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Il plebiscito del 1929




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Il plebiscito del 1929


La segreteria di Remo Ranieri rappresentò un momento costruttivo nel fascismo parmense ed egli ottenne un consenso pressoché unanime all'interno della federazione fascista; usando la magnanimità del vincitore, recuperò alcuni esponenti significativi dell'intransigentismo, e, secondo un giudizio encomiastico, «liquidò molte posizioni insostenibili; mise alla porta gli indegni; valorizzò molte vecchie Camicie Nere per troppo tempo dimenticate, ponendole a posti di comando . E a giudicare dalle carte dei prefetti i contrasti infra-partitici cessarono, in quel periodo, quasi del tutto.

Il fascismo parmense non si era esaurito, peraltro, nei violenti scontri interni, pur clamorosi, che percorsero il biennio 1925-1926, e nei travagli intestini del 1927. Dal 1925, si manifestò anche nella duplice veste di un partito unico che andava organizzando in modo totalitario la società locale ai propri fini e che intendeva governare per modernizzare la provincia. Oltre allo sviluppo del partito e delle organizzazioni di massa a esso collegate, il fascismo cominciò dunque a qualificarsi sempre più come un partito di governo, con l'inizio o la messa in cantiere delle prime grandi opere pubbliche del regime. In particolare l'approvazione di una legge, nel febbraio 1928, che sovvenzionava lo sventramento e la ricostruzione ex novo del quartiere popolare dell'Oltretorrente, vale a dire il più importante intervento urbanistico del ventennio nella provincia, fu salutato con entusiasmo dal fascismo locale. Il prefetto telegrafava:


Notizia approvazione disegno legge risanamento Oltretorrente appresa ieri sera cittadinanza determinò subito viva animazione e formazione spontanea numeroso corteo preceduto banda musicale corridoniani e guidato segretario federale on. Ranieri, segretario fascio corridoniano e altro gerarchi fascisti. Corteo portante grande fotografia Duce e gagliardetti percorse vie città fermandosi dinanzi palazzo Governo acclamando con sentimenti vivissimi riconoscenza Duce e

Governo Nazionale




Così pure cominciarono i primi atti delle politiche sociali del regime, insieme ai consistenti investimenti in lavori pubblici.

L'ordine pubblico era ormai assicurato e le opposizioni ormai inesistenti, con

l'eccezione della minuscola attività del Partito Comunista. Come scrisse il prefetto di Parma nell'ottobre 1928, iniziando la serie di rapporti trimestrali sulla situazione politico-sociale della provincia che costituiscono una fonte preziosa per la storia dell'antifascismo e più in generale del regime, a parte i comunisti:


Coloro che in passato militavano nei partiti estremi, o si sono ravveduti e seguono il movimento ascensionale del regime, o, resi pavidi dal rigore delle leggi che il Regime ha dettato, si sono appartatati dalla vita pubblica. Altrettanto avviene di coloro che già appartennero al Partito Popolare, i quali, pur dimostrando, specie nella Val di Taro ancora manifesto attaccamento al

Clero, si astengono da ogni attività palese o occulta181.


E pochi mesi dopo, alla vigilia del plebiscito, ribadirà:


L opera di penetrazione del Fascismo continua progressiva, mentre gli avversari, che vanno assottigliandosi di numero, resi timorosi dal rigore delle leggi, che il Regime ha posto a propria difesa e dai tempestivi ed esemplari provvedimenti di polizia adottati, tengono quanto più possibile celati i loro sentimenti e si astengono da ogni attivit




In questo contesto, il fascismo parmense si apprestò ad affrontare, unito, il plebiscito del 24-25 marzo 1929, una data coincidente con la ricorrenza della fondazione del fascismo stesso.

Il regime non si limitò a indire il primo plebiscito soltanto per accertare il consenso o

l'adesione raggiunti grazie a una serie di fattori, non ultima la soluzione della storica "questione romana" coi Patti Lateranensi, ma anche per estendere il consenso stesso e per chiudere definitivamente col sistema liberal-democratico antecedente. In tal modo, realizzava un passo consistente verso l'edificazione di uno Stato nuovo, che assumeva forme di legittimazione e di rappresentanza politica radicalmente diverse dal passato. Inoltre, non era da trascurare l'effetto che si cercava di suscitare presso l'opinione pubblica internazionale fornendo, nel caso di successo, una rappresentazione di ordine e di solidità da parte dell'Italia fascista.

La riforma elettorale del 1928 soppresse, di fatto, la Camera dei Deputati, così come era stata delineata dal precedente sistema politico, e prescrisse la presentazione di una unica lista di 400 candidati, stilata dal Gran Consiglio del fascismo, con nomi proposti dalle federazioni nazionali dei sindacati legalmente riconosciute o da istituzioni morali e culturali di importanza nazionale oppure scelti fra personalità illustri nel campo scientifico, letterario, artistico, politico o militare, anche se non segnalati dai sindacati. Gli elettori dovevano approvare o respingere in blocco tale lista, con un SÌ o con un NO.

La formazione del corpo elettorale fu anch'essa diversa rispetto ai sistemi elettorali

liberal-democratici. Potevano votare i maggiori di anni 21 oppure maggiori di 18 se ammogliati o vedovi con prole, che pagavano un contributo sindacale (contributo che era pagato per legge anche da chi non era iscritto ai sindacati); coloro che pagavano almeno cento lire annue di tasse; i possessori di titoli del debito pubblico con una rendita di almeno 500 lire annue; i dipendenti e i pensionati pubblici; i membri del clero cattolico. La nuova normativa comportò complesse operazioni per la stesura delle liste elettorali, stesura affidata ai podestà, e anche una diminuzione degli aventi diritto al voto di una certa consistenza (circa 2,1 milioni di elettori in meno rispetto al 1924).

Nel complesso, si delineava, nel corpo elettorale, un passaggio dal principio del

suffragio universale al principio corporativo, che conferiva il diritto di voto innanzitutto ai produttori e ad altre categorie ritenute utili alla vita e alla collettività nazionale: lo stesso principio corporativo vigeva nella selezione dei candidati.

La nomina dei presidenti e degli scrutatori dei seggi avvenne scegliendo

rigorosamente persone favorevoli al regime e pertanto i componenti dell'intero seggio elettorale erano, di fatto, un'emanazione del PNF. Si votava in questo modo: l'elettore riceveva due schede, una per il SÌ e una per il NO, esternamente identiche; un'urna era collocata all'interno del seggio e raccoglieva la scheda non preferita dall'elettore e altre due urne, destinate a raccogliere la scheda preferita, erano ubicate presso la presidenza del seggio. Ogni scheda era firmata dal presidente e da uno scrutatore e portava il bollo dell'ufficio: bastava a questo punto, che uno scrutatore firmasse le schede del SÌ e un altro le schede del NO, oppure che la collocazione del bollo fosse diversa per le due tipologie di schede, per identificare immediatamente il voto dell'elettore.

La votazione fu preceduta da una propaganda capillare e curata nei minimi dettagli,

con numerosi comizi e con la diffusione massiccia di manifesti con l'immagine di Mussolini in divisa della Milizia con la mano destra alzata in segno di saluto, e di manifestini e volantini, oltre che attraverso il cinema e la radio. Una mobilitazione straordinaria del partito e delle organizzazioni collaterali, dell'associazionismo sindacale e delle associazioni combattentistiche si unì alla mobilitazione del clero e del laicato cattolico, che fu molto

importante, se non decisivo, nel successo del plebiscito .

Di fronte al plebiscito, l'antifascismo all'estero si divise: la Concentrazione d'azione antifascista, che riuniva repubblicani e socialisti, sostenne in sostanza l'astensione dal voto, mentre il Partito Comunista d'Italia sostenne la necessità di votare NO. E qualcosa della propaganda clandestina delle due organizzazioni politiche arrivò anche a Parma, ma ciò che arrivò era da ritenersi pressoché ininfluente sull'esito delle elezioni.

Con la messa fuori legge delle opposizioni antifasciste, l'esito del voto era scontato e pertanto l'indagine sul voto sembra poco significativa.

Tuttavia, nella provincia di Parma, l'analisi del voto mostra una partecipazione

elevata, maggiore delle elezioni prefasciste, che raggiunse l'87% degli aventi diritti al voto; i SÌ raccolsero il 95,7% dei voti; i NO il 4% e gli «astenuti», come li chiamava il «Corriere Emiliano», cioè i voti nulli e dispersi, lo 0,3. La provincia di Parma segnò dunque una qualche differenza rispetto alle medie nazionali: andò a votare un 2,6 percento in meno rispetto ai votanti su scala nazionale, i NO furono oltre il doppio della media nazionale (1,6%) e anche gli «astenuti» furono più elevati della media nazionale (0,1%). Sia pure in termini ridotti, si manifestava insomma un maggiore dissenso rispetto alla scala nazionale. Invece, nel plebiscito del 1934, i risultati di Parma (99,9) si allinearono sostanzialmente alla media nazionale, 99,8: erano infatti insignificanti, nel 1934, le differenze fra le percentuali dei votanti su scala nazionale e locale, e allo 0,15% nazionale dei voti contrari corrisponde lo

0,06% provinciale.

Anche a Parma si può legittimamente sospettare che vi fossero stati brogli,

quantomeno nella comunicazione delle cifre dei risultati, se non all'interno dei seggi: il risultato di alcuni comuni, in cui il SÌ raggiunse il 100 per cento dei voti, inducono naturalmente alla perplessità, se non al sospetto. D'altra parte, ciò non spiega invece il fatto che, per alcuni comuni, fossero pubblicate anche le cifre di dissensi di una qualche consistenza. Si può pensare a una generale manipolazione, che avesse abbassato le percentuali dei No in ogni dove; tuttavia ciò non è provato né è dimostrabile, perché le schede furono distrutte alcune settimane dopo i conteggi, né si trovano, nelle fonti

consultate, accenni a falsificazioni dei risultati .


In alcuni comuni della provincia, il consenso fu quasi totale: così a Bedonia (99,4%), Borgo Val di Taro (99,4), Busseto (99,2), Calestano (100), Felino (99,8), Mezzani (99,8), Polesine (99,1), Sissa (99,7), Tornolo (99,2), (Varsi (100) e in numerosi altri comuni si oltrepassava la media provinciale.

Il dissenso si mostrava maggiormente in città (8,1%), e, considerando gli scarti più

significativi dalla media, in alcuni comuni della montagna, soprattuto zone cattoliche, come Bardi (7,6), Berceto (11,1) e in particolare nel piccolo comune di Metti e Pozzolo (26,1), Monchio (8,6), Tizzano (5,2); della collina come Medesano (6,4) e in alcuni comuni della cintura di Parma, come Cortile S. Martino (5,6), Golese (8,1), Montechiarugolo (6,9), San Pancrazio (5,4), perlopiù comuni a prevalenza sindacalista rivoluzionara prima del fascismo; inoltre, Noceto (4,6), Roccabianca (4,4), Soragna (5,1), Sorbolo (4,9) e Torrile (7,0), comuni in cui nel dopoguerra aveva prevalso il Partito Socialista.

Anche se è difficile attribuire, in un collegio unico nazionale, gli eletti propriamente di una provincia, Remo Ranieri, Mario Racheli e Antonio Bigliardi furono considerati deputati di Parma: in realtà, l'unico che rappresentava autenticamente il fascismo parmense era Ranieri. Nel successivo plebiscito del 1934 furono eletti Mario Mantovani e Mario Racheli, e di nuovo l'unica espressione del fascismo parmense era Mantovani.

Con un certo grado di realismo si è sostenuto che, per i plebisciti nei regimi totalitari, andrebbe esclusa la possibilità di utilizzare con profitto la categoria di "consenso". Mancanza di libertà di scelta, pressione del fatto compiuto, forza dell'apparato coercitivo e repressivo, seduzioni occulte e palesi della propaganda, violazione del segreto dell'urna, illusione democratica di poter esercitare attraverso la scheda un libero atto politico. Un complesso di fattori che consiglia di servirsi piuttosto del concetto di "adesione" nelle sue varie accezioni185.


Tuttavia, pur ammettendo che si possa usare il concetto di adesione come distinto dal concetto di consenso (in realtà, nel linguaggio comune, abbastanza simili se non coincidenti), non vi è dubbio che nei plebisciti vi fu anche una rilevante parte del voto che esprimeva consenso a tutto tondo: peraltro, stabilire la quantità di tale consenso (e rispettivamente di tale adesione) è assai difficile. Ma una larga base di consenso è rintracciabile comunque: basterebbe a spiegarla la somma degli iscritti al PNF, delle organizzazioni di massa del fascismo e del regime, dell'Azione Cattolica e così via, calcolando inoltre, sia pure grossolanamente, l'apporto delle rispettive famiglie, in cui non mancavano certamente coloro che condividevano le scelte degli iscritti.


In sostanza, dal punto di vista politico, il plebiscito fu un grande successo, si può dire un trionfo: un consenso o un'adesione pressoché totale si manifestarono nei due plebisciti. Col plebiscito del 1929, si chiuse la fase di transizione dal sistema liberal-democratico al regime fascista, durata sostanzialmente oltre sei anni, e si entrò nella definitiva stabilizzazione del regime stesso; il successivo (e ultimo) plebiscito del 1934 ebbe già un carattere e una portata politica minore.


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