IL CONGRESSO DI VIENNA MIRA A RESTAURARE L'ORDINE PRERIVOLUZIONARIO,
CONTEMPERANDO IL PRINCIPIO DI LEGITTIMITA' COL PRINCIPIO DELL'EQUILIBRIO TRA LE
GRANDI POTENZE.
Dal Novembre 1814 al giugno 1815, alla fine dell'epopea
napoleonica, i rappresentanti dei principali stati europei si riunirono a
Vienna per ristabilire l'ordine nel continente dopo 20 anni di conflitti. Il Congresso di Vienna fu diretto dalle
quattro potenze vincitrici, Inghilterra, Russia, Austria e Prussia, che non si
limitarono a ripristinare l'ordine antecedente allo sconvolgimento napoleonico,
ma si ricollegarono a problemi ben più remoti, affrontati già nel corso del
XVIII secolo. Da un lato vi era l'Inghilterra, che non voleva che l'egemonia di
tutto il continente si concentrasse in un unico stato, dall'altro l'Austria e
la Francia borbonica di Luigi XVIII si contendevano la supremazia su Germania e
Italia. I problemi in questione non avrebbero mai potuto essere risolti se la
Francia continuava ad essere penalizzata; un'intelligente soluzione fu quella
proposta dal ministro francese Talleyrand, interprete del principio di legittimità,
secondo il quale occorreva restaurare gli antichi governanti sui troni usurpati
dalle vicende rivoluzionarie e napoleoniche, senza escludere dal progetto la dinastia
borbonica francese, presentata appunto come legittima depositaria del
potere, perduto in seguito agli
eventi sopra citati. La proposta fu
accolta favorevolmente dall'austriaco principe di Metternich, venivano quindi
riallacciati i rapporti politici con la nazione ritenuta colpevole della conflagrazione europea e si ristabiliva un
moderato equilibrio. Con i due trattati di Parigi vennero confermati i confini
francesi del 1791, eccetto la Savoia; la Francia doveva mantenere inoltre a proprie spese le truppe straniere
rimaste sul posto e si impegnava a cedere all'Inghilterra i possedimenti
coloniali delle Seychelles, Tobago e Santa Lucia. Attorno ai confini del Paese, nei confronti del quale si nutriva
ancora una certa diffidenza, il congresso creò però stati-cuscinetto, che ne impedivano l'ulteriore espansione . Sorsero così i Paesi Bassi, con l'unione di
Belgio e Olanda sotto Guglielmo I d'Orange; 39 stati formarono la
confederazione germanica, governata da una Dieta che si riuniva a Francoforte;
la confederazione svizzera garantì la sua neutralità; l'Austria, anche indirettamente,
aveva l'egemonia sull'Italia.
Nella Penisola vi
erano il Regno di Sardegna, sotto la
sovranità di Vittorio Emanuele I di Savoia, cui furono aggiunti la Repubblica di Genova, Nizza e la Savoia; il Regno
lombardo-veneto comprendente il Veneto e la Lombardia sotto l'impero asburgico, mentre il
Trentino, Trieste e l'Istria furono inseriti nella confederazione germanica; il
Ducato di Parma, Piacenza e Guastalla, assegnato a Maria Luisa d'Asburgo,
moglie di Napoleone; il Ducato di Modena, Reggio e Mirandola , in mano al duca
Francesco IV d'Asburgo-Este; il Granducato di Toscana restituito a Ferdinando
III d'Asburgo-Lorena; lo Stato Pontificio, privato di Avignone, ma ancora
sovrano delle Legazioni romagnole,
costretto però a consentire all'Austria di mantenere le truppe a Ferrara;
il Regno delle due Sicilie con Ferdinando I di Borbone (ex Ferdinando IV)
comprendente i tradizionali territori del Regno di Napoli.
Ad eccezione della scomparsa delle Repubbliche di Genova e Venezia, la
situazione in Italia non era cambiata rispetto al periodo pre-napoleonico.
Tuttavia era chiaro il deciso orientamento in senso asburgico di tutti gli
stati, sia per i vincoli di parentela, sia per gli accordi diplomatici che
prevenivano nuove mire espansionistiche della Francia e compensavano l'Austria
delle sue perdite. Con la cessione del Belgio e la nascita della Confederazione
germanica, diminuiva l'influenza asburgica sull'Europa centrale; il congresso
di Vienna favorì quindi l'espansione austriaca verso oriente; con Trieste e
l'Istria l'impero asburgico aveva infatti il pieno controllo sull'Adriatico. Lo
zar di Russia Alessandro, al fine di infondere sentimenti di pace e di
equilibrio, impegnò tutti gli stati europei nella Santa Alleanza, motivata ufficialmente
con la necessità di formare un clima di
reciproca ed armoniosa solidarietà per il comune governo dei popoli
europei. Per opera del primo ministro
austriaco, il principe di Metternich, la Santa Alleanza si rivelo però soprattutto un utile strumento per controllare ed estinguere eventuali focolai rivoluzionari e trovò una concreta
fisionomia nell'applicazione del
principio d'intervento, secondo cui essa poteva intervenire sugli affari di uno
stato in caso di proposte di cambiamento contrarie alla volontà dei sovrani o
all'interesse degli stati della Quadruplice alleanza (Austria, Prussia, Russia
e Inghilterra, le potenze che garantivano
l'assetto definito dal Congresso di Vienna). Se il congresso aveva quindi
tenuto egoisticamente conto delle esigenze degli stati più potenti, erano state
messe da parte le aspirazioni di piccoli stati o nazioni, che iniziavano a
sentire il bisogno di indipendenza e che in seguito insorgeranno per difendere
le proprie ragioni ; illusorio fu dunque il ritorno al passato voluto dalla
nobiltà: la borghesia ,che aveva diretto
e guidato la rivoluzione, non intendeva essere messa da parte e rinunciare ai
privilegi guadagnati e si rivelerà di lì a poco la classe emergente e la protagonista del nuovo secolo.