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IL COLONIALISMO
1) Gli imperi coloniali Dopo il 1492 si assiste alla nascita di imperi coloniali, con l'Europa che mira ad estendere il proprio dominio su tutto il mondo.
XVI secolo: dominio spagnolo e portoghese in America del Sud (fino all'800).
XVII secolo: imperialismo commerciale, cioè nascita di colonie commerciali portoghesi, inglesi, francesi e olandesi sulle coste dell'Africa e dell'Asia; dominio inglese e francese su America del Nord e Oceania.
Seconda metà del XIX secolo: imperialismo territoriale:
Espansione russa verso est (colonizzazione della Siberia Orientale) ed espansione USA verso ovest (colonizzazione del Far West).
Conquiste territoriali e imposizione del dominio europeo su quasi tutta l'Africa e l'Asia (nei precedenti secoli, erano presenti solo colonie commerciali e protettorati in zone portuali). Le più grandi potenze coloniali erano Gran Bretagna, Francia, Germania, Olanda e Belgio; avevano colonie anche Portogallo, Spagna e Italia.
Nel
Le colonie esistenti in Asia e in Africa nel 1914 erano dunque recenti. Soprattutto l'Africa aveva conosciuto una vera e propria gara di colonizzazione dopo le grandi esplorazioni degli anni '70. Anche in Asia meridionale le colonie erano state create dopo la metà del XIX secolo.
2. Le civiltà colonizzate. Al contrario di quanto sostenevano i colonizzatori, le civiltà incontrate dagli europei non erano né arretrate né primitive, semplicemente si trovavano ad un diverso grado di sviluppo.
v In Asia sopravvivevano antiche civiltà monumentali, spesso dotate di grandi patrimoni letterari, come quelle fiorite in Cina, India e nel Sud-Est asiatico (Birmania, Cambogia, Vietnam ecc.) In Africa vi erano tracce della civiltà di Aksum, nell'Etiopia orientale.
v In alcune regioni dell'Asia e soprattutto in Africa prevalevano civiltà agricole non urbanizzate che, conoscendo da secoli il ferro, dissodavano le foreste e avevano un notevole artigianato, con forme d'arte molto importanti. In alcuni casi queste popolazioni avevano formazioni statali complesse e socialmente stratificate (come negli imperi dell'Africa occidentale), in altri si trattava di società egualitarie basate sui legami familiari.
v In Africa e Asia ( soprattutto nei deserti o nelle foreste equatoriali) sopravvivevano anche piccoli nuclei di popolazioni di cacciatori e raccoglitori (civiltà del paleolitico), spinti ai margini dalle grandi civiltà agricole.
In tutti e tre i casi si trattava di società complesse, sviluppate, con un'economia che era in armonia con l'ambiente. Le società agricole, in particolare, avevano una certa stabilità, anche se andavano incontro a fasi cicliche di impoverimento (come quelle prodotte dalle carestie), seguite da lunghi periodi di equilibrio e relativo benessere. C'era insomma meno povertà cronica di quanta ce ne sia oggi, e una forte solidarietà interna.
3. Gli effetti del colonialismo. Nell'ottica della concezione europea del progresso il colonialismo fu la base di un processo di modernizzazione, che alla lunga avrebbe recato grandi benefici alle popolazioni dei continenti extraeuropei; questa visione associa l'immagine del colonizzatore a quella del civilizzatore e del benefattore. Questa idea era sostenuta nel XIX secolo dagli ideologi del colonialismo, dai fautori dell'economia di mercato, ma anche da alcuni marxisti; oggi è stata ripresa dai sostenitori del "revisionismo neocolonialista". Si tratta di un mito storiografico che ha un parziale fondamento, perché indubbiamente la colonizzazione avviò nelle società extraeuropee un processo di modernizzazione.
A) Dal punto di vista economico: le nazioni colonizzatrici costruirono moderne infrastrutture pubbliche (porti, strade, ferrovie) e inserirono le economie dei paesi colonizzati nel processo di globalizzazione economica (creazione di un mercato internazionale capitalistico "globale"). Ciò avvenne in varii modi.
Imprese minerarie e agricole. I colonizzatori acquisivano terre e risorse minerarie e investivano i loro capitali in imprese minerarie e agricole (piantagioni) di tipo capitalistico.
Commercio. I mercanti occidentali acquistavano prodotti poco costosi dell'agricoltura e dell'artigianato locali, per rivenderli a prezzo maggiorato in Europa; oppure utilizzavano i paesi colonizzati come mercati di sbocco per alcuni prodotti dell'industria occidentale (i tessuti inglesi ad esempio)
B) Dal punto di vista politico e sociale: gli imperi coloniali crearono nelle terre colonizzate strutture amministrative moderne di stampo europeo, "dipartimenti d'oltremare", gestiti secondo i criteri dello stato moderno; inoltre diffusero le più recenti ideologie politiche europee (democrazia, nazionalismo, socialismo)
Ma le analisi più approfondite della storia del colonialismo hanno messo in luce che la modernizzazione avviata dai colonizzatori occidentali ebbe conseguenze molto negative per i popoli colonizzati.
A) Dal punto di vista economico. Le infrastrutture e le opere pubbliche costruite dai colonizzatori furono di scarsa entità (ebbero un'incidenza molto marginale sulle economie dei paesi colonizzati) e servirono solo per motivi bellici e per il commercio delle nazioni colonizzatrici, non essendo mirate ad avviare uno sviluppo autonomo delle economie locali. Il nuovo sistema di relazioni economiche tra colonie e stati occidentali, inoltre, era notevolmente asimmetrico.
Nelle imprese minerarie e agricole i tre fattori della produzione (capitale, terra o risorse minerarie, lavoro) avevano rendimenti molto differenziati, che andavano in gran parte a vantaggio dei paesi colonizzatori.
a) Il capitale investito nelle imprese era remunerato da altissimi profitti che rifluivano quasi per intero nelle capitali degli imperi coloniali.
b) Anche i rendimenti delle terre e delle risorse minerarie erano concentrati nelle mani dei colonizzatori, che si erano impossessati di queste risorse espropriandole con la forza o estorcendole con scambi truffaldini.
c) L'unico fattore "autoctono" era il lavoro che aveva rendimenti (salari) bassissimi o a volte praticamente nulli (nel caso di imprese che utilizzavano manodopera semischiavistica).
Nei rapporti tra colonie e colonizzatori si determinò pertanto il fenomeno della separazione geografica tra i fattori della produzione (lavoro da un lato, terra e capitale dall'altro), che avvantaggiava in modo esclusivo i colonizzatori. (Questo fenomeno non si era verificato nel corso della modernizzazione capitalistica dell'Europa e dei paesi occidentali, in cui i tre fattori della produzioni producevano rendimenti differenziati per gruppi sociali che facevano parte della stessa nazione: i profitti dei primi industriali inglesi erano spesi o reinvestiti in Gran Bretagna, con vantaggi indiretti per tutta la popolazione inglese.)
Il commercio tra colonizzatori e colonizzati era altrettanto squilibrato a vantaggio dei primi, in quanto era profondamente asimmetrico il rapporto di scambio tra le merci delle imprese locali delle colonie e quelle delle industrie dei paesi colonizzatori. Le merci dei paesi colonizzati erano acquistate dai colonizzatori a prezzi bassissimi, remunerando in misura minima le imprese agricole e artigianali di tipo tradizionale che le producevano, mentre erano rivendute in Europa a prezzi molto più alti, garantendo ai commercianti europei ampi margini di guadagno. Le merci europee vendute nei mercati di sbocco delle colonie garantivano ai produttori europei margini di remunerazione molto alti, essendo prodotte con tecnologie industriali moderne.
B) Dal punto di vista politico e sociale. Gli amministratori non erano autoctoni, perciò quando i colonizzatori se ne andarono non rimase quasi nulla della modernizzazione politica e organizzativa, anche perché il livello medio di istruzione di tipo moderno in Africa era quasi nullo, mentre in Asia (dove esistevano antiche tradizioni letterarie) l'istruzione impartita dalle istituzioni scolastiche di tipo occidentale era riservata a una ristretta elite locale.
A tutto questo c'è da aggiungere che la colonizzazione, pur avviando in modestissima misura il processo di modernizzazione delle società extraeuropee, investì con un distruttivo processo di destrutturazione le tradizioni dei popoli colonizzati, perché
B) LE ORIGINI DEI MOVIMENTI ANTICOLONIALI
La decolonizzazione è stata una rivoluzione democratica i cui eventi centrali si collocano nel ventennio 1945-1965, anche se sono nate nuove nazioni in ex-colonie sia prima sia dopo questo periodo. In questo periodo si formò gran parte della carta geografica di Asia e Africa. La decolonizzazione fu un processo che liberò molti stati dal dominio oppressivo degli imperi coloniali ( basato su interessi economici e politici), anche se attraversò momenti di violenza e conflitto. Questo fenomeno ha le sue radici nella Belle Epoque (1896-1914), durante la quale negli stati indipendenti appartenenti alla semiperiferia del sistema mondiale e nelle colonie europee dell'Asia e dell'Africa si diffusero movimenti modernizzatori, ispirati alle idee del nazionalismo democratico europeo (e in parte anche a quelle del socialismo). In modo paradossale, la diffusione delle idee nazionalistiche nate nei paesi colonizzatori porterà alla nascita dei grandi movimenti anticoloniali degli anni '40 e '50.
Le rivoluzioni nazionaliste nella semiperiferia del sistema mondiale. Nel 1905 scoppiarono in Russia i primi moti rivoluzionari, destinati ad influenzare la semiperiferia del sistema mondiale: Iran (rivoluzione del 1905), Turchia (rivoluzione del movimento nazionalista dei Giovani Turchi, caduta dell'antico califfato nel 1918), Messico (rivoluzione contadina e anti-USA del 1910), Cina (1911-1912, tramonta l'antico impero e nasce la repubblica).
La nascita dei movimenti anticoloniali di orientamento
nazionalista. All'inizio del Novecento le idee
nazionalistiche iniziarono a circolare anche tra le elite autoctone dei paesi
colonizzati, producendo un risveglio contro il dominio europeo. Le regioni in
cui si formarono più precocemente movimenti anticoloniali furono l'India
britannica, l'Indocina francese, i paesi arabi mediorientali (che a quel tempo
facevano parte dell'impero turco) o quelli del Nord-Africa colonizzati dagli
europei. Questi movimenti ricevettero un nuovo impulso dopo
durante la guerra molte colonie avevano offerto soldati alle nazioni colonizzatrici; questo fatto creò nelle elite sociali dei popoli colonizzati l'attesa di un riconoscimento della loro autonomia o indipendenza;
vi fu un'ulteriore diffusione idee del nazionalismo democratico a livello mondiale, grazie al programma postbellico del presidente USA Wilson, che mirava alla costituzione di un ordine mondiale fondato sulla cooperazione tra stati nazionali indipendenti.
Gli obiettivi dei movimenti anticoloniali di stampo nazionalista erano:
Indipendenza nazionale, nell'ambito di repubbliche democratiche di tipo occidentale.
Rinascita delle tradizioni delle antiche civiltà extraeuropee (civiltà indiana, impero islamico ecc.)
Modernizzazione dell'economia e delle strutture sociali (spesso in chiave socialista), per poter competere con l'Occidente.
La nascita dei movimenti anticoloniali di orientamento marxista. Dopo la rivoluzione bolscevica del '17 nelle colonie nacquero i partiti comunisti (Mao in Cina, Ho Chi Minh in Vietnam) appartenenti alla Terza Internazionale. Questi movimenti marxisti, che si rivolgevano prevalentemente alle masse contadine (non esiste una moderna classe operaia), fecero proprie le idee del nazionalismo anticoloniale (indipendenza nazionale, rinascita delle antiche tradizioni, modernizzazione economica e sociale).
A partire dagli anni '20, dunque, i movimenti anticoloniali in Asia e in Africa ebbero quasi sempre due componenti fondamentali:
Movimenti nazionalisti di tendenza modernizzatrice, democratica e spesso anche socialista (1^ componente).
Partiti comunisti della Terza Internazionale (2^ componente).
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