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Il fascismo parmense nel 1925




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Il fascismo parmense nel 5


Il 10 gennaio 1925 usciva il «Corriere Emiliano», quotidiano che fu poi l'organo ufficiale del fascismo parmense, maturando in tal modo la definitiva rottura del fascismo con la «Gazzetta di Parma». La «Gazzetta di Parma», lo storico giornale liberale moderato della provincia, fu in parte sovvenzionata nel dopoguerra, per un certo periodo, da Luigi Lusignani e, dal punto di vista politico, seguì l'orientamento generale della classe dirigente liberale parmense. Aveva sostenuto la lista liberal-democratica, l'Unione per il Rinnovamento Nazionale, nelle elzioni del 1919 e appoggiato le alleanze dei liberali con i cattolici nelle elezioni amministrative del 1920, aveva spalleggiato il Blocco nazionale del

1921 e tenuto un atteggiamento filofascista negli anni successivi. Tuttavia, con la definitiva costituzione del Partito Liberale Italiano (Bologna, ottobre 1922) e con la formazione della sezione parmense del partito stesso l'anno successivo, il giornale cominciò a rimarcare la propria autonomia e a distanziarsi sempre di più dal fascismo, sino ad adottare il sottotitolo di «organo liberale» nel febbraio 1924. Pur mantenendo nel complesso buoni rapporti col fascismo, la traiettoria del giornale sembrava assumere una direzione che non poteva essere gradita né al fascismo, né al Lusignani. Tant'è che il fascismo parmense sentì la necessità di fondare un quotidiano molto più vicino alle sue posizioni, e appunto nel 1925 la «Gazzetta di Parma» condivise la definitiva rottura fra partito liberale e fascismo, cominciando anch'essa a subire la generale sorte della stampa antifascista o a-fascista: i sequestri, le sospensioni e così via sino a essere dichiarata, dalla federazione del PNF, un organo di stampa che i fascisti dovevano boicottare, assieme al «Piccolo».

Il vecchio giornale liberale sopravviverà poco alla morte del proprietario e direttore Gontrano Molossi, avvenuta nel dicembre 1927. Per lascito testamentario, il giornale fu conferito dal Molossi all'Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi di Guerra; due esponenti dell'ANMIG, Priamo Brunazzi e Leonida Fietta, due ex-repubblicani, il primo di orientamento antifascista e il secondo divenuto fascista, ressero l'incarico di direzione della

«Gazzetta di Parma» dal 1927 al 1928, sino a quando il PNF. ne acquisterà la testata,

fondendo il «Corriere Emiliano» col vecchio giornale, che userà inizialmente come sopratitolo del «Corriere Emiliano» e, dal 1937, come titolo di una pagina dedicata alle cronache cittadine, salvo ripristinare nell'ottobre 1941, in coincidenza con una visita di Mussolini a Parma, la vecchia e storica testata.

Una volta chiusa la «Gazzetta di Parma», col 1928 esisterà pertanto un solo giornale nella provincia, il «Corriere Emiliano», che nel 1926 era divenuto proprietà del PNF, e il fascismo realizzerà così anche un monopolio dell'informazione provinciale.



Nonostante la fondazione del «Corriere Emiliano», che per un certo periodo uscirà con il sottotitolo programmatico di «Parma Nuova», e nonostante la compattezza del fascismo nei confronti degli oppositori verso i quali furono esercitate le violenze che abbiamo riportato, la federazione fascista parmense conobbe ciò che può essere considerata la sua peggiore crisi.

La crisi fu originata dall'ingresso ufficiale, ad honorem, di Luigi Lusignani nel PNF, che entrò nel novembre 1924 assieme ad un gruppo di personalità di estrazione liberale fra cui l'avvocato Amedeo Passerini, già sindaco di Parma dal 1920 al 1923, e il professore universitario Camillo Gallenga.

Risulta pertanto opportuno spiegare, sia pure brevemente, chi fosse Luigi Lusignani (Roma 1877- Reggio Emilia 1927). Laureato in legge precocemente a vent'anni, e altrettanto precocemente professore universitario a ventisei, negli ultimi anni del XIX secolo fu fra i protagonisti della riscossa liberale nella provincia di Parma, che portò i moderati alla conquista dell'egemonia politica nella provincia fra il 1904 e il 1913. Proprietario terriero e intraprendente industriale, fu presidente dell'influente Associazione Agraria dal 1902 al

1906 e, consigliere della Cassa di Risparmio dal 1900 al 1906, nel 1906 ne fu il presidente. Divenne giolittiano, fra i primi a Parma e, all'inizio dell'ascesa di Giovanni Giolitti, fra i pochi liberali parmensi. Nel 1906, conquistò il Comune di Parma con un'alleanza fra liberali e cattolici e divenne sindaco di Parma a ventinove anni, sconfiggendo il "blocco popolare" capeggiato da Giovanni Mariotti che dal 1889 governava la città con qualche breve interruzione e inaugurando un'amministrazione sfarzosa e dinamica. Ma il 1909 rappresentò una svolta radicale nella vita di Lusignani: il crollo della sua fortuna fu rapido e veloce. Dimessosi da sindaco per candidarsi alle elezioni politiche, la sua amministrazione fu sottoposta a un'inchiesta amministrativa da cui uscirono rilievi di gravi irregolarità, ed emersero speculazioni urbanistiche più che discutibili. Abbandonato ed emarginato dalla classe dirigente liberale e cattolica, Lusignani fu costretto a migrare da Parma, rientrandovi di quando in quando per i molteplici processi che gli furono intentati o che egli mosse contro suoi ex-amici politici o d'affari, processi che rivelavano i suoi metodi spregiudicati: la corruzione, il ricatto, l'intimidazione e in taluni casi l'uso della violenza privata. Prima della guerra tentò a più riprese di riemergere, con scarsa fortuna, e il tentativo di rinascita personale sostanzialmente fallì. Partecipò in posizione marginale alla discussione sull'intervento, e durante la guerra, smobilitato in breve tempo, si dedicò invece a imprese d'affari e di speculazione, in particolare nella fornitura di legname all'esercito, realizzando consistenti guadagni. Fondò nel 1919 la Banca Popolare Agricola, assieme a uno spericolato affarista reggiano, Luigi Cuppini, e tentò di nuovo di riconquistare le posizioni perdute sul piano politico. Eletto consigliere provinciale nelle elezioni del 1920, divenne presidente del gruppo liberale nell'amministrazione provinciale e, col ritorno di Giolitti al potere, egli

rientrò in campo a pieno titolo, coordinando e finanziando il Blocco delle forze nazionali del nuovo collegio elettorale delle provincie dell'Emilia occidentale. Giolitti lo ricompensò appagando una sua antica ambizione e lo nobilitò con il titolo di conte.

Finanziatore del fascismo e di periodici fascisti e nazionalisti, come «L'Idea Nazionale» di Roma, nell'autunno del 1921 partì contro di lui la campagna morale del periodico socialista «L'Idea» che produsse una cause célèbre: il processo penale in cui l'antagonista principale di Lusignani fu il giovane avvocato Aurelio Candian che, insieme a Guido Albertelli e Renzo Provinciali, era ritenuto l'ispiratore della campagna del periodico. Il processo a più riprese, nei vari gradi di giudizio, durò dal 1921 al 1924 e appassionò non soltanto l'opinione pubblica parmense ma fu seguito attentamente dalla stampa nazionale.

Già nel 1921 Lusignani stava comunque riguadagnando la potenza che egli deteneva

nei primi anni del Novecento. All'inizio del 1922 si ebbe la sua iscrizione al PNF, a cui molti fascisti erano notoriamente contrari, ma poco dopo fu radiato in conseguenza dello sdegno morale suscitato dal fatto che, nelle giornate delle barricate parmensi nell'agosto

1922, avvennero gravi violenze nei confronti di coloro che lo avevano accusato oppure

avevano avuto una parte contro di lui durante il processo avverso Candian, il quale subì anche la distruzione dello studio professionale. In alcuni casi sembra certo che i fascisti protagonisti di tali fatti, perlopiù estranei a Parma, avessero come guida, nel rintracciare l'ubicazione degli obiettivi, degli uomini di fiducia di Lusignani. Nel 1922, Lusignani intrecciò anche un solido legame con Roberto Farinacci e il suo appoggio all'intransigentismo fascista perdurò sino alla destituzione di Farinacci da segretario del PNF nel 1926. Dopo la presa del potere da parte del fascismo, Lusignani riprese la sua marcia ascensionale. Nel 1923 fu fra i fondatori della loggia Quirico Filopanti, appartenente alla

massoneria di Piazza del Ges e, nel contempo, fra il 1923 e il 1924, l'opinione comune gli attribuiva la creazione di una squadra d'azione o quantomeno di una guardia del corpo

personale, che agiva con metodi violenti contro i suoi avversari personali e politici, antifascisti e fascisti.

I rapporti di Lusignani col fascismo furono tormentati: molti fascisti erano

violentemente contrari alla sua presenza e ancor più alla sua preminenza. Su Lusignani non incombeva soltanto la questione morale o le questioni morali pendenti su di lui: i suoi oppositori, essendo perlopiù uomini nuovi, non tolleravano nelle file del partito fascista l'ingombrante presenza di un giolittiano per antonomasia, che intendeva in qualche modo imporre la sua egemonia sul fascismo stesso o quantomeno determinarne e condizionarne le scelte. Per numerosi fascisti, la classe dirigente del PNF e dello Stato che Mussolini andava creando doveva formarsi con forze non compromesse con la detestata "Italietta" giolittiana né, in generale, con lo stato liberal-democratico. Ritenevano che nella nuova classe dirigente non vi fosse posto, dunque, né per Luigi Lusignani e le forze che si raggruppavano dietro il suo notabilato né per altri revenants della classe dirigente liberal-democratica, se non in posizioni subalterne e in funzioni subordinate.


La seconda iscrizione di Lusignani al PNF era all'ordine del giorno del fascismo parmense già da tempo. La dinamica del modo con cui fu iscritto, fra proteste e contrarietà di numerosi fascisti, non fu chiara. Sembra che, in un primo momento, il direttorio federale, avocando a sé la risoluzione, avesse deliberato la sospensione della decisione al riguardo. La commissione esecutiva, invece, contrariamente al voto del direttorio federale, autorizzò il direttorio del fascio di Parma a concedere la tessera e l'8 novembre 1924, il segretario federale Scaffardi propose al fascio cittadino di offrire la tessera al Lusignani, iscrivendolo ad honorem. Numerose riunioni del fascio urbano, tenutesi fra vivaci contrasti, non portarono a una conclusione. A quel punto Scaffardi ottenne dal direttorio nazionale del PNF la ratifica dell'iscrizione, che fu concessa in dicembre: contemporaneamente, vi fu un'inchiesta sulla situazione parmense di Claudio Coli Rossi e di Alessandro Melchiorri, membri del Direttorio Nazionale, direttorio che diedero anche una serie di istruzioni generiche alla federazione87.

Per protesta, il 14 novembre, Remo Ranieri , il più importante deputato fascista locale, rassegnò le sue dimissioni dal PNF e iniziò la rivolta di buona parte dei fasci rurali, capeggiata dal fascio di Borgo San Donnino, a cui si aggiunse una parte del fascio cittadino .

Per il prefetto:


Tale determinazione si attribuisce alla ammissione Fascio Parma del Conte Lusignani, deliberata da fascisti locali per iniziativa Segretario Federazione Fascista avv. Scaffardi, nonostante opposizione altri dirigenti fascisti e sicuro malcontento che avrebbe suscitato fra numerosi elementi contrari Lusignani. Provvedimento provoca proteste anche da parte fascisti alcune zone

provincia


Preceduta da un telegramma di Scaffardi a tutti i fasci in cui si minacciava l'espulsione a tutti coloro che avessero partecipato, il 20 novembre fu convocata dal fascio locale un'assemblea di rappresentanti di fasci dissidenti a Borgo San Donnino. Furono presenti una ventina di fasci, che approvarono un ordine del giorno:


L'assemblea dei Direttori dei Fasci in rappresentanza di cinquemila fascisti riunita il 0 novembre 4 in Borgo San Donnino allo scopo di esaminare la situazione politica creatasi nella provincia di Parma, ESPRIME con sdegno la più alta protesta contro qui Capi del Fascismo Provinciale, che dimostrando ogni giorno di più inettitudine, ambizione e leggerezza, in ispregio alla volontà della maggioranza dei Fascisti, con intrighi e basse manovre, hanno favorito l'accoglimento nella nostra gloriosa famiglia, di uno dei maggiori esponenti della vecchia classe dirigente, notoriamente Capo di una loggia massonica, persona discussa troppo e in vario senso, la cui presenza nel fascismo segnerà certamente l'inizio doloroso di lotte, odi e rancori, con grave

pregiudizio della disciplina e salvezza [sic] fascista



Alcuni fascisti che avevano partecipato al convegno, al rientro in città, inscenarono una dimostrazione in Piazza Garibaldi «ostile segretario federale avvocato Scaffardi con lancio manifestini e grida favore deputato Ranieri», avendo uno scambio d'invettive e d'insulti con Scaffardi, presente sul luogo .

Il 27 novembre i fasci ribelli si riunirono in città, nella sede del Gruppo corridoniano fascista, costituendo una federazione fascista autonoma, nominando segretario federale Remo Ranieri e un direttorio .

Sebbene Scaffardi cercasse di sminuire l'importanza del movimento dissidente (in un telegramma del 30 dicembre 1924 a Mussolini sostenne: «Notizia pubblicata giornali opposizione circa sorgere federazione dissidente completamente falsa. Notizia parte scopo intimidatorio esiguo gruppo espulsi fascismo. Fascisti provincia attendono frementi grande ora ), il movimento accrebbe ulteriormente i suoi consensi. L'11 gennaio 1925, l'importante fascio di Soragna determinò di costituirsi in fascio autonomo «per contrasti con la Federazione provinciale a seguito della iscrizione nel partito del Conte Lusignani . Fu dato mandato a Mario Mantovani, Mario Monguidi, Bruno Landini, Gino Compiani e Umberto Mazzoni di raccogliere le adesioni per la costituzione del fascio autonomo parmense . Il 19 gennaio 1925, centocinquanta aderenti del fascio cittadino si adunavano in città per fondare il fascio autonomo cittadino. Terminata la riunione, gli aderenti cercarono

di inscenare una manifestazione che si diresse verso piazza Garibaldi, ma furono affrontati dalla forza pubblica, che procedette a ventitré fermi, di cui uno trattenuto «per oltraggio e violenza forza pubblica . Si costituì un comitato provvisorio per la formazione del fascio autonomo di Parma; ad Alberto Pugolotti, «ex organizzatore della cessata Camera del Lavoro sindacale», fu affidato «l'incarico di attrarre nel Fascio autonomo il maggior numero di operai, avvalendosi dell'influenza che tuttora possiede nella classe operaia, specie

nell'Oltretorrente . Nel frattempo, la federazione autonoma cercò degli alleati fuori del

fascismo e si avviarono «trattative con gli ex combattenti della città e della provincia, per indurli ad aderire al movimento fascista autonomo ed ottenere, così, l'isolamento del fascismo ufficiale .

La Federazione Parmense dei Fasci Autonomi ebbe come periodico «L'Era nuova» di Borgo San Donnino e in essa si raccolsero numerosi avversari del Lusignani, oltre che figure rappresentative della corrente fascista moderata. Oltre a Ranieri, promotore della nuova federazione e nemico accanito del Lusignani (già nel settembre 1922 aveva telegrafato a Mussolini descrivendo il conte come un esponente del «peggiore arrivismo loschi interessi ), vi confluirono Luigi Mantovani, Comingio Valdrè e Giuseppe Compiani. Lo stesso segretario del Fascio di Parma, Luigi Passerini, diede le dimissioni

dalla carica, pur non aderendo ai fasci autonomi.

Col discorso di Mussolini del 3 gennaio e con la nomina di Farinacci a segretario del

partito, avvenuta nel febbraio 1925, gran parte del gruppo dei dissidenti rientrò, tuttavia, alla fine del mese e la secessione fin . Non rientrò invece Remo Ranieri che, dimessosi dal PNF nel novembre, ne era stato espulso poco dopo (sarà poi riammesso nel 1926) e annunciò la sua intenzione di ritornare a vita privata, abbandonando le cariche di partito e

amministrative ricoperte e dimettendosi poi anche da deputato, dimissioni che peraltro furono respinte dalla Camera.


Con Farinacci segretario nazionale del PNF, il 1925 fu l'anno dell'apogeo di Lusignani. In aprile, furono completate le nomine del consiglio di amministrazione della Cassa di Risparmio , commissariata da diversi anni, che segnarono l'occupazione totalitaria dell'istituto da parte del fascismo e dei fiancheggiatori: su dodici consiglieri, dieci erano fascisti, uno era liberale di destra e un altro apparteneva al Centro Nazionale cattolico. Lusignani entrò a sua volta come membro del consiglio di amministrazione; dopo pochi giorni, ne divenne presidente.

Era dunque presidente della più importante banca locale e inoltre proprietario e presidente della Banca Popolare Agricola, che alla prima doveva la propria esistenza e la propria sopravvivenza, essendo stata fondata grazie a un cospicuo prestito della Cassa di Risparmio, garantito da una cambiale ancora vigente; i maggiori esponenti del fascismo nazionale di passaggio a Parma, da Edmondo Rossoni a Roberto Farinacci, erano suoi ospiti nelle lussuose case di Borgo Antini o di Ozzano Taro e in ottobre riuscì a farsi ricevere anche da Benito Mussolini, in una ristretta delegazione del fascismo parmense in visita al Presidente del Consiglio. Era uno degli oratori ufficiali per le manifestazioni dell'anniversario della marcia su Roma e presiedeva le riunioni del Fascio di Parma; figli e parenti assumevano cariche di un qualche rilievo nel fascismo locale (il conte Peppino Lusignani divenne segretario dell'Avanguardia giovanile cittadina e Manfredo Lusignani fu nominato segretario dell'appena sorto fascio di Ozzano Taro). Divenne presidente del Comitato per le celebrazioni di Vittorio Bottego e la Cassa di Risparmio largheggiava in beneficenza verso istituzioni e iniziative fasciste introducendo, e fu forse la prima istituzione parmense ad adottarlo, l'obbligo del saluto romano da parte dei dipendenti.

Come scrisse, con qualche sarcasmo, Enea Grossi, un giovane già fascista della

"prima ora" e poi collaboratore della rivista di Piero Gobetti, «La Rivoluzione Liberale»:


il fascismo parmense ha ormai il suo duce, un duce che Piacenza, Cremona e Bologna possono con ragione invidiarle: Lusignani. . Lusignani non ha nulla da imparare dal mussolinismo e dal machiavellismo: nella sua vita turbinosa ha peccato solo nella fretta, rovinando tutti i partiti e i movimenti ai quali riusciva ad appoggiarsi: pare che dopo l'agosto 2 sia stato più cauto e se

al fascismo riesce a tenersi puntellato, ormai ha maggior probabilità di riuscire nei suoi scopi





Nel febbraio del 1925, il congresso del fascismo parmense abrogò la «pentarchia» e fu nominato a pieni effetti segretario generale Scaffardi: il congresso contemporaneamente nominò un direttorio composto quasi esclusivamente d'intransigenti e di personalità legate a Lusignani, che fu poi integrato da Farinacci con esponenti dei fasci autonomi, una volta rientrata la secessione.

Scaffardi, in un'intervista al «Popolo d'Italia», espresse apertamente la sua valutazione della realtà politica nel parmense:


Nella provincia di Parma, il Fascismo è estremista ed assertore della sua difesa integrale e della difesa dei diritti della Rivoluzione.[ ] Una ragione di debolezza del Fascismo parmense è data dal fatto che mentre la stragrande maggioranza della popolazione vive nell ombra delle organizzazioni politiche e sindacali, i gangli nervosi della provincia sono in mano ancora agli antifascisti.


In realtà, nel 1925 il dominio fascista nel potere locale era ormai integrale anche a Parma, nonostante il giudizio di Scaffardi che i «gangli nervosi» della provincia fossero ancora in mani antifasciste. Un convincimento che, con ogni probabilità, alludeva soprattutto all'Università e alla magistratura, giacché i comuni e in generale gli enti locali erano ormai quasi completamente nelle mani dei fascisti. Già nel 1922, i fascisti parmensi iniziarono ad avere un forte insediamento nelle amministrazioni locali. Molte amministrazioni comunali della pianura e della prima collina si erano dimesse in seguito alle violenze, in particolare dopo l'agosto del 1922, ed erano state commissariate dal prefetto, con commissari spesso vicini al fascismo se non dirigenti del PNF. Nell'ottobre 1922 furono quindi riconvocati i comizi elettorali per i comuni senza sindaco né giunta e i fascisti vinsero tutte le elezioni comunali che si tennero in oltre venti comuni sino ai primi del 1923: spesso conquistarono le maggioranze e le minoranze dei consigli comunali, presentandosi assieme agli altri "partiti nazionali" (popolari e liberali, peraltro in posizione subordinata) oppure con liste intransigenti e autonome o in taluni casi in alleanza con sezioni locali di combattenti appartenenti all'ANC, con l'Associazione Agraria ed altre associazioni economiche.


Naturalmente i fascisti beneficiarono della circostanza che quasi ovunque non furono presentate liste alternative dai partiti antifascisti, oltre al fatto che ormai controllavano capillarmente i piccoli comuni e potevano manipolare pressoché integralmente l'elettorato, sia con le pressioni violente sia con la costruzione del consenso: i sindaci eletti furono esclusivamente fascisti e non di rado si trattava dei segretari dei fasci locali.

Un così vasto potere locale (nell'ottobre del 1923 i fascisti governavano 31 comuni sui 51 della provincia ) portò alla costituzione della Federazione Parmense dei Comuni fascisti, che fu presieduta dall'avvocato Luigi Mantovani, sindaco di Langhirano, e che soppiantò velocemente l' associazione dei comuni preesistente.

Nel gennaio 1923 i fascisti chiesero le dimissioni dell'amministrazione provinciale, dopo che nel dicembre 1922 avevano ottenuto con l'intimidazione l'allontanamento dei consiglieri socialisti, e nel marzo, dimessisi sotto la spinta dei fascisti i consiglieri liberali e popolari, l'amministrazione fu commissariata dalla Commissione Reale per la Provincia, di cui fu presidente il viceprefetto Guido Podestà e membri il professor Ferruccio Griziotti e l'avvocato Luigi Passerini, entrambi per il PNF, l'ingegner Pilade Colla per i sindacati fascisti e il generale Carlo Nullo per i nazionalisti. Sembrava un commissariamento temporaneo, cui avrebbero dovuto seguire nuove elezioni, ma tale rimase sino all'istituzione della nuova forma di amministrazione provinciale stabilita dalla riforma delle leggi fasciste sugli enti locali, con la creazione dei presidi di nomina governativa al posto dei presidenti eletti dai consigli.

E anche durante il 1923 si dimisero numerose amministrazioni di vari comuni, fra cui

Parma, e arrivò di nuovo un commissario prefettizio, di solito iscritto al fascio o fra i fiancheggiatori del fascismo, che in diverse situazioni passò poi il governo del comune direttamente e senza soluzione di continuità al podestà: nel giugno si insediò nel comune di Parma il commissario prefettizio Giuseppe Rogges, che non nascondeva le sue simpatie filo- fasciste, a cui succedette nel dicembre 1926 il primo podestà della città, Mario Mantovani. Fra il 1924 e il 1925 vi fu inoltre uno stillicidio di elezioni amministrative comunali che furono quasi tutte vinte dai fascisti e quasi ovunque senza competitori, tranne qualche lista di combattenti: unica eccezione fu il comune di Traversetolo conquistato da una lista capeggiata da Ildebrando Cocconi, appunto composta da combattenti107.


Nel 1925, insomma, pressoché tutti i comuni erano dunque amministrati da giunte e sindaci fascisti e alcuni erano ancora commissariati, mentre il parlamento cominciava a discutere la nuova legge sui podestà, approvata nel febbraio 1926. L'amministrazione provinciale era governata da una commissione di fascisti e gli enti locali di secondo grado, a loro volta, erano anch'essi ormai quasi tutti presieduti da fascisti. Tipico il caso del Monte di Pietà, che si avviava a diventare cassa di risparmio, in cui nel 1924 era stato nominato un consiglio di amministrazione permeato dal fascismo, con presidente l'avvocato Cesare

Carrobbio e della Cassa di Risparmio, commissariata con un iscritto al PNF, il marchese

Lionello Paveri Fontana.

Durante il 1925, l'occupazione del potere locale si estese anche all'Università e in parte alla stessa magistratura.

L'azione contro le posizioni antifasciste nell'Università cominciò dal rettore, Agostino Berenini, verso il quale era in corso da mesi una violenta campagna giornalistica del fascismo affinché egli si dimettesse dalla carica che ricopriva dal 191 . Dal 1923, i fascisti parmensi avevano a più riprese avanzato l'accusa che l'autentico leader (palese o occulto poco importava) dell'antifascismo parmense fosse appunto Berenini: secondo i fascisti, egli deteneva le segrete fila dell'antifascismo parmense e, con accortezza ed abilità, riusciva persino ad insinuarsi all'interno del fascismo stesso, determinandone divisioni e contrasti e cercando di agevolare le correnti moderate e normalizzatrici. Pertanto, più volte

fecero campagne di stampa contro di lui, che raggiunsero il culmine nel 1925; per mesi, il

«Corriere Emiliano» portò attacchi nei suoi confronti, sino a quando egli si dimise nel

novembre del 1925. Gli successe un rettore gradito al fascismo, Camillo Gallenga, iscritto al partito.

Nei confronti della magistratura, nel luglio il consiglio federale del PNF chiese la rimozione e l'allontanamento del procuratore del re, Marco Bocconi, e del sostituto

procuratore del re, Giovanni Bernieri, colpevoli di aver consentito la prosecuzione dei lavori per la sistemazione dei nuovi locali del «Piccolo», già interrotti da un'ordinanza del pretore . Inoltre, il procuratore del re fu accusato di essere un aderente della massoneria giustinianea .

Il 23 ottobre, comunque, il fascismo parmense sembrò ottenere, nonostante le discordie serpeggianti fra le sue file che dopo poco esploderanno di nuovo fragorosamente, un importante successo d'immagine: la cerimonia d'inizio dei lavori per il monumento a Filippo Corridoni in Oltretorrente, cerimonia che ebbe protagonista Benito Mussolini .




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