del capitalismo; entrambi impegnati ad allargare ognuno il 'proprio
regno'.)
Cinquant'anni che conobbero vicende liete e tristi, le avventure coloniali
(conquista dell'Eritrea, 1877) della Libia (1911); un assassinio (re Umberto I,
ucciso, 1900), il terremoto di Messina (1908). Fra tutti questi avvenimenti
però, gradualmente, la coscienza nazionale viene cementandosi e il costume
democratico progressivamente si consolida nella vita pubblica nazionale, anche
se la massa (il 99,01%) non è stata mai chiamata a partecipare nelle grandi
scelte; e quando più avanti il popolo fu chiamato a farle, la
'scelta' era una sola, perchè erano già subentrate altri regimi,
inventandosi questi il 'connubio', il 'trasformismo', fino
all'ultima voluta e desiderata invenzione: la 'dittatura'.
La fine della guerra del 1915-18 contro l'Austria segnò, si può dire, la
conclusione del vero ciclo con l'anima risorgimentale. Quello che invece venne
poi dopo, l'anima risorgimentale in alcuni era ancora presente, ma erano
impercettibili residui di quell'anima; infatti nel ventennio ci fu una
nazionalismo piuttosto spettacolare, solo in superficie, non sostanziale.
L' importanza di quell'ultimo periodo non fu soltanto la liberazione del
Trentino e della Venezia Giulia, ma dal fatto che, per la prima volta, tutto il
Paese lottò insieme di fronte a un pericolo mortale. Fu la 'prova del
fuoco' dell'Unità, e fu superata con un risultato quale, forse nessuno
aveva osato prevedere.
L'ITALIA FRA DUE GUERRE MONDIALI
Dopo gli anni
difficili del primo dopoguerra, ecco spuntare il Fascismo; fu come un narcotico
per rendere meno amaro il ritorno del paziente alla realtà - Fu una -
'fuga dalla responsabilità', anche se ci fu un velato spirito di
cooperazione e di fiducia reciproco. Un narcotico preparato negli stessi
'palazzi' della grande borghesia e della nobiltà con già una lunga
militanza nel trasformismo. Compresi molti generali che salivano di grado ad
ogni 'Vittoria mutilata' o addirittura a battaglie e a guerre perse.
Ma forse fu proprio questa prova terribile e durissima che, se da un lato
consacrò la raggiunta unità del popolo italiano, dall'altro ne mise a durissima
prova la capacità di mantenere gli ideali nel cui nome del Risorgimento si
erano prima prodotti. Una parte del Paese, stanca dopo quattro anni di guerra,
forse inutilmente lusingata in talune velleità di potenza nietzschiana, o
quella intellettuale marinettiana, che erano ormai estranei ai reali motivi del
conflitto, dilaniata all'interno da una profonda inquietudine politica,
travolta nelle spire delle agitazioni sociali, ritenne di trovare la sua
salvezza nell'accettare il programma di quell' ibrido movimento affermatosi nel
primo dopoguerra: il Fascismo. (nemmeno Mussolini riuscì mai a spiegare cos'era
il 'fascismo')
Ma il Fascismo si
presentava come il rimedio miracoloso ai mali che affliggevano il Paese; esso
prometteva l'ordine contro l'anarchia politica e le agitazioni; prometteva il
benessere; prometteva la stabilità e il rispetto dei poteri costituiti; e come
contropartita affermava la necessità di rinunciare alla soluzione democratica
delle controversie politiche, affidando il potere a un partito autoritario,
espressione di presunti valori nazionali e di illusori ideali di potenza. Ma
Mussolini in questa operazione non fu certo solo, anzi fu
'utilizzato'. Il 25 ottobre 1938 (vedi) Mussolini se ne accorse; ma
era ormai troppo tardi! )
Il Fascismo fu accettato: conquistò il potere (28 Ottobre 1922), soppresse (in
presenza di una classe politica priva di volontà - ricordiamo la fuga
sull'Aventino) gli istituti parlamentari e i sistemi di governo e di
amministrazione elettivi, instaurò (e fu un 'regalo' fatto dai
politici deboli, solo impegnati a litigare tra di loro - 24 nov.'22) un regime
autoritario a volte temperato, a volte intransigente, talvolta confusamente
desideroso di risolvere con ostentati atti di imperio e di forza gli annosi
problemi della vita italiana. Come contropartita delle perdute libertà
politiche, ' l'uomo nuovo', affermava risultati pratici di prestigio;
costruzione di edifici, di strade, di città, bonifiche faraoniche, assistenza,
previdenza, sagre, cerimonie di varia natura, sport, svago e tanto folclore. Il
Paese accettò il Fascismo, forse nella speranza che fosse il male minore, forse
confidando in una sua graduale e naturale evoluzione; che non avvenne proprio
perchè era una ideologia ibrida (si passò dal socialismo al corporativismo, dai
patti con i lavoratori ai patti con gli industriali, dal noto ateismo
mussoliniano agli utili Concordati con i cattolici, si guardava al liberismo e
subito dopo si ritornava al capitalismo di Stato. Ma non lo si può negare,
l'Italia costituisce uno dei Paesi in cui più difficile é governare, oltre che
per il temperamento individualistico del popolo, per l'intrinseca difficoltà
delle questioni che il potere politico deve risolvere in regioni ognuna con le
sue vocazioni, tradizioni, usi, costumi e le molte diversità caratteriali,
spesso molto difficili, sospettose, chiuse e autonome di fatto (che alla fine
fanno quello che vogliono).
Ma sarebbe illusione sperare che le difficoltà si possono risolvere
semplicemente con un sistema autoritario, quasi come se noi volessimo guarire
le malattie del bambino semplicemente ordinandogli l'obbedienza. La vita
politica infatti non serve se non ad affrontare i problemi per risolverli, i
mali per curarli, sia pure gradualmente e nei limiti in cui ne sussistono le
condizioni obiettive. E resta valida quella famosa frase del Conte La
Margherita rivolta a Carlo Alberto: 'Ricevere gli applausi sollecitati per
decidere affari di Stato come in questa circostanza, - fece notare il Conte
Della Margherita - è autorizzare in altra circostanza i biasimi: e gli affari
di Stato non si devono trascinare nelle piazze per avere il demagogico
consenso'.
Il Fascismo dal 1922 al 1943 come regime autoritario. Nel 1940 esso aveva
portato il popolo italiano in guerra accanto alla Germania, proprio contro
quelle potenze che erano state le sue alleate nella prima guerra mondiale:
La guerra contro una Francia in ginocchio, contro l'Albania, la Grecia, la
guerra d'Africa, l'occupazione della Iugoslavia, la campagna di Russia
dissanguarono il Paese; la partecipazione morale e spirituale al conflitto fu
quasi sempre più di ossequio e di obbedienza che di convinzione; il Paese non
sentiva quella guerra nella quale, in fondo, si rinnegavano gli ideali
umanitari del Risorgimento in nome di esclusivi ideali di potenza, di
grandezza, di imperialismo e di sopraffazione. L'Italia unita era una nazione
ancora troppo giovane per catapultarsi in una avventura così grande, come
quella imperialistica su modello britannico.
LA RESISTENZA
La Resistenza
sembrò riprendere il filo spezzato del Risorgimento. Ma anche i Repubblichini
si attaccarono a quel filo anche perchè la parola è una sola. In nessuno
esercito del mondo è ammesso che i suoi militanti un bel mattino scrivono loro
sulla lavagna cosa fare, con chi e come combattere. - E' la tappa di
un'esperienza dolorosa (di tutti, fascisti e antifascisti) che matura i
cittadini e li rende più coscienti dei valori genuini da riconquistare;
soprattutto riappropriarsi il proprio territorio, invaso dagli uni o dagli
dagli altri. 'Tutto per l'Italia', purtroppo poi cominciarono i
distinguo, i discorsi patriottici diventarono sempre di più astratti con la
politica che andò a insinuarsi dentro le 'bande', i
'gruppi'. I compromessi del dopoguerra sono ancora oggi oscuri.
Il 25 luglio 1943 il fascismo crollava vittima ad un tempo della disfatta
militare e della disfatta politica. Era la stessa Monarchia che nel 1922 aveva
accettato il fascismo a celebrare l'ultimo atto del dramma conclusosi
nell'arresto e nella prigionia del capo del fascismo.
Di lì a poco, l'8 settembre veniva firmato l'armistizio (in effetti era una
resa senza condizioni, che per molti fu una vera e propria umiliazione) con le
potenze avversarie (Stati Uniti, Inghilterra, Russia); ma se l'armistizio
segnava la fine della guerra dichiarata nel 1940, ne apriva un'altra; una vera
e propria guerra civile, per fortuna limitata a un certo ambiente senza
coinvolgere il popolo nelle strade e nelle piazze. (come al solito il popolo
subì).
Fra il 1943 e 1945 si svolse una guerra aspra e terribile senza pietà e senza
tregua tra le forze tedesco-fasciste e le forze clandestine nel frattempo
concentrate e organizzate come esercito della resistenza.
Con il crollo repentino e totale del regime, la sconfitta militare, la resa
senza condizioni, la fuga del re e del governo venne per molti la vergogna!
altro che Risorgimento! Fu la data a cui si diede il colpo di grazia a tutto il
Risorgimento. E a darlo questo colpo fu il più alto rappresentante di quel
risorgimento). Con la dissoluzione dello stato e dell'esercito, seguito
dall'occupazione del paese da parte di due eserciti stranieri, l'Italia piombò
in una profonda prostrazione di animi, nella più grande confusione di idee e di
sentimenti, in un drammatico marasma politico e morale. Anche gli uomini più
informati, gli spiriti più acuti, le menti più intelligenti, manifestarono
smarrimento e confusione; furono tutti incapaci di prevedere gli sviluppi di
una situazione caotica con le coscienze dilaniate. Si camminò alla cieca.
Ma intanto si era consumato un altro tradimento. Gli adulti (i
'maestri') ebbero la sfrontatezza di accusare i giovani -quando
tornarono dalla guerra- come responsabili, e non l'incontrario.
In tutte le guerre precedenti i figli piangevano e seppellivano i padri, mentre
questa volta accadde che i padri seppellirono i figli che loro stessi avevano
indottrinato.
'Per molti (scriverà Carlo Mazzantini, in I Balilla andarono a Salò) fu il crollo di un universo dentro il
quale sei nato e oltre al quale non hai termini, altri punti di riferimento,
immagini di ricambio. Ero nato con quel che Mussolini aveva creato, credevo
proprio di essere uno dei suoi giovani migliori e mi venne da piangere quel
giorno, perchè sentii un terremoto dentro di me. La morte del pianeta. Una caduta
vertiginosa in fondo a un abisso.un ritorno a zero della società italiana,
il regresso a uno stadio pre-storico, a una sorta di realtà tribale: tutti
livellati verso il basso. .Corte, Re, ministri, generali, e ammiragli.
tutti in fuga, e noi lì, soli! SOLI !!! Ci avevano insegnato i
'maestri' , i 'grandi', che era patriottico difendere la
Patria, poi ci hanno dato l'esempio che era più patriottico non farlo.La
Nazionela Patria, l'Onore? Si salvi chi può.'
Alcuni fuggirono in montagna, mentre in altri radicato nell'animo c'era la
convinzione che nella fuga e nella diserzione, crollava quel patrimonio di
valori che forma l'identità di una nazione e con essa la stessa etica dell'uomo
che vive in questa nazione..
Nella Resistenza
c'erano ex fascisti, come nella RSI c'erano ex antifascisti; in entrambe le due
formazioni contrapposte si sono scritte pagine molto nere e pagine splendide ed
eroiche: uomini che morirono come i patrioti del Risorgimento in nome degli ideali
sostenuti e difesi; tanti giovani raggiunsero le formazioni operanti sulla
montagna, e tanti giovani raggiunsero le caserme nelle pianure; a combattere
una guerra terribile, senza pietà, senza difesa, e soprattutto senza una guida
politica, militare, civile e anche intellettuale. 'Nessuno aveva elaborato una linea di lotta armata, nemmeno il
partito' (Giorgio Amendola, del
Comitato Centrale del PCI - R. Gobbi, Il
mito della resistenza)
Piaccia o non piaccia l'accostamento e la comunanza di ideali in entrambi i
due schieramenti furono le ultime pagine del nostro Risorgimento. Entrambi
oscuri protagonisti hanno lasciato scritto nelle Lettere dei condannati a morte la frase 'Io ho vissuto per la
Patria e per la Patria muoio'. Voler negare che ci hanno lasciato un
chiaro e sincero avvertimento, sarebbe come 'ucciderli' due volte.
Non dimentichiamo le parole di VALERIO BORGHESE 'Una guerra si può
perdere, ma con dignità e lealtà; e allora l'evento storico non incide che
materialmente, seppure per decenni. La resa e il tradimento hanno invece
incidenze morali incalcolabili che possono gravare per secoli sul prestigio di
un popolo davanti al mondo, per il disprezzo degli alleati traditi, e per
l'eguale disprezzo dei vincitori con cui si cerca vilmente di accordarsi.
Questi ideali non hanno solo l'impronta fascista, ma appartengono al patrimonio
morale di chiunque'. (Borghese non scappò la prima volta (dai tedeschi l'8
settembre '43) e non scappò neppure la seconda (dai partigiani, il 25 aprile
'45).
A riprova di quanto sia valido l'accostamento c'è una frase proprio di MAZZINI
'Le masse si educano in virtù della repubblica; i repubblicani non fanno
la repubblica, ma la repubblica, con l'educazione fa i repubblicani'.
Più tardi il Presidente della Repubblica Gronchi dirà più o meno la stessa
cosa: 'La Carta Repubblicana non é solo una legge; essa é anche e
soprattutto una norma etica che vive e si sviluppa nella coscienza
dell'individuo e della collettività, arricchendosi sempre del contributo dei
giovani che dell'ordinamento repubblicano dovranno divenire i più fedeli
assertori'.
(Questo lo avevano detto anche tutti i governanti che lo avevano preceduto!!)
Le 'Carte' e le 'Leggi', le fanno o le modificano sempre i
governanti, sono loro a creare una cultura, e sanno che la cultura produce dei
codici, e che i codici producono dei comportamenti. Sono i governanti a
provvedere per far spiegare ai cittadini fin da bambini nelle scuole di ogni
ordine e grado il significato di quella Costituzione, gli istituti che essa
prevede, e la sua intangibilità. Quella di Napoleone era 'sacra',
quella di Cavour pure, quella di Mussolini perfino 'benedetta' dal
Papa. Poi.accadono gli 8 settembre! Il 'sacro' diventa tutto a un
tratto una vergogna e il 'benedetto' un'eresia. Dopo vent'anni di
educazione scolastica, somministrando un 'minestrone'
politica-religioso, come poteva il giovane giudicare se che quell'educazione
era giusta o sbagliata?
Quel sentimento di vergogna e le conseguenze di quella resa umiliante, la
provarono in molti, per gli stessi elementari motivi di 'dignità di
cittadini e di soldato', motivi di 'onore', di etica
naturalistica più che educativa . Chi in un modo chi in un altro (trovandosi
SOLO!) l'uomo semplice fu obbligato a fare una scelta. E chi sapeva o poteva
giudicare in quel momento quale fosse la scelta giusta? Molti, di scelte,
incalzati dagli eventi non ebbero nemmeno il tempo di farla (vedi Cefalonia,
1943). Interi reparti anche con molti uomini capaci come numero di riprendere
in mano la situazione dopo la disfatta, lasciati allo sbando, dovettero alzare
le mani davanti a uno sconcertato 'nemico' di molto inferiore come
numero, che non credeva ai propri occhi.
Verso Mosca nell''andata' c'erano insieme fascisti
intrepidi e comunisti travagliati, poi nel 'ritorno' i sentimenti si
ribaltarono. Ma poi finirono a Bolzano, 'tutti ancora insieme' e l'8
settembre 'tutti insieme' deportati nei campi di
concentramento in Germania. Tre volte beffati; quando partirono, quando
disillusi si ritirarono e quando li disarmarono. L'ultima ingiuria !
Meritavano questo gli uni e gli altri? Avevano entrambi quei giovani una colpa?
Carlo Mazzantini scriverà 'Non
credo di compiere un arbitrio stabilendo un parallelo di sentimenti e
motivazioni etiche fra quelle unità che formarono il primo nucleo dell'esercito
repubblicano e quelle formazioni partigiane che sorsero dalla dissoluzione di
quei reparti militari che non si arresero ai tedeschi e furono denominate
'autonome', perchè non riconducibili a un partito politico o a una
precisa ideologia..Scattò in alcuni un istintivo soprassalto di ribellione
contro lo sfacelo, un sentimento di non accettazione della miseria morale in
cui era sprofondato il paese, il bisogno di dissociarsi dalle viltà, dalle
fughe, dall'abbandono; che si manifestarono nel cercarsi fra coetanei,
nell'impulso a unirsi, a fare gruppo' (C.
Mazzantini, 'I ballilla andarono a Salò', Marsilio, 1975)
Lo scrive
Mazzantini, perchè era stato educato al fascismo, educato a delle regole, alle
leggi contro la diserzione, alla lealtà verso l'esercito, verso il re. Come
afferma sopra scattò un 'istintivo
soprassalto di ribellione'. Ma recentemente un altro Presidente della
Repubblica (Ciampi) anche lui educato alla stessa cultura di quegli anni, l'8
settembre si mise a fare il partigiano reagendo con un 'istintivo soprassalto di ribellione'.
Siamo obiettivi: Se uno ha il diritto di piantare un reparto militare, un altro
ha il diritto di piantare un altro reparto militare, per andare a casa alla
macchia sui monti o a Salò conta poco. Ma allora dove finiscono le distinzioni
morali, civili, penali, tra repubblichini e patrioti? Che ognuno serviva una sua Italia. D'istinto. Saltando la
formazione educativa, politica e militare, cioè gli ordini della gerarchia, le
leggi vigenti, ecc. ecc. insomma tutto.
Le idee di patria trasformate in una lavagna dove ognuno può scrivere o
cancellare tutto quello che vuole e quando vuole. Ognuno è giustificato se
interpreta il dovere verso la patria secondo le sue opinioni, o i suoi
interessi personali.
E la coscienza nazionale? I valori risorgimentali? Un colabrodo!
Il 25 aprile 1945 terminava la guerra in Europa e la guerra civile in Italia.
Da vere e proprie 'tane' gli 'uomini lupo' tornarono nelle
loro case.
Non sta all'autore coprire con mano pietosa anche l'ultima parte di questa
tragedia, ossia le vicende meno nobili e meno generose che accompagnarono i
giorni della liberazione: é difficile nei grandi e luttuosi contrasti civili
frenare la mano empia o sradicare dal cuore l'odio o il rancore o la vendetta.
Ma quello che noi dobbiamo vedere e affermare non é solo il fatto che hanno
vinto opposti ideali o forze contrastanti: il valore sta nel fatto che tutti lo
hanno fatto in nome di un ideale eterno, di un ideale di giustizia e di umanità
in cui credevano. E ci credevano perchè così erano stati educati (a parte gli
istinti sopra accennati)
Per questo ideale combatterono e morirono in molti; si sacrificarono per
affermare quello che gli era stato insegnato da un Sovrano, da un Papa e da un
Dittatore (a quest'ultimo il primo gli aveva detto sempre sì, il secondo lo
aveva chiamato uomo delle Provvidenza, e il terzo alla fine si convinse così di
essere un Dio); dissero che la violenza era ingiusta, che il diritto era
incalpestabile, che gli uomini erano fratelli e non nemici, che l'Italia era
Sovrana, era Santa, era la Patria, e che i dissensi si potevano comporre nella
cooperazione e non nella distruzione e nella violenza. Quanti insegnamenti! Poi
i 'grandi maestri', agirono diversamente, anzi alla prima difficoltà
scapparono'; i veri valorosi furono solo i cittadini, nel bene e nel male;
distinguere era molto difficile, rimuovere l'imprinting quasi impossibile, per
riflettere e cercare di capire non c'era più tempo; ma l'azione non venne meno;
lottarono per la sopravvivenza di un Paese.
Questi sono gli ideali che gli uomini di questo confuso periodo hanno
consegnato a noi uomini semplici; gli ideali che noi dobbiamo considerare come
il patrimonio più prezioso che ha superato questa lotta drammatica tra il bene
e il male i cui confini erano molto astratti.
Non é compito dell'autore oscurare o schiarire questo periodo; ma per chi li ha
recepiti ci sono tuttavia i più genuini messaggi , forti e chiari. Hanno
indicato a tutti come operare perchè insieme si ritrovi sempre la pacificazione
di tutti i cittadini, nel rispetto, nella collaborazione, nell'aspirazione alla
pace e alla concordia civile e democratica. E soprattutto ci hanno dato un
serio consiglio: cercare di conoscere e saper distinguere prima i 'cattivi
maestri', per non cadere in altri gravi errori, nella confusione totale e
senza un punto di riferimento, come l'8 settembre 1943.
Compito dei cittadini é far sì che le espressioni - Risorgimento - Resistenza -
Democrazia - Onore di una Nazione - non siano soltanto parole vane. Altro
compito é quello di conoscere, apprendere, responsabilizzarsi nelle scelte,
scegliersi un capo che non sia ambiguo, ma leale.
Non farlo, significa molte volte, che per non aver ascoltato gli ammonimenti
dei padri, tocca poi ai figli risolvere i problemi lasciati insoluti
addirittura dai nonni, senza sapere poi da dove cominciare, perchè, per cosa,
per chi, e quale direzione prendere. Di 8 Settembre nella storia ce ne sono
stati molti altri, e i soccombenti sono stati sempre loro: gli uomini che non
sapevano o non volevano sapere nulla.
Quando ( all'ultimo conflitto ) scattò questo desiderio di riflettere era già
troppo tardi; centinaia di migliaia di loro si stavano trascinando su una
sconfinata distesa di neve, e altrettanti centinaia di migliaia sulla sabbia.
Tutti sognando le ombrose valli e i prati verdi della Patria, ma purtroppo
moltissimi di loro, non li rividero mai più.
Con loro fu sepolta anche il concetto risorgimentale di Patria. Ristabiliti gli
equilibri nel mondo si iniziò a collaborare con altre nazioni, spesso per
motivi che non avevano più nulla a che fare con le motivazioni di giustizia fra
i popoli facendo leva nuovamente alla coscienza nazionale. Ma solo in alcuni,
perchè le gridate ai quattro venti 'autodeterminazioni' dei popoli,
anch'esse furono tanti colabrodi, che lasciarono in molti popoli sentimenti di
amarezza per aver combattuto per nulla.
Un sentimento di avversione e di estraneità alla guerra che spuntò per la prima
volta con tutta la sua drammaticità anche nella 'nuova''America
liberale (così differenziata, di tante patrie e senza retorici legacci
storico-culturali), quando negli anni Sessanta molti giovani (fra l'altro
quelli che avevano voti bassi nelle università) furono inviati a combattere in
Vietnam (e a queste condizioni non poteva che essere un fallimento). Quella
guerra -dissero- non li riguardava e ci mancò poco che si scannassero in
patria. Famose le grandi oceaniche Marce della Pace).
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