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IL GENOCIDIO IN RUANDA
Le origini - L'etnia originaria del Ruanda era quella dei Twa, nomadi che vivevano di caccia e raccolta. Successivamente, nel primo millennio d.C., migrò in questo territorio una popolazione Bantu coltivatrice: gli Hutu. Nell'attuale territorio ruandese arrivarono dall'area etiope, nei secoli XIII-XIV, i Tutsi, un popolo nilotico prevalentemente cacciatore. I Tutsi, apparendo come 'popolo superiore', ridussero alla schiavitù gli Hutu. Assunto il potere del territorio, lo divisero in staterelli e organizzarono una società a struttura piramidale, al cui vertice era il re, chiamato mwami. Il primo mwami la cui esistenza è certa fu Ruganza Bwimba (XV secolo), del clan dei Nyighinya. Negli anni successivi cominciò l'espansione del territorio ruandese, interrotta da invasioni da parte dei regni limitrofi di Nyoro e Rundi.
Il colonialismo - Durante il regno del mwami Rwaabugiri (1860-1895) giunse alla corte il primo europeo, il conte von Goetzen. La Germania prese controllo di quella che divenne l'Africa Orientale Tedesca, che ebbe come primo governatore proprio von Goetzen. Nel 1918 la Società delle Nazioni affidò questo territorio al Belgio come 'mandato di tipo B' e, nel 1946, divenne un territorio in amministrazione fiduciaria del Belgio. Nel 1957 è stato fondato un partito per l'emancipazione degli Hutu, il Parmehutu, che, dopo l'indipendenza del Congo, nel 1960, si è ribellato alla casta dominante. Kigeri V, il ventunesimo ed ultimo mwami, eletto nel 1959, fuggì. Migliaia di Tutsi emigrarono in Burundi.
Dal 1960 al 1994 - L'abolizione della monarchia fu sancita da un referendum. Il 1° luglio 1962 il Ruanda divenne uno Stato sovrano, una repubblica sotto la presidenza di Grégoire Kayibanda. Nel dicembre del 1963 i Tutsi che si erano rifugiati in Burundi tornarono in Ruanda per riprendere il potere, anche per mezzo di stragi, ma non riuscirono nel loro intento. Forte fu, in tal occasione, la tensione fra Ruanda e Burundi e terminò quando anche il Burundi divenne una repubblica. Nel periodo 1972-1973 le tensioni fra le due etnie divennero più pericolose. Nel luglio del 1973 il generale hutu Juvenal Habyarimana guidò un colpo di stato che depose Kayibanda. Il neopresidente fondò nel 1975 il Movimento Rivoluzionario Nazionale per lo Sviluppo (MRND), il partito unico del governo. Nel 1978 fu approvata mediante referendum la nuova costituzione e nel dicembre dello stesso anno, Habyarimana fu riconfermato come presidente. Nel 1990 i Tutsi provarono invano un altro tentativo di golpe, invadendo la parte settentrionale dello Stato. Nel 1991 furono apportate modifiche alla Costituzione, introducendo, fra l'altro, il multipartitismo e la figura del primo ministro. I premier che furono eletti negli anni successivi tentarono più volte un accordo fra i vari partiti, tra i quali il Movimento Repubblicano Nazionale per la Democrazia e lo Sviluppo e il Fronte Patriottico Ruandese (FPR).
1994, l'anno del genocidio - Il genocidio in Rwanda fu uno dei più sanguinosi episodi della storia del XX secolo. Dal 6 aprile alla metà di luglio del 1994 vennero massacrate sistematicamente (a colpi di armi da fuoco, machete e bastoni chiodati) una quantità di persone stimata tra le 800.000 e le 1.071.000. Le vittime furono in massima parte di etnia Tutsi, che costituisce una minoranza rispetto agli Hutu, a cui facevano capo i due gruppi paramilitari principalmente responsabili dell'eccidio, Interahamwe e Impuzamugambi. I massacri non risparmiarono una larga parte di Hutu moderati, soprattutto personaggi politici.
Le divisioni etniche del paese sono state opera principalmente del dominio coloniale europeo, prima tedesco e poi belga, che iniziò a dividere le persone con l'introduzione della carta d'identità etnica e favorire quelli che consideravano più ricchi e di diversa origine: i Tutsi. In realtà Tutsi e Hutu fanno parte dello stesso ceppo etnico culturale Bantu e parlano la stessa lingua. Il genocidio terminò col rovesciamento del governo Hutu e della presa del potere, nel luglio del 1994, dell'RPF, il Fronte Patriottico Ruandese.
Cronistoria - Il 6 aprile del 1994 l'aereo presidenziale dell'allora presidente Juvénal Habyarimana, al potere con un governo dittatoriale dal 1973, fu abbattuto da un missile terra-aria. Ancora oggi chi fece partire quel missile è ignoto: le ipotesi più accreditate sono quelle che portano alle frange estremiste del partito presidenziale, le quali non accettavano la ratificazione di un accordo (quello di Arusha, nel 1993) che concedeva al Fronte Patriottico Ruandese (RPF), composto in prevalenza da esiliati Tutsi nemici storici degli Hutu (che costituivano l'85% della popolazione e che dalla rivoluzione del 1959 detenevano completamente il potere) un ruolo politico e militare importante all'interno della società ruandese; un'altra ipotesi è quella che sostiene che fu proprio l'RPF a compiere l'attentato, convinto che il suo ruolo negli eventi sarebbe stato marginale e che i patti non sarebbero stati rispettati; negli ultimi tempi è stata inoltre incriminata la moglie del presidente, che proprio quel giorno, contrariamente alle sue abitudini, decise di prendere un mezzo alternativo all'aereo, forse perché conosceva in anticipo la sorte del marito o forse perché lei stessa ne aveva tessuto le trame.
Il giorno 7 aprile a Kigali e nelle zone controllate dalle forze governative (FAR, Forze Armate Ruandesi), con il pretesto di una vendetta trasversale, iniziano i massacri e l'eliminazione fisica della popolazione tutsi e dell'opposizione democratica da parte della Guardia Presidenziale, dei miliziani dell'ex partito unico (Movimento Rivoluzionario Nazionale per lo sviluppo) e dei giovani hutu. Il segnale dell'inizio delle ostilità fu dato dall'unica radio non sabotata, l'estremista 'RTLM' che invitava, per mezzo dello speaker Kantano, a seviziare e ad uccidere gli 'scarafaggi' tutsi. Per 100 giorni si susseguirono massacri e barbarie di ogni tipo; vennero massacrate più di un milione di persone in maniera pianificata e capillare. Uno dei massacri più efferati fu compiuto a Gikongoro, l'allora sede dell'istituto tecnico di Murambi: oltre 27.000 persone vennero massacrate senza pietà e la notte dalle fosse comuni il sangue uscì andando ad inumidire il terreno. Per dare un'idea sommaria di quello che avvenne, basti pensare che in un giorno vennero uccise circa ottomila persone, circa 333 in un'ora, ovvero 5 vite al minuto. Il massacro non avvenne per mezzo di bombe o mitragliatrici, ma principalmente con il più rudimentale ma altrettanto efficace machete e con terribili bastoni chiodati, fatti importare per l'occasione dalla Cina.
L'atteggiamento del mondo - La storia del genocidio ruandese è anche la storia dell'indifferenza del mondo occidentale di fronte ad eventi percepiti come distanti dai propri interessi. Emblematico fu l'atteggiamento dell'ONU che si disinteressò del tutto delle tempestive richieste di intervento inviategli dal maggiore generale canadese Romeo Dallaire, comandante delle forze armate (3.000 uomini) inviate dall'ONU. Si riporta un passo tratto dal fax inviato all'ONU dal maggiore generale in cui si denuncia il rischio dell'imminente genocidio: Dal momento dell'arrivo della MINUAR, (l'informatore) ha ricevuto l'ordine di compilare l'elenco di tutti i tutsi di Kigali. Egli sospetta che sia in vista della loro eliminazione. Dice che, per fare un esempio, le sue truppe in venti minuti potrebbero ammazzare fino a mille tutsi. () l'informatore è disposto a fornire l'indicazione di un grande deposito che ospita almeno centotrentacinque armi Era pronto a condurci sul posto questa notte - se gli avessimo dato le seguenti garanzie: chiede che lui e la sua famiglia siano posti sotto la nostra protezione. Il Dipartimento per le Missioni di Pace con sede a New York si guardò bene dall'inviare la richiesta d'intervento alla Segreteria Generale o al Consiglio di Sicurezza.
Nonostante i diversi rapporti presentati alla Commissione per i Diritti Umani dell'ONU, il Consiglio di Sicurezza, a causa del veto USA, non riconosce il genocidio in Ruanda. Inoltre furono provate le responsabilità di molti paesi occidentali che mandarono i contingenti con l'unico scopo di salvare i propri cittadini. Fra questi spicca il Belgio e la Francia, che non solo non volle fermare la folle barbarie assassina (negli anni precedenti aveva armato e addestrato le FAR), ma anzi la fiancheggiò mandando contingenti a supportare le truppe hutu in ritirata dopo l'arrivo del FPR (tutsi). Gli USA però non si limitarono a mettere il veto, come si può vedere da questa citazione del reporter Steve Bradshow della BBC: 'Quando le Nazioni Unite decisero di mettere insieme una forza d'intervento, gli USA la ritardarono con la scusa dei veicoli blindati - le loro argomentazioni andavano dal colore con cui dipingere i veicoli a chi avrebbe pagato per dipingerli.'
Da ricordare anche la dissimulata connivenza nei confronti del massacro da parte di alcuni membri della chiesa cattolica, essendo il Ruanda il paese africano più cristianizzato (80% dei credenti), e nonostante Giovanni Paolo II abbia definito apertamente genocidio quello che è avvenuto.
Conseguenze - Ancora oggi, dopo più di dieci anni dal genocidio, rimangono in libertà numerosi autori delle stragi, alcuni paradossalmente protetti da paesi occidentali, come la Gran Bretagna, con il prestesto dell'assenza di trattati di estradizione con il Ruanda. L'UNAMIR restò in Ruanda fino all'8 marzo 1996, con l'incarico di assistere e proteggere le popolazioni oggetto del massacro. L'ufficio dell'ONU fu capace di lavorare a pieni ranghi solo dopo il termine del genocidio, e questo ritardo costò alle Nazioni Unite una quantità di accuse che le portarono, nel marzo 1996 appunto, a ritirare i propri contingenti. Nel corso del mandato, avevano perso la vita 27 membri dell'UNAMIR - 22 caschi blu, 3 osservatori militari, un membro civile della polizia in collaborazione con l'ONU e un interprete.
Gran parte dei mandanti e dei perpetratori della carneficina trovarono rifugio nel confinante Zaire (oggi Repubblica Democratica del Congo). Gli odi razziali, che avevano fomentato la tragedia e che hanno lasciato un'impronta indelebile sul suolo ruandese, passarono così alle nazioni vicine: si suppone infatti che essi abbiano carburato la Prima e la Seconda guerra del Congo (rispettivamente, 1996-97 e 1998-2003), e che siano stati uno dei principali fattori della Guerra civile del Burundi (1993-2005). L'attuale conflitto del Darfur richiama da vicino il ruolo ottenuto dalla comunità internazionale durante il genocidio ruandese, suscitando il timore che le Nazioni Unite non siano effettivamente in grado di prevenire morte, miseria e distruzione in Sudan come altrove in Africa
Il ritorno alla normalità - Nel 1997 furono avviati i primi processi per stabilire i responsabili del genocidio, ma dovettero subire rinvii a causa della mancanza di giudici. Nel frattempo centomila persone in attesa di giudizio affollavano le carceri. Un primo processo si concluse nel 1998, con la condanna a morte di ventidue persone considerate colpevoli di genocidio. Nel settembre di quell'anno il Tribunale Penale internazionale ha condannato l'ex premier Jean Kambanda all'ergastolo.
Nell'aprile del 2000 è stato eletto presidente della Repubblica il tutsi Paul Kagame, del FPR, che ha siglato, nel luglio del 2002, un armistizio con la Repubblica Democratica del Congo.
Le tensioni sono attualmente ancora vive (oggigiorno diecimila ribelli hutu sono ancora attivi in territorio congolese), ma esiste anche un serio desiderio di riappacificazione, come si è notato il 20 novembre 2002 in occasione di un concerto reggae che ha riunito 25mila persone di entrambe le etnie. Contemporaneamente, le truppe stanziate nella Repubblica Democratica del Congo sono rientrate in patria.
Nel 2003 le istituzioni politiche sono state modificate e approvate con il referendum del 26 maggio. Nel luglio dello stesso anno si sono tenute le elezioni presidenziali, che hanno riconfermato la carica a Kagame, e in settembre quelle legislative, che hanno visto il trionfo del FPR.
La responsabilità delle istituzioni e di alcune nazioni occidentali, che non si mobilitarono per fermare il genocidio, è stata ricordata dal presidente Kagame nel corso delle celebrazioni per il decimo anniversario dei massacri, nell'aprile del 2004.
Nel frattempo, avanzano i processi dei colpevoli, condotti dal Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda (TPIR), alcuni dei quali si sono conclusi solo in tempi recenti. Per esempio, quello del colonnello Aloys Simba, condannato, il 12 dicembre 2005 a 25 anni di carcere per genocidio e crimini contro l'umanità e quello dell'ex sindaco della città di Gikoro, Paul Bisengimana, arrestato in Mali cinque anni prima e condannato il 14 aprile 2006 a 15 anni di prigione. Nel settembre del 2005 il Tribunale della comunità (gacaca) ha concesso a 774 prigionieri di lavorare alla costruzione di strade come pena alternativa alla detenzione in carcere.
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