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I progressi della vita materiale




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I PROGRESSI DELLA VITA MATERIALE


1. La crescita demografica

Durante il 1800 la popolazione europea passò da 115-120 a 185-190 milioni d'abitanti, segnando un aumento del 60%, e guadagnandosi la definizione di "rivoluzione demografica". In relazione al regime precedente (che vide un'alternanza di crescita e diminuzione della popolazione) questo decisivo incremento si rivelò irreversibile e duraturo. Ma ancora più significativo è il confronto tra questo dato europeo e il resto del mondo: per tutto il 1700 il nostro continente costituì il 14% degli abitanti mondiali, salendo al 15% nel 1800 ed al 18% nel 1900, o anche più se si considerano gli emigrati verso le Americhe. Come l'Europa anche la Cina registrò un analogo aumento demografico.

La crescita demografica europea è senz'altro una conseguenza della riduzione della mortalità, incentivata dalla progressiva scomparsa della peste che, dopo le ultime insorgenze manifestatesi tra il 1625 ed il 1668, smise di rappresentare un pericolo per l'Europa Occidentale. A questo proposito sono state avanzate tre ipotesi. La prima fa riferimento all'andamento ciclico della virulenza del bacillo stesso, interpretato forse dalla scienza medica europea che riuscì così a creare efficaci barriere contro la sua diffusione. La seconda riguarda le condizioni ambientali: sembra infatti che il clima caldo-umido favorisse la proliferazione del virus e che durante il 1700 ci sia stato un lieve raffreddamento dell'emisfero settentrionale, che interruppe quindi il trend precedente. La terza ipotesi esula e invalida le altre due riconoscendo una funzione decisiva alle difese sanitarie che si sarebbero contrapposte alla diffusione dell'epidemia, e a prova di ciò sta il fatto che essa colpì prevalentemente paesi in cui le autorità pubbliche non riuscirono a imporre misure di controllo.

Seppur la peste non costituì più un pericolo per l'Europa a partire dal 1670, la rivoluzione demografica si manifestò solamente a partire dal 1720-30. Ciò fa pensare che la diminuzione della mortalità non fu determinata esclusivamente dal debellamento del bacillo pestifero, ma anche dall'annientamento di malattie infettive ben più generali, dovuto forse a un miglioramento delle pratiche mediche e a una più diffusa educazione igienica. Un caso particolarmente complesso fu quello del vaiolo, che da solo costituì il 15% della mortalità totale, percentuale che sale se consideriamo la classe d'età maggiormente esposta: l'infanzia. La vaccinazione contro questo bacillo fu scoperta alla fine del Settecento dal medico inglese Edward Jenner, ma i primi effetti si ebbero nei primi decenni del XIX secolo, quando fu reso obbligatorio nei paesi maggiormente sviluppati. In realtà un primo tentativo di vaccinazione (che prevedeva l'inoculazione di sostanze infette) fu tentato già nella seconda metà del secolo, e come pratica preventiva ebbe successo: l'epidemia effettivamente non si sviluppò, ma non esistono dati sufficienti che testimonino la reale correlazione dei fenomeni. Al di là della lotta contro specifiche epidemie, più generalmente durante il Settecento si verificarono grossi progressi medico-sanitari, che si tradussero spesso in una maggiore attenzione all'igiene personale e alla distribuzione di acqua pura.

Durante il Settecento si sviluppò, da parte dei governanti, un interesse verso una politica "popolazionista", convinti forse che il crescere della popolazione fosse indice di un aumentato benessere e quindi di una maggiore potenza dello Stato, concetto che a sua volta stava alla base della nascente idea di progresso. A frenare l'ottimismo diffuso dalla dottrina del progresso ci pensò Thomas R. Malthus, un pastore anglicano che nel 1798 pubblicò il "Saggio sul principio di popolazione nei suoi effetti sul futuro miglioramento della società". Il fulcro del suo lavoro fu la legge per la quale la potenziale crescita di popolazione è maggiore del potenziale che ha la terra di sfamare questi individui: egli pensava infatti che mentre la popolazione umana potesse raddoppiare ogni 25 anni, crescendo quindi geometricamente, i beni di sussistenza potessero progredire solo aritmeticamente durante lo stesso intervallo di tempo, perciò supponendo di partire da un rapporto 1:1, dopo tre intervalli di tempo ci troveremo ad un rapporto 8:4. Con la sua teoria Malthus previde un imminente scaturire di "freni positivi"e "naturali" contro l'aumento demografico, intesi come il peggioramento delle condizioni di vita e l'aumento della mortalità causato da carestie ed epidemie; ma propose anche dei "freni preventivi", come la riduzione dei matrimoni o il celibato definitivo, racchiusi in un'etica della previdenza, dell'autocontrollo e dell'investimento sul futuro, tipicamente borghese. Ormai la Poor Law, la legge inglese sui poveri posti a carico delle parrocchie e dei contribuenti, non risolvendo il problema della sovrappopolazione, anzi incentivandolo favorendo la procreazione e il matrimonio, andava abolita.

Le teorie di Malthus vennero smentite ben presto, dato che negli ultimi decenni del Settecento le capacità di incremento dei beni di sussistenza si rivelarono nettamente superiori rispetto quelle previste dalla sua legge. Inoltre è significativo notare l'influenza dei "freni preventivi" adottati dalle popolazioni europee, primi fra tutti gli Inglesi, che fino al XVII secolo mantennero una bassa percentuale di matrimoni con un'elevata età media, neutralizzando una parte della capacità riproduttiva generazionale, ma già dai primi decenni del Settecento invertirono la tendenza provocando l'incremento demografico. A sua volta questo mutamento nel comportamento matrimoniale fu dovuto al favorevole clima economico, che spinse molti giovani ad anticipare il matrimonio. Questa indipendenza poi derivava dall'incremento del lavoro salariato in seguito alla diffusione del capitalismo agrario, della protoindustrializzazione e della rivoluzione industriale, e fu tale da provocare un aumento demografico del 70%, da 5,1 a 8,7 milioni d'abitanti fra il 1700 e il 1800.


2. L'Europa agricola

Un'altra causa del calo della mortalità fu la scomparsa delle carestie e delle epidemie a esse connesse: le ultime carestie del Seicento avevano provocato la morte di 1300000 mila francesi, mortalità che calò decisamente nel secolo successivo. A favore di ciò stava l'accresciuta disponibilità alimentare, incrementata dalla diffusione delle colture del mais e della patata che fornirono rendimenti assai elevati rispetto i grani tradizionali. In gran parte d'Europa il fenomeno fu dovuto anche all'aumento delle superfici coltivate, solamente in Inghilterra si ebbe una vera e propria rivoluzione agricola, in termini tecnici, agronomici, economici e sociali. È interessante notare come in Europa Orientale e in Russia si registrarono i più elevati accrescimenti demografici, e come l'Inghilterra toccò la più alta densità europea.

In Inghilterra i progressi agricoli in termini di produzione si ebbero solo in piccola parte dall'uso di nuove attrezzature, furono infatti tre le cause principali della rivoluzione agricola inglese: le prime due di carattere agronomico e la terza economico-sociale. Innanzitutto si ebbe la scomparsa dei pascoli comuni, sostituiti da enormi prati artificiali di coltivazioni foraggere che favorirono, tra le altre cose, un più intensivo allevamento del bestiame. In secondo luogo si diffuse la coltivazione continua accompagnata dalla scienza agronomica che permise di migliorare la fertilità del suolo. Per ultimo ci fu la trasformazione delle aziende agricole in vere e proprie aziende capitalistiche con lavoratori salariati. Le basi di questa agricoltura non erano completamente nuove: già nell'Italia Padana e nei Paesi Bassi si erano sperimentate le coltivazione foraggere e continue, che furono esportate in Inghilterra a partire dal XVII secolo, dove ebbero successo solamente cento anni dopo, nel XVIII secolo.

In Francia, nonostante parecchi economisti e agronomi avessero prodotto non pochi scritti teorici riguardo i progressi agricoli, la modernizzazione di fatto procedette con molta lentezza a causa della minore influenza del mercato sulla produttività e sul capitalismo agrario (il predominio della conduzione familiare era ancora elevato). Erano ancora troppo diffuse le grandi proprietà gestite dal clero, dalla nobiltà e dalla borghesia; contratti che ostacolavano l'innovazione per il timore dei costi di mantenimento o perché la terra costituiva sempre un piccolo ma sicuro introito. L'incremento nella produzione agricola francese dipese più che altro dall'allargamento della superficie coltivata, e interessò prodotti come la vite, il gelso, la canapa, il lino, il mais e la patata.

In Italia la crescita demografica fu proporzionalmente minore rispetto al resto dell'Europa e si manifestò specialmente nel mezzogiorno, costringendo i contadini appenninici a mettere a coltura le pendici, modificando il delicatissimo equilibrio idrogeologico e causando l'impaludamento delle coste e la formazione di zone malariche. Mentre il mezzogiorno sentiva sempre più il peso di una sovrappopolazione, e per tutta l'Italia Meridionale si diffondevano monocolture cerealicole, l'Italia Settentrionale vide la ripresa delle bonifiche, la nascita di nuove culture alimentari e industriali (mais, gelso, riso) e lo sviluppo dell'allevamento e dei prati artificiali, progressi continuamente ostacolati dagli obsoleti rapporti di produzione. Le differenze tra Italia meridionale e settentrionale erano assai significative: in Sicilia si ebbe un'elevata produzione cerealicola (grazie alle monocolture presenti), invece in Lombardia la coltura dei cereali era promiscua con la vigna e la frutta, senza contare le colture foraggere: lino, canapa e gelso.

In Germania orientale, in Polonia, In Russia, in Ungheria e in Transilvania si ebbero i maggiori sviluppi Europei in termini di popolazione, causati naturalmente da un incremento della produzione agricola, determinato a sua volta dall'allargamento delle superfici coltivate. In questi luoghi, soprattutto in Russia, la servitù contadina era ampiamente diffusa, tanto da essere una vera e propria schiavitù tranne che per la presenza delle tassazioni. Nell'area Balcano-Danubiana intorno al 1700 cessò la dominazione Turca, grazie alla quale 200 mila chilometri quadrati di pianure si aprirono all'immigrazione austro-tedesca e slava, segnando così un decisivo aumento demografico. Analogamente nelle zone a sud della Russia dal XVII secolo si erano stanziati i cosacchi del Dnepr e del Don, accompagnati verso il Settecento da una forte immigrazione contadina che si trasformò in un assoggettamento servile: cosacchi e lavoratori stipularono una sorta di patto per cui i primi offrivano la protezione ai secondi in cambio del sostentamento.

Infine, tra il 1730 e il 1760, nuove leggi vennero emanate a sfavore della servitù contadina: essi non poterono più sottrarsi dal lavoro offrendosi come milizia, i contratti da loro stipulati non avevano alcun valore giuridico e per intraprendere qualsiasi attività dovevano possedere il consenso del padrone, che poteva fare di loro ciò che preferiva, addirittura deportarli in Siberia qualora commettessero dei reati.


3. Le manifatture e i commerci

A partire dal terzo decennio del XVIII secolo si ebbe una grande crescita economica in Europa: le produzioni aumentarono notevolmente e si accompagnarono all'incremento del commercio internazionale. L'esportazione messicana e brasiliana di oro e argento crebbe, assicurando l'aumento della circolazione monetaria e quindi della possibilità di pagare in metalli preziosi i prodotti importati dall'Asia. L'Inghilterra, che costituiva insieme all'Olanda e alla Francia una delle maggiori potenze economiche del continente, vide crescere i suoi commerci esteri del 250% in soli 50 anni, dal 1721 al 1771, e le riesportazioni del 300%, dati molto significativi se si considera che il complesso del commercio inglese, prima rivolto esclusivamente verso l'Europa, adesso interessava prevalentemente Americhe, Asia e Africa, segnando una vera e propria mondializzazione dei traffici europei. Fulcro del commercio inglese non poteva che essere la città di Londra, che si espandeva sempre più oltre la city, e vedeva lo svilupparsi di centri periferici come Westminster (sede politica e parlamentare) e di sobborghi, borghi e villaggi al di là dei suoi limiti giuridici. Verso il 1730 occupava un'area di 22 mila ettari e possedeva 700 mila abitanti, superando la peste del 1665 e il grande incendio del 1666, e venendo ricostruita e arricchita dal nuovo palazzo della Borsa e dalla cattedrale di San Paolo. Sempre nello stesso periodo vi risiedevano il 12% degli inglesi, contro il 2% dei francesi nella cittadina di Parigi.

Il settore tessile rappresentava in Europa la principale attività produttiva dopo l'agricoltura, espandendosi in termini di varietà grazie alla maggior diffusione della lana, della seta, del lino, del fustagno e del cotone. Nei primi decenni del 1600 l'Italia centro-settentrionale produceva il 20% dei tessuti lanieri e la Spagna era in declino nel medesimo settore, ma già a metà del Settecento l'industria di questo materiale era completamente scomparsa, venendo importata dall'Europa nord-occidentale. In Italia continuavano a esistere produzioni di seta pregiata, che non raggiunsero mai la portata francese, e fu questo il motivo per cui l'Italia si specializzò più che altro nella lavorazione primaria di prodotti grezzi e nella loro successiva esportazione in Francia. Analogamente alla Francia anche le sette Province Unite videro lo svilupparsi della produzione laniera, confinanti con l'Olanda, che nello stesso periodo divenne, da centro commerciale, centro finanziario. Grazie infatti al dominio commerciale Inglese, che impedì l'esportazione, o la riesportazione, dei prodotti Olandesi, i mercanti decisero di investire nella finanza i loro profitti e diventare così banchieri.

Perdurò nel Settecento l'organizzazione delle produzioni per corporazioni: esse erano associazioni di mestiere che controllavano i prodotti e disciplinavano il mercato, oltre che imporre regolamenti, statuti e iscrizioni a chi volesse apprendere l'attività. In Italia influirono notevolmente sull'immigrazione, tanto da causare, alla loro chiusura, un calo dell'urbanizzazione. In Francia vennero favorite dall'assolutismo, perché difendevano i lavoratori, e la qualità del prodotto, a discapito di un'eventuale evoluzione tecnologica; e impedivano qualsiasi genere di concorrenza.

In Inghilterra il lavoro a domicilio permise ai mercanti la non osservanza degli statuti delle gilde. Nel frattempo questo genere di manodopera si evolse: cessò di accompagnare il lavoro in campagna e divenne autonomo, configurando una sorta di protoindustrializzazione, per spostarsi poi nei centri urbani minori, in cui non cambiò la forma del lavoro o gli attrezzi utilizzati, ma si poterono imporre discipline più rigide ai salariati. Queste erano le prime fabbriche, nelle quali nacque il proletariato moderno. La crescita demografica del XVIII secolo diede ai mercanti una grande disponibilità di manodopera a basso costo, nonostante ciò però le dimensioni delle fabbriche erano minime: già 100 operai in un solo capannone erano un eccezione.

In Europa, oltre le manifatture tessili, la bottega artigiana restò predominante, e fu proprio in questo campo che si ebbero i maggiori progressi tecnologici. Nel settore della miniera e in quello metallurgico si ebbero parecchie invenzioni, tra cui le pompe per estrarre l'acqua dai pozzi e dalle gallerie e l'uso del carbone fossile e del coke. Una delle fasi più significative dell'evoluzione industriale inglese fu appunto il passaggio dal carbone di legna al carbone fossile (l'Inghilterra era una grande sfruttatrice di carbone, circa il 75% della produzione Europea veniva importato nel paese). Durante la prima metà del 1700 l'Inghilterra era anche la più grande importatrice di ferro Europeo; dopo il 1750 la produzione Europea di ferro crebbe, grazie all'entrata fra le maggiori produttrici dell'Inghilterra stessa e della Russia (che a fine secolo con le sue 100 mila tonnellate prodotte costituiva un quarto dell'intera produzione del Continente).


4. La rivoluzione dei consumi

Agli inizi del Settecento le nuove abitudini alimentari erano spesso il risultato di importazioni dalle Americhe, che sebbene trapiantate nel 1500 si diffusero solamente due secoli dopo.

Verso la seconda metà del Seicento il mais iniziò a diffondersi in Spagna, Francia, nei Balcani e nella pianura padana, diventando un supporto per le cattive colture dei cereali tradizionali, fino a conquistare un posto di rilievo nell'alimentazione contadina del Veneto e della Lombardia. I contadini iniziarono ad affiancarlo sempre più ai vecchi grani, per compensare i loro scarsi rendimenti: la diffusione di questa nuova coltura fu contemporaneamente causa ed effetto della rivoluzione demografica, e l'aumento delle superfici coltivate a mais sostituì progressivamente i cereali minori che finora erano stati predominanti.

Gli elevati rendimenti del mais consentirono l'espansione dei territori destinati all'allevamento o alle risaie. Questa scelta contadina era determinata dai rapporti che essi avevano con i proprietari: dovendo pagare gli affitti in frumento riuscirono ad aumentarne la produzione, riservando il mais ai proprio bisogni. Accadde cosi che il nuovo granturco divenne base dell'alimentazione nelle campagne, mentre il frumento e la farina vennero destinati ai mercati urbani; a causa di questa differenziazione il mais divenne una "pianta di classe", causando però un'alimentazione eccessivamente monotona, che provocherà la diffusione di una nuova malattia: la pellagra (dovuta alle scarse proprietà proteiche e di vitamina PP -Pellagra Preventing- di questo grano).

Un altro alimento povero che occupò i commerci tra le Americhe e l'Europa fu la patata, che venne scoperta dai conquistadores spagnoli in Perù, e introdotta in Spagna a partire dal 1573, divenendo nota ai botanici solo a fine secolo. La sua diffusione fu più lenta di quella del mais, tanto che entrò nell'alimentazione popolare in Francia e in Italia a Settecento avanzato, ma il suo destino era simile a quello del granturco. Il paese conquistato più velocemente fu l'Irlanda, nella quale vi era una particolare situazione economica: gli Inglesi tentarono di imporvi la religione anglicana e confiscarono numerose terre destinate a diventare feudi dei signorili, gli Irlandesi reagirono con numerose ribellioni, fino a quella del 1641, repressa nel 1649 da Oliver Cromwell. Fu proprio in questo clima violento e instabile che si diffuse la patata in Irlanda, dapprima con conseguenze positive: permise l'incremento della popolazione di quattro volte e mezzo, ma successivamente con conseguenze disastrose, quando una malattia invase il tubero provocando la morte di tantissime persone.

Verso il 1650 l'Europa consumava almeno 4 mila tonnellate l'anno di pepe e spezie, ma il consumo calò subito quando essi smisero di rappresentare un alimento di lusso o di prestigio e si diffusero maggiormente anche tra i poveri. Si apriva invece la diffusione dello zucchero, inizialmente usato a scopo farmacologico e sotto prescrizione medica, favorito anche dall'avvento del tè, del caffé e del cacao. Ai principi del Seicento Madera e altre isole atlantiche producevano 3000 tonnellate di zucchero l'anno, ma cinquant'anni dopo divennero produttrici anche le Antille e il Brasile arrivando a contarne 18 mila. Sempre le Antille nel 1720 ne producevano 27 mila, ed il consumo Europeo arrivò ad essere di 135 mila, di cui un terzo destinato all'Inghilterra.

Una simile differenza nel consumo dello zucchero si spiega se consideriamo che in Inghilterra si diffuse tantissimo il consumo del tè, di cui gli inglesi ricevevano il 40% delle importazioni Cinesi. La sua diffusione fu repentinea: si passò da 100 tonnellate di inizio secolo alle 7000 della fine del Settecento.

A differenza del tè il caffé si espanse in tutta Europa: i primi a usufruire di questa nuova bevanda furono i veneziani, ma il vero centro del caffé fu Parigi; ben presto la domanda crebbe e i mercanti iniziarono a importare l'intera pianta ovunque fosse possibile: da Giava a Santo Domingo, incrementando la produzione fino a 40 mila tonnellate annue.

Il tè si beveva praticamente ovunque e prevalentemente in famiglia, il caffé invece soprattutto a lavoro o nei primi locali comuni, che presero appunto il suo nome, nei quali le persone si riunivano per discutere e confrontarsi. La cioccolata era tipicamente aristocratica e lussuosa, e si poteva trovare nei salotti nobiliari e negli indugi mattutini delle signore.

Il tabacco era l'eccitante più diffuso dopo il caffé, veniva fumato in pipe di ogni genere e dimensione, masticato o annusato, e qualsiasi uso se ne facesse veniva accusato di essere un consumo inutile e vizioso, fu questo forse il motivo per cui ebbe una diffusione rapidissima. Oltre al tabacco si diffuse pure l'alcool, le cui bevande si aggiunsero al vino e alla birra, favorito dalle nuove procedure di distillazione e di aromatizzazione che consentirono di produrre una grande varietà di prodotti: acquaviti, cognac, grappa, gin, whisky, vodka, rum ecc. Purtroppo però la sua diffusione diede vita al fenomeno oggi noto dell'alcolismo.

Tornando al campo del cotone, esso veniva impiegato per tessuti misti nel Mediterraneo orientale, ma dal Seicento iniziò a diffondersi maggiormente in tutta Europa, grazie all'introduzione delle cotonate bianche e colorate indiane. Il suo successo si ebbe nella tessitura di camicie, lenzuola, biancheria, e fazzoletti, lavabili ed economici, favorendo quindi l'igiene personale e migliorando le condizioni di vita.





-UNITÀ 2- IL SISTEMA POLITICO EUROPEO


1. La guerra di successione Spagnola

Verso la fine del XVII secolo le potenze europee erano tutte alleate nella Lega d'Augusta contro la Francia. Nel 1697 la pace di Rijswijk assicurò la tranquillità fra le due rivali, quiete che durò solo per cinque anni, dopo i quali la Francia fu costretta a scontrarsi nuovamente con il resto d'Europa per contendersi la corona spagnola e i relativi domini. Il reggente spagnolo era Carlo II d'Asburgo, salito al trono nel 1661 all'età di quattro anni, la cui salute era precaria e causava quindi la preoccupazione gli stati europei che iniziarono a organizzare le strategie di successione per impossessarsi del regno.

In linea diretta la successione spettava alla sorella Maria Teresa, moglie di Luigi XIV e morta nel 1683, la quale però al momento del matrimonio col sovrano francese rinunciò ai diritti ereditari in cambio di una somma di denaro da parte degli spagnoli; questa somma di denaro non era mai stata pagata e perciò Luigi XIV rivendicò i diritti della moglie, proponendo come sovrano il nipote Filippo. Oltre questa prima rivendicazione sul regno spagnolo esisteva quella austriaca: l'imperatore Leopoldo I d'Asburgo era marito di un'altra sorella di Carlo II e quindi propose come successore suo figlio Carlo.

Alla morte di Carlo II, nel 1700, si lesse nel suo testamento che l'erede al trono sarebbe stato Filippo di Borbone (nipote di Luigi XIV). Egli assunse il titolo di Filippo V d'Asburgo, trasferendosi a Madrid e causando la ricostituzione della lega antiborbonica, che vedeva alleate insieme Austria, Inghilterra, Olanda, Savoia, Portogallo, Prussia-Brandeburgo e gli stati Tedeschi.

La nuova guerra per la successione durò dal 1702 al 1713. Leopoldo d'Austria invase la Lombardia, i Francesi il Piemonte, gli spagnoli combattevano sul fronte del Portogallo e della Catalogna, e l'occupazione inglese di Gibilterra consentì ai partecipanti della lega di penetrare nel mediterraneo, così loro presero la Sardegna e le Baleari e gli Austriaci Napoli. Nel 1706 il Belgio riconobbe la sovranità degli Asburgo d'Austria, minacciando la Francia.

Tra il 1707 e il 1709 Filippo V vinse la sua guerra interna dimostrando di essere preferito dagli spagnoli rispetto Carlo. Poi nel 1705 morì Leopoldo, e nel 1711 anche suo figlio Giuseppe senza lasciare figli. Divenne erede Carlo prendendo il nome di Carlo VI ed ereditando tutti i possessi austriaci. L'Inghilterra era spaventata da questa concentrazione di potere e così avvennero le prime trattative di pace, sul principio che la Spagna andava spartita fra tutti.

Nel 1712-13 si tenne a Utrecht un primo congresso di pace che pose fine al conflitto tra Francia ed Inghilterra, l'anno successivo venne firmata a Rastatt la pace tra Francia e Austria. Filippo V fu riconosciuto re di Spagna in cambio della rinuncia alla Francia. Carlo VI ottenne i Paesi Bassi meridionali, e i possessi spagnoli italiani. La Sicilia venne data ai Savoia, che unirono al Piemonte il Monferrato. Nel 1719 poi Carlo VI e il duca di Savoia si scambiarono la Sardegna per la Sicilia. L'Inghilterra ebbe vantaggi economici grazie alla conquista dello stretto di Gibilterra e al contratto con la Spagna, che gli conferiva il diritto di rifornire di schiavi neri le colonie americane.

Questa guerra di successione si collega alle altre del XVII secolo perché fu un tentativo di stabilire l'egemonia sull'Europa caratterizzato da un grande dispiegamento di milizie e un complesso lavoro diplomatico.

L'Inghilterra si alleò con l'Austria per evitare il dominio Francese, ma appena il dominio iniziò a diventare austriaco questa alleanza cadde. In attesa che Carlo VI accettasse la spartizione spagnola in modo ragionevole, il governo Inglese tentò di trattare, lasciando sola nel conflitto l'Austria.


2. La Russia di Pietro il Grande e la guerra del Nord

La Svezia, in seguito alla guerra dei Trent'anni e del Nord, ottenne importanti possedimenti strategici ed economici nel mar Baltico. Grazie al possesso della Livonia, e del versante settentrionale dello stretto di Sund, controllava il commercio proveniente dalla Polonia e dalla Russia; e grazie al possesso della Pomerania Occidentale e di Brema, Verden e Wismar deteneva l'accesso alle vie fluviali dei traffici tedeschi. I re Svedesi riuscirono ad introdurre l'assolutismo e rafforzarono le strutture statali in vista di un conflitto contro il Brandeburgo, la Prussia e la Russia.

Lo zar russo Pietro il Grande era il quarto esponente della dinasta Romanov, fondata nel 1613, e nacque nel 1672 divenendo zar nel 1682. Durante i primi anni non esercitò il proprio dovere, ma dal 1695, dopo che assunse il potere effettivo, aderì all'alleanza antiturca e fece costruire un cantiere navale sul Don. Con una flotta ridiscese il fiume e nel 1696 pose sotto assedio la fortezza d'Azov: la sua guerra fu interrotta dalle trattative per la pace di Carlowitz del 1699.

Tra il 1697 e il 1698 compì un viaggio in Europa, soffermandosi in Olanda e in Inghilterra, per apprendere le tecniche di costruzione navale. Tornò in Russia con esperti ingegneri e metallurgici e avviò una serie di riforme, la prima delle quali riguardava la creazione di un esercito permanente, dotato d'armi e cannoni; le restanti furono di carattere culturale: introdusse la numerazione araba e la riforma del calendario e cercò, grazie al suo potere assolutistico e all'assoggettamento dei suoi sudditi, di imporre una modernizzazione forzata al pari Europeo, trasformando i servi rurali in manodopera industriale, annullando il prestigio dei monaci e del clero, e imponendo ai nobili il taglio della barba e un vestiario occidentale. Infine, nel 1703, diede inizio alla fondazione della nuova capitale: Pietroburgo, al tempo dominio Svedese, nella quale erano già in procinto i lavori di costruzione dei cantieri navali.

Contemporaneamente, nel 1700, iniziò la guerra del Nord che vide l'Europa occidentale coalizzata contro la Francia, e nel Baltico Russia, Polonia e Danimarca unite insieme contro la Svezia. L'attacco alla Svezia avvenne durante il regno di Carlo XII, allora diciottenne, il quale si rivelò un prodigio militare sconfiggendo Danesi e Polacchi, e costringendo il re di Polonia, Augusto II di Sassonia, alla fuga. Carlo XII entrò a Varsavia nel 1704 ed elesse re Stanislao Leczynski, per poi proseguire per altri due anni con la guerra contro la Sassonia, e rivolgere poi le armi alla Russia. Nel 1708 fu in grado di prendere Mosca ma volse verso l'Ucraina, dove si imbattè nel gelido inverno e venne sconfitto, l'8 luglio del 1709, nell'assedio a Poltava.

Per cinque anni restò confinato in Turchia, oltre il fiume Dnepr, mentre la Polonia veniva invasa dai Russi che ristabilirono Augusto II di Sassonia, e i possessi svedesi sul Baltico e nei territori tedeschi svanivano. Nel 1715 tornò in patria e assistette all'aggiunta alla coalizione avversaria degli stati di Hannover e di Prussia-Brandeburgo, contro i quali ebbe un altro scontro, che si concluse nel 1718 con la sua morte.  

Con le paci del 1719-21 la Livonia passò a Pietro, e i possedimenti svedesi all'Hannover e alla Prussia. Il duca dello Schleswig-Holstein, che fu alleato svedese, fu privato del ducato che venne trasferito sotto la sovranità danese.


3. La politica dell'equilibrio

Luigi XIV morì un anno dopo la fine della guerra di successione spagnola, il suo regno durò quindi 54 anni: dal 1661 al 1715. Tra il 1711 e il 1712 vide morire i suoi tre successori diretti, il figlio, il nipote, ed il primo pronipote, si poneva quindi il problema della successione, che avvenne a favore del nipote Luigi XV, che aveva però solo cinque anni. Durante l'infanzia del nuovo sovrano ricomparvero le forze che il re Sole credeva di aver eliminato: la nobiltà e l'alto clero, che riuscirono a riconquistare le posizioni passate e i privilegi fiscali. Dal 1726 al 1743 Luigi XV lasciò il potere al cardinale de Fleury, che creò un compromesso fra centralismo e aristocrazia e parlamentari; ma alla sua morte, quando Luigi XV riprese il suo potere, era ormai tardi per imporsi contro la nobiltà di toga dei parlamenti e i nobili della corte di Versailles.

Nel 1701 e nel 1702 morirono in Inghilterra Maria Stuart e Guglielmo III d'Orange senza lasciare figli. Anche qui il rischio di una crisi di successione fu risolto preventivamente dal parlamento, grazie alla legge di successione, Act of Settlement, del 1701, che assegnò la corona ad Anna Stuart, sorella di Maria, la quale l'avrebbe passata poi a Giorgio I Hannover. Queste nomine erano segno della potenza parlamentare inglese. Il re poi, col suo diritto di nominare nuovi lord, aveva un discreto controllo sulla camera alta e sulla nomina dei ministri, soggetti al giudizio delle camere, secondo la norma inglese dell'accordo tra governo e maggioranza parlamentare, formata dai rappresentanti dei Tories e dei Whigs.

Con Giorgio I Hannover il potere parlamentare crebbe ulteriormente: egli era estraneo alla vita politica inglese, e delegò tutto agli uomini politici più fedeli: i whigs, dei quali fece parte Robert Walpole, primo ministro dal 1720 al 1743. Durante il dominio dei whigs si affermò un sistema fondato sul liberalismo, sul parlamentarismo, sullo spirito di profitto e sulla proprietà privata: per loro il governo dello stato e gli interessi privati coincisero.

Il cambio di dinastia era stato turbolento soprattutto in Scozia. Qui esisteva dal 1603 un'unione dinastica con l'Inghilterra, incentivata nel 1707 dall'unione dei due parlamenti, ma col nuovo sovrano gli scozzesi si ribellarono, riconoscendo il titolo al pretendente Stuart. Questi trovò appoggio persino in Inghilterra, fin quando la sconfitta del 1715 impedì la guerra civile. Un'altra rivolta nacque nel 1745, ma fu repressa anch'essa dopo un anno.

Nei decenni successivi alle paci del 1714-15 l'equilibrio era una regola per gli stati Europei, e fu favorito dall'intesa instauratasi tra Francia e Inghilterra, grazie alle abilità diplomatiche dei rispettivi capi. Ma dal 1733 nacquero due nuove guerre, motivate da problemi di successione, in Polonia e in Austria. Le guerre ormai erano solamente un momento dell'azione diplomatica, e smisero di sconvolgere la vita sociale europea, venendo sostituite spesso da ampie trattative. Gli eserciti del Seicento furono flagelli per le popolazioni civili, ma smisero di massacrare la gente da quando poterono iniziare a contare sui depositi di armi, sulle caserme e sui campi militari.

In Polonia la nobiltà giocava un grosso potere: una dieta di nobili eleggeva il sovrano e controllava il suo operato, potendo pure bloccare qualunque sua deliberazione orientata a rafforzare il potere statale (1652 liberum veto). Nel 1696, alla morte di Jan Sobieski, la dieta elesse Augusto Wettin duca di Sassonia. Durante la guerra del Nord gli svedesi gli imposero Stanislao Leczynski, e i russi Augusto II di Sassonia, lasciando gli aristocratici indecisi su quale sovrano scegliere, mentre il paese veniva devastato da russi, sassoni e svedesi.

Nel 1733 Augusto II di Sassonia morì. Restava l'indecisione fra i restanti due. La dieta elesse Stanislao Leczynski, che avendo sposato la figlia di Luigi XV godeva dell'approvazione francese, ma subito i russi tentarono di far valere i diritti ereditari di Augusto III di Sassonia, verso qui si spostò poi la decisione polacca. Dal momento che anche Carlo XII appoggiava il duca di Sassonia i Francesi e gli spagnoli dichiararono guerra all'Austria.

I russi sconfissero i francesi sul Reno e in Italia, dove s'incontravano Asburgici e Borboni. Ma la guerra che di fatto si concluse nel 1735 arrivò a chiudersi tre anni dopo, con il trattato di pace secondo cui Leczynski rinuncia al trono in cambio del ducato di Lorena (che sarebbe passato poi nuovamente ai Borbone), gli Asburgo rinunciano a Napoli in cambio di Parma e Piacenza (liberi dopo l'estinzione della dinastia Farnese) e il duca di Lorena Francesco diventa granduca di Toscana in seguito all'estinzione dei Medici del 1737.

La dinastia Asburgica, in seguito ai conflitti contro gli ottomani del 1683-99 e del 1715-18, annesse l'Ungheria, la Transilvania e la Serbia. La dominazione ungherese non fu semplice: la nobiltà non accettò l'assolutismo imperiale, al punto che i sovrani asburgici Leopoldo I, Giuseppe I e Carlo VI dovettero affrontare una guerra separatista ungherese, fin quando Carlo VI nel 1712 riuscì a ottenere la corona dalla dieta, che però gli impose delle limitazioni eccessive sull'organizzazione finanziaria e militare asburgica.

Nel 1740 Carlo VI morì. Prima della sua morte cambiò le norme che regolavano la successione, in modo da consentire l'elezione del marito della figlia Maria Teresa, Francesco di Lorena, come imperatore; e per i restanti regni asburgici previde la successione femminile, a favore quindi della figlia, cercando di ottenere l'assenso dei regnanti europei alla "Prammatica Sanzione". Ma questa nuova legge non riuscì ad attuarsi. Il re di Prussia s'impadronì subito della Slesia. Si formò una coalizione antiasburgica tra Francia, Spagna, Prussia, Sassonia e Baviera, contro cui gli Asburgo guerreggiarono dal 1740 al 1748, periodo durante il quale l'Ungheria rimase fedele. Maria riuscì a ottenere l'alleanza dell'Inghilterra e del regno di Sardegna, limitando le perdite alla Slesia e al ducato di Parma e Piacenza, conquistate rispettivamente dal re di Prussia e da Filippo di Borbone. I Savoia invece estero al Ticino i propri possedimenti.


4. La guerra dei Sette anni e la spartizione della Polonia

Dopo aver conquistato la Slesia nel 1740, la Prussia dimostrò di esser diventata una grande potenza europea, i cui territori iniziarono ad ampliarsi già dal 1618 quando la dinastia degli Hohenzollern, già possessori del ducato di Brandeburgo e del titolo di elettore, riuscì a impadronirsi della Prussia Orientale; o da prima ancora se si considerano il ducato e le due contee tedesche.

Con il duca Federico Guglielmo I la Prussia mirò a diventare una potenza militare, partecipando a tutti i conflitti fino al 1721, e guadagnandosi di volta in volta nuove conquiste. Al termine della guerra dei trent'anni annesse la Pomerania orientale e tre città vescovili, tra cui Magdeburgo. Nel 1660 si libera del vassallaggio nei confronti della Polonia e nel 1701 diventa regno. Al termine della guerra di successione spagnola ottiene la regione fiamminga della Gheldria. Nel 1720 strappa dalla Svezia la Pomerania occidentale e la città di Stettino.

Il Grande elettore Federico Guglielmo cercò sempre di procurare abbastanza risorse per costruire un esercito permanente, abbandonando il sistema dei mercenari, e impose sui suoi stati un rigoroso assolutismo, facendo salire il carico fiscale sproporzionatamente. Gli Hohenzollern avevano sempre governato accompagnati dai "ceti" (alta e bassa nobiltà), Federico invece li privò della loro autorità, annientando l'autonomia cittadina e liberandosi di ogni controllo, dandogli in cambio alcuni privilegi fiscali e il dominio sulle masse contadine, ormai servi. L'ex-nobiltà del Brandeburgo-Prussia era diventata quindi una casta, sottomessa al sovrano ma ricompensata dai privilegi. Il nuovo re Federico II ereditò uno stato frammentato, composto da nuclei singoli, accomunati da un'unità amministrativa avanzata e sottoposti a una tirannia fiscale. Lo "stato" contava 2 milioni d'abitanti, con un esercito di 80 mila uomini.

Tra il 1748 e il 1756 ci furono una serie di alleanze strategiche che portarono a una nuova guerra: l'Austria cercò l'appoggio della Russia contro la Prussia, che stipulò un trattato difensivo con l'Inghilterra, poco dopo ci fu un altro trattato difensivo tra Austria e Francia che venne giudicato un vero e proprio capovolgimento degli schieramenti. Questo sistema doveva evitare la guerra invece Federico II di Prussia decise di intervenire contro l'Austria, invadendo la Sassonia nell'agosto del 1756, dando inizio alla guerra dei Sette anni, conclusa nel 1763.

La guerra dei Sette anni fu divisa in due conflitti distinti. Uno tra Francia e Inghilterra, che miravano al controllo delle Indie, delle Antille e dell'America settentrionale. E l'altro tra l'Austria (Maria Teresa), che cercò di riottenere la Slesia, contro la Prussia. Per sconfiggere la Prussia l'Austria riconosceva il potere Francese, a differenza dell'Inghilterra che si schierò quindi con la prima potenza. La Prussia si trovò quindi contro l'Austria, la Russia e la Francia. Rischiò più volte di perdere tutto e forse ciò sarebbe successo se nel 1762 la Russia non fosse uscita dalla coalizione. Trovò quindi una pace con gli assurgici, mantenendo solo la Slesia. Nel frattempo l'altro conflitto della guerra dei Sette anni, quello tra le due potenze coloniali, si concluse nel 1763 a favore dell'Inghilterra: la Francia accettò la pace di Parigi con cui lasciava all'Inghilterra il predominio coloniale.

I primi sei decenni del Settecento furono quindi caratterizzati da continue guerre: la guerra del nord, le guerre di successione Spagnola, Polacca e Austriaca e la guerra dei Sette anni. Per almeno trent'anni successivi ci fu un equilibrio garantito dalla diplomazia, durante il quale la Polonia subì i risvolti degli accordi politici.

Nel 1725 muore Pietro il Grande, gli succede la figlia Elisabetta (1741-62) che si allea con la lega antiprussiana, dopo di lei sale al trono il nipote Pietro III, che stipula una pace con Federico II e quindi con la Prussia. Egli venne deposto da una congiura, e divenne sovrano la principessa tedesca Caterina II. Caterina II, nel 1764, sceglie con Federico II e Maria Teresa il nuovo re di Polonia nel nome di Stanislao Poniatowski, approvato dalla dieta polacca, ma contestato dalla fazione russa.

Nel 1768 si aggiunse l'impero ottomano che dichiarò guerra alla Russia. Nel 1772 la Russia sembrava vincere, ma fu qui che ne fece le spese la Polonia. La Prussia e l'Austria avrebbero acconsentito a una vittoria russa solo a patto di ricevere compensi territoriali in Polonia, il cui re fu costretto ad accettare un progetto di spartizione per cui la Prussia occidentale sarebbe stata assegnata a Federico II, la Galizia a Maria Teresa e la Russia Bianca a Caterina II. Così la Russia ebbe via libera per occupare il mar d'Azov e annettere al Crimea, fondando il porto d'Odessa.

Nel giro di vent'anni le istituzioni Polacche conobbero uno svecchiamento. Nel 1792 fu approvata dalla dieta una nuova costituzione che prevedeva l'abolizione del diritto di veto, l'istituzione di una monarchia ereditaria e il riconoscimento della libertà ai cittadini. Le grandi potenze non videro di buon occhio questo risveglio: la Russia e la Prussia invasero la Polonia e all'inizio del 1793 imposero al re Stanislao Poniatowski un nuovo trattato di spartizione, egli rifiutò provocando un'insurrezione che ebbe come centro Varsavia e portò al potere Tadeusz Kosciuszko, il quale non esitò a mettere in guerra il popolo contadino proclamando l'abolizione della servitù. La nobiltà ebbe paura e si rifugiò negli eserciti stranieri. Questi tumulti si conclusero con la fine della Polonia: nell'ottobre del 1795 venne spartita nuovamente, Varsavia spettò alla Prussia, Cracovia e Lublino all'Austria e la Lituania e Vilna alla Russia.



























-UNITÀ 4- GLI IMPERI ASIATICI E GLI SVILUPPI DEL COLONIALISMO EUROPEO


5. Gli imperi coloniali europei

Con la comparsa dei navigatori portoghesi nell'Oceano Indiano l'Asia dimostrò d'essere superiore nei commerci rispetto l'Europa, la quale non poteva offrire nulla in confronto all'India, a Giava o alla Cina. Neppure i migliori prodotti del mondo occidentale, come la lana, potevano competere con le sete cinesi e le cotonate indiane. L'Europa pagava i suoi acquisti in metalli come lo stagno, ma doveva pagarli prevalentemente in metalli preziosi: circa il 35-40% dell'argento messicano finì nell'oriente in cambio di pepe e spezie. Dal XVIII secolo i prodotti cinesi divennero una moda in Europa, oltre le sete si diffusero il tè, servito rigorosamente in porcellane cinesi, il rabarbaro, svariati oggetti laccati, ventagli e paraventi. Per rimediare al deficit i mercanti occidentali dovettero rivendere in oriente prodotti esportati, per esempio vendendo in Cina cotonate Indiane. L'East India Company inglese si occupò dei traffici tra India e Cina, invece gli Olandesi dei traffici tra Cina e Giappone.

Nel Settecento la Compagnia olandese delle Indie orientali ebbe il predominio sull'Oceano Indiano e sui mari Indonesiani, possedendo diverse basi in India e nel Ceylon e interessi commerciali in Indonesia e nelle Molucche. La sua capitale stava a Batavia (attuale Giacarta). La Voc non era interessata al governo della popolazione locale ma ai profitti che se ne potevano trarre, senza tentare, come fecero i portoghesi, di imporvi il Cristianesimo. Le uniche volte che si fece coinvolgere in battaglie fu per motivi commerciali. Piano piano gli olandesi conquistarono sovranità territoriali a Giava, sotto forma d'esazioni tributarie sulle popolazioni: iniziarono a importare piante di canna da zucchero e caffé, imponendo agli indigeni la loro coltivazione e consegna, estorsione che si aggiunse al commercio. Lo stesso processo avvenne nelle Molucche, nel Ceylon, a Sumatra, Borneo e Celebes.

Nel 1795 la Compagnia fu travolta dai debiti, causati dalle guerre inglesi e dalla corruzione dei funzionari. Nel 1799 venne sciolta e il governo passò alle Province Unite. Il sistema dell'esazione dopo il 1830 divenne sempre più rigido: i tributi furono sostituiti dal sistema delle colture, producendo una crescita forzata del caffé e della canna, a discapito del riso. Il diboscamento provocò mutamenti ambientali e le risaie irrigue fecero crescere enormemente la popolazione.

Nel XVII secolo erano nate una ventina di basi commerciali Europee, portoghesi, olandesi, francesi e inglesi, nelle coste Indiane; e nel 1696 gli inglesi fondarono Fort Williams nei pressi di Calcutta, un importante insediamento.

Ai primi decenni del XVIII secolo gli Olandesi caddero, lasciando il proprio posto all'East India Company inglese, che verso il 1740 si trovò rivale dei francesi. Entrambi i mercanti divennero importanti in India, offrendo i loro servizi militari ed economici a un India sconvolta dalle lotte tra Moghul e Indù, e dalle invasioni Afgane. Fu così che si trovarono presto inseriti in un conflitto generale. Nel 1756 il nawab del Bengala attaccò Fort Williams e massacrò i suoi occupanti, gli rispose Robert Clive, che con una flotta riconquistò la base, e lo sconfisse a Plassey il 5 giugno 1757. La cavalleria e la fanteria del bengala (in tutto 23 mila uomini) furono annientate dai cannoni e dall'esercito di Clive (composto da 9000 inglesi e 2200 cipays, soldati indù). Egli vinse soprattutto in piano politico, assicurandosi l'appoggio dei mercanti-banchieri del Bengala.

Il conflitto francesi-inglesi si inserì anche nella guerra dei Sette anni, e si concluse con la pace di Parigi che lasciò ai primi Pondichery, privandoli però di ogni ambizione sull'India. Nel frattempo nella penisola la pressione maratha e afgana sui moghul raggiunse il culmine, fino alla battaglia di Panipat del 1761.

La svolta inglese avvenne nel 1764-65, quando il nuovo nawab tentò di opporsi alle ingiustizie occidentali e si alleò con il gran moghul e con il nawab della provincia d'Oudh. Questa coalizione fu sconfitta a Bakshar nell'ottobre 1764, e l'anno dopo il moghul concesse alla compagnia inglese l'appalto delle imposte delle due province del Bengala e del Bihar. 30 milioni d'Indiani divennero sudditi della compagnia commerciale, i cui funzionari presero il nome di nababbi.

L'Inghilterra cominciò a criticare la Compagnia per le sue abitudini: era una macchina di rapina, un'organizzazione commerciale e una forza politica sempre pronta a chiedere aiuti economici alla Madre Patria qualora la guerra venisse a costarle troppo.

Nel 1773 il governo inglese emanò una legge per limitare il potere della compagnia, ma solo nel 1784 iniziò a controllare realmente i governatori soprattutto nei loro rapporti con i principi indiani. Ciò nonostante tutti i governatori successivi continuarono nella loro politica espansionistica, annettendo nuovi principati e riducendo a zero il potere dei moghul e dei musulmani. Ma l'epoca della East India Company era finita. Nel 1813 il governo inglese gli tolse il monopolio sui traffici indiani, rendendolo accessibile a chiunque, e nel 1858 la soppresse definitivamente.

Nel frattempo la rivoluzione inglese era avvenuta, e aveva provocato la diffusione commerciale dei cotonati industriali inglesi. La libera circolazione delle merci e i bassi costi aprirono l'India all'esportazioni inglesi di cotonate, incrementando il suo sistema produttivo.

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