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Il conflitto russo-americano dei passaporti




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IL CONFLITTO RUSSO-AMERICANO DEI PASSAPORTI



Il 4(17) dicembre 1911 l'ambasciatore americano a Pietroburgo, C. Guild, a nome del presidente degli USA, W. Taft, notificò al ministro russo degli Affari Esteri, S. Sazonov che, a partire dal 19 dicembre 1912 (1 gennaio 1913), il trattato russo-americano sul commercio e la navigazione firmato nel 1832, sarebbe stato denunciato. Il più lungo trattato nella storia delle relazioni fra i due Paesi stava per essere soppresso.


La principale ragione che spinse il governo americano a tale decisione, fu il rifiuto delle autorità russe a riconoscere i passaporti agli ebrei americani che volevano soggiornare temporaneamente sul territorio dell'Impero russo o che qui volevano recarsi per fare affari.


Il problema del riconoscimento dei passaporti di tutti i cittadini americani, senza eccezione, all'estero, sorse verso la metà degli anni '60 del secolo scorso. Il governo russo si rifiutava ostinatamente di estendere la norma dell'art. 1 del suddetto trattato (relativa alle possibilità migratorie) ai cittadini americani di origine ebraica.


Come noto, l'emigrazione massiccia dall'Europa dell'est verso l'America aveva contribuito a formare negli USA, verso l'inizio degli anni '80 del secolo scorso, uno strato sociale consistente di nuovi immigrati ebrei, che avevano legami di parentela con milioni di residenti permanenti nell'Impero russo. Il governo zarista non accettava l'idea che agli ebrei che tornavano in Russia solo per visitare i parenti o per fare affari, si dovessero riconoscere gli stessi diritti degli ebrei di cittadinanza russa.


Nel 1867 gli americani proposero di elaborare una nuova convezione internazionale sulla libertà di circolazione e sulla naturalizzazione, ma il governo zarista vi si oppose. Questo rifiuto venne considerato nel 1884, dal segretario di stato americano, come 'il principale pericolo per le buone relazioni fra i due Paesi'.


Nel febbraio 1906 una nuova associazione apparve sulla scena politica degli USA: il Comitato ebraico americano, creato su iniziativa delle maggiori organizzazioni dell'establishment ebraico negli USA, al fine di tutelare 'i diritti religiosi e civili degli ebrei nei Paesi in cui tali diritti vengono violati o lesi'. Naturalmente ci si riferiva anzitutto all'Europa dell'est e in particolare alla Russia.


Il Comitato s'era posto due precisi obiettivi: 1) assicurare la libertà d'impresa ai cittadini americani d'origine ebraica all'estero; 2) consolidare le posizioni dell'establishment ebraico negli USA. Confidando nel potente appoggio (anche finanziario) di organizzazioni prestigiose come l'Unione delle congregazioni ebraico-americane, 'B'nai B'rith', la Federazione dei sionisti americani e di altre importanti comunità ebraiche, il Comitato si trasformò ben presto in una forza capace di esercitare la propria influenza sulla politica estera del governo americano.


La prima dimostrazione di questo potere risale agli anni 1908-11, in occasione, appunto, della lotta sul problema dei passaporti. A giudizio dei leaders ebreoamericani -a differenza del Dipartimento di Stato che tendeva a rassegnarsi alla prassi discriminatoria dell'autocrazia russa- un mezzo efficace di lotta contro tale prassi avrebbe appunto potuto essere la denuncia del trattato del 1832. Essi speravano che sarebbe stata sufficiente questa minaccia per ottenere dal governo zarista le necessarie concessioni sul problema dei passaporti.


Il 18 maggio 1908 il presidente del Comitato ebraico, M. Sulzberger, propose per la prima volta questa soluzione in una lettera rivolta al presidente americano Th. Roosevelt. Ma la lotta più accanita attorno a questo trattato si svolse nel gennaio 1909, dopo l'inauguration del presidente Taft. Il Comitato infatti seppe guadagnarsi l'appoggio di tutti gli ebrei americani, delle chiese cattolico-romana, armena-gregoriana e protestante, i cui ecclesiastici non potevano entrare nell'Impero russo senza la previa autorizzazione del Ministero dell'Interno.


Contro la denuncia del trattato era il Dipartimento di Stato sotto la guida del nuovo segretario F. Knox. Non diversamente la pensava il presidente Taft, per quanto la maggioranza degli americani non avesse interessi economici in Russia. Nel 1911 la quota del commercio bilaterale (che fu la più elevata di tutta la storia delle relazioni commerciali pre-belliche fra i due Paesi) non superava l'1,5% dell'intero volume del commercio estero USA.


Tuttavia, il Comitato ebraico seppe appellarsi alle masse popolari, facendo della propria rivendicazione una battaglia per i diritti civili, cioè per i diritti di ogni cittadino. Non dimentichiamo inoltre che proprio alla vigilia della guerra ispano-americana del 1898-99 nacque l'idea della America's liberatory mission. E così, quando il 13 dicembre 1901 si decise di votare nella Camera dei rappresentanti sul problema della denuncia del trattato, 301 deputati contro uno furono favorevoli.


La discriminazione della minoranza nazionale e confessionale ebraica da parte delle autorità russe, era considerata dall'opinione pubblica americana come un attacco a un pilastro della propria democrazia: la libertà di religione. Singolare tuttavia fu il fatto che i congressisti, mentre pretesero la denuncia del trattato del 1832, votarono anche a favore dell'espulsione dal loro Paese degli immigrati cinesi, non avvertendo, in questo, alcuna contraddizione, poiché la Costituzione USA, pur vietando la discriminazione religiosa, non vietava anche quella nazionale (razziale). Viceversa, per le autorità russe i cittadini stranieri meritavano d'essere discriminati più per la loro religione che non per la loro etnia.


Oltre a ciò non va dimenticato che esistevano dei groups influenti di businessmen americani assai poco interessati a sviluppare delle relazioni reciprocamente vantaggiose fra il loro Paese e la Russia. In particolare essi si opposero al progetto ideato dal businessman J. Hammond, con l'appoggio finanziario del noto banchiere J. Morgan, di irrigare la steppa Golodnaja ('della fame') nel Turkestan, per un investimento complessivo di circa 300 milioni di $. Poiché questo e altri progetti avrebbero aumentato la competitività della Russia sul mercato mondiale, le imprese americane, i cui profitti dipendevano proprio dal sottosviluppo dell'Impero russo, non poterono che opporsi.


P. es. il senatore del Texas, Ch. Culberson, partecipando al dibattito congressuale sulla denuncia del trattato del 1832, disse apertamente che il progetto di Hammond di favorire la produzione del cotone nel Turkestan, avrebbe inferto un duro colpo agli States del Sud, al primo posto nel mondo per l'esportazione del cotone verso la Russia.


Non solo il progetto di Hammond venne bloccato, ma anche tutti i piani di uno sfruttamento congiunto delle risorse siberiane. Di conseguenza, gli scambi fra i due Paesi, dopo la denuncia del trattato, soprattutto negli anni 1911-13, diminuirono verticalmente, incluse le forniture di cotone americano. A causa di ciò l'autocrazia russa fu costrettaa spendere più di 9 milioni di rubli per i lavori d'irrigazione, per aumentare la produzione cotoniera e per importare macchine agricole da vari Paesi: Svezia, Germania, Gran Bretagna e Austria-Ungheria.


Il 2 ottobre 1913 il Congresso americano peggiorò addirittura la situazione, imponendo nuove tariffe doganali a tutti quei Paesi che non avevano relazioni contrattuali con gli USA. La Russia sembrava tagliata fuori da ogni rapporto commerciale con gli USA. Per sua fortuna i Paesi europei vollero seguire una politica commerciale indipendente da quella americana. Almeno fino a quando non scoppiò il 'caso Beilis'. Infatti, nel 1913, a Kiev, il governo zarista volle organizzare un processo-farsa contro l'ebreo M. Beilis, accusato di aver assassinato, per motivi religiosi, un giovane russo, A. Yuschinsky. L'inchiesta, durata più di due anni, scatenò un'ondata di protesta generale non solo in Russia ma in tutto il mondo. L'opinione pubblica democratica vedeva in quel processo il simbolo della politica antisemita e sciovinista dello zarismo. La farsa si consluse con la scarcerazione dell'imputato.


Tuttavia, il governo zarista non concesse nulla in merito al problema dei passaporti. Ciò che esso più temeva era che gli ebrei americani trasferitisi in Russia potessero occupare posizioni privilegiate rispetto a quelle di altri ebrei stranieri o degli stessi ebrei naturalizzati. Così disse, esplicitamente, il Consiglio dei Ministri in una riunione del 15(28) dicembre 1911.


D'altro canto il governo russo non voleva attribuire molta importanza a tale incidente: l'ambasciatore russo a Washington, Y. Bakhmetev, era convinto ch'esso si sarebbe risolto subito dopo le elezioni presidenziali del 1912, che videro la vittoria di W. Wilson. In realtà, il governo russo doveva 'per forza' essere ottimista, poiché sapeva bene che se avesse rinunciato alle restrizioni nei confronti degli ebrei americani, i governi degli altri Paesi europei avrebbero preteso per i loro gruppi ebraici gli stessi diritti di quelli americani. Persino gli ebrei russi avrebbero cominciato a rivendicare maggiori diritti e privilegi.


Una svolta così radicale sarebbe stata contraria non solo alla politica imperialista dello zarismo, ma anche alla lotta contro le forti istanze emancipative manifestate dagli ambienti ebraici nazionali. Infatti, verso la seconda metà del XIX sec. gli ebrei russi, pur restando il popolo più asservito dell'Impero russo, avevano ottenuto il diritto di accedere a talune strutture commerciali, economiche, culturali ed educative che, prima di allora, erano dominate dalle 'nazioni autoctone'. Tuttavia, le riforme a favore degli ebrei durarono ben poco: circa 10-15 anni. L'adattamento progressivo e reciproco delle due culture confessionali nazionali (l'altra era la religione ortodossa) s'era rivelato impossibile. Di conseguenza, negli anni '60 e '70 del secolo scorso cominciarono a farsi strada nuove ondate antisemite, basate -come disse nel 1872 O. Shuyler, incaricato d'Affari degli USA a Pietroburgo- sull'idea che la razza ebraica aveva un'innata tendenza a sfruttare la popolazione locale e, per questa ragione, era invisa alle autorità.


Sul piano più strettamente giuridico, gli ebrei che avevano lasciato la Russia, prendendo una cittadinanza straniera, e che volevano tornare, temporaneamente, in Russia, non solo perdevano, automaticamente, agli occhi dell'autocrazia, i loro precedenti diritti, ma conservavano anche la loro responsabilità 'morale' in riferimento alla cittadinanza russa che avevano avuto. Nel senso cioè che un ebreo russo che emigrava ad es. in America, restava sempre un suddito dello zar e doveva obbedire più alle leggi del governo russo che non a quelle del governo americano.


L'art. 325 dello 'Statuto sulle sanzioni penali e correttive'(1909) prevedeva 'la privazione di tutti i diritti materiali e l'espulsione perpetua dai territori nazionali, in caso di ritorno non autorizzato in Russia, per tutti coloro che avessero adottato la cittadinanza di un altro Paese o vi avessero prestato servizio militare'. L'ebreo emigrato all'estero non solo non poteva liberarsi dalle restrizioni che gli imponeva la legge russa, ma commetteva anche un grave crimine!


Più sopra si diceva che nel conflitto dei passaporti, i Paesi europei non seguirono subito la strada intrapresa dagli USA. Il motivo era semplice: essi cercarono di sostituirsi agli USA nel mercato russo. Questa politica (francese e austro-ungarica soprattutto) fu ampiamente condivisa dai milieux ebraici, in particolare da A. de Rothschild e da uno dei leaders della comunità ebraica ungherese, F. Korin, membro dell'Unione degli imprenditori ungheresi.


D'altra parte i Paesi europei avevano contatti politici ed economici molto più stretti con la Russia che non con gli USA, i quali, fino al 1910, non erano che al quarto posto nell'import russo, dopo la Germania, la Gran Bretagna e la Cina. Non solo, ma, mentre la consapevolezza pubblica negli USA (il Paese democratico degli immigrati per eccellenza) non separò mai gli ebrei dagli altri cittadini americani, gli ebrei europei invece, che avevano subìto i ghetti medievali, le persecuzioni e le limitazioni legislative dei diritti, occupavano un posto assai diverso nella coscienza sociale dell'Europa, nonostante la loro 'emancipazione'. L'atteggiamento nei confronti degli ebrei può essere considerato, in Europa, come una mixture di tolleranza e sospetto. Nel senso che non si era mai visto riconoscere agli ebrei europei l'uguaglianza con la popolazione che professava una determinata religione di stato. Lo prova, ad es., l'ondata antisemita che si abbatté sull'Europa in occasione dell'affaire Dreyfus, scoppiato in Francia negli anni 1894-99. Ecco perché gli ebrei europei, di fronte alle discriminazioni, avevano reazioni meno dolorose di quelle dei loro fratelli americani.


Tuttavia -qui è bene precisarlo-, della rottura del trattato commerciale del 1832, non si poteva adebitare al governo russo una vera e propria responsabilità giuridica, poiché ogni tentativo ch'esso fece per limitare l'ingresso degli ebrei stranieri, nel proprio territorio, era del tutto conforme alle 'leggi e statuti' imperiali: il che rispondeva alle disposizioni del 1o art. del trattato in questione.


Infatti, oltre al già citato art. 325 dello 'Statuto sulle sanzioni', c'era anche l'art. 203 del 'Regolamento sui passaporti'(1903) che riservava al Ministero dell'Interno il diritto di decidere se un ebreo proveniente dall'estero poteva essere accettato nell'Impero. Gli articoli 124 e 134 di tale 'Regolamento' prevedevano sì la concessione dei passaporti agli ebrei stranieri, ma con una validità circoscritta alla zona di residenza autorizzata.


Ma c'è di più. Dopo aver riconosciuto nel 1892 l'attività dell'Associazione ebraica di colonizzazione, che si occupava di organizzare l'emigrazione degli ebrei russi, l'autocrazia limitò tale attività con una speciale disposizione che obbligava tutti coloro che volevano abbandonare il Paese, tramite la suddetta Associazione, a farlo definitivamente.


Purtroppo la denuncia del trattato commerciale del 1832 non ottenne l'effetto sperato. Non solo la legislazione russa riguardante i passaporti rimase immutata, ma l'Impero conobbe anche vaste e profonde campagne antiamericane e antisemite. La stampa dei Centoneri, dopo aver annunciato un complotto ebraico mondiale, pretese l'espulsione di tutti gli ebrei dalla Russia. Nella Duma statale la frazione degli Ottobristi, guidata da A. Guchkov, chiese e ottenne l'aumento delle tariffe doganali del 100% per tutte le merci americane. I partiti nazionalisti russi elaborarono il progetto di legge 'Sull'interdizione della Russia agli ebrei'.


Conseguenza di ciò fu che l'emigrazione ebraica dalla Russia agli Stati Uniti aumentò, dopo il 1911, mediamente di 20.000 persone all'anno, dopo aver raggiunto nel 1907 la cifra di 96.400 unità.

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