IL NUOVO NAZIONALISMO :
Dagli stati nazionali del 1848 al nazionalismo tedesco e il nuovo nazionalismo
nei Balcani
DALLA NAZIONE DEL 1800 AD OGGI.CAUSE
Gli uomini che hanno in comune lingua, tradizioni, storia e che appartengono
ad uno stesso ceppo etnico costituiscono una nazione. All'inizio
dell'ottocento, in Europa non tutte le nazioni erano libere ed indipendenti, ad
esempio gli Italiani del Lombardo- Veneto erano sotto il domino Austriaco e la
restante parte dell'Italia era divisa in tanti stati, pur essendo indipendenti. Il Congresso di Vienna non tenne in
alcun conto il principio di nazionalità e divise l'Europa secondo criteri di
opportunità politica, calpestando il diritto delle nazioni alla libertà e
all'indipendenza. La borghesia fu la classe sociale che si dimostrò più
sensibile al problema delle nazionalità, perché vedeva soffocati i propri
traffici dagli angusti confini e non tollerava che il frutto del proprio lavoro
fosse assorbito dalle tasse. I protagonisti principali dell'elaborazione teorica
dell'idea di nazione, di patria e di popolo furono tutti quegli intellettuali
che si richiamavano al Romanticismo. I romantici affermavano che avere
coscienza di essere nazione significa conoscere le sue origini e la sua storia.
Il ricordo del proprio passato, spesso glorioso legittimava le aspirazioni che
le nazioni, da fatto semplicemente culturale, si mutassero in fatto politico,
divenendo stato, come uno storico, Luigi Salvatorelli, efficacemente sintetizza
che la nazione prima, solamente 'sentita' ora è anche 'voluta'. In tutta l'Europa
in lotta per la liberazione dalle potenze straniere o dai loro governanti, il
binomio politica- cultura sarà sempre inscindibile. Nella prima metà
dell'ottocento il sentimento nazionale svolse una funzione positiva, in quanto
andava di pari passo con gli ideali di libertà, che il pensiero liberal-
democratico di quegli anni proponeva. La patria divenne l'ideale da attuare per
tutti quei popoli non ancora politicamente uniti e la sua forza propulsiva è
dimostrata dalle numerose rivoluzioni nazionali che continuavano a susseguirsi,
nonostante le dure sconfitte subite. Infatti nel 1848 l'Europa è investita da
una fiammata rivoluzionaria che ha ancora una volta Parigi come protagonista.
Il carattere comune a tutte le rivoluzioni del '48 è la partecipazione del
popolo e il tentativo di risolvere l'aspirazione delle nazioni alla libertà e
alla indipendenza per via democratica. Si cerca infatti di porre fine al
dominio economico e sociale dell'alta borghesia finanziaria e mercantile, che
governa ispirandosi a concezioni liberal- moderate, mentre i popoli, che si
trovano ancora sotto il dominio straniero o aspirano all'unità politica,
lottano per realizzare insieme all'indipendenza la libertà. Le sconfitte subite
non spengono le idealità che hanno ispirato le fiammate rivoluzionarie del '48
in Europa, perché il processo di unificazione, d'indipendenza e di
democratizzazione delle strutture dello stato è irreversibile. Nell'anno 1830
inizia il Risorgimento, quella fase della storia d'Italia in cui il popolo
italiano lotta per raggiungere l'unità e l'indipendenza del proprio paese. Ma
l'idea di nazione si corrompe per l'Europa nella seconda metà del XIX secolo
quando nel 1870 anche la nazione tedesca, dopo quella italiana raggiunge
l'unità politica. Ormai i confini dei maggiori stati europei coincidono in
buona parte con quelli etnici e linguistici delle nazioni. Ma ciò non allenta
la tensione politica tra gli stati: al principio di nazionalità, cioè il
diritto dei popoli all'autodeterminazione, sta subentrando il nazionalismo,
cioè l'esaltazione della nazione, fino alla giustificazione del suo dominio
sulle altre. E' il seme del razzismo, che nel secolo XX porta al quel male
enorme che sarà il Nazismo. Il nazionalismo finisce con l'identificarsi nella
volontà di potenza degli stati più forti, che nell'imperialismo e nel nuovo
colonialismo trovano ampie possibilità di espansione territoriale ed economica.
Ma le aspirazioni nazionalistiche mirano anche all'unificazione di gruppi etnici,
disseminati in territori lontani tra loro. Nascono grandi movimenti di massa,
che, sul finire del secolo, sono attivi soprattutto in Germania e nei paesi
Slavi. L'ultranazionalismo tedesco trova una prima forma organizzativa nel
partito pangermanista, il cui elemento unificante non è tanto l'identità
comune, quanto l'odio per tutti coloro che non appartengono al popolo tedesco.
L'altro grande movimento nazionalista è quello degli Slavi, che rappresenta la
nazionalità più numerosa dell'impero austro- ungarico. Il panslavismo viene appoggiato dalla Russia che mira
all'egemonia sui Balcani, in aperto conflitto con l'Austria- Ungheria, che è
subentrata all'impero ottomano nel dominio della regione. E' questo un terreno
di scontro molto pericoloso per la conservazione della pace nel mondo e la
Serbia ha un ruolo importante. I Balcani sono la 'polveriera
d'Europa', perché il disfacimento dell'impero ottomano ha messo in
movimento i vari nazionalismi e molti paesi, fra cui l'Italia, non nascondono
le loro mire egemoniche su quella zona. Ma, lo stato Serbo, che insieme alla
Romania e al Montenegro ha ottenuto il riconoscimento della propria
indipendenza, punta ad unificare i popoli slavi in un grande regno serbo. Il 28
giugno 1914 ,a Sarajevo, l'arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono degli
Asburgo, con la moglie sono uccisi in un attentato da uno studente Serbo,
appartenente ad una organizzazione irridentista, appoggiata dal governo serbo,
perchè si vuole impedire che l'ingerenza
austriaca porti alla creazione di uno stato Croato autonomo in funzione
antiserba. L'attentato di Sarajevo è la scintilla che fa esplodere la prima
guerra mondiale. Con la pace di Parigi sorgono sul vecchio continente otto
nuovi stati nati dalla rovina dell'impero austro- ungarico, di conseguenza
scompaiono dalla politica imperi autoritari e si affermano le democrazie
liberali. Le modifiche intervenute nell'assetto generano tra le potenze
rapporti conflittuali, che sfociano nella seconda guerra mondiale e pesano
ancora oggi sulla politica europea.
Nazionalismo
etnico nei Balcani.
L'avanzata turca nel XVI secolo provoca con
la diaspora dei serbo- ortodossi, la mescolanza delle etnie . I Serbi, fuggendo
all'invasione, si riversano nel paese croato e cattolico e per decenni, nel
novecento, sotto i re serbi di Jugoslavia, Belgrado soffoca l'autonomia
croata.. La Jugoslavia è nata nel 1918 dalla dissoluzione degli imperi austro-
ungarico e turco, seguita alla fine della prima guerra mondiale ed aveva
riunito in un unico stato gli slavi del sud, come indica il suo nome, Serbi,
Croati e Sloveni, le tre componenti etniche fondamentali del paese, con
consistenti minoranze di Macedoni, Albanesi ed Ungheresi. Forti sono stati i
contrasti etnici negli anni fra le due guerre, sui quali fecero poi leva i
fascisti italiani e i nazisti tedeschi per smembrare lo stato durante la
seconda guerra mondiale, quando il paese fu invaso dalle armate hitleriane. Ma
una forte guerra partigiana, guidata dal leader comunista Tito, consentiva la
liberazione del paese dal nazifascismo. La Jugoslavia risorge allora come stato
federale - socialista , guadagnandosi un ruolo da protagonista nello scenario
internazionale, in perfetta equidistanza fra le due superpotenze del secondo
dopoguerra, USA e URSS e i relativi blocchi militari. Ma la Federazione
Jugoslava non è sopravvissuta alla lunga alla scomparsa del suo prestigioso
leader, infatti i contrasti tra Serbi ortodossi, i Croati cattolici e le
etnie musulmane alimentano uno stato di
perenne tensione aggravato dalla grave crisi economica che travolge tutti i
settori e lo stesso esperimento dell'autogestione socialista voluta da Tito. Le
rivalità interetniche, mai sopite del tutto, con la crisi del socialismo
nell'area sovietica si riaccendono e la
Serbia, stravolgendo la politica del perfetto equilibrio fra le etnie attuata
in precedenza da Tito, rivendica per sé una funzione di guida della
Federazione, così il nazionalismo serbo innesca delle reazioni a catena da
parte degli altri nazionalismi negli stati balcanici. Uno degli aspetti più
drammatici della dissoluzione della Jugoslavia è lo scatenarsi degli odi
etnici, la cui disumana violenza non è certo inferiore a quella dei peggiori
esempi di intolleranza razzistica che si riscontrano in altri momenti della
storia del novecento. Nella Repubblica Federale Socialista di Jugoslavia la
Serbia perde l'egemonia, della quale ha goduto ai tempi della monarchia; le
frontiere interne imposte da Tito hanno favorito la Croazia, smembrando
consistenti minoranze serbe e lasciandole fuori delle frontiere regionali.
Questa disseminazione del popolo serbo è giunta all'esasperazione con la secessione della Croazia e della Slovenia,
perché non solo numerose minoranze serbe sono state isolate e disperse, ma
Belgrado è stata esclusa dall'ovest continentale e dal mare. Dall'incontro tra
l'esasperazione nazionalistica dei Serbi e la risorta energia di esponenti
comunisti nasce il 'total-nazionalismo', così definito dallo
scrittore E.Morin per indicare la politica che tende a costruire uno spazio
vitale a danno delle altre nazioni e delle altre minoranze con l'uso
sistematico della forza e pulizia etnica. Il nuovo nazionalismo serbo non si
può ricondurre a quello tedesco e neanche al totalitarismo comunista perché
accetta l'idea del mercato e tollera marginali movimenti di opposizione, perciò
si tratta di un fenomeno del tutto nuovo capace di espandersi in aree in crisi
dell'ex impero sovietico. Una volta in Europa le etnie erano mescolate ma la
storia insegna che il processo di conquista dell'autonomia e della sovranità
può avvenire in modo civile creando dei legami di collaborazione, ma l'esempio
della ex Jugoslavia rivela invece una
tendenza a conseguire la sovranità per mezzo della dissociazione e della forza.
Due secoli fa Kant osservò che la natura ricorre a due mezzi per dividere i
popoli ' la differenza di lingua e quella di religione', che tendono
entrambi a produrre ' l'odio reciproco e pretesti per scatenare
guerre'. Col passare del tempo Kant sperava che ' il progresso della
civiltà' avrebbe condotto tutti ad un pacifico accordo , ma ciò
si deve ancora verificare. P.Kennedy nel libro' Verso il XXI secolo '
dimostra fiducia nello stato nazionale, perché potrà ancora assolvere un ruolo
nella 'sfida della contemporaneità ', infatti , nonostante tutti i
limiti che sono apparsi in questi ultimi anni, non è stato ancora creato un
organismo capace di sostituirlo come entità di fronte ai grandi mutamenti
mondiali.