DAL 1864 AL 1890
Il 28 Settembre 1864 fu indetto un raduno
popolare a Londra onde celebrare solennemente il patto di alleanza tra la
classe operaia britannica e francese. Furono invitati anche i rappresentanti
delle leghe di operai stranieri presenti a Londra fra gli altri Giuseppe
Mazzini che si fece rappresentare da due suoi collaboratori e Marx che invece
intervenne personalmente. L'assemblea approvò la costituzione dell'associazione
internazionale dei lavoratori detta: I Internazionale. Quanto mai arduo si
presentò all'Internazionale il problema di far confluire su una piattaforma
programmatica unitaria le organizzazioni operaie le cui divergenze talvolta
assai profonde rispecchiavano sia differenti matrici ideologiche sia il
differente grado di sviluppo economico sociale e politico dei vari paesi.
Mazzini aderì subito al progetto di un collegamento tra i movimenti operai
europei, ma non concepiva l'internazionalismo operaio come strumento di lotta
di classe; per questo l'adesione dei mazziniani all'Internazionale si fece via
via più tiepida quanto più questa finì con l'essere dominata da Marx e Bakunin.
Mazzini uscì dell'Internazionale dopo l'episodio della comune parigina contro
cui polemizzò in maniera quantomai dura. L'Internazionale costituì il mezzo più
efficace di capillare diffusione del Marxismo. Anche Bakunin aveva dato la
propria adesione all'Internazionale ma i motivi di fondo del suo dissidio con
Marx non tardavano a rivelarsi inconciliabili: la frattura tra marxisti e
bakuniniani si fece radicale nel 1872 in cui gli anarchici furono espulsi
dell'Internazionale che trasferì la sede a New York, mentre in Europa gli
anarchici davano vita ad una Internazionale antiautoritaria. L'Internazionale
marxista si sciolse nel 1876; nel 77 si sciolse quella anarchica. I socialisti
cosiddetti revisionisti si mostrarono convinti che il sistema capitalistico
fosse in grado di effettuare un permanente recupero delle sue crisi interne: in
tali condizioni il movimento operaio, lungi dall'insistere in una vana azione
di assalto dall'esterno, avrebbe dovuto proporsi di avviare lo Stato borghese
verso uno sbocco socialista con un'azione di trasformazione interna graduale
pacifista. La lotta politica dei partiti socialisti non fu perciò sostenuta da
una strategia rivoluzionaria di rilievo internazionale; finì invece col
circoscrivere i suoi programmi a contenuti riformistici per conseguire una più
equa distribuzione dei redditi entro l'ambito delle società (Stati) nazionali.
Accadde così che i partiti socialisti si trovarono progressivamente integrati
nella società capitalistica non come forze antagoniste ma subalterne delle
borghesie nazionali. La storia della cosiddetta II Internazionale, Fondata a
Parigi nel Luglio del 1889, coincise con la storia dei partiti socialisti
nazionali e non a caso a segnarne la fine fu la prima Guerra Mondiale che
doveva porre le classi popolari di fornte ad una realtà molto diversa da quella
ipotizzata dalle ideologie socialiste dominanti.
I
fenomeni tipici dell'Imperialismo sono l'estensione violenta da parte di uno
stato del proprio territorio a danno di altri stati e lo sfruttamento economico
esercitato a danno dei paesi soggiogati. tali fenomeni sono riscontrabili in
ogni epoca storica ma il termine "imperialismo" fu usato solo nell'ottocento in
Inghilterra per indicare la politica di potenza della Gran Bretagna nei
confronti del proprio impero coloniale promossa da Disraeli. È in tale periodo
che sono sorte anche le prime teorie dell'imperialismo. La ragione di ciò è da
ricercare nel fatto che tra il 1870 e il 1914 si è aperta una nuova fase
storica in cui i fenomeni connessi all'imperialismo hanno avuto una particolare
estensione ed intensità mai prima riscontrate nella storia. È infatti in tale
periodo che avviene la spartizione del mondo tra le potenze europee, gli Usa e
il Giappone. L'intero globo viene sottoposto all'egemonia europea a conclusione
di un secolare processo che aveva avuto inizio con l'epoca delle scoperte
geografiche e dei primi imperi coloniali nel XV - XVI secolo. È questo il
motivo del sorgere di un filone di studi che assume come oggetto
l'imperialismo. È inoltre importante segnalare come l'atteggiamento odierno
verso l'imperialismo tenda ad essere negativo e lo stesso termine abbia
acquistato oggi una connotazione negativa mentre in origine esso possedeva un
significato positivo. Questo atteggiamento critico nei confronti dell'I. nasce
dal rilievo che viene dato oggi al principio dell'autodeterminazione nazionale
affermato dalla rivoluzione francese che è in pieno contrasto con
l'imperialismo.L'imperialismo è un fenomeno complesso, determinato da diverse
ragioni: RAGIONI ECONOMICHE infatti i
territori conquistati rappresentavano uno sbocco per le merci, fonti di risorse
naturali e di materie prime a prezzi vantaggiosi.Era un luogo in cui investire
i capitali in eccesso e fronteggiare la difficile crisi iniziata nel 1873.
RAGIONI POLITICHE, perché vi era la volontà, nei principali stati europei, di
realizzare politiche di prestigio e potenza per acquisire posizioni di forza
nei rapporti internazionali. Questo valeva sia per la GB (minacciata per la
1°volta nel suo primato economico e politico), sia per la FR (frustrata dai
fallimenti di Napoleone III), sia per la GER e il GIAP (interessati a
consolidare la loro emergente forza economica) e per RAGIONI SOCIALI E
CULTURALI. Infatti oltre che ai grandi gruppi,
furono le classi dirigenti, le diplomazie, le gerarchie a sostenere la spinta
espansionistica, che in regola incontrava anche consensi popolari. L a corsa
alle colonie rappresentava infatti un modo per ottenere unità e coesione
sociale , scaricando all'esterno tensioni e conflitti sociali. Vi fu però la
diffusione di idee nazionalistiche e razziste ( missione civilizzatrice
dell'uomo bianco).
La prima teoria che affrontava in modo
scientifico il problema dell'imperialismo fu quella dell'inglese Hobson,
economista di tendenza radicali e liberali. La concezione avanzata da Hobson
ebbe molta influenza negli ambienti intellettuali della sinistra
socialdemocratica non marxista pur essendo Hobson esponente del pensiero
liberal-democratico. In primo luogo Hobson pone in evidenza la radicale
differenza tra il tradizionale colonialismo e il moderno imperialismo. Il
colonialismo tradizionale si era infatti prevalentemente manifestato nella
forma delle colonie di popolamento, cioè come occupazione di terre pressoché
disabitate in zone temperate allo scopo di trasferirvi nuclei di coloni.
Nell'imperialismo l'occupazione coloniale riguarda territori tropicali o
subtropicali densamente popolati in cui si trasferisce un ristretto nucleo di
popolazione bianca allo scopo di esercitare il dominio politico e lo
sfruttamento economico sulla popolazione indigena considerata inferiore ed
incapace di godere di libertà politica ed economica. In secondo luogo egli
rileva la natura violentemente aggressiva dell'imperialismo che innescava
innumerevoli situazioni di guerra tra potenze rivali e spartiva il mondo in un
insieme di imperi concorrenti in uno stato continuo di tensione che poteva
trasformarsi in guerra di tutti contro tutti. In terzo luogo Hobson sottolinea
le radici culturali ed ideologiche dell'imperialismo che poggia sul darwinismo
sociale secondo cui la forza e la potenza sono la base su cui è possibile
trionfare nella lotta per la vita, è infatti attraverso la lotta per la
sopravvivenza che avviene la selezione dei migliori ed in tale lotta a
prevalere è il più forte. Tale concezione, applicata alla relazioni
internazionali poneva quale base del rapporto tra stati la forza ovvero il
diritto del più forte. Ma i fattori decisivi che determinarono la genesi
dell'I. sono per Hobson di natura economica: concentrazione monopolistica,
crescita dell'industria pesante e primato del capitalismo finanziario.
All'origine dell'I vi sono due tipi di fenomeni economici: gli interessi di
quei gruppi economici che si arricchiscono grazie alle spese necessarie per
portare avanti una politica imperialistica: industrie belliche, ferroviarie,
minerarie; o gli interessi di quei gruppi sociali che vedono aumentare il
proprio peso grazie all'imperialismo come la casta militare e burocratica e la
supremazia del potere finanziario interessato ad investire i propri capitali in
arre più redditizie rispetto al territorio metropolitano come appunto le
colonie che garantivano rendimenti superiori agli investimenti finanziari. Marx
non si occupò mai dell'imperialismo anche se scrisse sul fenomeno del
colonialismo. Le principali teorie marxiste sull'imperialismo traggono tuttavia
origine dall'analisi che Marx conduce sulle contraddizioni del capitalismo. La
principale contraddizione di esso, destinata secondo Marx a condurre alla fine
del capitalismo ed alla inevitabile affermazione rivoluzionaria del socialismo,
è la caduta tendenziale del tasso di profitto. La concorrenza costringe i
capitalisti ad investire quote di capitale sempre maggiore per il
perfezionamento tecnologico dei macchinari in modo da battere la concorrenza.
Questo innesca una reazione a catena per cui le macchine e le tecnologie
diventano in brevissimo tempo obsolete ed occorre investire somme sempre più
ingenti di capitale per rinnovarle continuamente, questo riduce enormemente il
profitto in quanto aumenta i costi della produzione per il capitalista. Questa
continuo rinnovamento tecnologico porta ad aumentare il peso delle macchine che
sostituiscono sempre maggiormente la forza lavoro umana . In altri termini
quello che Marx chiama plusvalore e che costituisce la fonte del profitto del
capitalista dipende dall'uso della forza lavoro umana, se questa viene
sostituita dalla macchina allora diminuirà il plusvalore e quindi anche il
profitto del capitalista. Esiste quindi nel capitalismo la tendenza ad una
diminuzione costante del tasso o saggio di profitto che condurrà il capitalismo
a crisi economiche sempre più disastrose fino ad innescare un processo
rivoluzionario che porrà fine ad esso. Le 2 principali mete dell'imperialismo furono l'asia e l'Africa. L'Africa
aveva interessato per molto tempo gli europei come via di transito in direzione
dell'Asia. Nel 1830 la Francia conquista
l'Algeria. L'Egitto si instauro' il protettorato inglese. Esso però interessava
ad altre potenze (Francia e G.Bretagna) sia per le sue ricchezze naturali che
per la sua posizione strategica. La costruzione nel 1869 del Canale di Suez
aveva reso ancor piu' importante il controllo di quell'area. Nel1881 la Francia
conquista la Tunisia. Gli obbiettivi principali dell'espansione asiatica furono
il sud-est asiatico e la Cina. Nel frattempo in India continuava l'opera di
modernizzazione e di occidentalizzazione avviata dagli inglesi dopo
l'assunzione del controllo politico. Si ando' così formando un ceto
intellettuali, imprenditori, proprietari terrieri che andarono a costituire il nucleo del movimento
nazionalista indiano: PARTITO DEL CONGRESSO NAZIONALE INDIANO che indirizzo'
l'India verso l'autonomia (Gandhi lotta per la decolonizzazione). La Cina era
oggetto delle mire espansionistiche di: Francia, Russia, Giappone, GB,
Germania. Gran parte dell'economia cinese era in mano agli stranieri. Non si
arrivò ad una spartizione anche politica della Cina a causa della rivalità tra
i diversi pretendenti e per l' opposizione degli USA. All'interno del paese si
ando' progressivamente montando un forte movimento di protesta nazionalista
contro l'espansionismo occidentale. Con la RIVOLTA DEI BOXER presero di mira le missioni
cristiane,le ferrovie e le ambasciate di Pechino, finchè le loro rivolte non furono soffocate nel sangue. Dopo che
nel 1911 fu rovesciato l'ultimo
esponente della dinastia manciu' fu Sun Yat-sen a proclamare , all'inizio del
1912, la repubblica.
La classe politica che diresse l'Italia negli
anni dopo l'unità fu quella formatasi negli anni del Risorgimento. Nel nuovo
Parlamento italiano, dove non sedeva più una Destra reazionaria clericale,
l'appellativo di Destra, poi detta storica a riconoscimento dell'importanza
della sua azione, toccò agli eredi del liberalismo di Cavour, deceduto
improvvisamente il 6 giugno 1861. Le fondamenta dello Stato unitario furono
poste tra il 1861 e il 1865 dai primi governi della Destra. La classe dirigente
liberale scelse un ordinamento dello Stato di tipo accentrato; le ragioni di
questa decisione furono molteplici: la necessità di chiudere al più presto la
fase di incertezza seguita ai mutamenti di reggimento politico nei territori
degli ex-Stati; l'opportunità di presentare l'Italia, anche a livello
internazionale come uno Stato ormai consolidato. I gruppi dirigenti italiani si convinsero che la concessione di
autonomie troppo ampie e non controllate dall'alto si sarebbe risolta in un
incentivo alle forze dominanti delle singole località, forze arroccate su
posizioni retrive e non disponibili a farsi promotrici di progresso. Le leggi
del marzo 1865 estesero a tutto il regno l'ordinamento amministrativo
piemontese, in materia di legge comunale e provinciale, sicurezza pubblica,
sanità opere pubbliche. Esse lasciavano un'autonomia molto ridotto agli enti
locali. Il sindaco fu di nomina regia e sugli atti delle amministrazioni
comunali fu imposto il controllo del prefetto il quale assommò in sé poteri
assai vasti e discrezionali di controllo e di coordinamento sui vari settori
dell'amministrazione pubblica: giustizia, ordine pubblico, sanità, scuole.
All'unificazione amministrativa seguì, nel 1865, l'unificazione dei codici
delle tariffe doganali e della moneta. L'unificazione degli ordinamenti
costrinse le diverse realtà italiane entro strutture che si erano sviluppate in
aderenza alla specifica situazione nell'Italia settentrionale; fu tuttavia, almeno
in una certa misura, una scelta obbligata, se non si voleva che nell'attesa di
predisporre nuovi dispositivi, si innescassero movimenti centrifughi
difficilmente controllabili. Anche in materia finanziaria la destra fu
condizionata dalla preoccupazione unitaria di cui si è detto. Lo Stato italiano
nacque con un bilancio fortemente in deficit; la politica della Destra si
orientò dunque verso il contenimento della spesa pubblica e l'aumento delle
entrate con l'aggravio delle imposte. Si procedette perciò a un complessivo
riordino della legislazione tributaria, ma le diverse misure si rivelarono
insufficienti, tanto che venne reintrodotta la tassa sul macinato. Tra le
popolazioni meridionali, non abituate a una forte pressione fiscale, si creò un
diffuso malcontento, che fu alimentato anche da altri fattori: la Destra
proseguì la politica liberista adottata dal Piemonte cavouriano e
l'unificazione politica creò in Italia un unico mercato senza dogane interne;
la conseguenza fu che molte imprese meridionali si trovarono private, di colpo,
della protezione loro offerta in passato dal regime doganale borbonico e per di
più senza le commesse statali, che adesso si rivolgevano in prevalenza a
imprese settentrionali. Ma la principale debolezza della Destra fu la divisione
in gruppi di interesse, che la rese sempre sostanzialmente in balia di comitati
d'affari, tanto che nel 1876, su una questione fondamentale come quella delle
costruzioni ferroviarie, piena di implicazioni affaristiche, la sua maggioranza
finì per sciogliersi come neve al sole. Nel 1876, caduta la destra sulla
questione ferroviaria, la campagna elettorale per il nuovo parlamento fu
caratterizzata dalla proposta politica di Depretis, il rappresentante più
autorevole del settore politico della Sinistra storica. La Sinistra storica, i
cui membri provenivano in gran parte dalla tradizione del Partito d'Azione,
mostrava un maggior dinamismo politico rispetto alla Destra; essa esprimeva le
esigenze della borghesia imprenditoriale e dei ceti artigianali e impiegatizi.
Le linee programmatiche della Sinistra erano state indicate da Depretis in un
discorso tenuto agli elettori a Pavia: una riforma fiscale ai fini di una
maggiore perequazione contributiva, una riforma elettorale per l'ampliamento
del suffragio, una riforma scolastica che rendesse effettiva l'obbligatorietà
dell'istruzione elementare, una riforma delle amministrazioni locali che
concedesse nuovi spazi di autonomia. Sotto i governi della Sinistra furono
varate alcune importanti riforme, fu dato avvio al processo di
industrializzazione del paese e fu intrapresa una politica estera più dinamica.
La prima riforma fu quella dell'istruzione elementare nel 1877. La legge
Coppino stabilì l'obbligo della frequenza scolastica per almeno due anni e
previde precise sanzioni per i genitori inadempienti. Un altro nodo affrontato
riguardò l'insegnamento religioso: fu stabilito che esso avesse carattere
facoltativo e fosse impartito al di fuori dell'orario scolastico e senza oneri
per lo Stato. Nel 1882 fu varata la riforma elettorale: la nuova legge dette il
diritto di voto a tutti gli italiani maschi, di almeno 21 anni, che sapessero
leggere e scrivere, oppure pagassero un'imposta diretta di lire 19,80, oppure
possedessero un podere con un reddito non inferiore a lire 500. A partire dal
1884 si ebbe la parziale abolizione della tassa sul macinato; nel 1886 fu
decisa la perequazione dell'imposta fondiaria tra le diverse regioni italiane e
furono iniziati i lavori per un catasto generale; nel campo della legislazione sociale
vennero emanate una legge che regolava il lavoro dei fanciulli fino a 12 anni e
una legge che concedeva il riconoscimento giuridico alle società di mutuo
soccorso. Sotto i governi della Sinistra , l'economia italiana, che fino agli
anni Settanta aveva mantenuto caratteri prevalentemente agricoli e pre-moderni,
cominciò a percorrere la strada dell'industrializzazione. La svolta fu resa
possibile da una serie di fattori. La crisi agraria cominciò a far sentire i
suoi effetti negativi anche in Italia e facilitò il trasferimento del risparmio
dal settore dell'agricoltura verso altri investimenti più redditizi.
Contestualmente il governo, abbandonando la tradizionale linea liberista e
adottando il protezionismo, da un lato cercò di bloccare la caduta dei prezzi
dei cereali e delle rendite agricole e dall'altro sostenne il processo di
industrializzazione, con particolare riguardo al settore siderurgico. Gli
interventi dei governi della Sinistra a sostegno dello sviluppo industriale si
articolarono in più direzioni: nel 1881 fu attuata l'abolizione del corso
forzoso della lira, ristabilendone la convertibilità in oro, restituendo così
fiducia nella lira sui mercati finanziari e favorendo un consistente afflusso
di capitali stranieri; lo Stato incoraggiò la nascita di società di grandi
dimensioni e ci fu un forte incremento della spesa nelle opere pubbliche e
nelle strutture militari. Nel 1887, alla morte di Depretis, il re affidò la
guida del governo a Francesco Crispi. Senza dubbio non mancarono nel governo da
lui presieduto tratti riformistici, volti a rendere più razionali ed efficienti
alcuni comparti dello Stato, ma si evidenziarono anche un'impronta autoritaria
ed una ricerca eccessiva di protagonismo in politica estera, in nome del
prestigio nazionale. Nonostante l'attivismo riformatore, Crispi confermò il
sistema dell'accentramento e rafforzò il controllo del potere esecutivo sulla
società civile, come nel caso della legge di pubblica sicurezza approvata nel
1889, che consentiva alla polizia di adottare procedimenti discrezionali,
compreso quello di inviare al domicilio coatto gli individui ritenuti
pericolosi, indipendentemente dal parere della magistratura. Convinto che i
cittadini dovessero riconoscersi nello Stato, inteso mazzinianamente come
nazione e come patria, senza riserve e mediazioni di sorta, Crispi agì con
interventi dall'alto, anche se questa tendenza a governare d'autorità gli
precluse la possibilità di comprendere ed affrontare in modo adeguato i
problemi oggettivi del paese, che erano di natura sociale e di allargamento
della partecipazione politica. Le
opposizioni furono contrastate, tanto che si trattasse di anarchici, di
cattolici, di radicali filo-francesi, di irredentisti repubblicani o di socialisti. La scelta di metodi autoritari nei confronti
delle opposizioni repubblicane, socialiste e anarchiche si espresse nella dura
repressione del movimento di protesta dei Fasci siciliani e del tentativo di
insurrezione anarchica in Lunigiana, contro i quali egli reagì proclamando lo
stato d'assedio e inviando truppe militari. Alla carriera politica di Crispi,
in parte compromessa dalle sue responsabilità negli scandali bancari del tempo,
mise fine la sconfitta subita dagli italiani ad Adua, in Etiopia (guerra di
Eritrea, 1896), che provocò nel paese violente dimostrazioni contro la guerra,
costringendo lo statista alle dimissioni.