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Il crollo delle certezze negli anni '20 del XX secolo




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Il crollo delle certezze negli anni '20 del XX secolo






Introduzione



Il primo dopoguerra può agevolmente esser definito come un periodo di vera e propria crisi delle certezze, dal momento che, come illustreremo in seguito, in questo periodo si ebbe la completa e definitiva dissoluzione di teorie che in vari campi avevano occupato pienamente la scena solo fino a pochi anni prima. Ma, più in generale, oltre che la caduta di singoli schemi che tradizionalmente erano stati legati alle varie branche di arte e scienza, si ebbe per la prima volta il crollo della fiducia verso la possibilità di riuscire ad attingere alla verità assoluta, e spesso persino il crollo della fiducia nell'esistenza stessa di una verità assoluta. Esamineremo ora caso per caso, in vari campi del sapere e nei lavori di vari artisti o scienziati, come questo processo si sia svolto, ed in che modo esso abbia influenzato la percezione che l'uomo moderno, indiscutibilmente figlio di questa epoca, ha del mondo.


Il contesto storico e culturale


Senz'altro il processo in analisi fu, se non del tutto causato, quantomeno agevolato ed accelerato dal contesto storico, che aveva appena visto concludersi una tragedia quale la Grande Guerra; l'orrore per questo avvenimento, ovviamente, colpì profondamente le menti e gli animi degli europei dell'epoca, per quanto, col senno di poi, possiamo notare come questo impatto non sia stato comunque sufficiente a stroncare sul nascere l'età dei totalitarismi ed il secondo conflitto mondiale. La fiducia nel progresso, che secondo i principi enunciati già nel XIX secolo dal Positivismo avrebbe dovuto condurre tutta l'umanità ad una condizione di felicità e benessere, incominciò a vacillare pesantemente. Del resto, come si sarebbe potuto credere che fosse valido un intero sistema di valori, tra i quali prevalente era un ottimismo che faceva intravedere un mondo nuovo e migliore, quando proprio quel sistema di valori aveva condotto ad un tremendo massacro su scala mondiale? Inoltre, non era stato il solo aspetto storico ad esercitare un ruolo consistente, ma anche quello economico, dal momento che la crisi apparve subito evidente e si manifestò soprattutto sotto forma di un'inflazione galoppante che riduceva considerevolmente il potere d'acquisto delle masse. In sostanza, lo stato liberale si trovava a vivere la crisi più profonda dalla propria nascita, una crisi che avrebbe condotto all'epoca dei totalitarismi; ma fu l'intero sistema di valori a cedere di schianto, dando così vita ad un crollo delle certezze che grande peso ebbe nella vita culturale dell'epoca.

Certo, non si può affermare che questa sfiducia non fosse già presente in precedenza, soprattutto nelle menti degli intellettuali, da sempre abituati a "tastare il polso" della società; ma, sostanzialmente, appare evidente che una simile concezione non potesse essere largamente diffusa negli strati popolari, e rimanesse pertanto unicamente appannaggio delle élites culturali. Al tempo stesso, la vicinanza della morte e la percezione della precarietà della esistenza umana avevano prodotto numerosi esiti diversi, quale ad esempio quello estremamente vitalistico di Ungaretti; in particolare, appaiono interessanti quelle ideologie, sicuramente ispirate in buona parte alla filosofia di Nietzche, che già sul finire del XIX secolo aveva lanciato un attacco senza precedenti al modo occidentale ed alle sue convinzioni, i quali si proponevano la completa dissoluzione delle strutture esistenti - soprattutto in campo artistico. In questo senso, sarà importante la lezione delle Avanguardie, in particolar modo su autori, come Joyce e Svevo, che, seppur a vario titolo, erano stati testimoni dell'avanzata di questi movimenti; sono appunto gli anni Venti, infatti, a segnare il grandioso sviluppo di due movimenti come il Dadaismo ed il Surrealismo, che avevano posizioni decisamente divergenti sulla possibilità di modificare l'assetto politico e sociale in modo da correggere quelle storture che erano emerse con il conflitto mondiale. Se, infatti, entrambe le Avanguardie in questione si posero apertamente in contrasto con il sistema di governo che aveva condotto a quel conflitto, la spaccatura si ebbe sulle soluzioni: da un lato i Dadaisti erano di tendenze principalmente anarchiche e pertanto ritenevano che l'unica possibile via d'uscita da quella situazione fosse l'abbattimento di qualunque tipo di governo e di autorità (e simili posizioni, ovviamente, non restarono estranee alla loro produzione letteraria); dall'altro, invece, i Surrealisti erano più propensi a sposare il progetto di una rivoluzione comunista sul modello russo. Entrambi, in ogni caso, trasferirono la propria volontà di dissoluzione politica in campo letterario, portando alla completa distruzione delle forme tradizionali, alla quale poi si ispireranno, appunto, i già citati Joyce e Svevo.

Decisivi furono anche i rivolgimenti della fisica, che in un meno di un trentennio vide comparire sulla scena teorie pronte a rivoluzionare per sempre il pensiero scientifico, quali la relatività e la spiegazione dell'effetto fotoelettrico (entrambi ad opera di Einstein nel 1905, quello che egli stesso definì il proprio annus mirabilis), ma anche i primi e fondamentali principi della meccanica quantistica e le prime ipotesi sulle strutture atomiche.

Ultimo, ma assolutamente di non minore importanza, fu l'influsso esercitato dalle teorie psicanalitiche di Freud, le quali, pur essendo state formulate in parte già nel periodo prebellico, si diffusero proprio in questo periodo, soprattutto grazie alle traduzioni[1]. Con esse, infatti, si pervenne finalmente all'intuizione secondo cui la psiche umana non è un corpo unico, ma un aggregato di funzioni diverse, ciascuna con le proprie specificità.

In conclusione, appare evidente come un simile periodo sia stato di grandissimo fermento all'interno di tutti i campi della cultura, e che in esso siano state gettate le basi della società moderna.


La crisi della fisica newtoniana: il principio d'indeterminazione di Heisenberg.


Ma anche un campo come la fisica, lettura attraverso gli strumenti della matematica del grande libro della Natura, come l'aveva considerata Galileo, ebbe un profondo mutamento che fece quasi gridare alla rivoluzione. La fisica newtoniana, già messa a durissima prova dagli studi che solo pochi anni prima aveva compiuto Einstein (la teoria della relatività generale era stata formulata nel 1915, e l'intera comunità scientifica era ancora alla ricerca di dati che potessero confermare quanto affermato dal fisico tedesco) e dalla teoria quantistica introdotta da Planck (1901), fu quasi annichilita dall'entrata in scena di un principio che sanciva l'impossibilità di determinare esattamente al tempo stesso posizione e velocità di un elettrone. Questa teoria, nota come "principio di indeterminazione di Heisenberg" dal nome del fisico che la formulò nel 1927, ebbe un'importanza cruciale sia nello sviluppo della meccanica quantistica, sia nell'immaginario comune: la nascita di un'incertezza così grande per la fisica era, infatti, una cosa del tutto nuova, ben lontana dalla "teoria dell'errore" che contempla sì piccole sfasature nelle misurazioni - ed anzi afferma che nessuna misura può considerarsi del tutto priva di errori -, ma presenta ancora come reale la possibilità di avvicinarsi, avvalendosi di mezzi sempre più precisi, ad un errore relativo arbitrariamente piccolo; con la teoria di Heisenberg, al contrario, non è più possibile superare una certa "barriera" di precisione, perché tentare di determinare ulteriormente una delle due variabili in gioco significherebbe rendere sempre maggiore l'errore nella misurazione dell'altra.

Heisenberg ideò un esperimento ideale per giungere alla formulazione di questo principio. Egli, infatti, immaginò di poter disporre di una camera in cui fosse precedentemente stato fatto il vuoto assoluto(per eliminare attriti che potessero falsare le osservazioni), di un "cannoncino" in grado di sparare un elettrone per volta, di una fonte luminosa capace di emettere radiazioni a qualsiasi frequenza d'onda (e quindi di qualsiasi energia) e di un microscopio in grado di osservare tutti i tipi di radiazione. Questa strumentazione, pur non esistendo in realtà neppure tuttora, non contraddice alcun fondamento della fisica. L'esperimento di Heisenberg ha le proprie fondamenta nell'idea secondo cui, per misurare la posizione e/o la velocità di un oggetto sia necessario vederlo - cosa alquanto intuitiva - e che per vederlo sia indispensabile colpirlo con della luce; ora, siccome Einstein aveva già dimostrato, portando a termine l'intuizione di Planck, che la luce viaggia in "pacchetti" ciascuno dei quali con , la minima quantità di luce con cui sarà possibile colpire questo elettrone sarà appunto un fotone, ovvero uno di questi "pacchetti". Immaginiamo quindi di colpire con il nostro fotone l'elettrone sparato dal cannoncino che - per la meccanica classica - delinea una traiettoria parabolica; dal momento che l'urto può essere considerato completamente elastico, se la radiazione luminosa che stiamo emettendo è ad alta frequenza e quindi, per la relazione su esposta, anche ad alta energia, la traiettoria dell'elettrone e la sua velocità ne saranno mutate, per quanto in quell'esatto momento saremo capaci di conoscere la posizione con precisione piuttosto elevata. Viceversa, se ipotizzassimo di utilizzare fotoni a bassa energia e quindi a bassa frequenza d'onda, avremmo che la velocità sarà influenzata quasi per nulla dall'impatto, e quindi potremmo conoscerla con buona precisione; ma per effetto della diffrazione, sul nostro microscopio avremo la posizione dell'elettrone piuttosto sfocata (ed anzi, sempre più sfocata quanto più diminuiremo la frequenza della luce). Pertanto, ecco dimostrato abbastanza empiricamente come, in ogni esperimento quantistico, sia impossibile determinare con precisione arbitraria la quantità di moto dell'elettrone e la sua posizione. Heisenberg giunse anche a stabilire l'espressione analitica dell'errore minimo, che scoprì essere , da cui consegue che . In effetti, il principio di indeterminazione dovrebbe essere applicato a tutta la fisica, ma non è difficile dimostrare come, a causa dell'estrema piccolezza di h(=6,6-34 ), questo effetto risulta impercettibile; in campo atomico invece, dove m è sensibilmente più ridotto e le dimensioni sono infinitamente più piccole, questo effetto inizia ad avere un peso molto considerevole.

L'influsso che una simile teoria fisica ebbe fu evidente; e se in molti artisti questo ascendente fu nascosto e celato, altri lo esibirono abbastanza apertamente, facendone un vero e proprio simbolo del crollo delle certezze che colpì l'intera cultura dell'epoca.


La dissoluzione del romanzo tradizionale: due esempi.


La nuova fisica nel "caos" del Finnegans Wake.


Il Finnegans Wake, un romanzo scritto da James Joyce negli anni dal 1922 al 1939 e pubblicato a puntate sulla rivista letteraria Transition a partire dal 1924 (ma solo per pochi mesi, in seguito infatti intervenne la censura che sempre aveva colpito le opere dell'autore irlandese), rappresenta forse l'esempio più lampante della dissoluzione di un romanzo. Viene meno, infatti, qualunque trama, dal momento che l'azione rappresentata è, nelle intenzioni dell'autore, il succedersi dei sogni durante l'arco temporale di una notte; gli episodi, pertanto, sono talmente slegati da rendere davvero complessa l'interpretazione complessiva dell'opera. Al tempo stesso, una tale cripticità della trama porta con sé un'incredibile varietà linguistica: in tutta l'opera, infatti, sono state individuati vocaboli provenienti da oltre 40 lingue diverse; inoltre, appaiono in enorme quantità giochi di parole e deformazioni di lemmi inglesi o stranieri, il tutto all'interno di una struttura sintattica resa estremamente complessa dall'"abolizione" della punteggiatura e dalla sovversione del tradizionale ordine delle parti del discorso. Un ulteriore ostacolo, poi, posto al lettore nel suo già arduo tentativo di comprensione è senza dubbio il carattere simbolico di tutti i lavori di Joyce, come evidenzia anche la poetica delle epifanie che si era affermata già nel Ritratto dell'artista da giovane. Appare evidente, dunque, come questo romanzo possa essere chiamato a rappresentare gli esiti più avanzati del movimento avanguardista, dal momento che esso realizza la vera e propria dissoluzione della forma letteraria del romanzo. Come non è difficile immaginare, molti critici ed intellettuali dell'epoca non apprezzarono un simile lavoro: l'autore di Lolita Vladimir Nabokov, ad esempio, pur essendo stato un grande ammiratore dell'Ulisse joyciano, ribattezzò il Finnegans Wake "Punnigans wake", con riferimento alla parola inglese pun che indica i giochi di parole. Ma anche al giorno d'oggi l'oscurità del tema non riscuote grande consenso, al punto che il romanziere inglese Martin Amis ha definito l'ultimo romanzo di Joyce come "una definizione da cruciverba lunga 600 pagine, la cui soluzione è il".

Al di là delle numerose critiche mosse a Joyce, è in ogni caso innegabile che, specialmente in un'opera di questo tipo, creata a partire dalla giustapposizione di episodi molto diversi tra loro, sia possibile ricercare spunti nei campi più disparati. Interessante è la ricerca delle allusioni a quel crollo della fisica classica al quale abbiamo accennato anche nel capitolo precedente. Esso viene rappresentato in numerosi punti del romanzo con la caduta della mela che, secondo la leggenda, avrebbe suggerito a Newton la teoria della gravitazione universale; questo simbolo, comunque, ha sempre anche un secondo significato: infatti, la mela allude al Paradiso terrestre ed all'episodio che ne comportò la cacciata dell'Uomo. Ad esempio, quando nel paragrafo 20 lo scrittore irlandese fa dire al protagonista HCE "For then was the age when hoops ran high, of a pomme full grave and a fammy of levity. (.) newt" , senz'altro si riferisce all'allontanamento dell'uomo dall'Eden, ma al tempo stesso intende alludere, anche con l'accenno a quel "newt" (che letteralmente vuol dire "geco, ma in realtà sembra un tipico gioco di parole joyciano per indicare Newton), alla nuova rivoluzione che è in corso nel mondo scientifico. Ancora più chiaro è uno spezzone di discorso tratto dal paragrafo 505: dapprima, infatti, si ha la frase "Let's hear what science has to say, pundit-the-next-best-king. Splanck!" , in cui è evidentissimo il richiamo a quel Planck che aveva formulato la meccanica quantistica, ma con un nome chiaramente deformato, quasi a riprodurre il suono della caduta della mela e della scienza classica; la risposta, immediatamente successiva, è "Upfellbowm", un nonsense che però ha lo stesso suono del tedesco Apfelbaum, ovvero "melo", ed al tempo stesso richiama con l'infisso fell l'idea della caduta. Si potrebbe, dunque, ipotizzare, che il Paradiso perso dall'umanità intera sia quello di un mondo che la scienza possa perfettamente spiegare, e che invece è entrato in crisi con le nuove teorie fisiche che introducono anche in quel mondo, che fino ad allora era stato il regno della precisione e dell'esattezza, un'incertezza ed un'indeterminazione mai sperimentate prima. Del resto, anche alcuni critici, come Debenedetti, hanno voluto ricercare nell'esplosione delle forme e delle strutture del romanzo che si ha nelle opere di Joyce come un effetto delle nuove teorie fisiche: i personaggi, infatti "si dissolvono in una miriade di corpuscoli" ed i narratori, "nella narrativa come nella fisica, (.) hanno rotto il gioco del racconto consequenziale, azionato da meccanismi di causa-effetto, e sono sempre più disposti ad ammettere le leggi di probabilità, a cui la fisica delle particelle è giunta nel capitolo della meccanica quantistica" (e, aggiungeremmo noi, proprio con Heisenberg).


La scomparsa della verità oggettiva in "La coscienza di Zeno"


Già dalla premessa del suo romanzo principale, Svevo afferma evidentemente il crollo di qualunque tipo di verità assoluta ed incontestabile: la lettera del dottor S., infatti, dichiara apertamente come il manoscritto con cui il lettore si appresta a confrontarsi sia in realtà un misto di verità e menzogna. Il racconto fatto da Zeno, dunque, di vari episodi significativi della propria vita è composto da questi due elementi, che appaiono del tutto indistricabili: non si può, infatti, espungere gli elementi falsi da quelli veritieri, perché la narrazione viene condotta dall'interno di un personaggio che, soffrendo di una forma di nevrosi, non può essere per nulla oggettivo sugli oggetti della propria "malattia". L'ottica di Zeno è, in realtà, l'unica ottica presentata al lettore; e la scoperta della realtà dei fatti rimane una chimera. Svevo mostra così il punto d'arrivo del proprio percorso di allontanamento dal positivismo, in quanto rifiuta la possibilità di conoscere la realtà in modo assolutamente univoco, per avvicinarsi ai "maestri del sospetto" della cultura occidentale, quali Marx, Nietzche e Freud, e a Schopenauer, che dell'approccio critico alla realtà di questi pensatori era stato il precursore. Ma anche questo accostamento di Svevo ad alcuni filosofi non deve far pensare ad una completa adesione: in molti casi, infatti, si assisterà soltanto alla ripresa di alcuni concetti in una prospettiva prevalentemente conoscitiva, piuttosto che risolutiva. Ne è un esempio la critica al marxismo mossa con l'apologo "La tribù", oppure il rifiuto della noluntas schopenhaueriana come soluzione al dolore universale.

Anche la psicanalisi, fulcro di tutto il romanzo non solo in quanto suo argomento, ma soprattutto, come afferma il critico Saccone, in quanto "è inscritta programmaticamente nel progetto sveviano (.) e perciò imponeva l'uso di categorie interpretative che la psicoanalisi stessa ha interpretato"[5], è affrontata con spirito estremamente critico. Svevo, infatti, non la intende come un'efficace terapia medica (influenzato in questo anche dalla propria esperienza biografica: il proprio cognato, in cura presso lo stesso Freud, non era riuscito a risolvere i propri problemi ed aveva finito per suicidarsi), e neppure come un'efficace ideologia che possa descrivere l'intero sistema sociale; preferisce, invece, limitarsi ad intenderla come uno strumento conoscitivo, attraverso il quale è possibile, almeno in parte, cercare quei barlumi di verità che ancora risulta possibile recuperare. È infatti il caso degli innumerevoli segnali che Svevo dissemina tra le pieghe delle pagine redatte da Zeno; un esempio lampante ne è il lapsus in occasione del funerale del cognato. Questo episodio, infatti, ben lungi dall'essere una sbadata dimenticanza come invece vorrebbe farci credere lo Zeno auctor, è in realtà l'emblema di quanta antipatia il protagonista nutra, per quanto segretamente, per Guido, il quale peraltro ricorda gli antagonisti già presenti negli altri romanzi di Svevo, quali per esempio lo Stefano Balli di Senilità oppure il Macario di Una vita. L'importanza data alla psicanalisi ha portato un altro critico, Mario Lavagetto, a vedere l'intero romanzo come una sorta di "compendio" della Psicopatologia della vita quotidiana, e proprio l'episodio del funerale scambiato è la base di una tale interpretazione. Appare dunque assolutamente necessario anche per la comprensione del romanzo, oltre che per inquadrare l'intero periodo storico, esaminare il pensiero freudiano.


La rivoluzione psicoanalitica: il crollo dell'unità dell'Io.


Abbiamo già detto che l'impatto di Freud sul contesto culturale degli anni Venti fu incredibile, al punto di poter essere considerato una vera e propria "rivoluzione". Molto spesso, però, si erra nel comprendere cosa Freud abbia rivoluzionato: è infatti comune credere che egli abbia del tutto negato la razionalità della psiche umana, affermandone al contrario l'indipendenza da ogni e qualsiasi principio logico. In realtà, questo errore risulta anche piuttosto grossolano, dal momento che lo stesso medico austriaco si propone di studiare proprio con mezzi razionali anche i lati più oscuri della psiche. Semmai, è possibile affermare che Freud noti come non tutta la psiche umana obbedisca alle leggi che regolano la sfera conscia, e che piuttosto esistano funzioni che seguono tutt'altra logica; ma il loro funzionamento è comunque improntato ad una certa logica, per quanto essa sia diversa da quella conscia, e pertanto alla ragione è possibile indagare questi sistemi "nascosti" attraverso questa logica. Ecco dunque la vera rivoluzione operata da Freud, ovvero quella di rifiutare una concezione ormai millenaria che vedeva l'Io umano come un principio assolutamente unitario, che obbedisse in toto alle leggi che regolano il funzionamento della sua parte cosciente. Un simile sconvolgimento è chiaramente evidente nella formazione delle cosiddette "topiche", in cui viene analizzata la struttura dei sistemi che compongono l'unità complessa della psiche; questi sistemi sono mostrati come se fossero dei veri e propri luoghi psichici- ed ecco dunque spiegato il nome "topica".

La prima topica divide l'Io in tre ambiti, a seconda del grado di coscienza con cui sono elaborati i pensieri in ciascuno di essi: si ha dunque il Conscio, quindi la sfera preconscia, in cui esistono ricordi che sono momentaneamente inconsci ma che con un adeguato lavoro possono emergere e farsi consci, e l'Inconscio vero e proprio, in cui si trovano come "affastellati" gli episodi della vita del soggetto che hanno subito un processo di rimozione per il proprio carattere sconvolgente. Generalmente, il preconscio è costituito da manifestazioni simboliche del materiale inconscio, che così riesce a riemergere, ma in modo non eccessivamente perturbante per l'equilibrio psichico del soggetto. Dal 1920 in poi, e quindi proprio nel periodo di cui ci stiamo occupando, Freud elabora la seconda topica, in cui vengono individuate tre istanze psichiche, ognuna delle quali con proprie specifiche caratteristiche: l'Es, la forza pulsionale che risponde unicamente al principio di piacere; il SuperEgo, che consiste di tutte le imposizioni morali derivanti dal mondo esterno, e l'Ego, entità chiamata a mediare tra queste due posizioni contrapposte. Proprio dall'attività mediativa dell'Ego e dai suoi insuccessi possono nascere i sintomi nevrotici e gli scompensi della personalità.

Un altro aspetto sconvolgente per i contemporanei di Freud fu la teorizzazione della sessualità infantile. Il passaggio, infatti, del bambino da individuo assolutamente puro e slegato da qualsiasi pulsione sessuale ad "essere perverso polimorfo" fu scioccante per gran parte dell'opinione pubblica del tempo, ed attirò al medico austriaco non poche critiche. Forse l'aspetto più conosciuto di questa teoria è il cosiddetto "complesso di Edipo", ovvero un sentimento d'amore che il bambino prova durante la cosiddetta "fase fallica" verso la madre, e che lo porta ad odiare il padre ed a cercare un confronto con esso. È questo il periodo in cui si manifesta il "fantasma di castrazione", in cui il bambino ha sogni ricorrenti di essere inseguito da una figura maschile (rappresentante il padre) che brandisce armi allungate, a simboleggiare il pene. Tendenzialmente, comunque, questa fase della vita del bambino si conclude con l'accettazione da parte del bambino dell'impossibilità di possedere la madre, e quindi con il riconoscimento dell'autorità del padre; si verifica quindi una certa identificazione del bambino proprio nella figura paterna. Freud fece riferimento per denominare questo complesso all'Edipo della tragedia greca; ma, come vedremo nel capitolo seguente, non tutti i filologi sono stati d'accordo con questa denominazione.


L'Edipo senza complessi


La vicenda di Edipo è stata quindi alla base di un considerevole dibattito filologico e critico; infatti, è corretto affermare che Edipo soffrisse del complesso che proprio da lui ha preso il nome? Freud aveva creduto di trovare una giustificazione anche testuale alla propria interpretazione, dal momento che nei versi 981-982 Giocasta afferma che "anche nei sogni già molti mortali giacquero con la madre", quasi che l'intera tragedia sofoclea si rifacesse ad una sorta di "bagaglio onirico collettivo" che, proprio per la definizione di sogno come mezzo privilegiato per poter indagare l'inconscio, dimostrerebbe l'esistenza in molti casi di un simile complesso. La teoria risulta affascinante; ma non è inverosimile credere che invece con quella frase Sofocle alludesse ad episodi quale quello di Ippia che, scacciato da Atene, aveva sognato di possedere la madre, un episodio interpretato da Erodoto come premonizione del suo ritorno in patria alla testa dell'esercito (possedere la madre, dunque, come simbolo del ritornare in possesso della propria terra). Ma la risposta degli studiosi di letteratura greca è stata decisamente più articolata: in molti, infatti, si sono adoperati per dimostrare, attraverso una dettagliata analisi dell'opera, come esistano numerose conferme testuali alla teoria di un "Edipo senza complessi".

Le evidenze della trama non lasciano scampo alcuno all'idea di un Edipo che soffrisse del complesso che da lui ha preso il nome; dapprima, infatti, è necessario considerare che il personaggio sofocleo viene sin da pochissimo dopo la nascita allontanato dai genitori naturali. Se quindi il complesso, così come definito da Freud, si manifesta intorno ai 5-6 anni e risente perciò di un tempo abbastanza lungo di "incubazione", risulta impossibile che Edipo possa aver sviluppato simili sentimenti verso i genitori naturali, dal momento che gli mancava la stessa "materia prima", ovvero il rapporto con gli stessi genitori. Inoltre Edipo, pur essendo cresciuto da dei genitori adottivi sin dalla tenera età, non dimostra alcun tipo di complesso "edipico" neppure nei loro confronti -è anzi proprio per non uccidere il padre e non congiungersi con la madre che egli si allontana dalla casa di Polibo e Merope, andando però, come sempre accade nelle tragedie, incontro al proprio destino con velocità crescente. Infine, quando Edipo uccide Laio e poi, dopo aver risolto l'enigma della Sfinge, sposa Giocasta, in realtà lo fa ignorando perfettamente di uccidere il proprio padre e di sposare la propria madre; come ha recentemente scritto un critico, Guido Paduano, i desideri di Edipo "sono per eccellenza consci e non inconsci, adulti e non infantili: nel loro insieme, costituiscono un'immagine di sé basata sui valori del potere e della razionalità". Sono infatti queste due le "molle" più forti del comportamento di Edipo, la cui ύβρις consiste proprio nel voler imporre il potere della razionalità anche sulla forza del fato, come mostra il dialogo con Tiresia. Edipo appare certamente come un tiranno, un re dispotico e pronto a tutto pur di affermare la propria autorità, e però al tempo stesso diventa il contaminatore involontario della propria città che si insegue da solo; paradossalmente, per sfuggire all'oracolo che lo vorrebbe assassino del padre e marito della madre, si lancia a velocità doppia nelle fauci del destino da cui cerca inutilmente di fuggire.

Appare dunque evidente che la definizione del desiderio di possedere la madre e del conseguente odio verso il padre sotto il nome di "complesso di Edipo" risulta erronea, ovviamente senza nulla togliere alla validità psicologica del fenomeno studiato de Freud. In poche parole, risulta infelice il nome dato ad un complesso che però, di per sé, esiste.


Il crollo del sistema di valori nell'arte: la Nuova Oggettività.


Il crollo di quei valori esaminato finora ebbe i propri effetti anche nel campo artistico. In Germania, ad esempio, si affermò il movimento detto "Nuova Oggettività", che sottopose a pesante critica l'ideologia piccolo-borghese che era stata alla base della Grande Guerra; la sua fioritura si ebbe nel periodo della Repubblica di Weimar, e proprio a quel contesto storico si rifaceva il suo programma artistico. Infatti, in polemica con l'Espressionismo, il movimento della Nuova Oggettività si proponeva, come si evince già dal nome, un ritorno ad un'arte che descrivesse la realtà anche nei suoi aspetti più crudi; certamente la Germania dell'epoca forniva uno scenario "privilegiato" in questo senso, dal momento che certo non mancavano problematiche sociali quali quella dei reduci, che non a caso popolano i quadri di Otto Mix. La visione è estremamente acuta, ironica e disincantata, volta spesso a mettere in evidenza le contraddizioni di quel sistema o a criticarne, in chiave spesso satirica, le strutture di potere; l'arte si fa arma per colpire la società corrotta, specchio per mostrarne i vizi. Questo intento realistico non deve però farci immaginare ad un ritorno ai classici stilemi del Realismo, quelli adoperati da Courbet per intenderci: a livello formale, infatti, questo movimento impiega figure di chiara derivazione espressionista, connotate quasi parossisticamente, fino a spingersi talvolta nel campo della caricatura. Il dinamismo plastico futurista e le aberrazioni prospettiche espressioniste vengono però finalizzate alla diffusione del nuovo messaggio.

Un'opera come Pragerstrasse (Otto Dix, olio su tela, 1920) evidenzia quanto già detto: oltre alla figura del reduce mutilato in primo piano, aspra critica al militarismo ed all'interventismo che aveva caratterizzato le cosiddette Avanguardie Storiche, sullo sfondo si notano un negozio di protesi e moncherini, emblema dello sfruttamento del dolore delle classi popolari messo in atto dai "pescecani di guerra", affiancato ad una boutique di moda, a simboleggiare il perbenismo ed il disinteresse della società borghese. Ma al tempo stesso è raffigurato anche un uomo di evidenti simpatie antisemite (il giornale che ha sotto il braccio mostra chiaramente il titolo Juden Raus) e con una spilla sul bavero della giacca che ricorda molto da vicino una svastica , e sulla destra si riesce ad intravedere una signora dell'alta società che appare per nulla interessata al mendicante. In sostanza, Pragerstrasse è un vero e proprio spaccato realistico della società tedesca dell'epoca, e nasce dall'ambizione degli artisti della Nuova Oggettività di poter causare una "rivoluzione dello spirito" che sapesse rigenerare la società dell'epoca. La stessa idea è alla base dell'opera di Grosz Le colonne della società, in cui però a venire raffigurati sono i presunti detentori del potere. Ecco quindi comparire, ancora una volta con caratteristiche caricaturali che rispecchiano il vecchio topos per cui al moralmente turpe corrisponde anche il fisicamente brutto, un nazista con spada in una mano e boccale di birra nell'altra, un giornalista con un pitale rovesciato in testa, un socialista riformista criticato neppure troppo velatamente dal massimalista Grosz ponendogli sul capo dello sterco fumante, un giudice grasso e rubizzo, quasi ad evidenziarne la corruzione; sullo sfondo, poi, dei militari in assetto di guerra. In sostanza, Le colonne della società ambisce ad essere, su un piano allegorico, quello che Pragerstrasse è invece su un piano più realistico.


Un Universo non più statico: l'intuizione di Friedmann.


Gli anni dal 1915 al 1929 possono essere considerati il periodo di nascita della cosmologia moderna: nel 1915, infatti, Einstein elaborò la teoria della relatività generale, e nel 1929 Hubble giunse a determinare la continua espansione dell'Universo. Un aspetto interessante su cui concentrarsi è quello delle ipotesi sul "destino" dell'Universo elaborate proprio in quegli anni, in particolare su quella avanzata dal matematico russo Alexander Friedmann. Dall'applicazione della relatività generale al calcolo dell'espansione dinamica dell'Universo, infatti, Einstein ricavò che, prendendo per vero il cosiddetto "principio cosmologico", esso sarebbe stato destinato ad una progressiva contrazione che avrebbe originato un collasso. Ora, ad Einstein si deve riconoscere il merito di aver completamente rivoluzionato la fisica, e di aver mostrato un grande coraggio in questo; ma certamente in questo ambito, come ebbe a riconoscere egli stesso, prese "una cantonata". Dal momento che, infatti, all'epoca era opinione diffusa l'esistenza di un Universo statico ed "eterno", Einstein introdusse nelle equazioni che predicevano il collasso una costante, detta "costante cosmologica", il cui valore doveva corrispondere esattamente a quello necessario per bilanciare il risultato: altrimenti ci si sarebbe trovati dinanzi ad un Universo in movimento, fosse esso di espansione o di contrazione.

Nel 1922 Friedmann, un giovane matematico russo, iniziò a lavorare sulle equazioni di Einstein; le soluzioni che ne trovò furono decisamente sconvolgenti. Egli, infatti, si trovò di fronte allo stesso problema che Einstein aveva risolto con l'introduzione della costante cosmologica, ma lo affrontò in modo del tutto nuovo. Ottenne, quindi, che la soluzione di Einstein era soltanto una delle soluzioni possibili, mentre ne esistevano almeno altre tre completamente diverse (il tutto dipendeva dal parametro di densità Ω0, ovvero il rapporto tra densità media dell'Universo, misurata per comodità nel momento presente, e densità critica, che risulta proporzionale al quadrato della costante di Hubble):

se Ω0<1, la densità risulta minore di quella critica: l'espansione non potrà essere rallentata dal campo gravitazionale e pertanto l'Universo potrà proseguire la propria corsa verso l'espansione a velocità costante ("Universo aperto").

nel caso limite in cui Ω0=1, la densità dell'Universo è esattamente uguale a quella critica e l'espansione proseguirà, rallentata sì dal campo gravitazionale, ma impossibile da invertire. Ecco così emergere il modello dell'"Universo piatto".

se Ω0>1, la densità dell'Universo è maggiore della densità critica, e pertanto la forza gravitazionale tende ad incurvare lo spazio su sé stesso, rendendolo così descrivibile con la geometria non euclidea detta della "sella"; questo processo di curvatura culminerà prima o poi, all'aumentare della forza gravitazionale, con il cosiddetto "big crunch" (ipotesi dell'Universo chiuso).

Appena vide pubblicato il lavoro di Friedmann, Einstein lo bollò come un'"assurdità", e credette persino di poterne smentire i calcoli; ma, dopo numerosi anni, la comunità scientifica dovette accorgersi che era stato Friedmann, con la sua ipotesi di un Universo in movimento, a cogliere la verità.







Conclusione


Come si è dimostrato, il crollo delle certezze non rimase estraneo ad alcun campo. Ma, come accade in ogni situazione ed in ogni contesto in cui le concezioni precedenti vengono demolite, negli anni '20 si assistette alla nascita di idee che avrebbero avuto un ruolo fondamentale negli anni a seguire. Come disse nel XVIII sec. il poeta inglese William Blake, "Senza contrari non c'è progresso"; ebbene, senza quella crisi di valori non si sarebbe avuta la società odierna.





Bibliografia


Oltre ai testi citati in nota, è stata utile anche la consultazione di:


Libri di testo

AA. VV., Surrealism, The reprieve, in https://www.unc.edu

G. Gamow, Trent'anni che sconvolsero la fisica.

A. Duszenko, The Joyce of Science: new Physics in Finnegans Wake,  in https://duszenko.northern.edu

Vari siti internet sulle ipotesi cosmologiche



Due soli episodi a titolo esemplificativo: la traduzione in lingua francese dell'"Interpretazione dei sogni" fu pubblicata nel 1923; il primo psicanalista italiano associatosi alla freudiana International Psychoanalytical Association fu il triestino Weiss (e la sua provenienza geografica offre un consistente spunto per l'analisi del contesto culturale di Svevo), che nel 1925 fondò la Società psicanalitica italiana.

"Da allora vi fu l'era in cui volavano alto le speranze, di una mela completamente grave e di una donna leggera(.)"

"Sentiamo cos'ha da dire la scienza, santone-nuovo-grande-re. Splanck!"

da G. Debenedetti, Commemorazione provvisoria del personaggio-uomo, in Personaggi e destino, La metamorfosi del romanzo contemporaneo, a cura di F. Brioschi, ed. Il Saggiatore

da E. Saccone, Commento a Zeno, ed. Il Mulino.

È pur vero che il Partito Nazionalsocialista dei Lavoratori assunse la svastica come proprio emblema soltanto nel 1921, e quindi in un momento successivo alla realizzazione di quest'opera; ma il simbolo era già in uso presso formazioni antisemite e di estrema destra, quale la confraternita Osthara fondata dal monaco Adolf Lanz nel 1900.

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