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Il progresso tecnologico




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IL PROGRESSO TECNOLOGICO



La meccanizzazione e l'industrialismo furono resi possibili da una serie di innovazioni tecnologiche che trasformarono radicalmente le consuete modalità di lavorazione e di produzione.


Il processo di industrializzazione prese avvio nel settore tessile, in particolare nella lavorazione del cotone.

Il cotone venne importato in grandi quantità dall'India, per produrre tessuti resistenti e, al contempo, poco costosi.

L'industria tessile tradizionale, in Inghilterra, era quella della lana; ciò nonostante la meccanizzazione si generalizzò con la lavorazione del cotone,    una fibra più adatta alla lavorazione meccanica. Il cotone è infatti una fibra vegetale che, a differenza della lana, fibra animale mutevole, è maggiormente salda e resistente nel trattamento.

L'abbondanza del cotone, e la crescita della domanda di prodotti tessili (determinata quest'ultima dall'aumento demografico e del reddito medio), stimolarono la ricerca di mezzi tecnici migliori, in grado di perfezionare la lavorazione, rendendola sempre più veloce e regolare.

Le innovazioni, introdotte a opera di abili artigiani-tecnici, avvennero con una sequenza "a botta e risposta". Ogni accelerazione introdotta in una fase del processo di fabbricazione infatti, sottoponeva a un enorme sforzo i fattori di produzione delle altre fasi, favorendo in tal modo ulteriori trasformazioni per riparare lo squilibrio.

Per comprendere questo, è utile distinguere le varie fasi di produzione tessile:


PREPARAZIONE DELLA MATERIA PRIMA

FILATURA

TESSITURA

FINITURA


John Kay, nel 1733, brevettò la "navetta volante".

Questo nuovo strumento permetteva di migliorare la fase di tessitura, riducendone i tempi di lavorazione. Proprio il miglioramento di una fase però, ebbe l'effetto di aumentare uno squilibrio già grave.

Ancora prima dell'introduzione della navetta di Kay infatti, la fase di filatura era molto più lenta della tessitura.

I tempi di filatura dovevano necessariamente essere abbreviati.


E' evidente quindi, che un'innovazione ne causa altre, che a loro volta rendono necessarie altre trasformazioni tecniche, in una catena che sembra non avere mai fine.

Il problema dello squilibrio fra i tempi di tessitura e filatura furono risolti da una serie di congegni per filatura: le macchine cardatrici di Lewis Paul e di John Wyatt, il filatoio meccanico, detto jenny, di James Hargreaves, il filatoio idraulico a lavoro continuo (il water-frame) di Richard Arkwright e il filatoio di Samuel Crompton, chiamato anche mula, perché combinava alcune caratteristiche della jenny e del filatoio idraulico.

La jenny Questo macchinario permetteva a un solo lavoratore di filare più fili contemporaneamente ma, purtroppo il filo prodotto era troppo debole.


Il water- frame Funzionava, come dice il suo nome, a energia idraulica.


La mula prodotta dall'incrocio delle due precedenti consentiva di tessere un filo sottile e al contempo robusto.


Il filato ottenuto a macchina era migliore di quello fatta mano, poichè quest'ultimo è spesso ineguale per spessore e robustezza.

Il formidabile aumento dell'offerta di filati risultante da queste invenzioni, rese indispensabile il miglioramento della tessitura: ora infatti, erano i telai che non tenevano il ritmo di produzione del filatoio, causando uno squilibrio nella fabbricazione dei tessuti. Si ebbe una risposta con il telaio meccanico brevettato nel 1785 da Edmund Cartwright. Questo nuovo strumentosi diffuse solo nei primi decenni dell'800, ma i risultati che portò tale invenzione non tardarono a manifestarsi. Intorno al 1820 infatti, un solo ragazzo, lavorando a due telai, riusciva a produrre fino a 15 volte più di un artigiano casalingo.


La preminenza delle innovazioni nel campo della filatura e della tessitura non devono però nascondere l'importanza dello sviluppo tecnico che subirono anche le altre fasi.

Non si potrebbe pensare a una meccanizzazione della filatura senza una corrispondente accelerazione dei processi di PREPARAZIONE della materia prima e di FINITURA del prodotto.

Il secolo XVIII vide quindi lo sviluppo di tutto un complesso di strumenti che, perfezionando ogni fase della lavorazione tessile, contribuirono a migliorare sempre più la produzione.


Motore della meccanizzazione inizialmente fu la fonte di energia idrica, impiegata nei mulini. A poco a poco però, l'energia dell'acqua venne sostituita con quella, inesauribile e attivabile ovunque, del vapore.

L'acqua e il vento infatti, sono fonti non controllabili: l'acqua può prosciugarsi, o gelare, mentre il vento può non esserci; il vapore invece, è disponibile sempre.

Con l'utilizzo del vapore, finalmente si concretizzava la possibilità di avere un'energia motrice potente, costante e utilizzabile in ogni luogo.

Per quanto gli effetti e la forza del vapore fossero già conosciuti nel primo secolo a.C., solo nel Seicento si cominciò a studiare e sperimentare il modo di utilizzarlo praticamente.

Il primo tentativo riuscito fu quello del francese Denis Papin, il quale aveva costruito una macchina simile a una moderna pentola a pressione: in una robusta caldaia il vapore poteva essere compresso finchè raggiungeva temperature e pressioni elevate. In uno stato di pressione elevata, si stabilivano le condizioni per ottenere uno sprigionamento di forza molto intensa.

Già nel corso del XVII secolo perciò, ci si domandava come utilizzare questa forza, soprattutto per risolvere un grave problema: quello delle infiltrazioni d'acqua nelle miniere.

L'estrazione di sostanze minerali causava infatti dei problemi: uno di essi era determinato proprio dalla necessità di tenere le miniere sgombre dalla penetrazione dell'acqua.

Al fine di produrre il vuoto necessario per risucchiare l'acqua, si cercò quindi, mediante l'utilizzo del vapore, di fabbricare delle pompe in grado di svolgere tale lavoro.

Il primo a tentare di usare una macchina a vapore per estrarre l'acqua dai cunicoli delle miniere fu un inglese, il marchese di Worcester, che costruì una pompa nel 1663. Il suo modello venne poi ripreso e perfezionato dall'ingegnere Thomas Savery, verso la fine del secolo.

Entrambi i modelli di pompa, tuttavia, avevano un difetto: se si voleva sollevare l'acqua a grandi altezze, non veniva generata una pressione del vapore sufficiente.

Questa difficoltà venne risolta dall'inglese Thomas Newcomen, un geniale artigiano che, nel 1715, costruì una nuova macchina a vapore, più efficiente delle precedenti.

Nel suo modello, il cilindro destinato a contenere il vapore era posto sopra la caldaia.

In questo cilindro era inserito uno stantuffo (o pistone), ossia un organo meccanico che scorre avanti e indietro.

Quando dal basso il vapore entrava nel cilindro, sollevava lo stantuffo. A questo punto, bisognava immettere acqua fredda nel cilindro: così il vapore si condensava e, diminuendo di volume, provocava un vuoto parziale.

La pressione atmosferica, ora, agiva sopra lo stantuffo e lo spingeva in giù. Il sollevamento e l'abbassamento dello stantuffo erano trasmessi alle aste della pompa da un bilanciere; il moto su e giù si trasmetteva così alla pompa, che aspirava, sollevava ed espelleva l'acqua dal fondo della miniera.

Le macchine di Newcomen ebbero una notevole diffusione per tutto il XVIII secolo, sebbene consumassero enormi quantità di carbone e richiedessero un costante controllo. Le valvole, ad esempio, dovevano venire aperte e chiuse a mano ogni volta. Questo lavoro veniva affidato a ragazzini, chiamati "ragazzi dei tappi".

Uno di questi, Henry Potter, trovò il modo di alleggerire il suo monotono lavoro con una brillante invenzione.

Collegò i manici delle valvole al pistone della macchina: quando il pistone saliva, le valvole si aprivano, e viceversa. In questo modo il funzionamento veniva quasi automatizzato.

Restava però aperto il problema dell'enorme consumo di combustibile: 13 tonnellate di carbone al giorno.

Fu James Watt a trovare la soluzione.

Intorno al 1763, un modello della pompa di Newcomen capitò nelle mani di del giovane scozzese Watt, il quale esaminò con cura la pompa; capì che tale macchina non sarebbe mai stata in grado di utilizzare totalmente l'energia del vapore, perché era necessario raffreddare ogni volta il cilindro.

Poteva esserci, si chiese, un modo diverso per far muovere il pistone?

Per due anni cercò di trovare una soluzione al problema; la trovò pensando che, poiché il vapore è elastico, può espandersi ed entrare in un recipiente in cui prima sia stato fatto il vuoto.

Il risultato fu un risparmio del 75% del combustibile che la macchina di Newcomen richiedeva.

Dopo aver apportato altre modifiche e miglioramenti alla sua macchina, Watt si mise in società con un fabbricante di Birmingham, Matthew Boulton, per fondare la prima fabbrica di macchine a vapore del mondo.

La ditta Boulton&Watt era basata sulla ripartizione degli utili. Determinante, per rendere operative le invenzioni, era la disponibilità di cospicui capitali e quindi "l'alleanza" con un finanziatore, unione di ingegno e denaro.


Da una lettera di Matthew Boulton a James Watt:


"Due sono i motivi che mi hanno spinto a offrirvi il mio appoggio: l'affetto verso di Voi e quello verso un progetto così redditizio e geniale. Ho pensato che la Vostra macchina, per produrre nel modo più vantaggioso, avrebbe richiesto denaro, abili maestranze e la più larga pubblicità, e che il modo migliore perché la Vostra invenzione sia tenuta nella dovuta considerazione, sarebbe quello di sottrarre la parte esecutiva del progetto alle mani di quella moltitudine di ingegneri empirici che, per ignoranza, mancanza di esperienza e della necessaria incentivazione, si renderebbero responsabili di un lavoro cattivo e trascurato: tutte mancanze che nuocerebbero alla reputazione dell'invenzione. Per ovviare a ciò e ricavare il massimo profitto, la mia idea era di piazzare una manifattura vicino alla mia, dove potrei apprestare tutto il necessario all'allestimento delle macchine. Da questa manifattura noi potremmo rifornire tutto il mondo di macchine di ogni misura.

Con questi mezzi e con la Vostra assistenza potremmo assumere e addestrare qualche eccellente operaio (.), e potremmo mettere in atto la Vostra invenzione a un costo inferiore del 20% a quello di qualsiasi altro sistema e con una differenza di precisione pari a quella di un costruttore di strumenti matematici.

A questo punto non varrebbe più la pena di produrre solo per tre contee, ma converrebbe assai più produrre per il mondo intero."




L'ISTRUZIONE



Chi furono i primi inventori e qual era la loro cultura di riferimento ?

Perché in Inghilterra si ebbero più invenzioni che nelle altre nazioni ?


I motivi sono diversi.

Innanzitutto è bene considerare, come primo fattore, il grande dinamismo della società inglese, sempre aperta alle novità e alle sperimentazioni, capace di stimolare l'iniziativa di ogni singolo individuo, incentivando le persone di talento a tentare la via degli affari e il rischio dell'impresa.

Secondo fattore: la pratica della primogenitura. I figli minori, non potendo godere dell'eredità, erano costretti a guadagnarsi da vivere in maniera competitiva, tramite gli affari.

Terzo fattore: la presenza di gruppi anticonformisti e dissenzienti.

Questi gruppi, occupando una posizione marginale nella società inglese, cercavano di migliorare le loro condizioni attraverso le imprese commerciali e produttive.

Quarto fattore: la DIFFUSIONE DELL' ISTRUZIONE.


Nell'Inghilterra del Seicento, le istituzioni educative fondamentali erano le scuole classiche secondarie. Le uniche due università erano riservate quasi esclusivamente a una minoranza privilegiata.

A partire dal 1700 invece, il numero delle istituzioni scolastiche cominciò gradualmente ad aumentare finchè, con la diffusione dell'industrializzazione, si registrò un vero e proprio "boom dell'istruzione".

Durante il XVIII secolo, la struttura scolastica inglese si arricchì infatti di nuove istituzioni, fra cui le accademie private.

Il predominio ecclesiastico che caratterizzava le scuole classiche del Seicento fu a poco a poco sostituito dall'insegnamento di maestri privati che desideravano realizzare i loro progetti commerciali e riformatori attraverso un miglioramento del livello delle scuole secondarie e l'istituzione di scuole che funzionassero come vere e proprie imprese.

Le scuole secondarie private erano spesso piccole istituzioni a carattere locale che, essendo più vicine alle residenze dei loro studenti ed essendo inoltre meno costose delle scuole precedenti, cominciarono ad essere frequentate dagli strati meno abbienti del ceto medio.

Benchè fossero finanziariamente indipendenti, queste scuole rimanevano all'interno della tradizione religiosa, proponendo un programma di studi classico-umanistico.

Nacquero in questo periodo anche le cosiddette "accademie private" che, ispirandosi alle analoghe istituzioni progressiste italiane e francesi, cercarono di impartire una formazione di tipo commerciale per i ceti mercantili.

Col progredire della rivoluzione industriale, verso la metà del Settecento, esistevano ormai programmi ben definiti riguardo gli studi letterari, matematici e tecnico-professionali; questi ultimi coprivano una vasta gamma di attività, fra cui i princìpi e le pratiche commerciali, la contabilità e la navigazione.

Dopo aver conquistato Londra e molte delle più importanti città inglesi, le accademie private si diffusero anche nelle colonie americane.

Il processo delle "enclosures", nonché la creazione e lo sviluppo delle colonie americane, avevano creato la necessità di disporre di agrimensori competenti: anche in questo caso le accademie private si incaricarono di soddisfare le nuove esigenze.

Oltre alle accademie private, erano notevolmente diffuse le "accademie non-conformiste". Queste istituzioni, presenti soprattutto in Scozia, dove i gruppi dissenzienti erano più numerosi, ebbero un ruolo rilevante nello sviluppo dell'industria. L'industrializzazione infatti, fu storicamente legata alla nascita di gruppi che dissentivano dalla Chiesa ufficiale d'Inghilterra: basti pensare ai puritani, che fondarono grandi stabilimenti industriali in diverse regioni del Paese . oppure al movimento battista, che nel settore dell'industria meccanica ebbe come principale rappresentante nientemeno che Thomas Newcomen.

Lo stretto legame tra industria e dissenso religioso viene spiegato dagli studiosi in modo diverso. Probabilmente, l'interpretazione migliore è questa: i non-conformisti costituivano il settore più istruito delle classi medie.

Tale spiegazione può essere confermata dall'altissimo numero di inventori e imprenditori provenienti dalla Scozia presbiteriana; da Glasgow e da Edimburgo (città scozzesi) infatti, più che da altre città, venne l'impulso alla ricerca scientifica e alla sua applicazione pratica.

Aperte a tutti, senza discriminazioni di fede, queste accademie non-conformiste furono vivai di pensiero scientifico, offrirono la possibilità di fare esperimenti e da esse uscì una serie di futuri industriali, fra cui Matthew Boulton, socio del geniale James Watt.

In molte città infine, c'erano delle istituzioni che miravano a promuovere il miglioramento della produzione (una di queste era la "Society Arts" nazionale, un circolo in cui si riunivano scienziati e imprenditori a discutere liberamente).


Credo che questo breve riassunto dei cambiamenti verificatisi nell'ambito dell'istruzione durante il processo di industrializzazione, possa esprimere come la rivoluzione inglese fu innanzitutto una rivoluzione di idee. una rivoluzione che non solo registrò un progresso nell'ambito scientifico e tecnologico, ma vide anche la nascita di un nuovo atteggiamento verso i problemi della società umana.











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