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In Italia il fascismo trovò i suoi precursori, negli anni precedenti alla prima guerra mondiale, nel movimento artistico del decadentismo e nell'arditismo di Gabriele d'Annunzio e in numerosi altri pensatori ed azionisti politici nazionalisti che aderirono al partito fascista
Fu l'indiscutibile abilità di politico di Benito Mussolini, ex leader massimalista del Partito Socialista Italiano, convertito alla causa del nazionalismo e della Grande Guerra, a fondere la confusa congerie di idee, aspirazioni, frustrazioni degli ex combattenti reduci dalla dura esperienza della guerra di trincea, in un movimento politico che all'inizio ebbe una chiara ispirazione socialista e rivoluzionaria e che si contraddistinse fin da subito per la violenza dei metodi impiegati contro gli oppositori.
La crisi economica del dopoguerra, la disoccupazione e l'inflazione crescenti, la smobilitazione dell'esercito (che restituì alla vita civile migliaia di persone), i conflitti sociali e gli scioperi nelle fabbriche del nord, l'avanzata del partito socialista divenuto il primo partito alle elezioni del 1919, crearono, negli anni 1919-1922, le condizioni per un grave indebolimento delle strutture statali e per un crescente timore da parte dei ceti agrari e industriali di una rivoluzione comunista in Italia sul modello di quella in corso in Russia.
In questa situazione fluida, Mussolini colse l'occasione e, abbandonando rapidamente il programma socialista e repubblicano, si pose al servizio della causa antisocialista; le milizie fasciste, appoggiate dai ceti possidenti e da buona parte dell'apparato statale che vedeva in lui il restauratore dell'ordine, lanciarono una violenta offensiva contro i sindacati e i partiti di ispirazione socialista (ma anche cattolici), in particolar modo nel nord d'Italia (Emilia Romagna, Toscana in particolar modo), causando numerose vittime nella sostanziale indifferenza delle forze dell'ordine. Le violenze furono per la gran parte dei casi provocate dagli squadristi fascisti, che sempre più apertamente furono appoggiati da Dino Grandi, l'unico reale competitore di Mussolini per la leadership all'interno del partito, che nel congresso di Roma del 1921 si fece da parte e diede via libera al futuro Duce.
La violenza crebbe considerevolmente negli anni 1920-22 fino alla Marcia su Roma (28 ottobre 1922). Di fronte all'avanzata di milizie fasciste mal armate e guidate su Roma, il Re Vittorio Emanuele III di Savoia, preferendo evitare ogni spargimento di sangue decise di affidare l'incarico di Presidente del Consiglio a Mussolini, che in quel momento aveva in Parlamento non più di 22 deputati. Vittorio Emanuele mantenne sempre il controllo dell'esercito: se avesse voluto, avrebbe potuto senza problemi cacciare da Roma Mussolini e le forze fasciste, inferiori in tutto alle guarnigioni di stanza nella capitale; quindi non si può parlare, a rigor di termini, di colpo di stato in quanto Mussolini ottenne il governo legalmente, con un incarico (quantunque oggetto di molte e profonde critiche) del sovrano.
Da primo ministro, i primi anni di Mussolini (1922-1925) furono caratterizzati da un governo di coalizione, composto da nazionalisti, liberali e popolari, che non assunse fino al delitto Matteotti connotati dittatoriali. In politica interna Mussolini favorì la completa restaurazione dell'autorità statale, con l'inserimento dei fasci di combattimento nell'interno dell'esercito (fondazione nel gennaio 1923 della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale) e la progressiva identificazione del Partito in Stato. In politica economica e sociale vennero emanati provvedimenti che favorivano i ceti industriali e agrari (privatizzazioni, liberalizzazione degli affitti, smantellamento dei sindacati).
Nel luglio 1923 venne approvata una nuova legge elettorale maggioritaria, che assegnava due terzi dei seggi alla coalizione che avesse ottenuto almeno il 25% dei suffragi, regola puntualmente applicata nelle elezioni del 6 aprile 1924, nelle quali il "listone fascista" ottenne uno straordinario successo, agevolato anche dai brogli, dalle violenze e dalle intimidazioni contro gli oppositori.
L'assassinio del deputato socialista Giacomo Matteotti, che aveva chiesto l'annullamento delle elezioni pelle irregolarità commesse, provocò una momentanea crisi del governo Mussolini. La debole risposta delle opposizioni (secessione dell'Aventino), incapaci di trasformare il loro gesto in un'azione antifascista di massa, non fu sufficiente ad allontanare le classi dirigenti e la Monarchia da Mussolini che, il 3 gennaio 1925, ruppe gli indugi e, con un noto discorso nel quale assumeva su di sé l'intera responsabilità del delitto Matteotti e delle altre violenze squadriste, di fatto proclamò la dittatura, sopprimendo ogni residua libertà e completando l'identificazione assoluta del Partito Nazionale Fascista collo Stato.
Dal 1925 fino alla metà degli anni trenta il fascismo non conobbe che pochi ed isolati oppositori, molti dei quali pagarono con la vita, l'esilio, pene detentive o il confino il loro rifiuto del fascismo. La stragrande maggioranza degli italiani, anche quella vicina al partito popolare, trovò un modus vivendi colla nuova situazione, vedendo forse in Mussolini un baluardo contro il materialismo e il socialismo e soprattutto contro il disordine economico successivo alla guerra '15-18: da parte sua, il fascismo italiano non esercitò mai una grande opera di indottrinamento della popolazione come quella intrapresa dal nazismo in Germania, ma piuttosto, come il franchismo spagnolo, si limitò nella maggior parte dei casi ad esigere solo una partecipazione di facciata.
Tale situazione venne favorita dal riavvicinamento colla Chiesa Cattolica, che culminò nel Concordato dell'11 febbraio 1929, con cui si chiudeva l'annosa questione dei rapporti tra Stato e Chiesa aperta nel 1870 dalla breccia di Porta Pia e che restituiva al cattolicesimo il ruolo di religione di Stato.
L'affermazione del nazismo in Germania ed il successo di Hitler negli anni 1934-36, di fronte alla sostanziale inazione delle democrazie occidentali, convinsero Mussolini che vi fosse per l'Italia l'opportunità di espandere ulteriormente il suo prestigio e le sue conquiste territoriali, pur con un apparato industriale gracile e provato dalla crisi economica del 1929 e con un esercito arretrato e mal equipaggiato. Nel 1935 l'Italia invase con un pretesto l'Etiopia, che venne rapidamente conquistata (maggio 1936: proclamazione dell'Impero) pur con atrocità quali l'impiego di gas e stragi indiscriminate contro l'opposizione della popolazione locale.
Pochi mesi dopo l'Italia fascista si schierò coi franchisti nella guerra civile spagnola, inviando anche un corpo di spedizione di 20'000 uomini. Lungi dal rafforzare economicamente il paese, queste imprese indebolirono il consenso al regime gettando i primi semi del risentimento popolare, e in politica estera lo allontanarono da Francia e Inghilterra spingendolo ad allinearsi in maniera crescente colla Germania nazista (1936: Asse Roma-Berlino, 1937: Patto Anticomintern comprendente anche il Giappone; 1938: acquiescenza di Mussolini all'annessione dell'Austria; 1939: Patto d'Acciaio in funzione offensiva). Nel 1938 Mussolini fece promulgare dal Re le leggi razziali antisemite, che non avevano precedenti in Italia e che furono applicate senza entusiasmo. Nel marzo 1939, senza alcuna vera ragione, ordinò l'occupazione dell'Albania già saldamente nella sfera d'influenza italiana, ponendovi come governatore (viceré) il genero Galeazzo Ciano.
Nonostante le clausole del Patto d'Acciaio (assistenza automatica in caso di guerra), nel settembre 1939 Mussolini si dichiarò non belligerante, ma nel giugno 1940, contro la volontà di gran parte delle gerarchie fasciste, entrò in guerra contro Francia ed Inghilterra, fidando nella rapida vittoria tedesca. L'impreparazione dell'esercito e l'incapacità dei suoi comandanti condussero a terribili sconfitte su tutti i fronti : in Grecia (1940) e alla rapida perdita delle colonie dell'Africa Orientale (1941) e della Libia (1943), creando un indebolimento delle difese che aprì le porte all'invasione della Sicilia.
Il 25 luglio 1943 una manovra ordita da parte di alcuni importanti gerarchi (Grandi, Bottai e Ciano) con l'appoggio del Re, si tradusse in un famoso Ordine del giorno presentato al Gran Consiglio del Fascismo col quale si chiedeva al Re di riprendere il potere, e portò all'arresto di Mussolini e all'improvviso crollo del fascismo, che si dissolse tra il giubilo della popolazione; ma la caduta di Mussolini non preludeva alla conclusione della guerra, che si protrasse per alcune settimane nella crescente ambiguità del nuovo governo Badoglio. Con l'8 settembre iniziò l'ultima fase del fascismo, che ritornò alle sue origini repubblicane e socialisteggianti colla fondazione della Repubblica Sociale Italiana (RSI, detta anche Repubblica di Salò dalla località in cui ebbe sede), con a capo uno sfiduciato e ormai spento Mussolini. La RSI, ultimo governo fascista in Italia che governò sui territori settentrionali non ancora occupati dalle forze alleate, vide anche la partecipazione di alcuni effettivi dell'esercito, ormai sbandato, ed altri elementi non appartenenti al fascismo. L'adesione alla RSI, soprattutto nell'ottica di questi ultimi, fu un tentativo di riscattare qualcosa dell'onore italiano perduto l'8 settembre con l'improvviso cambio di alleanza a favore degli Alleati, fatto ritenuto vergognoso anche pelle modalità con cui avvenne e pel comportamento, ritenuto inqualificabile, tenuto dal maresciallo Badoglio, dal Re Vittorio Emanuele III e dallo stato maggiore dell'esercito italiano. Come la Repubblica di Vichy in Francia, anche quella di Salò fu sostanzialmente uno stato satellite della Germania Nazista, seppur con un minimo di autonomia in più dovuto alla stima che Hitler ancora nutriva per Mussolini, e le forze repubblichine furono soprattutto impegnate nel controllo del territorio e nella repressione dei movimenti partigiani. Il 25 aprile 1945 la liberazione del nord Italia e la fucilazione di Mussolini segnarono la fine della guerra e del fascismo in Italia.
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