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Gli esclusi dalla polis




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GLI ESCLUSI DALLA POLIS

La vita quotidiana e l'educazione, erano molto diverse a Sparta e ad Atene o nelle altre città stato della Grecia antica. Con l'eccezione degli Ateniesi (gli Ateniesi si credevano i migliori di tutti), i Greci delle altre città stato, avevano un'ammirazione invidiosa per gli Spartani.                         Essi non avrebbero voluto essere Spartani, ma certamente avrebbero voluto che Sparta fosse dalla loro parte durante una guerra. Gli Spartani erano guerrieri duri, ed i Greci antichi ammiravano la forza. La popolazione spartana era divisa in tre classi differenziate da netti divari di potere:

  1. gli Spartiati (o abitanti di Sparta), cioè i discendenti dei Dori conquistatori,perlopiù aristocratici, che erano poche migliaia, e godevano di tutti i diritti civili e politici. Essi possedevano la maggior parte delle terre, e, soli tra gli altri abitanti della Laconia, si dedicavano all'esercizio delle armi e al governo dello Stato. Essi in pratica vivevano come un esercito permanente accampato in mezzo ad un territorio occupato militarmente.
  2. i Perièci (o abitanti all'intorno, del contado), cioè i discendenti dell'antica popolazione indigena (Messeni), o classi medio - basse dei Dori, ai quali i conquistatori avevano lasciato il possesso delle terre. Essi, per quanto più numerosi degli Spartiati, godevano dei soli diritti civili, e, in caso di guerra, servivano nell'esercito come fanteria pesante. Essi erano liberi agricoltori, artigiani, mercanti, e costituivano una borghesia attiva e intelligente.
  3. gli Iloti (nome di origine incerta), anch'essi discendenti dall'antica popolazione indigena dei Messeni, ma ad essi  i conquistatori non avevano lasciato il possesso delle terre. Essi, per quanto più numerosi degli Spartiati e dei Perièci, erano privi di tutti i diritti civili e politici. Erano veri e propri « servi della gleba », che lavoravano le terre degli Spartiati con l'obbligo di dare ad essi una parte dei prodotti del suolo, e, in caso di guerra, servivano nell'esercito come fanteria leggera o nella flotta come rematori. Essi erano inoltre soggetti a violenze ed umiliazioni di ogni genere, perché, dato il loro numero, potevano costituire un pericolo per lo Stato: erano costretti a portare un cappello di cuoio e una veste di pelle di pecora, per distinguersi dal resto della popolazione; venivano uccisi per ogni minimo sospetto; se ne ordinava spesso un massacro per ridurne il numero; e, una volta all'anno, si dichiarava ad essi guerra, salvo concedere subito dopo una tregua.

Gli organi del potere politico spartano erano: i due re, la Gerusia, l'Apella, gli Efori

  1. I due re ereditari (diarchia), appartenenti a due distinte dinastie, quella degli Agladi e quella degli Euripòntidi, che fin ai tempi più antichi si erano divise il potere. I re spartani godevano di molti privilegi personali, come il posto d'onore nei banchetti pubblici e nelle feste, la prima parte nella spartizione del bottino, ecc.; ma avevano poteri limitati, come quello di presiedere le adunanze della Gerusìa e dell'Apella, di comandare l'esercito in pace e in guerra (ma sotto la sorveglianza degli Efori), di amministrare la giustizia (ma solo nelle cause riguardanti le eredità e le adozioni), e di dirigere il culto religioso.
  2. la Gerusìa (o Consiglio degli Anziani), che era composta da 28 membri, nominati a vita dall'Assemblea popolare, tra i cittadini che avessero almeno 60 anni (cioè in età libera dal servizio militare). Essa trattava gli affari più importanti dello Stato, preparava i progetti di legge da sottoporre all'Assemblea del popolo, e, inoltre, aveva funzione di tribunale per i reati di sangue e per i processi di carattere politico.
  3. l'Apella (o Assemblea popolare), che era formata da tutti i cittadini spartani che avessero almeno 30 anni, e che era convocata una volta al mese, nel plenilunio. Essa eleggeva i membri della Gerusia e gli altri magistrati, approvava o rigettava senza discussione le proposte che i Geronti le presentavano, deliberava della pace e della guerra, e, in caso di morte di un re, decideva sul diritto al trono del suo successore.
  4. Una magistratura propria di Sparta fu poi l'eforato, che secondo la tradizione fu istituito nell'VIII secolo. Gli Èfori (o «ispettori»), in numero di cinque, erano eletti per un anno dall'Assemblea popolare.Essi furono dapprima incaricati di vigilare sui poteri dello Stato, perché non violassero la costituzione; ma più tardi, verso il secolo V, finirono per accentrare nelle loro mani tutti i poteri, perché presiedevano la Gerusia e l'Apella, vigilavano su tutta la condotta dei cittadini (Spartiati, Perieci, Iloti), e formavano un tribunale supremo, che poteva perfino giudicare e condannare i re. Il primo degli Efori dava il nome all'anno, come i consoli a Roma, e perciò si diceva epònimo.

Ad Atene, Solone divise i cittadini in quattro classi:

i pentacosiomedimni, cioè coloro che possedevano una rendita annua di almeno 500 medimni di cereali; oppure, se non erano proprietari, una rendita di almeno 500 dracme. Il medimno era una misura di capacità (per solidi), che corrispondeva a 52 litri.

i cavalieri o hippeis, cioè coloro che possedevano una rendita annuale di almeno 300 medimni; oppure una rendita di almeno 300 dramme. I cavalieri erano così chiamati perché potevano mantenersi un cavallo da guerra.

gli zeugìti, cioè coloro che possedevano una rendita annuale di almeno 200 medimni, oppure una rendita di almeno 200 dramme. Gli zeugiti erano così chiamati da « zèugos », o coppia di buoi, perché avevano bisogno di una coppia di buoi per arare le loro terre.

i theti, cioè coloro che possedevano una rendita annuale inferiore, e che perciò erano esenti dalle imposte.

I pentacosiomedimni e i cavalieri potevano aspirare all'arcontato e alle cariche maggiori; gli zeugìti potevano spirare alle cariche minori; i theti erano esclusi da ogni carica, ma potevano partecipare all'assemblea popolare e giudicare nei tribunali.

Solone riparti quindi il governo di Atene fra i seguenti corpi politici:

l'Arcontato, composto di membri delle prime due classi, con poteri immutati.

l'Areopàgo, composto dagli arconti usciti di carica, che avessero disimpegnato con onore il loro ufficio.

Esso continuò, come prima, a sorvegliare la condotta dei magistrati e a fungere da tribunale per i reati di sangue; ma, ciò che è molto importante, ottenne il diritto di veto sulle deliberazioni dell'Ecclesia. Esso divenne in tal modo un corpo politico conservatore, che sarebbe servito di contrappeso alle spinte, eventualmente rivoluzionarie, dell'opinione pubblica.

c) l'Ecclesìa (Assemblea popolare), composta di tutti i cittadini, compresi i theti, che avessero compiuto i 20 anni di età. Essa eleggeva i magistrati (arconti, ecc.), e deliberava sulle proposte di legge presentate dagli arconti.

d) l'Elièa (cosiddetta forse da élios, sole, perché il luogo delle adunanze doveva essere soleggiato), composta di tutti i cittadini che avessero compiuto i 30 anni. Essa era un tribunale popolare, corrispondente alle giurie delle nostre Corti di Assise, il quale giudicava in appello delle cause civili e in unica istanza delle cause criminali.

Dopo la morte di Solone e dopo il crollo dalle tirannidi di Pisistrato, Ipparco e Ippia, fu eletto arconte Clistene, che, sebbene appartenente alla nobile famiglia degli Alcmeonidi, introdusse nella costituzione di Solone riforme ancor più democratiche:                                                                  Egli abbassò i limiti del censo, perché un maggior numero di cittadini potesse partecipare al governo, e, pur lasciando sussistere i corpi politici creati da Solone, tolse molta importanza agli arconti, creando un corpo politico nuovo, la Bulè (Senato), costituita da 500 membri, non più eletti, ma sorteggiati tra i cittadini delle prime tre classi che avessero compiuto 35 anni. Il sorteggio, eliminando corruzioni o violenze, impediva che alla Bulé fossero elevati soltanto i cittadini più ricchi e influenti. La Bulé clistenica ebbe estesi poteri amministrativi, finanziari, giudiziari, ecc., che prima erano stati propri degli arconti; e, inoltre, il compito di preparare i disegni di legge, che dovevano essere sottoposti all'approvazione dell'Ecclesia. La Bulé, per ovviare alla difficoltà di tenere sempre o troppo spesso adunata un'assemblea così numerosa, era divisa in dieci sezioni di 50 membri che prendevano il nome di pritanìe e che amministravano a turno lo Stato per una decima parte dell'anno circa 36 giorni. I pritàni, perché tutti, ricchi o poveri, potessero prendere parte al governo, erano mantenuti a spese dello stato, nel Pritanèo. Clistene limitò anche i poteri dell'Arconte polemarco, lasciandogli il comando dell'esercito in pace, ma sostituendolo in guerra con dieci generali, detti strateghi (magistratura forse esistente fin dai tempi di Pisistrato), i quali erano eletti annualmente, uno per tribù, dall'Ecclesia. Clistene, infine, volendo evitare per l'avvenire il pericolo della tirannide, istituì il cosiddetto ostracismo, per cui l'Assemblea popolare, quando fossero presenti almeno 600 cittadini, poteva esiliare per un periodo di dieci anni quel cittadino che anche senza particolari accuse, fosse ritenuto pericoloso per lo stato. Questo provvedimento, che prese il nome dal coccio (òstracon), sul quale i cittadini scrivevano il nome del denunziato, non comportava la confisca dei beni e l'esilio ottenuto in questo modo non era ritenuto una una pena infamante. Esso raggiunse tuttavia spesso l'effetto opposto a quello per cui era stato creato, permettendo ad uomini politici già molto influenti di sbarazzarsi dei loro, avversari, e, in tal modo di privare il partito opposto dei suoi capi.

Dalla cittadinanza ateniese, e quindi dal governo democratico della città, restarono escluse alcune categorie di abitanti, le più numerose: i meteci, le donne e gli schiavi.
I meteci erano gli stranieri residenti ad Atene. Si occupavano di commercio e artigianato, gestivano proprietà e investimenti dei cittadini ateniesi, sfruttavano le miniere d'argento e spesso erano, per questo, molto ricchi.
Erano ben visti ad Atene, sia perché ne favorivano lo sviluppo economico e commerciale, sia perché pagavano annualmente forti tasse. Inoltre in caso di guerra erano reclutati per i servizi dell'esercito e della flotta. Tuttavia il matrimonio fra cittadini e meteci era proibito per legge: i figli di tali matrimoni illeciti non avevano diritti politici.
Neppure le donne avevano diritti politici, ma ciò costituiva la regola in tutto il mondo antico. Esse, per tutta la loro vita, erano sottomesse a qualcuno: al padre, al marito, al figlio se vedove. Non potevano amministrare i loro beni né scegliersi un marito o chiedere giustizia in tribunale. Occupavano, però, un ruolo molto importante nelle cerimonie religiose e nel culto di alcune divinità. Sacerdotesse e profetesse vivevano nei più celebri santuari greci per interpretare i responsi degli dei.
Assenti dalla vita politica, le donne greche erano comunque presenti nella poesia e nella musica e in tutte le grandi opere della letteratura greca, persino come eroine.
Gli schiavi venivano acquistati o catturati in guerra o con incursioni piratesche in Tracia e nel mar Nero. Dopo l'abolizione della schiavitù per debiti, infatti, mancarono gli uomini da utilizzare nelle fattorie, nelle miniere, nelle manifatture, nel lavoro domestico. Spesso il numero degli schiavi ad Atene superava di gran lunga quello degli stessi cittadini. Gli schiavi tuttavia potevano essere liberati, e ciò avveniva con una certa frequenza, anche se non abbiamo informazioni precise.

Vediamo le condizioni di vita delle persone escluse dalla cittadinanza delle due polis più importanti dell'antica Grecia: Sparta e Atene, quindi donne, bambini, stranieri, schiavi, iloti e altri ceti come le etere.    

I BAMBINI

Quando nasceva un bimbo, il papà appendeva sulla porta un rametto di ulivo se era maschio, o di stoffa se era una femmina. Era il padre ad imporre il nome al nuovo nato, durante una cerimonia che indicava anche se il bimbo era stato accettato. A Sparta i fanciulli, appena nati, erano esaminati dagli anziani, e, se risultavano deboli o deformi, venivano esposti sul monte Taigeto perché fossero raccolti dai Perieci o dagli Iloti, oppure lasciati morire. Le donne benestanti affidavano i figli alle balie, tenendo però per sé il piacere di insegnare loro le prime filastrocche e di raccontare le favole di Esopo. Nell'antica Grecia non mancavano i giocattoli. I giochi più comuni erano i dadi, i cerchi, gli astragali, trottole, alcuni manufatti in terracotta come bambole, carretti giocattolo e sonagli e rocchetti molto simili agli yo-yo.

In Atene antica, lo scopo dell'educazione dei giovani era produrre cittadini addestrati nelle arti, preparare cittadini per la pace e la guerra. Ad Atene, spesso, i fanciulli venivano esposti fuori dalle case in modo che venissero raccolti da qualche cittadino o schiavo, o abbandonati, soprattutto se femmine in modo da non disperdere in più parti il patrimonio famigliare. Le ragazze non andavano a scuola, ma molte imparavano a leggere e scrivere a casa, nel conforto del loro cortile. Fino all' età di 6 o 7 anni, i ragazzi imparavano a casa dalla madre o da uno schiavo maschio. Dall'età di 6 anni fino ai 14 andavano ad una scuola elementare di quartiere o ad una scuola privata. I libri erano molto costosi e rari, così i pochi disponibili per la scuola erano letti ad alta voce e gli allievi dovevano imparare tutto a memoria. Nella scuola elementare, dovevano imparare due cose importanti - i versi di Omero, il poeta dell'Iliade e dell'Odissea, suonare la lira, un strumento musicale. Lo studio della grammatica consisteva nel fare loro apprendere a leggere e a scrivere, usando materiale costituito o da papiro o da tavolette spalmate di cera, su cui si tracciavano i segni con una stilo, o da pergamena, sulla quale si scriveva con una specie d'inchiostro. La musica era vocale e strumentale e al suo insegnamento era preposto un citarista. Allo sviluppo di questa disciplina, tenuta in grande conto in ogni tempo, perché considerata indispensabile all'educazione dello spirito, contribuì il fiorire della poesia lirica, normalmente accompagnata dal suono di strumenti a corda o a fiato. Dopo le elementari alcuni ragazzi seguivano facevano il loro ingresso nei ginnasi (notissimi in Atene quelli detti il Liceo e l'Accademia), e vi compivano sotto la direzione di una ginnasiarca un vero e proprio perfezionamento, applicandosi allo studio delle lettere, della matematica, della morale e della retorici, approfittando fra l'altro del contatto con gli adulti, che vi si recavano per mantenersi in esercizio e per ascoltare i filosofi che si riunivano con i loro seguaci a discutere. Al compimento del 18° anno di età venivano considerati efebi che significa coloro che sono entrati nella pubertà e uscivano da questo periodo, diventando così adulti, a 20 anni. In questi due anni, i giovani, entravano nella scuola militare e conseguivano la laurea. A trenta infine erano ammessi alle cariche dello Stato.

Nell'antica Sparta lo scopo dell'educazione giovanile era di creare i presupposti per un esercito forte e disciplinato.  Gli Spartani credevano nella disciplina, nell'abnegazione, nella semplicità. Essi erano molto fedeli allo stato. Ogni Spartano, maschio o donna, erano obbligati ad avere un corpo perfetto. A Sparta i fanciulli, appena nati, erano esaminati dagli anziani, o controllati dai soldati e, se risultavano deboli o deformi, venivano esposti sul monte Taigeto perché fossero raccolti dai Perieci o dagli Iloti, oppure lasciati morire.             I bambini che passavano questo esame erano assegnati a una fratellanza o sorellanza, di solito la stessa a cui apparteneva il padre o la madre. I ragazzi di Sparta erano spediti alla scuola militare all'età di 6 anni o 7. Loro vivevano si addestravano e dormivano negli alloggi della loro fratellanza.                            A scuola insegnavano loro  capacità di sopravvivere e le altre abilità necessarie per fare un grande soldato. I corsi di erano molto duri e spesso dolorosi. Anche se agli studenti insegnavano a leggere e scrivere, quelle abilità non erano molto importanti per lo Spartano antico. Solamente la guerra importava. I ragazzi non erano alimentati bene, e si diceva loro che era bene rubare cibo finché non fossero presi per furto. Se venivano presi erano puniti. I ragazzi marciavano senza scarpe per diventare più forti. La scuola era un periodo di addestramento brutale. Famosa è la leggenda del fanciullo spartano che aveva rubato  una volpe viva, progettando di ucciderla e mangiarla. Egli notò un soldato spartano che si avvicinava e nascose la volpe sotto la camicia. Per evitare di essere accusato di furto  permise alla volpe di dilaniargli lo suo stomaco a morsi piuttosto che confessare di aver rubato,  e non permise alla sua faccia o al suo corpo di esprimere il suo dolore. I maschi spartani all'età di 18 o 20 anni dovevano superare una prova difficile di capacità di adattamento, abilità militare e  abilità di comando. Ogni maschio spartano che non passava questi esami diventava un perioikos. (ai perieci era permesso di avere proprietà, praticare il commercio, ma non poteva esercitare diritti politici; e non erano considerati cittadini). Se superavano la prova diventavano cittadini di pieno diritto e soldati di Sparta. Ai cittadini di Sparta non era permesso maneggiare i soldi, questo era compito dei perieci. I soldati spartani trascorrevano la maggior parte della loro vita con i loro compagni d'arme. Mangiavano, dormivano, e continuavano ad addestrarsi nei loro alloggi di fratellanza. Anche se si sposavano, non vivevano con le loro mogli e famiglie. Vivevano negli alloggi. Il servizio militare terminava all'età di 60 anni. All'età di 60 anni, un soldato di Sparta poteva andare in pensione, e poteva vivere in casa con la famiglia.

A Sparta le ragazze andavano a scuola all'età di 6 anni o 7. Loro vivevano, dormivano e si addestravano negli alloggi della loro sorellanza.                        Nessuno sa se la loro scuola fosse come crudele o dura come la scuola di ragazzi, ma alle ragazze erano insegnate lotta, ginnastica e abilità di combattimento. Alcuni storici credono che le due scuole erano molto simili, e che si tentava di addestrare le ragazze come si addestravano i ragazzi. Gli Spartani credevano che giovani donne forti avrebbero prodotto bambini forti. All'età di 18 anni, se una ragazza di Sparta superava le sue prove di adattamento, abilità, e coraggio le veniva assegnato un marito e le era permesso di tornare a casa.

Ragazza spartana

Se falliva perdeva i suoi diritti di cittadina, e diventava una dei perieci. Nella maggior parte delle altre città stato greche, le donne erano costrette a stare in casa la maggior parte del loro tempo. A Sparta, le donne cittadine erano libere di muoversi e godevano di molta libertà; come i loro mariti non vivevano in casa.

LE DONNE

La condizione femminile, se paragonata ai giorni nostri, era da considerarsi pessima.                                                                                                 Le donne fin da bambine erano segregate nei tiasi dove venivano loro insegnate le arti dell'amore e del canto; la loro formazione era cioè di natura essenzialmente pratica . Trascorso questo periodo, dopo il matrimonio trascorrevano quasi tutta la vita rinchiuse nel gineceo se si fa eccezione per l'ora delle visite a parenti ed amici o per la partecipazione alle feste prescritte. Né avevano tempo di oziare, anche se aiutate da schiave, dovendo allevare ed educare i figli, attendere alle pulizie e alla manutenzione della casa, nonché preparare pasti perlopiù consistenti in grandi focacce, poca carne, cacio, legumi e frutta. Era inoltre loro compito tessere, filare, sorvegliare servi e ancelle preposti ai diversi lavori. Erano invece del tutto escluse sia dagli affari sia dalla vita pubblica del marito. Anche a Sparta le donne non avevano alcun diritto politico, ma avevano la possibilità di partecipare a feste di carattere religioso ed a gare sportive. Questi 'privilegi' verso le donne vennero adottati nel periodo in cui Licurgo (re spartano del V sec.) salì al potere. Esse erano membri della famiglia ma non della città,se non in maniera indiretta,la città era certamente la loro patria,ma esse non facevano parte della sfera pubblica. Se la possibilità di partecipare alla vita politica era per i Greci il più importante dei diritti, le donne che ne erano escluse, erano di fatto cittadini di serie B. Le donne stavano molto più in casa, e quando uscivano indossavano spesso lunghi mantelli e cappelli, per nascondersi agli occhi degli uomini, e quindi, dal sole. Essere pallida era di moda per una donna: ciò indicava che proveniva da una famiglia agiata, al contrario, la pelle scura era segno che una donna lavorava al sole, in un mercato o in un campo, cosa che facevano solo le donne povere. Molte donne greche avevano un'altra importante ragione per stare in casa: era questo il luogo in cui i loro mariti volevano che stessero. Se apparteneva ad una famiglia ricca, la donna, controllava gli schiavi mentre svolgevano i lavori domestici e per il resto del tempo chiacchierava con le sue parenti. Un anonimo autore si lamentava delle donne benestanti che stavano mollemente sedute senza far niente. Le donne di condizioni più umili preparavano i pasti e facevano le pulizie, ma non effettuavano le compere, un compito affidato agli schiavi. Le donne crescevano i figli finché non erano abbastanza grandi per andare a scuola. Le femmine generalmente non andavano a scuola, ma imparavano a tenere una casa aiutando la madre.Considerate eterne minorenni, passavano dalla tutela del padre, o del fratello, a quella del marito. Alle donne ricche, tuttavia, era permesso uscire qualche volta: le feste religiose erano occasioni per incontrarsi, ma anche qualche particolare avvenimento della famiglia, come ad esempio la nascita di un bambino. La maggioranza delle cittadine era povera, per loro uscire a lavorare era una necessità. Le donne potevano lavorare nei campi con gli uomini al tempo della mietitura, oppure potevano vendere cibo e vestiti nei mercati.Alcune donne divennero celebri per la loro sapienza e per la loro saggezza: una certa Thargelia di Mileto, per esempio, fu consigliere del re di Persia, Aspasia, anche lei di Mileto, famosa per la sua intelligenza, fu la compagna del grande politico ateniese Pericle. Più famosa ancora fu Saffo, poetessa dell'isola di Lesbo. I tutori (kyrios) dettavano le regole della loro vita e, se occorreva, le rappresentavano in tribunale. Con l'eccezione di Sparta, dove le figlie potevano ereditare i beni paterni, le donne greche erano escluse anche dalla successione. Se una bambina non aveva fratelli, alla morte del padre doveva sposare il parente più prossimo, affinché i beni restassero in famiglia. Per far sì che il patrimonio non si dipendesse, i Greci preferivano famiglie poche numerose, ma il controllo delle nascite ricadeva interamente sulla parte femminile della coppia. Le donne si arrangiavano con rimedi di dubbia efficacia e si scambiavano le ricette di ungenti e pozioni anticoncezionali, a base di ruta, felce, prezzemolo, foglie di salice e corteccia di pino.

Il ricorso all'aborto non era raro e, se un figlio indesiderato comunque nasceva, poteva essere abbandonato, rinchiuso in un vaso di creta; se non moriva poteva essere raccolto da una donna sterile, oppure finire ad alimentare il mercato degli schiavi e della prostituzione. Le regole rigide che dettavano lo stile di vita alle donne si allentavano nelle famiglie dove un solo stipendio non bastava. Fra le classi meno agiate, infatti, le mogli cercavano di tirare su qualche dracma, magari andando al mercato a vendere nastri e stoffe confezionati in casa. A fare eccezione nel panorama Greco erano le donne di Sparta, che sconcertarono gli ateniesi con i loro stile di vita. Anche a Sparta le donne avevano come scopo principale la procreazione. Qui però le donne non erano recluse: fin da bambine, venivano educate all'esercizio fisico perché si pensava che donne più in forma avrebbero generato figli più sani. Nel matrimonio, tra il VI e l'VIII secolo avanti Cristo, veniva considerata ancora considerata la donna come un dono grazioso e veniva ancora praticata la tradizione della dote. Lo statuto della sposa e delle ricchezze che l'accompagnavano era molto diverso ad Atene, città dell'apertura e del cambiamento, e a Sparta, città della chiusura e dell'immobilismo, anche perché le due città avevano una diversa concezione di comunità cittadina e della sua composizione. A quel tempo vi erano 'Città calde' e 'Città fredde', secondo la classificazione di Levi- Strauss. Le 'Città fredde' (Sparta) hanno deciso di conservare l'organizzazione in case e di limitare l'appartenenza alla comunità cittadina ai soli possessori di terreni. Le 'Città calde' (Atene) hanno posto fine alla struttura per case e hanno rifiutato di limitare l'appartenenza alla comunità cittadina ai possessori di terra. Nelle 'Città fredde' la sposa era padrona della sua persona e del suo corredo matrimoniale, mentre nelle 'Città calde' la sposa, legata ad una dote in denaro, era sottoposta all'autorità del marito; insomma, la donna fu una vittima dell'invenzione della democrazia. Nell'Antica Grecia svolgevano una vita parallela a quella delle "donne di casa" :le etere. Queste potevano presentarsi come seconde mogli o come amanti di passaggio. Solitamente erano donne libere senza alcun vincolo che le legasse ad un padrone, ma esse non venivano riconosciute dalla legge. La maggior parte delle Etere erano donne povere sfruttate per la loro bellezza, e quindi era una loro scelta di vita, mantenendo così la loro libertà.



I METECI

I Meteci (coloro che vivono vicino = stranieri) non avevano la possibilità di partecipare all'assemblea e non possedevano terre, nonostante ciò, erano valenti commercianti. Importante sottolineare che non godevano di alcun diritto civile, né era loro concesso di abitare in case che non fossero d'affitto, né di acquistare alcuna proprietà fondiaria nell'ambito dello Stato che li ospitava e che li obbligava, sotto la minaccia di una grave pena, a scegliersi fra i cittadini un prostates o tutore che li rappresentasse in ogni occasione. Fra le prestazioni da esse dovute vi era quella del servizio militare obbligatorio e del pagamento di alcuni tributi, primo fra i quali una particolare tassa di residenza. Con il diritto di residenza era offerta loro la piena protezione della legge e quindi la possibilità di arricchire coi traffici e coi commerci la piena cittadinanza. Inizialmente , i meteci, avevano una posizione privilegiata rispetto agli schiavi infatti erano visti come normali cittadini. La posizione degli stranieri cambiò quando, con lo sviluppo della polis, si pose il problema di chi far rientrare nella categoria dei cittadini. Gli stranieri di passaggio non potevano essere inclusi, ma neppure lo furono coloro che, nati altrove, si erano trasferiti stabilmente in città.La vita degli immigrati era condizionata dai rapporti che la città ospite aveva con la loro terra d'origine. I barbari, spesso di origine mediorientale e persiana, erano considerati inferiori, naturalmente inclini alla sottomissione, infidi, sleali e perversi. Ma le polis non potevano permettersi di maltrattare tutti gli immigrati, e in particolare quelli di stirpe Greca che con le loro attività di commercianti, artigiani e banchieri costituivano il volano dell'economia. Così attorno al V secolo a.C. si sviluppò la prossenia, un istituto legato all'antico concetto di ospitalità, che prevedeva la nomina di un prosenno col compito di tutelare i diritti degli stranieri. In seguito , le città che avevano rapporti economici stipularono anche accordi formali per garantire i loro cittadini in viaggio. Mentre Sparta non consentiva il domicilio continuato agli stranieri, Atene poteva contare su una nutrita popolazione di stranieri residenti, i meteci, nelle cui mani si accentrava gran parte dell'attività economica. I meteci, che vivevano soprattutto nella zona del Pireo, pagavano allo Stato una tassa per la residenza e una per l'esercizio della processione. Ma non potevano possedere terreni, perché la proprietà dei fondi era esclusiva dei cittadini. Raramente e solo per importanti meriti civili, veniva loro concessa la cittadinanza. A Sparta gli stranieri erano chiamati Iloti o Messeni. Questi non avevano diritti ed erano ridotti sotto una forma di schiavitù, che li costringeva a lavorare la terra degli spartiati senza trarne benefici. Spesso venivano trattati in modo disumano e le loro rivolte sottomesse ad opera degli spartiati.

SCHIAVI

Gli schiavi erano molto importanti. Essi pulivano e cucinavano, lavoravano nei campi, in fabbriche e negozi, nelle miniere e sulle navi. Anche la forza di polizia in Atene antica era fatta di schiavi! Sotto molti aspetti la vita di uno schiavo non era diversa da quella di un cittadino povero. C'erano cose che un schiavo non poteva fare. Non potevano andare a scuola, o occuparsi di politica, o usare il proprio nome. Il nome era loro fornito dal padrone: essi erano considerati una pura proprietà, non erano cittadini. Si poteva diventare schiavi in molti modi. Alcuni erano prigionieri di guerra, altri erano nati schiavi, altri ancora erano bimbi abbandonati su una collina o davanti a un cancello destinati a morire o ad essere raccolti da qualche passante. Alcuni erano stai venduti ancora bambini dai loro genitori poveri, altri erano stati rapiti e rivenduti.

Secondo Aristotele, alcune persone possedevano per loro natura una ragione sviluppata solo fino al punto di poter obbedire alle direttive altrui. Erano gli schiavi.                                                        Perlopiù erano prigionieri di guerra , oppure facevano parte di popolazioni assoggettate dai nuovi conquistatori, come nel caso degli iloti a Sparta. Mentre gli Spartani servivano lo Stato, gli Iloti, molto più numerosi, coltivavano i campi e davano ai padroni una quota fissa del raccolto.

I cittadini li temevano, e in diverse occasioni le ribellioni organizzate degli Iloti furono represse a sangue.

Ad Atene, gli schiavi, il cui numero venne aumentando con il progressivo potenziarsi delle industrie e delle ricchezze, erano usati dallo Stato e dai privati, negli uffici o in casa, non solo come scribi, amministratori pedagoghi e sorveglianti, ma anche come uomini di fatica specie nelle botteghe, nelle fabbriche, nelle cave di pietra e nelle miniere.

Perlopiù il trattamento che veniva loro fatto era assai più mite ed umano che a Roma, anche se qui, come là, lo schiavo era considerato una semplice cosa, di assoluta proprietà del padrone, che ne poteva disporre a suo piacimento.

Proprio qui si ebbe la massima diffusione della schiavitù, si stima che ogni famiglia ateniese avesse in media 3 o 4 schiavi.

Le condizioni di vita degli schiavi variavano molto a seconda del tipo di mansione che svolgevano.

Peggio di tutti se la passavano coloro che lavoravano nei cunicoli delle miniere seguiti a ruota da chi veniva sfruttato nei fondi agricoli.

Se si comportavano bene, gli schiavi di casa potevano essere liberati, mentre chi lavorava nelle botteghe artigiane, riceveva dal padrone piccole somme in denaro, che raccoglieva e utilizzava per riscattarsi.

Gli schiavi liberati non ottenevano la cittadinanza e spesso continuavano a vivere attorno alla casa del padrone e a lavorare intorno a lui.                                                                                                            Ad Atene esisteva anche una schiavitù per debiti che fu poi eliminata da Solone con la sua riforma che permise agli schiavi di estinguere il debito e successivamente di tornare liberi. Nel mondo classico i mezzi di produzione consistevano soprattutto nella terra; la forza-lavoro era prevalentemente costituita da schiavi; i rapporti di produzione erano quelli tra proprietari di terra (e di schiavi) e schiavi. Proprio per questo la sua economia viene definita modo di produzione schiavistico. L'impiego massiccio della schiavitù cominciò ad Atene nel v secolo, raggiunse il culmine a Roma tra il II secolo a.C. e il I secolo d.C. e declinò nei secoli successivi. Gli schiavi lavoravano come domestici nelle case private, come operai nelle botteghe artigiane o come minatori nelle cave o nelle miniere; ma soprattutto costituivano la larghissima maggioranza dei lavoratori agricoli. I grandi proprietari terrieri ne possedevano a centinaia, i piccoli contadini ne avevano solo due o tre, ma nessuno poteva farne a meno. Lo schiavo era un oggetto nelle mani del suo padrone. Una volta che questi l'aveva comprato, il rapporto economico tra i due diventava estremamente semplice: lo schiavo era uno strumento che faceva parte integrante della terra, come l'aratro, il bue che lo tirava e le altre attrezzature agricole.

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