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Il regime staliniano
L'ascesa di Stalin
Negli ultimi anni di vita di Lenin, Stalin e Trockij divennero le persone di maggiore spicco nel partito. Nel 1922 Stalin divenne segretario generale del partito che gli permise di controllare la selezione, la carriera e la destinazione dei funzionari del partito. In questo modo riuscì a crearsi quella base di potere nell'apparato unita alla sua capacità di manovra, che gli avrebbe permesso di diventare capo del partito. In un primo momento si alleò con Bucharin per emarginare Trockij. Fondamentale nello scontro tra i due è come muoversi nel processo di edificazione del socialismo. Trockij sosteneva la teoria della rivoluzione permanente secondo il quale l'Unione Sovietica avrebbe dovuto intensificare il proprio slancio rivoluzionario procedendo a un industrializzazione accelerata. Stalin sostenne la teoria del socialismo in un solo paese in cui bisognava consolidare il socialismo nell' Unione Sovietica e al tempo stesso promuovere l'industrializzazione
Il partito e Stalin
Stalin assunse la posizione di centro dove a destra aveva Bucharin e a sinistra Trockij. Stalin tracciò una linea che risultò realistica e coerente agli occhi dei quadri del partito. Questi ultimi erano stanchi di una rivoluzione che non giungeva mai e quindi vedevano in Stalin la più sicura garanzia di difesa del loro ruolo e prestigio nell'organizzazione. Trockij una volta sconfitto lanciò un attacco contro Stalin, ma l'apparato si schierò dalla sua parte cosi Trockij venne espulso dal partito e esiliato. Verrà poi ucciso in Messico da un sicario mandato da Stalin. In questo modo Stalin si installò saldamente alla testa del partito.
La "crisi degli ammassi" del 1927
Nel 1927 si verificò una grave crisi nella raccolta del grano e l'esportazione e l'approvvigionamento nelle città fu messo in pericolo. Secondo i Bolscevichi questo segnava il fallimento della Nep e il rifiuto dei contadini a vendere il grano a un prezzo cosi basso da coprire a malapena i costi di produzione. Stalin decise di cambiare e ristabilì le requisizioni forzate e attuò campagne propagandistiche contro i Kulaki considerati nemici del socialismo. Ma nel giro di pochi anni attuò la collettivizzazione forzata delle terre. Questo incrinò il rapporto tra il potere sovietico e le campagne perché l'ottenere il grano diventò una vera e proprio guerra mossa dallo Stato ai contadini con obiettivi politici e economici:
La collettivizzazione forzata
Per Stalin il grano era fondamentale per l'industrializzazione, ma i contadini rifiutavano di cederlo per i prezzi troppo bassi e per il mercato che non offriva prodotti industriali adeguati. Stalin capì che l'unica soluzione era la trasformazioni delle aziende contadine in individuali. Così furono unificate molte aziende in fattorie cooperative o kolchoz o di proprietà dello stato (sovchoz) con l 'obbligo di consegna dei prodotti al prezzo prefissato dallo stato. Stalin era consapevole dell'inevitabile scontro con i contadini e anche Bucharin era sfavorevole alla collettivizzazione. Così Stalin lo estromise dalla vita politica mentre i contadini si opposero.
Lo sterminio dei kulaki
Contro i Kulaki, Stalin agì con il terrore perché secondo lui dovevano sparire come classe sociale. Un decreto del 1930 li divise in 3 categorie: quelli impegnati in attività controrivoluzionarie, quelli che non potevano contribuire alla controrivoluzione e quelli fedeli al regime. Alle prime due categorie era prevista la confisca dei beni e la deportazione in luoghi lontani, per la terza categoria c'era il trasferimento in un altro luogo della regione di residenza. I beni confiscati finivano ai kolchoz. Si parla di Dekulakizzazione.
Collettivizzazione e crisi agricola
La collettivizzazione economicamente fu un disastro perché la produzione granaria diminuì sino al 1937 per la disaffezione al lavoro dei contadini ma anche per i ritardi e gli sprechi della meccanizzazione. Nel 1940 si recuperò la produttività degli anni della Nep. Il prelievo di autorità di gran parte dei kolchoz riduceva ai minimi termini la possibilità dei contadini di produrre alimenti per l'autoconsumo o per la vendita al mercato libero. Gli organi centrali premevano sui funzionari locali di far rispettare gli obiettivi di produzione prefissati anche se troppo alti. Vennero addirittura forzati a consegnare le riserve per la semina successiva. Avviò a un meccanismo di depredazione delle risorse agricole che condusse nell' inverno 32/33 alla più grande carestia della storia recente. Per fronteggiare la situazione il governo cercò di bloccare la fuga dai kolchoz introducendo nel 1930 un sistema di passaporti interni necessari per circolare nel paese, dall'altro ripristinare il diritto per i contadini a coltivare piccola appezzamenti di terra.
Industrializzazione e pianificazione integrale
Stalin intraprese la strada dell'industrializzazione accelerata in un paese arretrato. Per fare questo adottò la pianificazione integrale dell'economia diretta da un organismo chiamato Gosplan (Commissione per la pianificazione generale del lavoro). Pianificazione significa che lo stato governa tutti i meccanismi economici, stabilendo cosa produrre, in quanto tempo, con quanti investimenti e a quale prezzo. Una pianificazione di questo tipo presuppone la proprietà pubblica del mezzi di produzione e i mezzi per raggiungere tali obiettivi. Il primo piano quinquennale fu attuato tra il 28 e il 32, il secondo tra il 33 e il 37 mentre il terzo fu interrotto per via della guerra.
Gli effetti dell'industrializzazione accelerata
Con uno sforzo economico gigantesco e con obiettivi parzialmente raggiunti, l'Unione Sovietica divenne una grande potenza industriale. Alcuni settori come il carbone, l'acciaio,l'energia elettrica e le costruzioni meccaniche progredirono in modo straordinario ( impianto siderurgico di Magnitogorsk, centrale elettrica Dnepr, officine di trattori di Stalingrado). Però i costi umani e sociali furono altissimi, infatti i capitali necessari furono trasferiti dall'agricoltura all'industria mantenendo il livello di salari basso e sfruttando la forza lavoro per innalzare la produttività. Si verificò una sorta di militarizzazione del lavoro, cui accompagnò un intensa mobilitazione e propaganda ideologica. Nella legge del 1932 si punivano le infrazioni delle discipline nel luogo di lavoro, mentre la legge del 1940 ai lavoratori era vieta cambiare lavoro senza il consenso dell'amministrazione. Tutte le risorse logicamente vennero indirizzate allo sviluppo industriale, e ciò comportò a una penalizzazione dei consumi e del tenore di vita. Da notare fu il progresso dovuto all' alfabetizzazione del paese.
Le inefficienze della pianificazione
La distorsione del sistema produttivo a vantaggio delle industrie però nella storia successiva dell'Unione Sovietica. L'efficienza complessiva del sistema era limitata da una pianificazione rigida e centralizzata che rendeva difficile tutti i passaggi da un settore all'altro. In apparenza la pianificazione seguiva una logica di razionalità economica e di centralizzazione ma in realtà il centro aveva obiettivi eccessivi e ambiziosi e così i processi finivano per sfuggire di controllo e la pianificazione si risolveva in una gestione caotica delle risorse nel tentativo di rispettare gli obiettivi. Stalin ritenendo che padroneggiare la tecnica fosse essenziale, emarginò gli "specialisti borghesi" cioè i tecnici e lavoratori specializzati di estrazione non proletaria. Venne preferita una nuova leva di tecnici di provenienza contadina. Questo rappresentò un importante canale di promozione sociale ma anche un fattore critico per la produttività e l'efficienza. L'industrializzazione inoltre comportò una trasformazione profonda nella distribuzione territoriale: oltre 20 milioni di persone passarono dall'agricoltura all' industria e ci fu anche una forte urbanizzazione che però creò una drammatica penuria di alloggi.
Il partito-stato
Le scelte economiche vennero fatte dalla dittatura del partito e dallo stesso Stalin. Il totalitarismo ebbe il centro nel partito, detentore di un potere monopolistico e inoltre costituiva la principale istituzione della società in cui erano concentrati i poteri: legislativo, esecutivo e giudiziario. Il partito divenne un potente strumento di controllo e di mobilitazione ideologica delle masse. Si occupava dell'educazione politica della gioventù con l'organizzazione Komsomol e controllava l'opera del sindacato (privato di autonomia e funzione rivendicativa) nell'attività di ricreazione e socializzazione dei lavoratori e delle loro famiglie. Dal partito venivano nominati i dirigenti nelle attività economiche e amministrative e spesso tali cariche venivano prese dai membri del partito stesso. Venne così formandosi una estesa nomenclatura cioè un ceto dirigente di politici e amministratori che godevano di grandi privilegi e di potere.
Il sistema burocratico
La pianificazione economica richiese un enorme dilatazione della burocrazia che era uno dei più gravi problemi nella società sovietica visto che ogni attività passava attraverso la macchina dello stato-partito. Il potere assoluto di Stalin svuotò progressivamente il partito stesso di significato politico trasformandolo in una macchina burocratica di gestione del potere e in strumento di selezione e di ascesa sociale.
Il "Grande terrore" del 1936-38
Dal 1935 ogni possibilità di dissenso fu preclusa. Il rapporto sempre più stretto tra Stalin e la polizia segreta (Nkvd) sfociò nel terrore. L'assassinio di Kirov scatenò una repressione inaudita. Tra il 36 e il 38 ci fu il periodo del Grande terrore che si sviluppò su 2 piani diversi: quella pubblica con processi politici con accuse di deviazionismo e di cospirazione che colpirono dirigenti storici della rivoluzione. L'intero gruppo bolscevico fu eliminato e l'Armata rossa fu decimata. Si affiancarono ad esse numerose operazioni terroristiche su larga scala. Vennero colpiti "nemici del popolo" e gli "individui socialmente pericolosi" sulla base di criteri: geografico-etnici, politici e sociali. Funzionari, dirigenti ecc.. vennero giustiziati o condotti al suicidio oppure portati nei campi di detenzione, i gulag. In questo periodo c'era un clima di grande sospetto e di paura, l'abitudine alla delazione si diffuse in tutto il paese. I tribunali emettevano condanne in base a semplici sospetti e da confessioni della polizia segreta
Mobilitazione del consenso.
Affiancata al terrore c'era la propaganda ideologica: l'intreccio tra repressione e mobilitazione dette il carattere totalitario alla dittatura di Stalin. L'arte, la cultura e la scienza persero ogni libera espressione, una cappa di conformismo calò sulla cultura russa. Al tempo stesso ci fu una massiccia persecuzione religiosa volta a sradicare l'influenza delle chiese nella società civile e soprattutto nelle campagne giudicata incompatibile con la "religione nazionale" La dottrina antireligiosa iniziata da Lenin divenne persecuzione su larga scala mirante a una secolarizzazione forzata (cioè riduzione del peso e del ruolo della religione nella vita sociale) della società. Oltre il 90% delle moschee vennero chiuse e migliaia di religiosi furono deportati o fucilati.
.e propaganda ideologica
Allo sforzo dell'industrializzazione si accompagnò un opera di propaganda per demonizzare i nemici della rivoluzione. Questa fu la giustificazione alla repressione. Dall'altra parte si accompagnò la mobilitazione delle masse intorno alla parola d'ordine dell'"emulazione socialista", la competitività tra i lavoratori e le imprese per la realizzazione degli obiettivi dei piani. In una massa operaia in rapida espansione ma scarsamente qualificata perché composta da ex contadini, il regime mescolò incentivi economici, repressione e propaganda. Ogni resistenza alla disciplina era punita alla stregua di un crimine come il "sabotaggio", mentre si esaltava la figura dell'eroe del lavoro.
Il culto del capo
Al centro del sistema totalitario che mescolava terrore poliziesco e mobilitazione delle masse c'era Stalin. Rappresentava una figura temuta e rispettata, odiata per le efferatezze e per i crimini ma venerato per la grandezza storica. L'ampiezza delle repressione testimoniano la resistenza dell'opposizione che in contrava dentro e fuori dal partito. Però non ci fu alcun dubbio che il consenso al regime fu notevole, soprattutto negli strati sociali più elevati che doveva a Stalin la propria ascesa e la conquista di un ruolo di primo ordine. Rilevante fu il culto del capo, addirittura nel ceti più umili assunse caratteri quasi religiosi. In questo senso Stalin venne venerato come un padre, intollerante contro i nemici della rivoluzione, nei suoi falsi sostenitori e partigiani. A differenza del culto di Hitler che nasceva dalla personalità carismatica, Stalin fu riconosciuto per l'incessante opera della propaganda di regime e per esplicito disegno dello stesso dittatore. Divenne l'immagine dello stesso potere pubblico capace di garantire stabilità dopo anni di turbolenza. Il mito della grande Russia come potenza industriale sollecitò orgoglio nazionale dopo anni di umiliazioni nei confronti dell'Occidente.
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