IL FORMAGGIO E I VERMI
C. GINZBURG
Conoscere le gesta dei re, o sapere anche
chi erano i muratori che costruirono Tebe dalle sette porte? Questa potrebbe
essere la domanda che avvia la prefazione del libro in oggetto.
Gli
storici, per capire chi sono i muratori protagonisti, incontrano degli ostacoli
che in parte sono superati dalle fonti scritte nel caso di personaggi di classe
sociale superiore. La scarsezza di fonti e non solo, sono difficoltà che questo
libro deve affrontare nel caso di Domenico Scandella,
detto Menocchio, morto bruciato ad
opera del Sant'Ufficio. Riusciamo quindi a ricavare alcuni dati della
vita di questa persona non nota, attraverso gli atti processuali che lo
condannarono al rogo. Molto di quello esposto infatti
ricostruisce un frammento di vita di quella che si è soliti chiamare "cultura
delle classi alterne".Rifacendosi al concetto di cultura primitiva, si è
arrivati a riconoscere il possesso di cultura ai volghi dei popoli civilizzati.
Riconoscendo questa cultura, la domanda da porci è: fino a che punto la cultura
popolare è subalterna a quella delle classi dominanti? La concezione
aristocratica della cultura ha fatto avvicinare con diffidenza gli storici a
questo tipo di rapporti tra classi, ma questo è giustificato in parte da motivi
di carattere metodologico. La cultura orale (tradizione) è ancora la cultura
delle classi subalterne: le fonti scritte da utilizzare sono rare e doppiamente
indirette, perché provenienti di solito da classi dominanti. Se però l'oggetto
è la cultura imposta alle classi subalterne, cambia totalmente il numero di
fonti disponibili, tuttavia in qualche modo deformanti. Mandrou
tentò attraverso l'analisi della letteratura di colportage di dimostrare che quest'ultima svolse, forse
consapevolmente, funzione reazionaria. Ma l'alfabetizzazione era bassa e il
lavoro svolto ci porta in realtà al punto di partenza: non si può identificare
la cultura delle classi popolari, con la cultura ad esse imposta. G. Bolème nella stessa letteratura ravvisa l'espressione spontanea
di una cultura popolare, originale e autonoma, legata alla religione: si
scambia così per letteratura popolare, la letteratura destinata al popolo. Bachtin in un libro sui rapporti tra Rebelais
e la cultura popolare del suo tempo, analizza il carnevale, mito
dell'abbondanza e della fertilità, come invertitore giocoso di gerarchie e
valori, contrapponendolo al dogmatismo e alla seriosità delle classi dominanti.
Lo analizza però usando quasi esclusivamente le parole di Rabelais che funge
quindi da filtro: l'indagine svolta non è più diretta. Comunque le fonti non
oggettive possono comunque essere utilizzate: l'analisi del "carnevale di Romans" di E. Le Roy, è esemplare. L'incertezza
metodologica limita o rallenta il movimento in questo tipo di indagini. Sono da
citare come esempio positivo, i lavori di N.Z. Davis
e di E. P. Thompson sul "chiarivari" che misero a
frutto una documentazione una documentazione esigua e dispersa. Dopo aver
criticato la letteratura di colportage, un gruppo di
studiosi si è chiesto se "la cultura popolare esiste fuori dal gesto che la
sopprime": ovviamente la risposta è no. Foucault si interessa del tema e
soprattutto dei criteri di esclusione nelle sue opere Historie
de la folie, Le mots et les choses
e l'archéologie du savoir. Derrida contesta però
questi criteri e in sostanza afferma che il punto archi medico da cui parte
Foucault non esiste e non può esistere.
L'irrazionalismo
estetizzante è la chiave di volta di questo filone di ricerche; l'assassino
Pierre Rivière protagonista dei saggi di Foucault e collaboratori, è "un essere
mostruoso che è impossibile definire perché estraneo a qualsiasi ordine
enunciabile". Questo e identificabile come populismo nero. Nell'
irriducibilità a schemi noti di una parte dei discorsi di Menocchio si
intravvedono credenze popolari sconosciute e oscure mitologie contadine
aderenti al radicalismo religioso, al naturalismo scientifico e all'utopia di
rinnovamento sociale. Questi ultimi elementi erano collimavano però con quelli
di gruppi intellettuali raffinati: si ripropone quindi il problema della
circolazione culturale. Furet sostiene che la
reintegrazione delle classi subalterne può avvenire solamente attraverso la
demografia e la sociologia e comunque condannate a rimanere silenziose. Alcuni studi
hanno evidenziato come un individuo mediocre e quindi privo di rilievo, può
diventare rappresentativo di uno strato sociale: non è questo il caso di Menocchio, anche se l'indagine su di lui evidenzia tratti
di una cultura contadina comune. Che rapporto potevano avere almanacchi,
cantari, libri di pietà, vite di santi e opuscoli, ora considerati inerti, con
la fruizione di Menocchio lettore? In realtà le sue
posizioni non sono riconducibili a un testi, ma a una
tradizione orale antichissima, le sue idee di rinnovamento sociale, di
tolleranza religiosa, gli arrivano da remote tradizioni contadine. Ma allora si
parla di mentalità o di cultura? Parlare solo della prima metterebbe in secondo
piano la fortissima componente razionale del protagonista: l'argomento
importante è la connotazione interclassista della storia della mentalità. Infatti grazie alla nozione interclassista della mentalità
collettiva, i risultati di un'indagine
condotta sul sottilissimo strato della società francese composto da individui colti,
vengono estesi fino a coprire un intero secolo. Ma bisogna fare molta
attenzione perché
la generalizzazione ha condotto L. Febvre a scrivere
un libro sbagliato, nel quale l'indagine su un singolo individuo rivelava le
coordinate mentali di un'intera età. È necessario ora
fare un passaggio da interclassismo a classismo generico e uqindi
da mentalità collettiva a cultura popolare. Non vuol dire attribuire una
cultura omogenea a contadini e artigiani, ma semplicemente delimitare l'ambito
di ricerca. La Riforma
e l'invenzione della stampa resero possibile il caso di Menocchio.
Poté confrontare la tradizione orale con libri, e la Riforma gli diede coraggio
per comunicare le sue idee al prete del villaggio. Quello che porto la Controriforma
invece, fu principalmente la cancellazione della cultura popolare e Menocchio non poteva che finire bruciato. Possiamo però
certamente dire che nostro antenato. S'inserisce infatti
in una linea di sviluppo che prende sostanza dal desiderio di rinnovamento
della società, dalla tolleranza e dalla corrosione interna della religione, e che arriva fino ai giorni nostri. Quella
cultura è stata distrutta, ma non perduta.