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La situazione nel 1848




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LA SITUAZIONE NEL 1848

Le sommosse e le rivolte che anche in Italia si svilupparono nel 1848, se sono il risultato dei moti rivoluzionari parigino e viennese, testimoniano anche un processo di crescita del movimento liberale, che nel biennio precedente aveva preso nuovo slancio ed ottenuto significativi risultati.
Il partito liberale e riformatore aveva fatto un decisivo passo avanti con l'elezione di PIO IX, pontefice sicuramente più aperto dei suoi predecessori, che avviò una cauta ma chiara politica di riforma d'ispirazione liberale, concedendo un ampia amnistia per i reati politici ed istituendo una Consulta di Stato, una sorta di parlamento sia pure con semplici funzioni consultive. 
Questi provvedimenti pur non avendo nulla di rivoluzionario aprirono una nuova fase politica nel corso della quale anche in Italia le spinte innovatrici riuscirono a far saltare il compatto sistema politico della restaurazione.
Prime riforme istituzionali
( STATUTO ALBERTINO )
In Piemonte ed in Toscana i sovrani misero in atto le prime riforme istituzionali, concedendo una limitata libertà di stampa e cambiando in senso liberale l'ordinamento giudiziario e di polizia. Questi provvedimenti non facevano nient'altro che interpretare orientamenti e stati d'animo assai diffusi negli strati popolari e nell'opinione pubblica borghese. Infatti, dove i sovrani si opposero a questa sia pur moderata apertura liberale, come nel Regno delle Due Sicilie, le rivolte non tardarono ad esplodere. A Palermo, con un mese di anticipo rispetto a Parigi, si verificò una vasta sollevazione popolare che costrinse il sovrano, dopo che il moto si era esteso anche sul continente, a concedere la costituzione.

Questo avvenimento produsse grandi aspettative in tutti gli stati italiani. A Torino le pressioni popolari per ottenere una costituzione analoga a quella napoletana si fecero assai intense e CARLO ALBERTO, divenuto Re nel 1831 alla morte di CARLO FELICE, dopo notevoli incertezze fu spinto anche dai suoi ministri a concedere lo Statuto (4 marzo 1848), subito imitato dal granduca di Toscana.

Venezia insorge
 Appena si sparse la notizia che a Vienna era scoppiata una sommossa liberale e Metternich era stato costretto alla fuga, la popolazione veneziana insorse e liberò dalle prigioni due noti patrioti, Daniele Manin e Niccolò Tommaseo, che si posero immediatamente alla testa dell'insurrezione, e proclamarono la repubblica, dopo aver costretto gli austriaci ad abbandonare la città.

Le cinque giornate di Milano . Immediatamente la notizia si propagò nel Lombardo-Veneto e giunse a Milano. Qui, il 18 marzo, la popolazione diede vita a violente manifestazioni antiaustriache, che rapidamente si trasformarono in combattimenti per tutte le vie della città. In cinque giorni, le epiche Cinque Giornate, le truppe imperiali comandate dal generale Radetzky furono sconfitte e costrette a rifugiarsi nelle fortezze del quadrilatero formato dalle quattro città di Mantova, Peschiera, Verona e Legnano.

L'eco delle sconfitte austriache a Milano ed a Venezia si diffuse in tutta la penisola. A Parma gli insorti costrinsero il duca a concedere la costituzione; a Modena il Duca preferì abbandonare la città insieme con la guarnigione austriaca. 

Colonne di volontari si mossero da ogni angolo di Italia in aiuto ai governi rivoluzionari di Milano e Venezia




Le guerre d'indipendenza


La prima guerra d'indipendenza

Il 23 marzo 1848 si ebbe la dichiarazione di guerra all'Austria.
Il comando in capo dell'esercito piemontese, composto da 2 Corpi di esercito e 1 divisione di riserva, fu assunto da Carlo Alberto.
Il Corpo dei Carabinieri mobilitò 3 squadroni, della forza complessiva di 280 uomini, di scorta al Sovrano e al suo Quartier Generale, e 3 mezzi squadroni (154 uomini) per essere addetti alle tre Grandi Unità con compiti di polizia militare.
Comandante di tutti i carabinieri mobilitati fu il colonnello Conte Avogadro di Valdengo.
I tre squadroni di scorta, che, al comando del maggiore Alessandro Negri di Sanfront, costituiva anche un piccolo reparto di impiego tattico, ebbero modo di distinguersi particolarmente a PASTRENGO il 30 aprile, nell'azione svolta per sloggiarne gli austriaci ed occupare l'abitato.
Il 29 aprile gli austriaci occupavano le posizioni strategiche di Pastrengo e di Bussolengo. Per il mattino seguente era prevista una nuova azione nemica e i piemontesi si erano preparati ad una controazione, avente per obiettivo per l'appunto Pastrengo.
Le posizioni austriache dovevano essere attaccate da tre punti diversi, da parte del 2° Corpo e della divisione di riserva.
Iniziata l'azione, Carlo Alberto la seguiva dalla sommità del Colle della Mirandola; ma, preoccupato di un ritardo ad avanzare da parte del centro e volendo rendersi conto della situazione, scese col seguito nella zona sottostante, con
statando che la melmosità del terreno, attraversato dal torrente Tione, straripato, era la causa del ritardo, specie da parte delle artiglierie e delle altre armi a cavallo.
Dati gli ordini del caso, anziché ritornare sulla Mirandola, il Sovrano proseguì verso la sommità delle colline denominate 'le Bionde', che erano più vicine a Pastrengo. Ma una decina di carabinieri, che precedevano in servizio di avanscoperta, vennero improvvisamente fatti segno a scariche di fucileria e ciò rivelò .la presenza di nemici a poca distanza, in numero ed in posizioni non facilmente individuabili al momento. Il pericolo per il Sovrano, anche di un possibile accerchiamento, era più che evidente. A questo punto il maggiore Negri di Sanfront coi suoi squadroni di CC si diede a battere la zona antistante per attaccare l'avversario e, superato al galoppo il Sovrano ed il suo seguito, caricò in tre successive riprese gli austriaci.
Carlo Alberto seguì l'azione continuando ad avanzare sul terreno già battuto dagli squadroni, nello stesso tempo in cui entrava in azione il reggimento Genova Cavalleria e altre truppe attaccavano dai punti prestabiliti.
Gli austriaci, sorpresi da quella carica inattesa, abbandonarono le loro posizioni dopo poche ore, ripiegando su Bussolengo. Pastrengo fu così occupata dai piemontesi nella stessa giornata del 30 aprile.Il mattino del 1° maggio i Carabinieri, e poi la brigata Savoia, occuparono anche Bussolengo.Successivamente gli Squadroni Carabinieri di scorta si distinsero nel fatto d'arme presso Verona (6 maggio), nell'azione del 24, 25 e 27 luglio sulle alture di Custoza e a Valeggio, e il 4 agosto fuori le porte di Milano e nell'iniziato assedio di Peschiera.
Per le prove date nella campagna del 1848, sospesa con il noto armistizio del 9 agosto, la Bandiera dell'Arma è fregiata di una medaglia d'argento al v.m. per la carica di Pastrengo e di due medaglie di bronzo al v.m. (in commutazione di menzioni onorevoli concesse ai tre squadroni di scorta, rispettivamente il 10 maggio ed il 23 agosto 1848).

La seconda guerra d'indipendenza

Nel corso della seconda guerra d'indipendenza del 1859, i Carabinieri, per essere utilizzati al massimo nei compiti di polizia militare, non costituirono, come per la precedente campagna, reparti speciali di scorta al Sovrano ed al suo Stato Maggiore. Si formarono, invece, dei drappelli addetti alle Grandi Unità e sì determinò per i Carabinieri un ampliamento dei loro compiti di polizia militare, quali previsti dal regolamento per le truppe in campagna.
Ebbe preminenza il servizio delle informazioni, affidato ad uno scelto gruppo di ufficiali e sottufficiali, e quello non meno importante dell'avvistamento del nemico e delle segnalazioni. In particolare i nostri militari provvidero all'avvistamento e segnalazione delle prime mosse del nemico (compito della stazione di S. Martino Siccomario, che avrebbe dovuto fra l'altro abbassare in tempo le portiere del ponte di Mezzana Corti); alla protezione dei telegrafi alla frontiera; al controllo e segnalazione dei reparti nemici transitanti da Magenta a Novara, da Abbiategrasso a Vigevano e Cassolnuovo, da Pavia a Gravellona ed oltre (compito affidato a sottufficiali isolati, in appostamento sulle rive del Po); ed al servizio della corrispondenza, effettuato da una catena di piccoli posti di carabinieri tra Pallanza e Biella.
Tutto il servizio informazioni, per la prima volta organizzato tecnicamente e organicamente dal tenente colonnello di S.M. Giuseppe Govone, si avvantaggiò più che altro dell'opera dei Carabinieri. Fra i tanti episodi merita una speciale citazione il comportamento di un brigadiere, che riuscì a fornire al generale Cialdini, comandante della 4a divisione, importantissime notizie sulle mosse del nemico oltre il Sesia. Il sottufficiale passò, da solo, con una piccola imbarcazione, il fiume in piena e ne tornò con le notizie desiderate.
In tutte le battaglie i compiti affidati ai Carabinieri vennero assolti in modo esemplare, per cui, chiusasi la campagna con l'accordo franco austriaco ed il successivo patto di Villafranca dell'11 1uglio, su proposta dello Stato Maggiore e dei comandanti delle divisioni operanti, vennero concesse a militari del Corpo ben 20 medaglie d'argento al v.m. e 25 menzioni onorevoli, commutate poi in medaglie di bronzo al v.m..
Nel ducato di Modena, proclamata la decadenza di quel Sovrano, e quindi l'annessione al Piemonte, il territorio fu presidiato da truppe piemontesi, mentre i Carabinieri provvidero all'ordine pubblico ed ai servizi di polizia, con l'ausilio delle superstiti Gendarmerie locali e della Guardia nazionale.Altrettanto nel ducato di Parma e Piacenza.Il trattato di Villafranca prevedeva, però, il ritiro dai ducati di tutti i funzionari civili e dei contingenti militari piemontesi. Ma se fossero stati rimpatriati anche i Carabinieri sarebbe stato possibile un ritorno degli spodestati sovrani, con grave pregiudizio per il processo unitario in corso.

La terza guerra d'indipendenza

Alla terza guerra d'indipendenza del 1866 l'Arma concorse con 110 uomini e 72 cavalli presso il Quartier Generale del re, nonché 25 drappelli a piedi ed a cavallo, al comando di ufficiali subalterni, distribuiti tra i quattro Corpi d'esercito, le 20 divisioni ed il Corpo volontari con compiti di polizia militare e scorte.Altri 23 carabinieri, con un ufficiale, erano aggregati alla Guardia nazionale mobile (difesa della Valtellina).Ai Carabinieri furono assegnati anche compiti di vigilanza al confine, esplorazione, guardia ai valichi e difesa dei passi. Si distinsero in modo particolare il drappello addetto alla divisione volontari, concorrendo alla difesa della stretta di Incudine di Edolo, in Val Camonica, ed il drappello addetto alla 15a divisione.I Carabinieri furono anche in prima linea, tra i soldati combattenti a Custoza, Monzambano, Monte Croce, Condino, Borgo, Levico e Primolano.Il generale Garibaldi, comandante della divisione volontari, elogiò la condotta dei dipendenti carabinieri, in una lettera indirizzata al comandante, capitano Caravadossi.
Nel 18671'Arma dovette nuovamente assumersi (1), per ben due volte, il difficile ed increscioso compito di a 'fermare' Garibaldi, prima e dopo i suoi tentativi di invasione dello Stato Pontificio. Necessità politiche del momento imponevano al Governo Italiano tali misure, che l'Arma dovette mettere in esecuzione; e mai come in quell'anno ed in quelle circostanze i Carabinieri dettero prova di alto senso di responsabilità.
Il primo dei due 'fermi' ebbe luogo il 24 settembre. Si tratta di un episodio più che di un fatto storico: Garibaldi fu raggiunto in un albergo di Sinalunga (Siena) dal tenente Federico Pizzuti, senza che l'operazione provocasse resistenza o proteste da parte del generale.
Il secondo fu di portata ben diversa ed ebbe luogo il 5 novembre a Figline Valdarno, vicino Firenze. Garibaldi transitava per quella località, reduce da Mentana, con un treno carico di volontari ai suoi ordini. Erano con lui i suoi due figli, nonché Stefano Canzio, Basso, Crispi e diversi altri.
Il Governo, su cui pesava la responsabilità delle imprese garibaldine, ricche sempre di conseguenze ed incognite, ordinò all'Arma di procedere al fermo del convoglio ed al suo dirottamento verso La Spezia, nel cui forte avrebbe dovuto essere internato e trattenuto il generale, in attesa di ulteriori decisioni.
E' noto che nel settembre 1849, in esecuzione di precisi ordini del governo, i Carabinieri avevano dovuto procedere al fermo, a Chiavari, del generale Garibaldi, reduce dalla difesa di Roma ed ivi di passaggio, accompagnandolo a Genova, da dove poi mosse per il suo secondo esilio. Si trattò di una dura necessità politica di quell'anno cruciale, ed i riguardi usati dal capitano Basso, incaricato dell operazione, alla persona del generale furono da quest'ultimo ricambiati nei confronti dei Carabinieri.
Incaricato di eseguire l'importante servizio fu il maggiore Deodato Camosso, che ebbe ai suoi ordini un battaglione di carabinieri all'interno della stazione ferroviaria e un battaglione di bersaglieri all'esterno.
L'operazione ebbe fasi altamente drammatiche, ma gli ordini legittimi del Governo ebbero completa esecuzione, senza dover ricorrere alla forza; il treno giunse regolarmente a La Spezia, ove solo Garibaldi e qualche suo fido restarono nel forte del Varignano.


Giuseppe Mazzini e la 'Giovine Italia'


Il fallimento dei moti del 1831 aveva rivelato la necessita' di dare un'organizzazione unitaria ai moti promossi dai carbonari. L'uomo che cerco' di realizzare questo programma fu Giuseppe Mazzini. Nato nel 1805 a Genova, entro' nella Carboneria nel 1830; arrestato e rinchiuso in carcere, ando' poi in esilio in Francia, dove, nel 1831, diede vita ad una associazione, la Giovine Italia, che aveva come fine l'unita' e l'indipendenza degli Italiani, in una repubblica fondata sulla sovranita' del popolo.

Fra il 1831 e il 1834 Mazzini organizzo' moti insurrezionali in Piemonte, in Savoia e a Genova, che furono stroncati dalla polizia. Mazzini e alcuni suoi seguaci, fra cui Giuseppe Garibaldi, furono condannati a morte in contumacia. Esule in Francia e Svizzera, Mazzini dal 1837 al 1848 si stabili' a Londra, dove maturo' il suo pensiero e continuo' la sua opera politica.

Nel 1844 i fratelli Attilio ed Emilio Bandiera, benche' sconsigliati da Mazzini, tentarono con pochi compagni una spedizione per sollevare il popolo contro i Borbone, ma, sopraffatti, furono fucilati a Cosenza.


Moderati e riformisti prima del 1848

La delusione e lo scoraggiamento che si diffusero tra i patrioti italiani porto' alla formazione di una tendenza moderata, che si proponeva non il sovvertimento dell'ordine mediante moti rivoluzionari, ma la realizzazione di graduali e pacifiche riforme nel campo sociale e di un ordinamento politico piu' consono alle possibilita' del tempo.

Al'interno della corrente moderata si delinearono due gruppi principali: quello neoguelfo, di cui fu ispiratore Vincenzo Gioberti, che aspirava a una federazione degli Stati italiani sotto la presidenza del pontefice, e quello di cui i massimi esponenti furono Cesare Balbo e Massimo D'Azeglio, che voleva invece una federazione di Stati guidata dai Savoia.

Nel 1846 sali' al pontificato Pio IX, che si rivelo' di idee liberali; spinto dalla pressione popolare inizio' una politica di riforme (liberta' di stampa, consulta di Stato, guardia civica), presto imitato, malgrado le proteste austriache, da Leopoldo II e da Carlo Alberto. Si creo' cosi' in molti Stati italiani un clima di grande entusiasmo e di speranza. Nel 1848 Ferdinando II di Napoli, costretto dallo scoppio di una rivoluzione in Sicilia, concesse la Costituzione; seguirono il suo esempio Leopoldo II di Toscana, Carlo Alberto e Pio IX.


CONGRESSO DI VIENNA E RESTAURAZIONE POLITICA IN ITALIA

Nel Congresso di Vienna (1814-1815), le potenze vincitrici di Napoleone, Austria, Russia, Prussia e Inghilterra, decisero di annullare tutte le trasformazioni avvenute, cancellando l'esperienza francese e riportando l'Europa e l'Italia alla situazione politica precedente il 1789, adottando due criteri: la Legittimità e l'Equilibrio.  L'Italia con la Restaurazione perdette l'Unità acquisita e vide instaurarsi un forte predominio austriaco.

La penisola italiana fu divisa in 10 Stati:

il Regno di Sardegna, il Regno Lombardo-Veneto, il Ducato di Parma e Piacenza Ducato di Modena e Reggio, il Ducato di Massa e Carrara, il Granducato di Toscana, il Ducato di Lucca, lo Stato della Chiesa, la Repubblica di San Marino, il Regno di Napoli e di Sicilia e Regno delle Due Sicilie.

Il Trentino, il Sud Tirolo e la Venezia Giulia tornavano a far parte dell'Impero Austro-Ungarico.

Il Tricolore Cisalpino fu sostituito con le bandiere delle rispettive ripristinate Dinastie e Ducati. 


IL RISORGIMENTO 1815-1861

1) SOCIETA' SEGRETE E MOTI RIVOLUZIONARI 1815-1848

Durante la Restaurazioni gli italiani si misero al lavoro per creare da soli uno Stato Nazionale e il Risorgimento fu una conquista degli italiani prima di tutto su se stessi. Con il ritorno dei sovrani e del potere ecclesiastico, si mossero i primi movimenti patriottici organizzati in Società segrete. La più famosa fu la Carboneria (1815) che promosse i moti rivoluzionari di Napoli e Torino (1820-1821) che furono però soffocati dalle baionette austriache, come pure le insurrezioni a Modena, Reggio, Parma, Bologna e Ancona. (1831) I risultati raggiunti dalle insurrezioni del '21 e del '31, furono modesti sul piano militare, ma notevoli sul piano politico. In tutte le sommosse il Tricolore innalzato dai patrioti fu quello nazionale: verde, bianco e rosso. Scomparve la Carboneria ma subito nacque la Giovine Italia (1831) fondata da Giuseppe Mazzini che stabiliva, tra l'altro, che i colori della sua bandiera fossero i colori: verde, bianco e rosso con scritto da un lato 'Libertà, Uguaglianza, Umanità' e dall'altro 'Unità, Indipendenza'. Il Tricolore riceveva così il crisma definitivo che lo consacrava per il presente e per il futuro unico vessillo della Libertà e dell'Indipendenza d'Italia. Anche la Giovine Italia, come la Carboneria, fallì dal punto di vista militare nell'insurrezione in Piemonte e nella spedizione in Calabria. (1844) Questi moti rivoluzionari, un movimento moderato di imprenditori ed intellettuali che voleva un'Italia unita più rispondente alle esigenze della società e proteste popolari in tutta l'Europa costrinsero i governanti a recepire alcune istanze di riforme. Nel 1848-1849, tali movimenti si concretizzarono con i seguenti risultati:  

Dopo un moto insurrezionale e la fuga dei Borboni, il Regno di Sicilia si proclamò indipendente ed adottò il Tricolore Italiano con al centro la figura della Trinacria. (1848).

Dopo manifestazioni popolari a Napoli, Re Ferdinando Il concesse la Costituzione e il nuovo governo adottò come bandiera i colori del Tricolore con lo stemma dei Borboni. (1848)

Il Granduca di Toscana, Leopoldo Il promulgò la Costituzione e decretò il Tricolore con lo Scudo Granducale, bandiera Toscana. (1848).

Cacciati gli austriaci dai milanesi (5 Giornate di Milano) e dai veneziani, nel Veneto, il Governo provvisorio della Repubblica Veneta adottò il Tricolore con il Leone giallo come bandiera di Stato. (1848).

Re Carlo Alberto di Sardegna promulgò la Costituzione e decretò che il Tricolore con lo Scudo di Savoia attaccato alle bande di colore fosse la bandiera del Regno di Sardegna. (1848)

Tre giorni dopo la sua proclamazione, la Repubblica Romana con a capo Giuseppe Mazzini, adottò il Tricolore con l' Aquila romana sull'asta. (1849).  In quell' anno sventolò dal balcone del Campidoglio anche una grande bandiera tricolore con la scritta 'Dio e Popolo' estrema e vigorosa sintesi del pensiero mazziniano.

In Francia, dopo un moto rivoluzionario contro la Dinastia degli Orleans e la loro scacciata, fu proclamata la Seconda Repubblica Francese. (1848-1852)


Tricolore siciliano

Tricolore napoletano

Tricolore toscano

Tricolore veneto



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