Giovenale (55/60
d.C. - 127 d.C.)
Si pensa che il 127
sia la data di morte perché dopo questa data non si hanno più notizie. Era nato
nel Lazio, studia retorica, diventa avvocato ma cambia mestiere intorno a 35
anni dopo la morte di Domiziano e inizia a scrivere satire. Poi inizia a fare
il cliente. Non era povero infatti possedeva case e un terreno vicino a Tivoli.
Si dice che ad ottant'anni andò in Egitto; secondo alcuni fu mandato da
Domiziano per una missione diplomatica, secondo altri era stato cacciato da
Roma per aver scritto dei versi contro un tale che era apprezzato alla corte di
Domiziano. In realtà quando aveva ottant'anni Domiziano era morto. Scrisse 16
satire in esametri divise in 5 libri: la 1° del 1° libro: si rende conto che la
corruzione è talmente elevata che neanche i letterati possono produrre opere di
qualità. Si possono solo scrivere satire. La sua intenzione è di dire la verità
ma per prudenza dice che parlerà solo di morti anche se in realtà i personaggi
di cui parla rispecchiano i personaggi importanti del suo tempo. 3° satira del
1° libro: per scriverla prende spunto dalla decisione di un suo amico di
trasferirsi in campagna perché Roma è diventata invivibile. 4° del 1° libro:
racconta un'assemblea dei consiglieri di Domiziano che sono preoccupati perché
devono cucinare un pesce per l'imperatore e non sanno come fare; ognuno da il
suo parere ma c'è sempre qualcosa che non và. 6° del 2° libro: Scrive questa satira perché un suo
amico ha deciso di sposarsi. Attacca le donne viste come la rovina degli
uomini, le accusa di occuparsi di tutto tranne che della casa e dei figli. 7°
del 3° libro: parla dei letterati e dell'idea che si ha di loro: fannulloni.
Dice che invece vivono una vita penosa e che la letteratura e la cultura sono
state dimenticate e che purtroppo non è più il periodo di Mecenate ed
Ottaviano. 14° del 5° libro:parla dell'educazione dei figli: dice che si
comportano secondo l'esempio che ricevono dai genitori. Parla anche del
rispetto che si deve ai giovani e del dovere di impartirgli una buona
educazione. Attraverso queste satire abbiamo un'immagine delle abitudini del
suo tempo, però abbiamo una visione soggettiva della società. Giovenale è molto
negativo e non propone delle soluzioni come faceva Persio (dedicarsi alla
filosofia), poiché ritiene che non vi siano soluzioni per la crisi. Si possono
soltanto scrivere satire per denunciare la situazione. Non condivide lo stile
umile di Orazio perché l'unico modo per rappresentare la tragicità del momento
è utilizzare uno stile alto e tragico. Giovenale da una rappresentazione cruda
della realtà ed usa molti termini plebei. Ci da un'immagine di errore ma c'è
un'attenuazione negli ultimi due libri perché la sua amarezza trova
rassegnazione. Knoke sottolinea che per Giovenale l'uomo è malvagio per natura
e che nel suo periodo la malvagità ha raggiunto il limite estremo; non è stato
un filosofo, ma seguiva delle regole di vita cioè il Mos Maiorum; inoltre non
era distaccato. Knoke utilizza un termine di Giuseppe Scaligero (500) cioè
"Sature tragicae" perché oltre agli elementi burleschi, si evince una grande
amarezza.