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I mutamenti, economici e sociali, nell' Italia del secondo dopoguerra
scelta di una campagna pubblicitaria
Alla seconda guerra mondiale si guarda oggi come ad un grande spartiacque storico. Certo, il mondo attuale è anche il prodotto di processi cominciati molto prima della guerra (come il declino europeo) e di altri successivi (come i mutamenti nell'economia, nelle tecniche, nel costume, ecc); tuttavia, pochi avvenimenti come la seconda guerra mondiale hanno avuto conseguenze così vaste e profonde sugli assetti internazionali, sulla vita dei singoli Paesi, sulla stessa psicologia individuale e di massa.
La seconda guerra mondiale sancì, oltre che la liquidazione del nazifascismo, la crisi definitiva della supremazia europea e l'emergere di due superpotenze, USA e URSS, dando vita così ad un nuovo equilibrio internazionale bipolare. A farsi promotori e garanti del progetto di un nuovo sistema mondiale furono soprattutto gli Stati Uniti. Come già nel primo dopoguerra, e in misura maggiore di allora, gli USA diventarono per l'Europa occidentale il principale punto di riferimento non solo materiale (per la ricostruzione e la difesa), ma anche ideale e culturale in senso lato.
Di matrice americana fu l' ispirazione di base dell'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) creata nella conferenza di San Francisco (aprile-giugno 1945) al posto della vecchia e screditata Società delle Nazioni, con l'obiettivo di "salvare le generazioni future dal flagello della guerra" e di impiegare "strumenti internazionali per promuovere il progresso economico e sociale di tutti i popoli". Lo Statuto dell'ONU reca l'impronta di due diverse concezioni: da un lato, quella dell' utopia democratica wilsoniana di cui era ancora imbevuta una parte dell'opinione pubblica americana, dall' altro quella, più propriamente roosveltiana, della necessità di una sorta di direttorio delle grandi potenze come efficace strumento di governo degli affari mondiali. L'accordo di costituzione dell'ONU, denominato "Statuto della Carta", fu sottoscritto da 50 Stati. L'Italia vi è stata ammessa solo nel 1955 a causa dell'opposizione dell'URSS. I principali organi dell'ONU sono:
l'Assemblea Generale, costituita da tutti gli Stati membri. Si riunisce una volta all'anno per adottare risoluzioni non vincolanti per gli Stati stessi;
il Consiglio di sicurezza, costituito da cinque membri permanenti (le cinque maggiori potenze vincitrici, USA, URSS, Francia, Gran Bretagna, Cina) e da altri dieci membri eletti a turno nell'ambito dell'Assemblea Generale. Le determinazioni del Consiglio di sicurezza possono essere bloccate da ciascuno dei cinque membri permanenti mediante l'esercizio del diritto di veto: un meccanismo che fu introdotto soprattutto per volontà dell' URSS, diffidente nei confronti di un' organizzazione in cui avrebbe potuto facilmente essere messa in minoranza;
il Segretario Generale che svolge compiti esecutivi;
il Consiglio economico-sociale, avente il compito di promuovere la cooperazione in campo economico e sociale e da cui dipendono organismi come la FAO (Organizzazione per l'Alimentazione e l'Agricoltura), l'UNESCO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione,la Scienza e la Cultura), l'OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro);
la Corte Internazionale di Giustizia, con sede all'Aja, che giudica sulle controversie insorte tra gli Stati membri, pronunciando sentenze che obbligano gli Stati ad eseguirle.
Il ruolo dell'ONU, anche se è stato in alcuni casi decisivo per evitare o far cessare conflitti, incontra notevoli difficoltà quando deve far ricorso alla forza per ottenere il rispetto delle sue decisioni. Infatti, pur essendo prevista dallo Statuto la possibilità di impiegare contingenti militari (i cosiddetti caschi blu), di fatto, raramente si è fatto ricorso ad essi, per via del veto esercitato dai cinque membri permanenti al Consiglio di sicurezza o per difficoltà finanziarie. I caschi blu sono stati quasi sempre impiegati come osservatori nel caso di armistizi o per svolgere compiti umanitari; solo di recente l'impiego di contingenti armati dell'ONU è divenuto più frequente a causa dell'insorgere di crisi in varie parti del mondo (Iraq, Somalia, Balcani).
Dopo aver mobilitato popolazioni e apparati produttivi in uno sforzo senza precedenti, la guerra aveva lasciato dietro di sé nazioni dissanguate ed economie stremate.
Soprattutto in Europa il bilancio era pesantissimo. Si ponevano quindi, nell'immediato, due esigenze: soccorrere le popolazioni più colpite e avviare la ricostruzione economica.
A questi obiettivi corrispose l' imponente flusso di aiuti americani, erogati in due fasi: una prima, fra il '45 e il '46, di cui beneficiò in parte anche l' URSS, e una seconda, più ampia, che iniziò nel '47-'48 e prese il nome di European Recovery Program (ERP) o, più comunemente, Piano Marshall, dal nome del segretario di stato americano che ne assunse l'iniziativa. Fra il 1948 e il 1952, il Piano Marshall riversò sulle economie europee ben tredici miliardi di dollari fra prestiti a fondo perduto, macchinari e derrate agricole; l'effetto fu, non solo, di permettere la ricostruzione,ma anche di avviare un forte rilancio delle economie. Agli aiuti si accompagnarono alcuni vincoli: l'obbligo di acquistare una certa quota di forniture industriali americane, i controlli sull'impiego dei fondi e sui piani economici adottati dai singoli Paesi, le intese per tutelare l'industria statunitense dalla concorrenza europea. Se è vero che il Piano Marshall non fu un'operazione completamente disinteressata, i vincoli posti agli aiuti non impedirono, comunque, alla ricostruita industria europea di entrare poi in vivace competizione con quella americana. Un discorso analogo vale per la rifondazione dei rapporti economici internazionali, anch'essa effettuatasi sotto l'impulso e la guida degli Stati Uniti. Con gli accordi di Bretton Woods del luglio 1944 fu creato il Fondo Monetario Internazionale, con lo scopo di costituire un adeguato ammontare di riserve valutarie mondiali a cui ogni Stato membro può attingere in caso di difficoltà della propria bilancia dei pagamenti (cioè,nel pagamento dei debiti di qualunque natura contratti con un altro Stato) e di assicurare la parità dei cambi monetari ancorandoli, non soltanto all'oro, ma anche al dollaro (di cui gli Stati Uniti si impegnavano a garantire la convertibilità in oro). Si venne così a consolidare il primato della moneta americana come valuta internazionale per gli scambi e come valuta di riserva per le banche centrali di tutto il mondo: un ruolo detenuto prima, in scala più ridotta, dalla sterlina britannica.
Al Fondo Monetario fu affiancata la Banca Mondiale, col compito di concedere prestiti ai singoli Stati per favorirne la ricostruzione e lo sviluppo.
Sul piano commerciale, un sistema fondamentalmente liberoscambista fu instaurato dal GATT (General Agreement on Tariff and Trade), che prevedeva un generale abbassamento dei dazi doganali. L'insieme di queste riforme, e più ancora il ruolo del dollaro,misero nelle mani degli USA leve formidabili per stimolare la rinascita delle economie europee e per renderle omogenee e complementari alla propria.
Verso la Repubblica
La prima occasione di confronto fra i partiti italiani all'indomani della liberazione si presentò al momento di eleggere il successore di Bonomi. Dopo un lungo braccio di ferro, trovarono un accordo sul nome di Ferruccio Parri, che godeva di un notevole prestigio personale essendo stato uno dei capi militari della Resistenza. Formato un ministero con tutti i partiti del CLN (Comitato di Liberazione Nazionale), Parri cercò di promuovere un processo di normalizzazione del Paese ancora sconvolto dagli strascichi della guerra e mise all'ordine del giorno lo spinoso problema dell'epurazione. Annunciò, inoltre, una serie di provvedimenti volti a colpire con forti tasse le grandi imprese e a favorire la ripresa delle piccole e medie aziende; ma in questo modo suscitò l'opposizione delle forze moderate che ritirarono la fiducia al Governo determinandone la caduta. Il nuovo Governo fu presieduto da Alcide De Gasperi. La sua nascita è stata spesso considerata come l'inizio di un predominio che sarebbe durato per tutto il corso della prima Repubblica ed è stata perciò caricata di un particolare significato. Il dibattito politico s' incentrava soprattutto sulla questione della Costituente. De Gasperi chiedeva che all'Assemblea Costituente fosse affidato solo il compito di redigere la Costituzione, mentre i provvedimenti legislativi sarebbero stati decisi dal Governo, nell'ambito di una divisione di poteri che gli sembrava una garanzia contro pericoli di autoritarismo. La paura di un indebolimento del suo partito gli faceva porre la richiesta che ad essa non fosse demandata nemmeno la decisione sul problema istituzionale, che voleva affidare a un referendum. La stessa richiesta era avanzata dalla destra per ragioni diverse: i monarchici ritenevano che il referendum avrebbe portato a una drammatizzazione della situazione e ad una più forte spaccatura nel Paese, di cui avrebbero potuto giovarsi le destre spostando verso la monarchia i voti del fronte moderato. De Gasperi guardava con preoccupazione al voto moderato, temendo che una chiara presa di posizione della DC sulla questione istituzionale potesse farle perdere l'appoggio dei monarchici; nel partito, infatti, la corrente repubblicana, le cui ragioni erano espresse soprattutto da Dossetti, era nettamente prevalente. Nel congresso, tenutosi dal 24 al 28 aprile, il 60% dei delegati della DC si pronunciarono per la Repubblica, contro il solo 17% favorevoli alla monarchia. De Gasperi, anche se faticosamente, riuscì ad appianare i contrasti con la destra cattolica e le gerarchie ecclesiastiche. In questo modo il partito democristiano avanzava la sua candidatura a guidare la transizione tra monarchia e Repubblica e si poneva come garante politico e sociale verso le forze moderate e conservatrici, nonché verso i cattolici e la Chiesa. Nel referendum istituzionale del 2 giugno la Repubblica prevalse sulla monarchia; nella Costituente ben 207 seggi andarono alla DC. Il periodo dell'esarchia del CLN era finito e aveva inizio quello dei partiti di massa. I risultati del referendum misero in evidenza l'esistenza di due Italie: la monarchia ebbe poco più del 35%dei voti al Centro e al Nord ma oltre il 60% nell'Italia meridionale e insulare. La DC fu il partito che ottenne il voto più equilibrato. In questa situazione, si andò delineando, soprattutto attraverso la DC, un' alleanza tra una parte del Nord e una parte sempre più consistente del Sud, che avrebbe rappresentato un elemento fondamentale del nuovo blocco di potere: i gruppi industriali e borghesi economicamente più forti del Nord trovarono un sostegno elettorale, e di conseguenza politico, più nelle regioni meridionali che in quelle settentrionali e centrali. I risultati delle elezioni del 2 giugno delusero le sinistre che, rispetto alle aspettative, subirono una sconfitta: alla prova del voto la DC risultava di gran lunga il più forte partito italiano. Per i comunisti la delusione era resa più grande dal fatto che i socialisti li precedevano nei maggiori centri operai, come Milano e Torino, dove erano preceduti anche dalla Democrazia Cristiana. La misura dell'affermazione della DC veniva anche ad indebolire l'ipotesi di fondo su cui era basata la strategia di Togliatti e di Nenni: quella di un'alleanza fra i tre grandi partiti popolari. Questa alleanza si basava, infatti, sul presupposto che le forze popolari democratiche e repubblicane rappresentassero la grande maggioranza del popolo italiano; ma le elezioni mostrarono l'esistenza di una minoranza monarchica così rilevante da invalidare quel presupposto, minoranza che faceva confluire il suo voto nella DC, che veniva quindi a rappresentare una forza antagonista alle sinistre. Il primo importante problema che l'Assemblea Costituente dovette risolvere fu quello del rapporto tra attività costituente e attività legislativa ordinaria; l'Assemblea lo risolse in modo che l'attribuzione di quest'ultima al Governo non ledesse la sua sovranità: il Governo fu invitato ad inviarle con la massima urgenza tutti i disegni di legge che quattro commissioni avrebbero esaminato decidendo quali, per la loro importanza, dovevano essere sottoposti alla deliberazione della Costituente. D'altra parte, dopo il successo elettorale, i timori che un'Assemblea troppo spostata a sinistra avesse la prevalenza sul Governo erano in gran parte svaniti dalla DC.
L'Assemblea Costituente incaricata di dare all' Italia una nuova legge fondamentale, dopo lo Statuto Albertino di cento anni prima, cominciò i suoi lavori il 24 giugno 1946 e li concluse il 22 dicembre 1947 con l'approvazione a larghissima maggioranza del testo costituzionale che entrò in vigore il 1 gennaio 1948. Dalla forma di Governo monarchico-rappresentativo, introdotta dallo Statuto Albertino, si passò al sistema costituzionale-parlamentare, col Governo responsabile di fronte alle due Camere (la Camera dei Deputati ed il Senato della Repubblica), titolari del potere legislativo, entrambe elette a suffragio universale e incaricate anche di scegliere, in seduta congiunta, un Capo dello Stato con mandato settennale; in tal modo, l'originaria responsabilità del Governo verso il Re si trasforma in responsabilità verso il Parlamento. La Costituzione repubblicana è totalmente ispirata ai principi dello stato di diritto per cui Stato e cittadini si trovano nella medesima posizione di fronte alla legge. La novità fondamentale, rispetto allo Statuto Albertino, è rappresentata dal riconoscimento in favore dei cittadini di diritti soggettivi pubblici, cioè, dal potere di pretendere dallo Stato e da altri Enti pubblici, particolari comportamenti. Tutta la Costituzione è orientata in senso democratico, ossia, verso il riconoscimento dell'appartenenza al popolo della sovranità e verso l' apprestamento di strumenti che possano consentire ai cittadini di partecipare, direttamente o indirettamente, all'attività di governo. Ciò si realizza particolarmente nel titolo che disciplina i rapporti politici. Un'altra novità di rilievo è rappresentata dal fatto che un apposito titolo della Costituzione è dedicato ai rapporti economici, cioè alla tutela del lavoro in tutte le sue forme, alla previsione di forme di previdenza e di assistenza sociale, all' affermazione della libertà sindacale, alla disciplina della proprietà privata, alla tutela della cooperazione mutualistica e del risparmio. La Costituzione, essendo rigida, non può essere modificata da una qualunque legge: il processo di modifica richiede maggioranze particolari ed un doppio esame da parte di entrambi i rami del Parlamento. La necessità dell' adozione di una Costituzione rigida fu determinata, oltre che dall' affermarsi dello stato di diritto, dall' esperienza del ventennio fascista, al fine di evitare drammatici stravolgimenti nella vita democratica.
Nel complesso, la Costituzione rappresentò un compromesso equilibrato, e non più contestato in seguito, fra le diverse forze politiche che avevano contribuito a realizzarla, nonostante l' asprezza dei contrasti che si aprirono su singole questioni. Lo scontro più clamoroso si verificò quando si discusse la proposta democristiana di inserire un articolo (l'articolo 7) in cui si stabiliva che i rapporti fra Stato e Chiesa erano regolati dal Concordato (conosciuto come Patti Lateranensi) stipulato nel 1929 fra la Santa Sede e il regime fascista; la proposta sembrava destinata ad essere respinta, ma, all'ultimo momento, con una decisione che suscitò non poco scalpore, Togliatti annunciò il voto favorevole del PCI, motivando la sua scelta con la volontà di rispettare il sentimento religioso della popolazione italiana e di non creare fratture in seno alle masse. L'art.7 fu così approvato, nonostante l'opposizione dei socialisti e degli altri partiti laici. Era inoltre previsto che una Corte Costituzionale vigilasse sulla conformità delle leggi alla Costituzione, che le leggi stesse potessero essere sottoposte a referendum abrogativo, che la vecchia struttura centralistica dello Stato fosse spezzata creando il nuovo istituto della Regione, dotato di poteri anche legislativi.
Le norme relative alla Corte Costituzionale, al referendum e alle Regioni erano però destinate a restare inattuate per molti anni, anche perché, la Costituente, non essendo investita dei poteri legislativi ordinari, non ebbe la possibilità di tradurre immediatamente in leggi applicative le norme del Dettato Costituzionale.
Le elezioni del '48
Il varo della Costituzione repubblicana fu l' ultima manifestazione significativa della collaborazione tra le forze antifasciste. Dall'inizio del '48 i partiti si impegnarono in un' accanita gara per conquistarsi i favori dell'elettorato, in vista delle elezioni politiche convocate per il 18 aprile che avrebbero dato alla Repubblica il suo primo Parlamento. Caratteristica di questa campagna elettorale fu la polarizzazione fra due schieramenti contrapposti: quello governativo, guidato dalla DC e comprendente anche i partiti laici minori, e quello di opposizione egemonizzato dal PCI. Un ulteriore contributo alla radicalizzazione dello scontro lo diede il Partito Socialista, decidendo di presentare liste comuni col PCI sotto l'insegna del Fronte Popolare. Gli elettori si trovarono così di fronte ad un' alternativa secca: la scelta sembrò dovesse essere per gli Stati Uniti o l'Unione Sovietica, per la Chiesa o per il bolscevismo ateo. Si discusse, tanto di modelli di vita, quanto dell' aiuto che gli Stati Uniti potevano dare all' Italia espresso nei suoi termini più elementari: pane, carbone, medicine. L' immagine più diffusa dell' America fu quella delle "navi cariche di roba da mangiare", immagine che esprimeva le condizioni di miseria in cui ancora viveva la grande maggioranza degli italiani. Questo consentì ai democristiani di porsi come i più accreditati rappresentanti della superpotenza e di agitare la minaccia di una sospensione degli aiuti del Piano Marshall in caso di vittoria delle sinistre. IL partito di De Gasperi potè giovarsi inoltre dell' aiuto della Chiesa, che si impegnò in una massiccia campagna anticomunista e mobilitò tutte le sue organizzazioni in una propaganda spesso grossolana ma indubbiamente efficace: l' aver dato alle elezioni del 18 aprile i caratteri di una crociata religiosa fu già una prima vittoria democristiana.
Le elezioni si tradussero in un travolgente successo del partito cattolico mentre, durissima fu la sconfitta dei due partiti operai, il cui peso ricadeva per intero sul PSI che vedeva più che dimezzata la sua rappresentanza parlamentare e pagava così l' eccessiva identificazione con le posizioni del PCI. Con le elezioni del 18 aprile '48, gli elettori italiani non solo scelsero il partito che avrebbe governato il Paese negli anni a venire, ma si espressero anche in favore di un sistema economico e di una collocazione internazionale. Tre mesi dopo, un episodio drammatico rischiò di far precipitare il Paese nella guerra civile: il 14 luglio, uno studente di destra sparò al segretario comunista Togliatti ferendolo gravemente; alla notizia dell'attentato, in tutte le principali città, operai e militanti comunisti scesero in piazza scontrandosi con le forze dell' ordine. La CGIL proclamò lo sciopero generale che fornì, però, alla sua componente cattolica l' occasione per staccarsi dal sindacato unitario e dar vita ad una nuova confederazione, la CISL (Confederazione Italiana Sindacati Lavoratori). Pochi mesi dopo, anche i sindacalisti repubblicani e socialdemocratici abbandonarono la CGIL, fondando una terza organizzazione, la UIL (Unione Italiana del Lavoro).
Svaniva così l' ultimo residuo di unità antifascista e la divisione del Paese in due schieramenti contrapposti poteva ormai dirsi completa. .
Gli anni del "centrismo"
I cinque anni della prima legislatura repubblicana (1948-1953) segnarono il periodo di massima egemonia della Democrazia Cristiana che, malgrado la maggioranza assoluta dei seggi alla Camera, continuò a puntare sull' alleanza coi partiti laici minori. La DC appoggiò la candidatura alla presidenza della Repubblica del liberale Luigi Einaudi (eletto nel maggio '48) e associò al suo Governo, sempre presieduto da De Gasperi, rappresentanti del PLI, PRI e PsdI: fu questa la formula del cosiddetto "centrismo", che vedeva una DC molto forte occupare il centro dello schieramento politico, lasciando fuori dalla maggioranza sia la sinistra social-comunista, sia l' estrema destra monarchica e neofascista. L' iniziativa più importante del periodo centrista fu la riforma agraria, che fissava norme per l'esproprio e il frazionamento di una parte delle grandi proprietà terriere. La riforma costituiva il primo vero tentativo di una profonda modifica dell'assetto fondiario mai attuato nella storia dell' Italia unita e, pur osteggiata duramente dai partiti di destra, dava un duro colpo al potere della grande proprietà assenteista e andava incontro alle attese delle masse rurali del Centro-sud, protagoniste, ancora alla fine degli anni '40, di drammatici episodi di lotta per la terra. Se lo scopo immediato della riforma era quello di rimuovere una causa di scontento e di protesta sociale, l' obiettivo a lungo termine stava nell' incrementare la piccola impresa agricola: nel rafforzare, quindi, il ceto dei contadini indipendenti, tradizionalmente considerato una garanzia di ordine sociale e largamente egemonizzato dalla DC attraverso la potente Coldiretti.
I provvedimenti adottati (1950) furono la Legge per la Sila e la Legge stralcio (così chiamata perchè "stralciata" da un più ampio progetto che fu poi abbandonato). Le due leggi (la prima per la Calabria, la seconda per le altre regioni meridionali e centrali e il Delta Padano), completate da un analogo provvedimento della regione siciliana, diedero il via all'espropriazione di latifondi con indennizzo, come stabilito dall' art.42 della Costituzione. Contemporaneamente alla riforma agraria, fu istituita la Cassa per il Mezzogiorno, un nuovo Ente pubblico, che aveva lo scopo di promuovere lo sviluppo economico e civile delle regioni meridionali, attraverso il finanziamento statale per le infrastrutture (strade, acquedotti, centrali elettriche, ecc.) e il credito agevolato alle industrie localizzate nelle aree depresse. L'impegno fu effettivamente imponente e si prolungò per oltre un trentennio (la Cassa è stata sciolta nel 1983), ma i risultati non corrisposero del tutto alle attese; l' ingente iniezione di denaro pubblico, se anche ebbe effetti positivi sull'economia meridionale, non bastò a mettere in moto un autonomo processo di modernizzazione, né a contenere quel fenomeno di migrazione dalle campagne che, cominciato all' inizio degli anni '50 in coincidenza con i primi segni di ripresa industriale, avrebbe poi assunto dimensioni enormi alla fine del decennio.
La crescita economica
Gli anni '50 segnarono la piena trasformazione dell'Italia in società industriale. Lo sviluppo dell'industria fu dovuto sia all' iniziativa privata che all' intervento pubblico. Quest' ultimo vvenne in un primo tempo attraverso l' IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale), eredità di Mussolini e del tentativo del partito fascista di operare un recupero delle industrie dopo la crisi mondiale del '29-'32, e poi, a partire dal 1953, anche attraverso l' ENI (Ente Nazionale Idrocarburi) che rappresentò una novità assoluta nel quadro degli interventi statali nell' economia.
L' IRI, operante fino al giugno 2000, era strutturata come una holding di stampo tradizionale, ed è stata per molti anni l' impresa conglomerata più grande d' Europa. L' IRI controllava aziende siderurgiche (Italsider, Terni), meccaniche (Alfa Romeo), cantieristiche, marittime, di navigazione aerea (Alitalia), di costruzioni, delle comunicazioni (SIP) ,del credito (Banca Commerciale Italiana, Credito Italiano, Banco di Roma). Nei settori in cui l' IRI non era presente, l' impresa di Stato era rappresentata dall' ENI, sua maggior rivale quanto a dimensioni, operante particolarmente nel settore petrolifero e, inoltre, in quello chimico, tessile e meccanico. L' ENI fu creato nel 1953 da Enrico Mattei. Nel 1945, nominato commissario straordinario dell' AGIP, con il compito di procedere alla liquidazione dell' Ente, Mattei, diede invece impulso alla ricerca di idrocarburi con esiti favorevoli: fu scoperto il metano nella Pianura Padana ed ebbe inizio a Cortemaggiore lo sfruttamento del più grande giacimento italiano. Assertore dell' intervento diretto dello Stato nei settori chiave dell'economia, come presidente dell' ENI, orientò la sua attività alla ricerca di canali autonomi di approvvigionamento petrolifero per affrancare la politica energetica italiana dalla tradizionale sottomissione ai gruppi americani. In aperto conflitto con le maggiori compagnie petrolifere, le cosiddette "sette sorelle", che avevano escluso l' ENI dalle concessioni in Medio Oriente, concluse accordi diretti con i Paesi produttori, e in particolare con l' URSS, per la fornitura di greggio e perseguì una politica di ribasso dei prezzi sul mercato interno. Grazie alle risorse finanziarie procurate dall' ENI e dalla "rendita metanifera", Mattei diventò uno degli uomini più potenti d' Italia. La sua politica fu avversata in Italia dalle aziende produttrici di energia elettrica, e in particolare dal presidente dell' Edison, e all' estero fu combattuta dalle "sette sorelle" e anche dal governo americano. Se Mattei diventò il maggiore rappresentante del capitalismo pubblico, quello privato era rappresentato da alcune grandi famiglie: gli Agnelli a Torino, i Pirelli e i Falck a Milano, i Costa a Genova ; tutte famiglie del Nord. Fu a questo gruppo, e in particolare agli Agnelli, che si dovette l'inizio del nuovo sviluppo industriale. Alla crescita dell' industria automobilistica, lo Stato fornì il necessario supporto della costruzione di un importante rete autostradale; la legge che fissava i contributi statali per l' avvio della sua costruzione fu emanata il 21 maggio 1955; di seguito, tra l' ANAS e una società appositamente fondata dall' IRI, fu stipulata una convenzione per la costruzione dell' Autostrada del Sole. Il binomio automobili-autostrade rappresentò l' elemento trainante dell' economia e uno dei due principali fattori di trasformazione della società italiana; l' altro fu rappresentato dalla diffusione della televisione, alla cui comparsa, gli intellettuali, soprattutto di sinistra, espressero una condanna senza appello. Nel 1956, fu creato il Ministero delle Partecipazioni statali, col compito di coordinare l' attività delle aziende di Stato: era la conferma del rilievo assunto dagli enti a partecipazione statale (soprattutto l' IRI e l' ENI) ed anche di una nuova volontà della DC di intervenire più incisivamente nella gestione dell' economia. Amintore Fanfani, allora segretario della DC, cercò di rafforzare la struttura organizzativa del partito collegandolo più strettamente all' emergente industria di Stato, in particolare all' ENI; questa scelta creò, tuttavia, le premesse per quell' intreccio fra potere partitico ed economia pubblica che sarebbe stato poi all' origine di gravi degenerazioni.
La Corte Costituzionale
Sul piano delle istituzioni, la novità più importante di questi anni, fu l' insediamento, nell' aprile '56, della Corte Costituzionale. Il carattere rigido della Costituzione italiana implica la predisposizione di forme di controllo sulla conformità alla Costituzione delle leggi ordinarie e degli atti normativi a queste parificati; tale esigenza venne soddisfatta con l' insediamento della Corte Costituzionale, un apposito organo, avente funzioni tutte riconducibili alla nozione di "garanzia costituzionale". La Corte giudica, infatti, sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge, sui conflitti di attribuzione fra i poteri dello Stato e su quelli tra lo Stato e le Regioni e tra le Regioni, sulle accuse promosse contro il Presidente della Repubblica per alto tradimento e attentato alla Costituzione, sull' ammissibilità delle richieste di referendum abrogativo. La Costituzione prevede, innanzitutto, la pluralità delle fonti di investitura dei 15 giudici della Corte, che vengono nominati per un terzo dal Presidente della Repubblica, per un terzo dal Parlamento in seduta comune e per un terzo dalle supreme magistrature (Corte di cassazione, Consiglio di Stato, Corte dei conti); tale diversità di provenienze garantisce un' equilibrata composizione dell' organo. Ulteriori garanzie d' indipendenza dei giudici stanno nella previsione costituzionale che essi, una volta cessati dal mandato novennale, non possono essere nuovamente nominati e nel regime delle incompatibilità, in base al quale l' ufficio di giudice della Corte è incompatibile con l' ufficio di talune cariche e con l' esercizio della professione di avvocato. I giudici della Corte non possono essere rimossi o sospesi dal loro ufficio senza una decisione della Corte e godono delle immunità previste per i parlamentari. La Corte elegge tra i suoi componenti il presidente, il quale è rieleggibile nell' arco del novennato. La più rilevante tra le funzioni della Corte Costituzionale è rappresentata dal giudizio sulla costituzionalità delle leggi; il giudizio di costituzionalità può essere rilevato d' ufficio dal giudice stesso o chiesto da una delle parti di un procedimento civile, penale ed amministrativo (in tal caso il giudizio viene detto "incidentale"). La legge dichiarata incostituzionale cessa di avere efficacia; se invece la sentenza afferma la costituzionalità della legge, questa resta in vigore. Le sentenze emanate dalla Corte Costituzionale non sono impugnabili. Dal momento della sua istituzione, la Corte Costituzionale, è andata svolgendo una funzione importante e fortemente progressiva nell' adeguare la vecchia legislazione ai principi costituzionali e nel far cadere alcune fra le norme più anacronistiche varate in periodo fascista.
Dalla CECA all' Unione Europea
In quegli stessi anni, gli Stati europei, per il fatto stesso di aver perduto la posizione centrale a suo tempo occupata nel mondo, di essere inseriti nella stessa alleanza e retti da regimi parlamentari molto simili tra loro, vedevano svanire i vecchi motivi di rivalità legati all' "Europa delle grandi potenze" e crescere gli elementi di affinità reciproca. Un primo esperimento unitario fu costituito dall' OECE (Organizzazione Europea per la Cooperazione Economica), fondata nel 1948 che si rivelò però insufficiente. Tre anni dopo, per impulso di Francia e Germania, venne fatta la prima realizzazione concreta sul cammino dell' unità con la firma del Trattato di Parigi del 1951 istitutivo della CECA (Comunità Europea del Carbone e dell' Acciaio). La CECA è sorta con il compito di regolare il mercato del carbone e dell'acciaio tra gli Stati membri, vigilando sull' approvvigionamento, controllando i prezzi, promuovendo il miglioramento delle condizioni di lavoro e lo sviluppo della produzione stimolando gli scambi commerciali. I risultati positivi ottenuti da tale organismo e la successiva adesione al medesimo della Gran Bretagna nel 1954, indussero gli Stati europei a proseguire sulla strada dell'unificazione, prima con la creazione di una Comunità Europea di Difesa (CED), poi con la stipula, nel marzo 1957, del Trattato di Roma istitutivo della Comunità Economica Europea (CEE) e della Comunità Europea dell' Energia Atomica (EurAtom). Motivo ispiratore della CEE (art.2 del Trattato) è la creazione di un Mercato Comune Europeo (MEC) attraverso il coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri e il conseguente sviluppo equilibrato delle rispettive economie. Nel 1967 è stato adottato un sistema comune di imposta sulle merci e sui servizi, l' imposta sul valore aggiunto (IVA). L' attuazione del mercato unico si raggiunge non soltanto attraverso il graduale abbassamento dei dazi doganali interni, ma anche, costituendo un unione doganale (1968) nei confronti degli Stati terzi, nell' intento di evitare che la loro concorrenza possa determinare situazioni di crisi nell' ambito della CEE.
Attività comuni si sono sviluppate in vari settori, come la politica agricola ed iniziative nei campi dell' energia, della ricerca e dell' ambiente, della protezione dei consumatori. Tuttavia, la demolizione dei residui ostacoli che ancora impedivano la libera circolazione di merci, capitali e lavoro, è stata resa possibile dall' Atto unico europeo, per effetto del quale, dal 1 gennaio 1993, i cittadini degli Stati membri possono circolare liberamente negli Stati stessi, trasferirsi in essi, esercitarvi attività professionali di varia natura, ottenere il riconoscimento dei titoli di studio, muovere capitali, trasferire merci e così di seguito. La formazione di un' unica area economica consente ai cittadini europei di poter usufruire di un più vasto mercato per la manodopera, così come le imprese hanno a disposizione un mercato di vendita molto più ampio e, soprattutto, molto più libero, privo di protezionismi nazionali; i consumatori, di conseguenza, hanno a disposizione beni e servizi concorrenziali. E' prevedibile che questa ulteriore liberalizzazione comporti il verificarsi di notevoli flussi migratori fra Stato e Stato. La fisionomia iniziale del Trattato di Roma si è dunque evoluta nel tempo quando, malgrado i buoni risultati ottenuti tra la fine degli anni '50 e l' inizio dei '60, si è reso evidente che le finalità del Trattato stesso non potevano essere completamente raggiunte, o sarebbero state raggiunte più agevolmente, qualora all' unione economica avesse fatto seguito l' unione anche politica. La eventualità di un' entità statuale che abbracciasse tutti i Paesi della CEE rientrava nelle previsioni degli ideatori del Trattato, ma l' integrazione era frenata dalla paura di un organismo sovranazionale che comportasse una parziale rinuncia alla sovranità di ciascuno Stato. Sul piano economico, risultò evidente che sarebbe stato impossibile competere con i colossi produttivi del Nord America e del Giappone senza disporre di strumenti in grado di armonizzare la scelte dei vari Stati in tale campo; inoltre, le ricorrenti crisi che hanno travagliato le economie di molti Stati membri hanno mostrato l' indispensabilità di strumenti idonei ad evitare la prevalenza delle economie forti su quelle più deboli ed hanno posto con forza il problema dell' unità monetaria. Al Fondo Sociale Europeo, creato nel 1960 per finanziare azioni volte a sviluppare l' occupazione, si è affiancato, nel 1975, il Fondo Europeo per lo Sviluppo Regionale (FESR) destinato a fornire aiuto alle regioni in difficoltà. Nel 1979 è stato istituito il Sistema Monetario Europeo (SME), con il fine di dare una certa stabilità alle monete, ed è nato l'ECU, l'unità monetaria europea. L'unione politica europea viene prefigurata dal Trattato di Maastricht, stipulato il 7 febbraio 1992. Il Trattato di Maastricht prevede la creazione di una moneta comune gestita dalla Banca Centrale Europea (l' EURO, che entrerà in vigore dal 1 gennaio 2002), la politica sociale ed economica comune, l' incremento degli investimenti nelle regioni economicamente in ritardo, l' ampliamento del ruolo del Parlamento europeo (eletto per la prima volta nel giugno 1979 a suffragio universale), la creazione di una politica estera e di una difesa militare comuni, l' istituzione della cittadinanza europea (disciplinata dagli articoli 8, 8A,8B, 8C, 8D, 8E,del Trattato).
Nel 1989 si è svolto in Italia un referendum consultivo in merito all' opportunità di redigere una Costituzione europea; l' esito del referendum è stato favorevole.
Al progresso verso l' unione monetaria dell' Europa si sono spesso frapposti ostacoli quali l' inaccettabile aumento della disoccupazione, le difficoltà create dalla recessione e le fluttuazioni eccessive sui mercati dei capitali e delle valute estere. Per essere forte e credibile, l' unione monetaria, deve comprendere solo Paesi ben gestiti sul piano economico; a tal fine, gli Stati membri si sono impegnati a migliorare i risultati delle loro economie facendoli convergere verso i livelli più alti conseguiti. E' quanto significa la nozione di "convergenza". Per valutare se il grado di convergenza sia o meno sufficiente, il Trattato enuncia le norme di corretta gestione da seguire: si tratta dei cosiddetti "criteri di convergenza", che danno di fatto espressione ai principi di sana politica economica in materia di inflazione, tassi di interesse, stabilità dei tassi di cambio e finanza pubblica (disavanzo e debito pubblico). Affinchè la moneta unica poggi su solide fondamenta, questi criteri devono essere osservati scrupolosamente. Il Trattato fissa anche procedure che potrebbero tradursi in sanzioni finanziarie e, vietando le operazioni di "bail-out" o salvataggio di ultima istanza, consente alle forze di mercato di spingere nella giusta direzione gli Stati membri che non realizzino questo obiettivo.
Il "miracolo economico"
Fra il 1958 e il 1963, giunse al culmine il processo di crescita economica iniziato nel nostro Paese dopo il 1950. Furono questi gli anni del cosiddetto "miracolo economico": anni in cui l' Italia, con un tasso di sviluppo inferiore, in Europa, solo a quello tedesco, ridusse significativamente il divario che la separava dai Paesi più industrializzati. Il reddito medio degli italiani aumentò più che in tutto il mezzo secolo precedente. Lo sviluppo interessò soprattutto l' industria manifatturiera: un incremento particolarmente significativo si ebbe nei settori siderurgico, meccanico, chimico e petrolchimico, dove più ampio fu il rinnovamento degli impianti e delle tecnologie.
L' aspetto immediato più evidente del nuovo peso assunto dall' economia italiana era rappresentato dallo sviluppo delle esportazioni di prodotti industriali, soprattutto nei settori dell'abbigliamento e degli elettrodomestici. La diffusione dei prodotti italiani, la solidità della Lira (che nel 1960 ricevette l' Oscar per la moneta più forte), la stabilità dei prezzi, ma anche, alcuni eventi extraeconomici, come il successo organizzativo delle Olimpiadi di Roma del '60: tutto contribuiva a rafforzare l' immagine di un' Italia ormai avviata stabilmente verso nuove prospettive di benessere. Molti erano i fattori che avevano promosso il "miracolo": la politica di libero scambio avviata negli anni '50 e sancita dall' adesione alla CEE; la modesta entità del prelievo fiscale; e, soprattutto, lo scarto che si venne a creare fra l' aumento della produttività e il basso livello dei salari. La compressione salariale degli anni '50 era il risultato di una larga disponibilità di manodopera a basso costo; disponibilità dovuta, a sua volta, al costante flusso migratorio dalle zone depresse a quelle più progredite. A partire dalla fine degli anni '50, un aumento generalizzato delle retribuzioni rese possibile la crescita dei consumi. Il calo della disoccupazione, conseguenza dello stesso sviluppo economico, accrebbe la capacità contrattuale dei lavoratori che, con una serie di lotte sindacali, riuscirono ad ottenere notevoli miglioramenti salariali: il costo del lavoro nell' industria aumentò di circa il 60%. Questi aumenti ebbero però l' effetto di ridurre i margini di profitto e di mettere in moto un processo inflazionistico; gli investimenti, che erano stati uno dei fattori propulsivi al boom, si ridussero drasticamente e, nel 1963-'64, il "miracolo italiano" entrò in crisi. La congiuntura negativa fu superata nel giro di pochi anni e, a partire dal '66, la crescita riprese anche se con ritmi più lenti.
Le trasformazioni sociali
In coincidenza col boom industriale, la società italiana subì una serie di profonde trasformazioni.
Col miracolo economico, l' Italia si lasciò alle spalle le strutture e i valori della società contadina ed entrò nella civiltà dei consumi. Vi entrò disordinatamente, quasi di colpo e senza aver superato i suoi storici squilibri territoriali. La più seria conseguenza sociale della crescita dell' industria fu rappresentata dalle migrazioni interne, con un massiccio esodo dal Sud verso il Nord e dalle campagne verso le città. Nelle zone appeniniche del Centro-sud si assistette ad un vero e proprio spopolamento. Il Sud rappresentò il necessario serbatoio di manodopera per le industrie delle grandi città del Nord. Gli effetti delle migrazioni si ebbero sia nelle campagne di provenienza sia nelle città di arrivo. Nelle prime esse provocarono lo spopolamento e l' invecchiamento della popolazione e accentuarono la lacerazione delle comunità tradizionali. Nelle città gli effetti più gravi si ebbero nel sovraffollamento e nella conseguente insufficienza dei servizi. L' espansione delle città avvenne spesso in forme caotiche, senza piani regolatori e senza un adeguato intervento dei poteri pubblici nel campo dell' edilizia popolare: ciò favorì la speculazione e il disordine urbano, con conseguenze pesanti sulla struttura dei nuovi quartieri. L'inserimento degli immigrati meridionali nelle grandi città industriali fu tutt' altro che indolore e mise in evidenza lo storico divario che non era solo economico, ma investiva anche i modi di vita e i modelli culturali fra il Nord e il Sud del Paese. La questione meridionale, infatti, pur avendo la sua espressione più vistosa nello squilibrio economico,non è riducibile ad esso; è una questione di valori. Se consideriamo che nel Mezzogiorno, a partire dal dopoguerra, modelli appartenenti alla società industriale hanno operato e influito su una condizione che era ancora contadina; se pensiamo alla violenza che il Sud ha subito di una emigrazione collettiva verso il Nord, ma anche verso Paesi stranieri, ci troviamo di fronte a dati storici ben reali. In queste società, che l' emigrazione e il processo economico hanno definitivamente frammentato, esiste, nelle periferie delle città, una diversa area, quella degli inurbati, presenti, per esempio, nelle decine di borgate che circondano Roma. In queste colonie i modelli rurali, pastorali e marinari di origine hanno una loro persistenza che supera la mutazione strutturale. Probante può essere il caso della Borgata S. Basilio a Roma dove le famiglie, per lo più provenienti dal Sud, che furono immerse in un caos indecifrabile e incomprensibile, conservano nel loro vissuto suburbano e periferico tratti propri di quella che noi, con termine generico, chiamiamo la società contadina, comunque a carattere pre-industriale. Di queste realtà sociali ci parla Pier Paolo Pasolini in numerosi suoi scritti e, nel caso proprio delle borgate romane, nei due romanzi Ragazzi di vita e Una vita violenta.
Mentre i contadini entravano, così, faticosamente nella storia contemporanea, gli intellettuali di sinistra scoprivano la cultura contadina. Più tardi,in particolare sulla rivista il Menabò diretta da Italo Calvino e da Elio Vittorini, si sarebbe sviluppato il dibattito sulla "cultura operaia",sul rapporto tra cultura ed industria e sulla conseguente mercificazione della cultura.
Il centro-sinistra
I cambiamenti suscitati dal "miracolo italiano" si accompagnarono, all'inizio degli anni'60, all'allargamento delle basi del sistema politico, attraverso l'ingresso dei socialisti nell'area di governo: fu il primo mutamento negli equilibri politici dopo il trionfo democristiano nelle elezioni del '48. La svolta maturò quando, nella primavera del '60, il democristiano Fernando Tambroni formò un governo "monocolore" con l'appoggio determinante dei voti dell' MSI, il che suscitò le proteste dei partiti laici e della stessa sinistra DC. La tensione esplose quando il Governo autorizzò il MSI a tenere il suo congresso a Genova; decisione che fu interpretata come una sfida alle tradizioni operaie e antifasciste della città, suscitando una vera e propria rivolta popolare, a cui seguirono altre manifestazioni antigovernative in molte città. Tambroni fu costretto a dimettersi e con lui cadde ogni ipotesi di un governo appoggiato dall' estrema destra. Fu formato un nuovo Governo monocolore, presieduto da Fanfani, che si reggeva grazie all' astensione (poi trasformata in appoggio parlamentare) dei socialisti. Fu proprio in questa fase che la nuova politica di centro-sinistra conseguì i risultati più avanzati. Il programma di governo prevedeva, infatti, la realizzazione della scuola media unificata, l'attuazione dell' ordinamento regionale previsto dalla Costituzione, l' imposizione fiscale nominativa sui titoli azionari e la nazionalizzazione dell'industria elettrica.
Queste ultime due riforme s' inquadravano nel tentativo di dare avvio a una programmazione economica che mirava a potenziare gli strumenti dell' intervento statale sull' economia. La nazionalizzazione dell' industria elettrica fu portata a compimento con la creazione dell' ENEL (Ente Nazionale per l' Energia Elettrica). Breve vita ebbe, invece, il prelievo fiscale sui titoli azionari, che fu radicalmente modificato dopo una fase di crollo in Borsa e di fuga di capitali.
L'attuazione delle Regioni, temuta dalla DC perché avrebbe rafforzato le sinistre al livello del potere locale, fu rinviata. Un Governo "organico" di centro-sinistra (cioè con la partecipazione di ministri socialisti) si formò, in realtà, solo nel 1963 sotto la presidenza di Aldo Moro.
Il processo riformatore fu bloccato: si faceva sempre sentire il peso delle forze ostili alla sinistra, ma gli ostacoli più seri ad una politica innovatrice venivano proprio dall' interno della coalizione governativa. La DC, infatti, aveva l' esigenza di mantenere unito il fronte di forze, economiche e sociali, che costituiva la sua base di consenso: un fronte in cui le istanze di rinnovamento erano nettamente minoritarie. La DC riuscì a mantenere la sua unità, ma il PsI pagò la partecipazione al Governo con un acutizzarsi dei dissensi interni e con una nuova scissione: la minoranza di sinistra che si opponeva alla scelta governativa diede vita al PSIUP (Partito Socialista di Unità Proletaria).
Nell' agosto1964, Togliatti morì lasciando una pesante eredità ma indicando, nel cosiddetto "memoriale di Yalta" (una sorta di testamento politico redatto alla vigilia della morte), una linea che affermava il principio dell' indipendenza da Mosca e l' originalità della "via italiana al socialismo".
Giuseppe Saragat fu eletto Presidente della Repubblica succedendo a Segni. Nonostante le difficoltà incontrate, la formula del centro-sinistra sarebbe durata, a fasi alterne, per oltre un decennio con i Governi presieduti fino al '68 da Aldo Moro e poi da Mariano Rumor ed Emilio Colombo.
Il '68 e l' "autunno caldo"
La fine degli anni '60 fu caratterizzata da una radicalizzazione dello scontro sociale che ebbe come protagonisti prima gli studenti, poi la classe operaia. Il movimento studentesco assunse una posizione sempre più ostile nei confronti del sistema capitalistico e della "cultura borghese" in generale. La critica alla società borghese divenne rifiuto della prassi politica tradizionale (compresa quella dei partiti della sinistra "storica") e, a partire dal '68, individuò il suo interlocutore privilegiato nella classe operaia. L'operaismo fu anche il tratto distintivo di alcuni fra i nuovi gruppi politici che, per sottolineare il distacco dai partiti tradizionali rappresentati in Parlamento, furono chiamati "extraparlamentari": Potere Operaio, Lotta continua, Avanguardia operaia. La riscoperta della centralità operaia, da parte del movimento degli studenti, coincise con un' intensa stagione di lotte da parte dei lavoratori dell'industria in vista di una serie di rinnovi contrattuali, e culminata, alla fine del '69, nel cosiddetto "autunno caldo". Avviatesi in modo spontaneo in alcune grandi fabbriche del Nord, le lotte ebbero come principale protagonista la figura dell' operaio "massa", ossia del lavoratore scarsamente qualificato, spesso immigrato, sul quale più gravavano i disagi dell' inserimento nel contesto urbano e l' insufficienza dei servizi sociali. I conflitti, aziendali e studenteschi, si caratterizzarono per l' adozione dell' assemblea come momento decisionale. Le tre organizzazioni sindacali (per quanto contestate dalle frange più radicali del movimento) riuscirono a prendere in mano la direzione delle lotte e a pilotarle verso la conclusione di contratti nazionali assai vantaggiosi per i lavoratori dell' industria; cominciò allora una fase in cui i sindacati assunsero peso crescente nella vita del Paese; peso che fu favorito, e in qualche modo sancito, nella primavera del '70, con l' approvazione da parte del Parlamento dello Statuto dei lavoratori: una serie di norme che garantivano le libertà sindacali e i diritti dei lavoratori all' interno delle aziende. Fra il '68 e il '70 furono finalmente approvati i provvedimenti relativi all' istituzione delle Regioni e si tennero le prime elezioni regionali. Ma la debolezza dell' esecutivo di fronte alle tensioni della società apparve in tutta la sua evidenza quando il 12 dicembre 1969, una bomba esplosa a Milano in Piazza Fontana, nella sede della Banca Nazionale dell'Agricoltura, provocò 17 morti ed oltre cento feriti. L'incapacità di risolvere il caso fu messa sotto accusa dall' opinione pubblica e dalla stampa di sinistra, che individuò nell'estrema destra fascista la matrice politica dell' attentato e denunciò le pesanti responsabilità dei servizi di sicurezza nel deviare le indagini verso un improbabile pista anarchica.
Si parlò allora di "strategia della tensione", messa in atto dalle forze di destra per incrinare le basi dello Stato democratico.
La crisi petrolifera del '73
Nei primi anni '70, due avvenimenti sconvolsero il corso dell' economia mondiale. Nell'agosto 1971, gli Stati Uniti decisero di sospendere la convertibilità del dollaro in oro (convertibilità che costituiva il pilastro del sistema monetario internazionale): era il segno di un grave disagio nell' economia americana, stremata soprattutto dall' impegno militare in Vietnam, ma era anche l' inizio di una lunga fase di instabilità e di disordine monetario, caratterizzata da continue oscillazioni nei prezzi delle materie prime e nei cambi fra le monete, non più ancorate a un sistema di convertibilità fisse. Ancora più sconvolgente fu la decisione dell'OPEC (Organization of Petroleum
Exporting Countries), nel novembre 1973, in seguito alla guerra arabo-israeliana, di quadruplicare d'un colpo il prezzo del greggio riducendone, al tempo stesso, la produzione: prezzo che avrebbe continuato a salire negli anni seguenti subendo, nel '79, una nuova impennata che lo portò a livelli dieci volte superiori. Lo "shock petrolifero" colpì tutti i Paesi industrializzati, in particolare quelli che dipendevano quasi interamente dall' estero per il loro fabbisogno energetico (come l' Italia e il Giappone) e tutta l'economia mondiale entrò in crisi.
La crisi determinò mutamenti anche negli atteggiamenti mentali, rivelando un' insospettata fragilità delle economie capitalistiche avanzate. Per la prima volta, l'Occidente vedeva minacciate le fonti d'energia necessarie al funzionamento della sua macchina economica: ci si chiedeva, in particolare, se l' idea di uno sviluppo continuo e illimitato non fosse, da un lato irreale, perché basata sulla presunzione che le risorse della terra fossero inesauribili e disponibili a piacimento, dall' altro dannosa, perché portava con sé lo stesso spreco energetico e la modifica violenta dell' ambiente. Già in un rapporto del 1972 si sosteneva che lo sviluppo occidentale doveva essere volontariamente frenato per non distruggere le risorse mondiali. Sembrò allora necessario a molti dare impulso alla costruzione di centrali nucleari (già nel 1955 erano entrate in funzione tre centrali, a Trino vercellese, sul Garigliano e a Latina). In attesa di nuove forme energetiche, l'Italia ricorse alla restrizione forzosa dei consumi, con una serie di misure decise dal Governo: l' illuminazione pubblica fu ridotta del 40%, gli esercizi commerciali avrebbero dovuto chiudere alle 19.00 spegnendo le insegne pubblicitarie, alle 23.00 sarebbero dovuti terminare gli spettacoli teatrali, cinematografici e anche le trasmissioni televisive, la domenica e gli altri giorni festivi le automobili non avrebbero potuto circolare. Queste misure da "economia di guerra" colpirono profondamente l' immaginario collettivo; esse suscitarono gli entusiasmi di ecologisti e intellettuali per la riappropriazione delle città da parte dei pedoni, ma misero in crisi l' industria automobilistica (la FIAT ridusse gli orari di lavoro) ed anche alcuni settori del turismo.
Tuttavia, le misure restrittive ebbero breve durata, e rimase solo una vaga consapevolezza che i modi di vita a cui ci si era abituati erano sottoposti ad una continua minaccia. Il timore di un abbassamento del tenore di vita rese meno sopportabile la corruzione e scoppiò un grande scandalo quando si seppe che, tra il 1966 e il 1973, c' era stato uno scambio tra i partiti di Governo e i petrolieri: i primi avevano concesso facilitazioni e aumenti dei prezzi, i secondi avevano finanziato l' attività dei partiti. Ma nonostante alcune ammissioni da parte dei petrolieri, non fu provata sul piano giudiziario la stretta connessione tra le due cose; i dirigenti dei partiti al Governo respinsero ogni accusa tendente a trasformare in tangenti quelle che per loro erano solo legittime elargizioni. La rapida adozione di una legge sul finanziamento pubblico dei partiti rappresentati in Parlamento non servì a sanare la frattura tra società politica e società civile.
Il petrolio, energia ed economia (geografia economica)
Il petrolio naturale o greggio è un liquido oleoso con un peso specifico inferiore a quello dell' acqua, cioè galleggia. Chimicamente è una miscela di idrocarburi. Gli idrocarburi sono composti chimici formati da idrogeno e carbonio (di qui il nome). Tutti i numerosi tipi di idrocarburi hanno in comune la proprietà di essere combustibili, ovvero, di bruciare combinandosi con l' ossigeno e sviluppare calore. Il petrolio è una riserva in quanto non è rinnovabile in pochi anni.
La sua formazione è dovuta, infatti, alla decomposizione di organismi animali e vegetali avvenuta nel corso dei secoli: i mari della terra sono stati popolati da innumerevoli esseri viventi, soprattutto da organismi molto piccoli che oggi conosciamo con il nome di "plancton"; alla loro morte, questi organismi, precipitavano nei fondali mescolandosi ai fanghi e ai detriti; qui, in assenza d'aria e ad opera di speciali batteri, si sono scomposti in idrocarburi.
Gli idrocarburi, essendo più leggeri dell'acqua che impregna le rocce, tendevano a risalire e a concentrarsi sulla parte più alta delle stesse; in alcuni casi, i giacimenti di idrocarburi, sono perfino riaffiorati in superficie ed hanno formato fosse di bitume o di pece e laghi di petrolio. Ma la maggior parte è rimasta intrappolata nel sottosuolo, spesso a grandi profondità: sono questi i cosiddetti "giacimenti trappola". In conclusione, gli idrocarburi si sono nella parte più alta di rocce porose coperte da rocce impermeabili: queste sono le "trappole petrolifere". E' necessario sottoporre il petrolio greggio a delle lavorazioni che consentano di separare i diversi e numerosi tipi di idrocarburi che lo compongono; ciò avviene in grandi complessi chiamati raffinerie. Il primo trattamento cui è sottoposto il greggio è la distillazione frazionata (topping); i prodotti che si ottengono dalla distillazione frazionata sono: i gas di raffineria; le benzine; i keroseni; i gasoli; gli oli combustibili; il residuo. Il petrolio è attualmente la più importante forma energetica mondiale. Il ritrovamento dei giacimenti petroliferi ha cambiato la storia e l' economia di intere regioni, un tempo fra le più povere della terra, creando i presupposti per la loro ricchezza; per altri Paesi, invece, la mancanza di petrolio ne condiziona pesantemente lo sviluppo economico e industriale ed influisce persino sulle scelte politiche. La distribuzione geografica delle riserve provate di petrolio è caratterizzata da un elevata concentrazione nell' area mediorientale e nordafricana, che insieme rappresentano circa i due terzi delle riserve mondiali. I problemi dell' energia, che condizionano in maniera determinante lo sviluppo industriale, economico e sociale di tutti i Paesi, hanno creato una vera e propria "politica energetica". Oggi, per quanto concerne la produzione e il consumo di idrocarburi, possiamo distinguere i vari Paesi in tre gruppi:
produttori ma scarsi consumatori (per esempio il Medio Oriente);
consumatori ma scarsi produttori (per esempio l' Italia e il Giappone);
produttori e consumatori (per esempio gli Stati Uniti);
Il prezzo di vendita del petrolio raffinato dipende dai costi del petrolio greggio all' estrazione (che nel periodo 1950-1970 non hanno subito grosse oscillazioni), dai costi del trasporto nei porti americani ed europei, dagli utili delle società petrolifere. La proprietà e la direzione di questo settore sono, nella quasi totalità, concentrate nelle mani di un ristrettissimo gruppo di compagnie, denominate polemicamente "le sette sorelle". Di queste compagnie multinazionali, cinque hanno sede negli Stati Uniti (Exxon; Texaco; Gulf; Mobil; Standard Oil;), una in Inghilterra (British Petroleum), una in Olanda (il gruppo Royal Dutch Shell, anglo-olandese); tutte figurano nella classifica dei primi gruppi industriali del mondo e ricavano fortissimi utili dal mercato dei prodotti petroliferi. Tuttavia, è andato sempre crescendo il potere contrattuale dei Paesi produttori, riunitisi nell' OPEC (Organization of Petroleum Expoting Countries) nel 1960, che hanno cercato di accrescere le royalties, cioè le quote che le società petrolifere devono versare ai produttori. Le compagnie petrolifere operano usualmente attraverso tre consorelle:
Una mineraria, che si occupa della ricerca ed estrazione del greggio;
Una addetta allo spostamento via mare del greggio dai pozzi di estrazione alle raffinerie;
Una che gestisce gli impianti di raffinazione e distribuzione;
Si tratta di società autonome, con ragioni sociali, bilanci e direzioni separate, strettamente legate però da vincoli di dipendenza con la "società madre" capofila del gruppo. Tale vincolo può realizzarsi in vari modi: acquisizione del pacchetto di controllo, accordi determinanti poteri decisionali della società madre sulle società figlie, creazione di organi amministrativi comuni per tutte le imprese del gruppo,ecc.
Il controllo mondiale del mercato del petrolio e la supremazia nella ricerca e sfruttamento di altri settori energetici integrativi, pone seri problemi nei rapporti fra le multinazionali e gli Stati, i quali non possono accettare che funzioni così essenziali per la sopravvivenza della nostra civiltà siano detenute da un pugno di imprese.
Energy resources
Britain has the largest energy resources of any country in the European Union.
For over 300 years coal was heavily mined in Yorkshire, South Wales and Scotland.
It was the development of Britain's coalfields that led to the Industrial Revolution and the growth of its traditional industries, such as textilies, steel, shipbuilding and engineering.
Today, however, many mines are being closed.
Britain has large resources of low quality iron ore, but the country relies mainly on three other types of energy: oil, natural gas and nuclear energy. Oil and natural gas were discovered in 1969 and Britain is a leading producer. Privatization and liberalization have increased the number of firms operating in the energy market.In the 1994, oil and gas production accounted for nearly 2 per cent of Britain's GDP (Gross Domestic Product). The North Sea produce enough oil for domestic needs and export.
Britain is also a leader in nuclear technology, and the nuclear power industry produces 18 per cent of Britain's electrical supply.
Les hydrocarbures: l' essentiel est importé
Le pétrole. Le pétrole fournit des carburants pour les transports, des combustibles à usages domestiques et industriels et toute une série de matières premières nécessaires à l' industrie chimique. Le pétrole dont la France a besoin provient pour une très faible partie de la production nationale et pour la quasi-totalité des importations.
La production nationale est limitée au Bassin Parisien et aux Landes (Parentis) ; elle est en baisse constante. 95% du pétrole provient de l' étranger, principalement du Proche-Orient, de l' Afrique et des gisements de la Mer du Nord. Par conséquent la facture pétrolière de la France pèse lourdement sur le bilan national.
Principali critiche alle multinazionali
Come abbiamo visto, il monopolio del settore petrolifero è interamente concentrato nelle mani di aziende gigantesche, generalmente chiamate multinazionali o corporazioni transnazionali, i cui interessi spaziano anche in molti altri settori. L' ubicazione dell' alta direzione (casa madre) e la distribuzione della proprietà, definiscono le caratteristiche di questo tipo d' imprese: un impresa si definisce multinazionale quando proprietà ed alta dirigenza appartengono ad un solo paese ma più del 25% del capitale, delle attività produttive e commerciali e della forza lavoro risiedono all' estero. Altri elementi che definiscono l' impresa multinazionale sono la dimensione economica (oltre 100 milioni di dollari di fatturato), il tipo di attività estera (non solo la commercializzazione dei beni ma anche la loro produzione), il numero dei paesi nei quali l' impresa è attiva (almeno due oltre quello d' origine). Queste imprese si sono sviluppate a mano a mano che si cercava di acquisire il controllo delle fonti cruciali di materie prime, di limitare i rischi connessi con l' operare in un solo paese lavorando in più nazioni, di effettuare degli investimenti all' estero allo scopo di proteggersi dalle fluttuazioni dell' economia o da eventuali cambiamenti di politica dei singoli governi ospitanti. Alcune di queste imprese, si sono sviluppate attraverso una serie di operazioni finanziarie che sono state in grado di dar vita a conglomerati giganteschi prendendo le mosse da quasi niente; questa tendenza è stata tipica degli anni sessanta, quando il mondo della finanza approfittò del boom borsistico che ha accompagnato la guerra del Vietnam, dando luogo a tutta una serie di acquisizioni e fusioni a catena di aziende.
Lo sviluppo delle multinazionali ha alterato in maniera significativa la distribuzione del potere a livello mondiale; non poche di queste aziende hanno dimensioni maggiori a diversi Stati nazionali e, al contrario di questi, peraltro, non devono rispondere a nessuno se non a sé stesse. Gli sforzi delle multinazionali volti a controllare il proprio ambiente, sconfinano anche nella politica: esse si trovano spesso in grado di condizionare in maniera rilevante i governi dei Paesi che le ospitano, specialmente nel caso che questi dipendano in maniera significativa dalla presenza della multinazionale o da alcune sue attività. Un' impresa multinazionale, quanto più è grande e presente in diversi paesi, tanto più è in grado di sfruttare i possibili vantaggi che ogni singola situazione nazionale presenta; si pensi, alla possibilità di sfruttare una situazione salariale molto differenziata. Il comportamento delle multinazionali nei confronti delle economie ospitanti, al pari di quello degli imperi coloniali, è caratterizzato da un sostanziale sfruttamento. L' analisi del ruolo delle multinazionali nel terzo mondo dimostra che queste imprese si sono tradizionalmente occupate dell' estrazione delle materie prime, di risorse alimentari e, in seguito, di attività manifatturiere. In ogni caso, il controllo delle attività operative, delle tecnologie e degli utili è nelle mani della multinazionale: in questo modo il paese del terzo mondo che ospita le attività operative dell' impresa si trova a dipendere dal paese d' origine della multinazionale stessa in maniera ancora più accentuata. Si consideri il modo in cui queste imprese hanno affrontato le problematiche relative all' estrazione mineraria e allo sfruttamento agricolo nei Paesi del terzo mondo: in ambedue i casi hanno usato le risorse dei Paesi che ospitavano le loro attività operative per aumentare i profitti ed il livello di vita dei Paesi occidentali. Sino a che i governi ospitanti non hanno esercitato opportune pressioni, i prodotti erano esportati allo stato grezzo, determinando così un notevole profitto per l' impresa,ma quasi nullo per il paese ospitante. Nel caso dell' agricoltura, poi, il trovarsi a coltivare per esportare nei paesi dell' occidente, ha messo le popolazioni del terzo mondo in una situazione di completa dipendenza nei confronti dei datori di lavoro e dei mercati stranieri. Il terzo mondo, per via dell' influenza di un numero limitato di multinazionali che controllano le varie produzioni agricole, è diventato un esportatore netto di beni alimentari nonostante sia caratterizzato da una diffusa sottoalimentazione. Un' altra critica rivolta al comportamento delle multinazionali riguarda il fatto che tali imprese riescono spesso ad occultare parte dei loro profitti in modo da evitare di pagare imposte adeguate. Ogni multinazionale rappresenta spesso il proprio più importante cliente, poiché le singole filiali si acquistano e si vendono a vicenda prodotti e servizi: acquistando del materiale da una consociata a prezzi molto elevati e rivendendo i prodotti ad un' altra consociata a prezzi molto bassi, è possibile far figurare delle perdite o degli alti profitti; oppure, è possibile trasferire i prodotti da una consociata all' altra, per approfittare degli incentivi offerti dai governi ospitanti. Queste manovre rappresentano spesso una componente essenziale della politica di queste aziende. Non tutta la colpa va però addossata alle multinazionali: infatti, queste sono addirittura invitate dai Paesi del terzo mondo, e raggiungono degli accordi, ufficiosi o ufficiali con le autorità locali. Infatti, se la storia dello sfruttamento perpetrato dalle multinazionali è veramente imponente, pure è rimarchevole il sostegno offertogli dalle élites e dai governi locali.
Struttura e gestione delle aziende di produzione industriale
L' attività indirizzata ad ottenere beni o servizi idonei a soddisfare i bisogni umani viene denominata produzione. La produzione può essere distinta in produzione diretta e produzione indiretta. Mentre la produzione diretta modifica le caratteristiche fisiche dei beni, la produzione indiretta ne prevede solo il trasferimento nello spazio o nel tempo. L' azienda industriale è un azienda di produzione diretta che attua un processo fisico di trasformazione di materie o di semilavorati, allo scopo di ottenere prodotti finiti, da destinare al consumo o ad ulteriori fasi di lavorazione.
Il concetto di processo fisico di trasformazione può comprendere le seguenti ipotesi:
Lavorazione delle materie prime o dei semilavorati; in questo caso, le materie o i semilavorati subiscono un processo di lavorazione che ne modifica profondamente le caratteristiche originarie;
Assemblaggio di parti componenti; le parti componenti, ossia beni già precedentemente lavorati, vengono unite tra loro dando origine ad un bene di maggior valore;
Lavorazione di materie o di semilavorati in contemporanea con l' assemblaggio di parti componenti; in alcuni casi, l' azienda industriale attua tanto la lavorazione di una materia prima quanto l' assemblaggio di parti componenti;
L' estrema varietà di aziende industriali sul mercato ne rende necessaria una classificazione:
In base al settore merceologico
imprese dei prodotti energetici (energia, gas, acqua) ed imprese manifatturiere
Secondo i ritmi della produzione
-imprese a produzione continua ed imprese a produzione stagionale;
Secondo le modalità di produzione
-Produzione a flusso continuo, a lotti, produzione a prodotti singoli;
Secondo la destinazione della produzione
-Produzione per magazzino, produzione su ordinazione o con destinazione mista;
I prodotti offerti dall' industria e i modi di produrli, hanno subito nel corso del tempo una continua evoluzione. I principali elementi caratteristici della moderna produzione industriale sono:
L'orientamento alla soddisfazione del cliente, in quanto, in un' economia caratterizzata dalla concorrenza fra le varie imprese, la soddisfazione del cliente rappresenta l' elemento fondamentale della strategia produttiva e commerciale delle imprese industriali del nostro tempo.
L' apertura all' innovazione tecnologica, la quale contribuisce a realizzare l' obiettivo della soddisfazione del cliente e il continuo miglioramento della produzione;
Il perseguimento della qualità totale, riferita non solo al prodotto, ma anche ai "servizi accessori" ad esso connessi: la tempestività nell' evasione degli ordini, la qualità dell' assistenza successiva alla vendita, ecc.
L' introduzione di nuovi sistemi di gestione della produzione, tra i quali ha un rilievo particolare quello denominato just in time.
Il sistema just in time, consiste nel fabbricare i prodotti nella quantità e nei tempi richiesti dal mercato, riducendo al minimo il tempo di attesa dei materiali e dei componenti necessari, facendoli giungere "al momento giusto" sulla linea di produzione. Questa tecnica propone principalmente i seguenti obiettivi:
riduce a zero le scorte di materiali e prodotti finiti;
annulla il lead time, ossia i tempi di consegna;
azzera, conseguentemente, i prezzi di stoccaggio.
Uno dei problemi fondamentali che si pongono al momento dell' avvio di una nuova iniziativa industriale è quello della sua più conveniente localizzazione, ovvero la scelta del luogo o dei luoghi dove verrà svolta l' attività produttiva. In generale, la scelta ubicazionale è effettuata in base ad una pluralità di fattori che si ritengono suscettibili di determinare, nel loro insieme, la soluzione più vantaggiosa sotto il profilo economico. Fra tali fattori spiccano i costi di trasferimento (trasporto, assicurazione,ecc.), in relazione ai quali la localizzazione può avvenire:
in vicinanza dei mercati di approvvigionamento delle materie prime;
in vicinanza dei mercati di vendita;
in località variamente intermedie.
I fattori della localizzazione, saranno dati, anche, dalla disponibilità di personale dotato delle capacità professionali richieste dalla produzione da effettuare, dalla disponibilità delle fonti di energia, dalla presenza di adeguate infrastrutture, nonché, dagli incentivi pubblici concessi dallo Stato o dagli Enti locali (agevolazioni fiscali, incentivi finanziari,ecc.).
La struttura patrimoniale delle imprese industriali, è caratterizzata, dalla prevalenza delle immobilizzazioni, beni che sono presumibilmente realizzabili in denaro non a breve termine, rispetto alla consistenza dell' attivo circolante. Nell' aspetto quantitativo, il patrimonio è definito in termini monetari e, come tale, risulta costituito da attività (componenti positivi che corrispondono al valore attribuito sia alle immobilizzazioni sia all' attivo circolante) e passività (consolidate per debiti a lungo termine, o correnti per debiti a breve termine).
La struttura organizzativa dell' azienda è il risultato di una serie di scelte e decisioni che riflettono il criterio con cui è stata data attuazione al principio della divisione del lavoro; essa può essere impostata sotto un duplice profilo: un profilo verticale, che riguarda i livelli fra i quali viene suddiviso il potere gerarchico con le relative responsabilità, ed un profilo orizzontale, che considera la suddivisione delle attività e delle risorse tra gli organi dei vari livelli secondo determinati criteri di specializzazione. Tali criteri di specializzazione, che caratterizzano il profilo orizzontale della struttura organizzativa, sono i seguenti:
per funzione;
per prodotti o linee di prodotti;
per area geografica;
per progetto.
I principali modelli organizzativi, che si caratterizzano secondo il criterio con cui viene attuata la divisione "orizzontale" del lavoro, sono:
-la struttura funzionale,
-la struttura divisionale,dove al primo livello si trovano i dirigenti delle divisioni, le quali possono essere rappresentate da linee di prodotti, aree geografiche, ecc. Adattata ad imprese di grandi dimensioni e con produzioni diversificate, è solitamente una struttura decentrata, in quanto le divisioni sono dotate di autonomia operativa e sono responsabili dei propri costi e ricavi.
-la struttura matrice, che è propria delle imprese che operano "per progetti", realizzando prodotti singoli complessi (grandi impianti, autostrade,navi,ecc.).
La gestione è il sistema unitario di operazioni tra loro coordinate, poste in essere per il raggiungimento delle finalità perseguite dal soggetto aziendale: obiettivo dell' impresa privata è la redditività, cioè generare ricchezza nel tempo, mantenendo un' equilibrata situazione finanziaria.
L' impresa industriale, raggiunge tale obiettivo, mediante processi particolari, che sono:
-processi di finanziamento, con il quale l' impresa ottiene i mezzi necessari allo svolgimento della propria attività;
-processi di investimento, con i quali tali mezzi vengono utilizzati per l' acquisizione di beni strumentali, materie prime, lavoro, fonti di energia, servizi;
-processi di trasformazione economica tecnica, per cui i fattori produttivi sono tra loro combinati per l' ottenimento di prodotti finiti, sottoprodotti,ecc.;
-processi di disinvestimento, cioè di recupero finanziario dei mezzi impiegati, attraverso la vendita dei risultati della produzione.
I processi di finanziamento, investimento e disinvestimento sono fatti di gestione esterna, in quanto pongono l' azienda in contatto con terzi (attraverso atti di scambio); mentre, i processi di trasformazione economica tecnica sono fatti di gestione interna.
Oltre alla domanda di mercato, che l' azienda intende soddisfare, influiscono sulla dimensione della capacità produttiva fattori quali la stagionalità delle vendite, se le vendite sono concentrate in determinati periodi dell' anno, e la politica make or buy, poiché spesso l' impresa è di fronte alla scelta fra produrre determinati beni (make) o acquistarli all' esterno (buy).
Problemi di scelta
La ricerca operativa. Durante la seconda guerra mondiale gli Stati Maggiori militari inglesi ed americani si trovarono di fronte a complessi problemi logistici relativi a perlustrazioni, bombardamenti, rifornimenti, manutenzioni, ecc., che affrontarono con la collaborazione di matematici ed altri esperti di discipline non militari. Nacque, così, un nuovo metodo di studio, basato sulla stretta cooperazione fra gruppi di lavoro composti da elementi di diversa specializzazione, che si dimostrò particolarmente idoneo per la risoluzione di numerosi problemi militari. Tale metodo di studio si è trasferito, dopo la guerra, dal campo militare a quello del commercio, dell' industria e dell' amministrazione pubblica. I problemi, che si presentano sia nel campo militare sia in quello commerciale ed industriale, comportano per l' operatore una scelta fra diverse alternative possibili, allo scopo di conseguire un determinato fine. Per questo motivo si parla di Problemi di scelta oppure di problemi di decisione. La metodologia che si è sviluppata per la risoluzione dei problemi di scelta è detta Ricerca Operativa (R.O.). La ricerca operativa è, dunque, una metodologia che si propone di individuare, con procedimenti basati su concetti matematici e statistici, la condotta migliore per conseguire, sotto certe condizioni, un obiettivo assegnato a priori. Le scelte possono essere a livello individuale, riguardanti la convenienza di operazioni che si prendono nell' ambito di una famiglia; a livello aziendale, che riguardano, quindi, l' attività di un' impresa (scorte, processi di lavorazione, fissazione dei prezzi,ecc.); a livello collettivo, che riguardano le condizioni di vita di una collettività (investimenti pubblici, piani energetici,ecc.). Naturalmente, ogni problema di scelta presuppone la possibilità di scegliere fra due o più alternative: l' insieme di tutte le alternative possibili, connesse ad un dato problema, costituisce il campo di scelta.
Per impostare un problema di scelta è necessario individuare le scelte possibili (cioè determinare il campo di scelta) e stabilire la funzione obiettivo, cioè quella grandezza che esprime il fine in base al quale s' intende effettuare la scelta. La funzione obiettivo, che traduce in termini matematici l' obiettivo fissato a priori, può essere un costo, un tempo di lavorazione, un consumo di energia, un guadagno, ecc,.I problemi di scelta si distinguono in problemi che comportano scelte in condizioni di certezza ed immediatezza, cioè problemi nei quali gli effetti della scelta sono noti ed immediati, ed in problemi di scelta in condizioni di certezza con effetti differiti, cioè problemi nei quali le conseguenze della scelta sono certe ma differite nel tempo.
Si ha la condizione di certezza quando i dati e le conseguenze sono noti a priori, e condizione di incertezza quando alcune grandezze sono variabili ed aleatorie (cioè che dipendono dal caso come per il calcolo delle probabilità). Un problema è a carattere continuo se il campo di scelta, cioè l' insieme delle possibili soluzioni, è costituito da infinite alternative; se invece vi è un numero finito di alternative, il problema si dice a carattere discreto. I problemi di scelta nel discreto possono essere suddivisi in problemi nei quali ogni via dà un unico risultato numerico e in problemi in cui ad ogni via corrisponde un risultato che è funzione di una variabile.
Studio di un caso reale in condizioni di certezza:
scelta di una campagna pubblicitaria
Nel caso della scelta di una campagna pubblicitaria, ci troviamo ad affrontare dei problemi nei quali si deve scegliere tra due o più alternative ma ogni alternativa dà un unico risultato numerico. Dal confronto dei risultati delle varie vie, si deduce la soluzione ottima.
Un' industria, per il lancio di un nuovo prodotto, intende fare una campagna pubblicitaria, mediante la televisione, della durata di 10 settimane.
Per organizzare la campagna sostiene un costo di £.40.000.000.
Il costo di ogni trasmissione è di £.2.500.000, che si riduce a £.2.000.000 se le trasmissioni effettuate sono più di tre alla settimana. Si ritiene che, aumentando il numero di trasmissioni settimanali, aumenti il rendimento della campagna pubblicitaria; secondo i dati forniti dalla tabella:
N. trasmissioni settimanali |
1 |
2 |
3 |
4 |
5 |
6 |
7 |
Rendimento (milioni di lire) |
45 |
80 |
120 |
150 |
180 |
190 |
200 |
Si vuole determinare quante trasmissioni conviene effettuare.
Le alternative possibili sono 7, in quanto è possibile scegliere di effettuare una trasmissione settimanale, due trasmissioni settimanali, tre trasmissioni settimanali, e così via.
Determiniamo, ora, relativamente a ciascuna via, il guadagno, dato dalla differenza tra rendimento e costo.
1° via (una trasmissione settimanale)
Rendimento £.45.000.000
Costo (costo fisso + costo di una trasmissione*numero di trasmissioni)
40.000.000+ (2.500.000*10)= £.65.000.000
Guadagno (o perdita) - £.20.000.000
Procedendo in modo analogo per ogni via, si ottengono i dati riportati nella tabella seguente:
N.trasmissioni settimanali |
Rendimento (milioni di lire) |
Costo (milioni di lire) |
Guadagno (milioni di lire) |
1 |
45 |
65 |
|
|
80 |
90 |
- 10 |
3 |
|
|
+ 5 |
4 |
150 |
120 |
+ 30 |
5 |
180 |
140 |
+ 40 |
6 |
190 |
160 |
+ 30 |
|
|
180 |
+ 20 |
Confrontando i sette risultati ottenuti, si può affermare che il massimo guadagno si ha con cinque trasmissioni settimanali.
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