I governi della Sinistra in Italia
Politica interna e questione sociale
La Sinistra interpretava molto bene le esigenze della popolazione, in
particolare di coloro che aspiravano a partecipare alla vita politica del
Paese: per questo uno dei punti base del suo programma fu la riforma
elettorale.
Lo Statuto Albertino, pur dichiarando l'uguaglianza di tutti di fronte alla
legge, limitava il diritto di voto.
L'altro problema era la riduzione della pressione tributaria.
Un terzo progetto riguardava la riforma scolastica. Questo era un aspetto
essenziale di un altro problema da risolvere: la questione meridionale.
Occorreva inoltre perseguire una politica economica diretta a creare un
equilibrio fra l'economia di regione progredite (es. Piemonte e Lombardia) e
quella esclusivamente agricola di regioni depresse (es. Calabria e Sicilia).
Questo programma era apparentemente avanzato dal punto di vista sociale. Molti
di coloro che ne facevano parte erano ex- mazziniani, distinti durante il
risorgimento per la capacità d'organizzatori (es. Crispi) o per la generosità
di combattenti (es. Cairoli); molti erano avvocati, artisti o piccoli borghesi,
tutti appartenenti al ceto medio. Tutti però appartenevano ad una élite
benestante, eletta da pochi e per questo non rispondente alle esigenze degli
operai e dei contadini. La Sinistra appariva eterogenea, senza un pensiero
politico, un programma di governo, una dottrina propria. Ecco perché il
Depretis, assunta la presidenza del Consiglio nel 1876 a capo della Sinistra, si
trovò costretto a contrattare coi singoli deputati o con gruppi di essi per
averne l'appoggio in Parlamento, promettendo in cambio favori personali.
Tale politica era favorita dal sistema elettorale: il voto si dava direttamente
al candidato (collegio uninominale), che poteva essere indipendente dai partiti
politici. Per ottenere i voti, ogni candidato doveva impegnarsi coi propri
elettori ad aiutarli a risolvere i loro problemi in caso di vittoria. Una
simile procedura metteva in primo piano i problemi locali e non quelli
nazionali.
Depretis esasperò tale sistema: egli contrattò sia coi deputati di Sinistra sia
con quelli di Destra, non contribuendo alla formazione di un partito di governo
e di un'opposizione. Tale trasformismo contribuì alla dissoluzione dei
tradizionali raggruppamenti politici, esercitando un ruolo negativo nell'azione
riformatrice della Sinistra.
Le classi popolari cominciarono a far sentire la propria voce nel Paese:
mirarono a creare un'unità dei lavoratori in diretta opposizione allo stato
borghese, incapace di rispondere ai loro bisogni. In Italia però ancora non si
era sviluppata un'importante economia industriale e quindi una classe operaia
numerosa e unita ancora doveva nascere. Un'influenza decisiva fu esercitata dal
mazzinianesimo, ma soprattutto dall'anarchismo di Bakunin. Nel 1872 a Rimini,
gli anarchici bakuniniani crearono la Federazione dell'Associazione
Internazionale dei Lavoratori, poi crearono a moti insurrezionali facilmente
repressi. La sconfitta di Bakunin offrì ad Andrea Costa la possibilità di
fondare nel 1881 il Partito Socialista Rivoluzionario di Romagna. L'anno
seguente Costa fu eletto deputato alla Camera. Nel 1882 Osvaldo Gnocchi Viani
fonda il Partito Operaio Italiano.
Nel 1892 a Genova nacque il Partito dei lavoratori italiani, ribattezzato
l'anno dopo Partito socialista dei lavoratori italiani e nel 1895 Partito
socialista italiano. Sotto la direzione d'intellettuali borghesi vi aderirono
operai e contadini. Autorevoli fondatori furono il milanese Filippo Turati e la
sua compagna russa Anna Kuliscioff. Il modello cui ispirarsi era il partito
socialdemocratico tedesco. Il partito riuscì ad avere una vigorosa espansione.
Il quotidiano del partito, 'L'Avanti' fondato a Roma nel 1896,
esercitò una grand'azione di persuasione. All'interno dello stesso PSI si
svilupparono diverse correnti:
1. Corrente riformista: si proponeva di trasformare la società gradualmente e
pacificamente, attraverso la conquista di riforme in Parlamento.
2. Corrente intransigente: favorevole all'azione diretta del proletariato.
3. Corrente socialista rivoluzionaria: incitava i lavoratori allo sciopero
generale per bloccare i meccanismi del sistema capitalistico, giungendo ad una
vera e propria rivoluzione.
Si sviluppò anche un movimento sindacale, mirante a migliorare le condizioni
dei lavoratori, invitati a riunirsi in associazioni. Sorsero dal 1891 in poi le
prime Camere di lavoro.
Tra i gruppi della Sinistra vanno ricordati i Repubblicani (1895) e i Radicali
(1877).
I due gruppi miravano ad una diretta partecipazione alla vita politica e
s'impegnarono nella soluzione dei problemi riguardanti l'uguaglianza. Erano una
via di mezzo fra la grande borghesia e i socialisti. I più noti esponenti
del movimento radicale furono Felice Cavallotti e Agostino Bertani.
Di fronte all'espandersi dei movimenti popolari la Destra si stringeva attorno
alla corona. Il re Umberto I era favorevole ai ceti aristocratici e
militaristici. Il re tese a riprendere il controllo del governo, esautorando il
Parlamento, rendendo i ministri responsabili nei confronti della sola Corona.
Nel 1875, Agostino Depretis, in un discorso a Stradella (Pavia) dichiarò il
programma che avrebbe attuato in caso di vittoria. I punti fondamentali erano:
1. Istruzione elementare gratuita e obbligatoria per tutti;
2. Abolizione della tassa sul macinato;
3. Riforma della legge elettorale.
Una volta giunto al potere nel marzo del 1876, dove rimase fino al luglio 1887,
Depretis si preoccupò di tenere fede agli impegni assunti, anche se dovette
rendere più modesti i suoi obiettivi.
Con la legge Coppino del 1887 rese l'istruzione elementare obbligatoria e
gratuita, già sancita dalla Legge Casati. Con questa però il Depretis determinò
meglio i doveri dei Comuni e adottò sanzioni contro i genitori che avessero
sottratto i figli all'istruzione. Era indispensabile costruire strutture
scolastiche per tutti, aumentare il numero degli insegnanti, disporre
provvedimenti economici capaci di risollevare la miseria delle classi più
povere, inducendole a rinunciare al lavoro dei minorenni. Tutto questo però era
molto difficile realizzarlo.
Tra il 1880 e il 1884 venne abolita la tassa sul macinato: tale iniziativa
danneggiò il bilancio dello Stato, costretto ad aumentare le tasse di consumo.
Anche la riforma elettorale del 1882 non portò ad una vera democrazia basata
sul diritto di voto concesso a tutti. Venne solo abbassato il limite di
età e di censo degli elettori, ma restò l'obbligo di possedere la licenza
elementare.
Di particolare rilievo furono due iniziative:
1. Istituzione di una Cassa nazionale per aiutare i lavoratori che avessero
avuto incidenti sul lavoro (1883);
2. Approvazione delle leggi protettive del lavoro delle donne e dei fanciulli
nelle industrie (1886).
Si deve alla sinistra anche la riforma del Codice Penale, approvato nel 1889 ed
entrato in vigore il 1 gennaio 1890 ad opera del ministro di Grazia e Giustizia
Giuseppe Zanardelli.
Durante il governo della destra, l'economia statale era basata sul
liberoscambismo. Le condizioni finanziare non avevano subito alcun
miglioramento, per questo, con l'avvento della Sinistra al potere si decise di
passare ad una politica protezionistica. Il governo, nel 1886- 87, decise di
proteggere i prodotti nazionali rendendo non convenienti l'importazione e il
consumo di quelli stranieri mediante l'elevazione di una barriera doganale. Le
industrie ebbero modo di consolidarsi, ma solo al Nord. Alle misure
protezionistiche a favore dei prodotti industriali si affiancarono quelle a
favore dei prodotto agricoli, che finirono col deprimere l'agricoltura
italiana. Ciò portò ad una guerra delle tariffe con la Francia nel 1888. Il
malcontento dei contadini si era manifestato con agitazioni e scioperi.
A porre un freno al deterioramento fu l'emigrazione. Riducendo la manodopera
portò ad un aumento dei salari agricoli e a delle migliorie nella coltivazione.
Inoltre gli emigrati facevano pervenire valuta pregiata ai loro famigliari,
favorendo l'economia nazionale. Altri, dopo essersi arricchiti tornavano ad investire
risorse nella loro terra.
La sinistra, fiduciosa nel progresso industriale, ne incitò lo sviluppo, a
svantaggio dell'industria.
L'abolizione del corso forzoso (1881- 83) incentivò l'afflusso di capitali
stranieri. Il risparmio contribuì a creare un'apertura nel settore edilizio.
Nacquero poi delle Banche, definite miste, che davano prestiti per le attività
industriali.
La Germania, del resto, volendo creare difficoltà alla Francia, favoriva lo
sviluppo economico italiano.
Ma l'Italia subì anche la lunga depressione che colpì l'Europa nel 1880.
A partire dagli ultimi anni del secolo si svilupparono le industrie tessili,
siderurgiche e meccaniche, complessi idroelettrici, chimici e automobilistici.
Nel 1890, su richiesta dei produttori vennero aboliti i dazi sui prodotti
francesi, nella speranza che anche la Francia avrebbe fatto altrettanto. Ciò
avvenne solo nel 1892.
Politica estera e colonialismo nell'età di Crispi
Nel 1878 si riuniva a Berlino il Congresso di Pace, un'iniziativa di Bismarck.
All'ordine del giorno era la questione d'Oriente. Nel 1876 Bosnia, Erzegovina e
Bulgaria si erano ribellate alla Turchia. La Russia aveva invaso la penisola
balcanica, provocando l'immediata reazione dell'Austria e il risentimento
d'Inghilterra e Francia. Occorreva impedire la distruzione dell'impero turco e
l'avanzata della Russia verso il Mediterraneo. I contrasti erano talmente forti
da far scoppiare una guerra europea, per questo Bismarck invitò le grandi
potenze a risolvere pacificamente la questione. In realtà Bismarck era
preoccupato che fossero distrutti i vantaggi della Germania. Riuscì ad evitare
il pericolo di una guerra ma anche a mantenere accese le rivalità, soprattutto
fra Austria e Russia. La prima fu costretta a chiedere appoggio alla Germania.
Allo stesso tempo diede segno d'approvazione all'occupazione della Tunisia da
parte della Francia. Mise poi le cose in modo da suscitare risentimen
to nei parigini verso l'Inghilterra, alla quale aveva fatto cedere Cipro dalla
Turchia.
Dal Congresso, l'unico ad uscire senza aver ottenuto nulla fu l'italiano
Benedetto Cairoli. L'Italia non voleva imporre il suo dominio sugli altri. Tale
posizione ideale non permise alla delegazione italiana di porre il complesso
problema dei territori ancora tenuti dall'Austria e di difendere gli interessi
d'Italia nella questione di Tunisia.
Nel 1881 la Francia occupò la Tunisia. A peggiorare la situazione contribuì la
politica svolta dal governo di Parigi, dove i cattolici miravano a riottenere
Roma. Il distacco fu inevitabile. L'Italia finì per trovarsi in un pericoloso
isolamento. Il Depretis si volse verso la Germania, avviando una politica
d'accostamento al Bismarck e all'Austria, unite dal 1879 in Duplice Alleanza.
Si giunse il 20 maggio 1882 alla Triplice Alleanza. Il patto garantiva un aiuto
nel caso di un'aggressione francese, la liberava da ulteriori aggressioni
austriache sulla frontiera veneta e la favoriva nell'esportazione dei prodotti
in Germania. Inoltre rappresentava un grave scacco per il pontefice. La firma
del trattato provocò sdegno nei nazionalisti e tra le associazioni
irredentiste. Di qui maturò il Progetto d'Oberdan: nel dicembre 1882 meditò un
attentato contro l'imperatore Francesco Giuseppe in visita a Trieste.
A spingere il governo Depretis al colonialismo furono le sollecitazioni della
corte e dei militaristi, l'opinione pubblica. Il Depretis orientò le sue mire
verso le coste etiopiche del Mar Rosso. Nel 1885 fu occupato il porto di
Massaua e i suoi dintorni. Poi gli italiani si spinsero verso l'Etiopia, ma
furono sconfitti a Dogali nel 1887. Molti chiesero l'abbandono dell'impresa,
altri un intervento più energico. A rendere peggiore le cose ci fu la morte del
Depretis nel 1887 e la successione di Crispi.
Crispi volle rinforzare il potere esecutivo, a svantaggio del Parlamento. Verso
il Vaticano assunse un atteggiamento autoritario. A seguito delle tensioni fra
Chiesa e Stato fu abolito l'insegnamento della religione nelle scuole, le
istituzioni di beneficenza furono sottratte al controllo clericale. Fu inoltre
istituita la punibilità per quei ministri di culto che avessero commesso reati.
In ogni modo il governo Crispi attuò importanti riforme, tra cui quella del
Codice Penale. Essa prevedeva:
1. Tacito riconoscimento dello sciopero;
2. Abolizione della pena di morte.
Importante fu anche la legge comunale e provinciale del 10 febbraio 1889
(estendeva l'accesso ai consigli comunali ai rappresentanti della minoranza/
istituiva la nomina del presidente delle amministrazioni provinciali da parte
dei consiglieri eletti/ i sindaci erano eletti dai consigli comunali).
In politica estera volle rialzare le sorti del conflitto abissino. Perciò inviò
consistenti rinforzi in Africa Orientale, dando inizio ad un'azione diplomatica
sfociata nel trattato Uccialli, stipulato col negus Menelik nel 1889. Vennero
con esso definiti i limiti della zona che gli italiani avrebbero occupato sulla
costa del Mar Rosso e venne riconosciuto il protettorato dell'Italia
sull'Etiopia. Nello stesso tempo otteneva parte della Somalia.
La Francia iniziò la guerra delle tariffe. In tale situazione cadde il governo
di Crispi nel gennaio 1891. Nel giro di due anni seguirono i ministeri di
Rudinì e di Giolitti.
Il secondo ministero Crispi durò tre anni (1893- 1896). Volle ristabilire
l'ordine interno, ricorrendo a duri sistemi repressivi e atteggiamenti
reazionari.
Il 4 gennaio 1894 proclamò lo stato d'assedio in Sicilia. Più tardi decretò lo
scioglimento del PSI e delle organizzazioni ad esso aderenti.
Nella colonia Eritrea la situazione venne aggravandosi. Le truppe italiane
furono sconfitte a Adua il 1 marzo 1896. In seguito a quest'avvenimento fu
duramente attaccato dai suoi avversari. Crispi i dimise il 9 marzo 1896,
scomparendo per sempre dalla politica italiana.