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Critici di storia: settembrini e croce




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CRITICI DI STORIA: SETTEMBRINI E CROCE


Luigi Settembrini

Patriota e letterato italiano (Napoli 1813-1876). Abbandonata l'avvocatura, si dedicò agli studi letterari nella scuola di B. Puoti. Nel 1839 fu arrestato sotto l'accusa di aver fondato, con B. Musolino, la setta dei Figliuoli della Giovine Italia e fu trattenuto in carcere fino al 1842. Nel 1847 pubblicò, anonima, la Protesta del popolo delle Due Sicilie, aspra denuncia del malgoverno borbonico. Nel 1849 S. fu nuovamente arrestato per aver dato vita alla setta dell'Unità italiana e fu condannato a morte: la pena gli fu poi commutata in quella dell'ergastolo, da scontare nell'isola di Santo Stefano. Liberato dal carcere nel 1859, fu avviato alla deportazione in America, ma la nave su cui era imbarcato fu dirottata dal figlio Raffaele verso l'Inghilterra. Tornato in Italia nel 1860, insegnò, dal 1862, letteratura italiana all'Università di Napoli. Nel 1873 fu nominato senatore del regno. L'iconografia più divulgata di S., avallata dall'autorità di De Sanctis, ne ha fatto un'esemplare figura di patriota e di martire; in realtà S. fu anzitutto un uomo di cultura, espressione di un ceto medio giacobino, staccato dalle masse popolari. La sua Protesta non è un documento rivoluzionario, ma un appello ai monarchi perché intraprendano urgentemente le riforme; la sua Cronaca degli avvenimenti di Napoli del 1848 (rimasta inedita fino al 1969) non ha un accento rivoluzionario, ma di battaglia civile, di lotta della ragione contro un malgoverno che ha come pilastri «i preti, i frati ed i gesuiti». La mentalità razionalistica di S. si manifesta nella traduzione, cui attese in carcere (1853-58), dei Dialoghi di Luciano, un autore considerato ante litteram un «laico» e un «giacobino», e soprattutto nelle Lezioni di letteratura italiana (1862-67), dove la nostra storia letteraria è presentata come storia della «gran lotta del pensiero nostro contro la Chiesa di Roma». Al di là della vis polemica e dell'impeto libellistico, occorre riconoscere a S. l'impegno militante di chi vuole riutilizzare per le esigenze del presente gli elementi delle lotte del passato: in particolare il capitolo dedicato al «gesuitismo» è un esempio magistrale di ricerca culturale e, insieme, di battaglia politica. Viziate dall'affettazione per la loro troppo programmatica semplicità sono invece le Ricordanze della mia vita (1875), testo di edificazione patriottica, ricco tuttavia di pagine memorabili, come le memorie di infanzia e la descrizione allucinante dell'ergastolo di Santo Stefano.




Benedetto Croce

filosofo, storico e critico italiano (Pescasseroli 1866-Napoli 1952). Compì i primi studi a Napoli in un collegio di barnabiti e a 17 anni, avendo perduto i genitori e la sorella nel terremoto di Casamicciola, fu accolto dal cugino Silvio Spaventa nella sua casa di Roma, dove s'iscrisse, senza troppo entusiasmo, alla facoltà di giurisprudenza. Preferì frequentare le lezioni di morale di A. Labriola e quindi dedicarsi, ritornato a Napoli, alla ricerca erudita. Alla lettura della Scienza Nuova del Vico si deve la nascita del suo primo interesse autenticamente filosofico, che lo indusse ad affrontare il problema dei rapporti tra arte e storia (La storia ridotta sotto il concetto generale dell'arte, 1893) e quindi lo studio del pensiero marxista (Materialismo storico ed economia marxistica, 1900). Negli ultimi anni del secolo entrò in stretta amicizia con G. Gentile, che collaborò per un ventennio alla rivista La Critica, fondata da C. nel 1903, e insieme a lui diresse la collana «I classici della filosofia moderna», stampati da Laterza. Divergenze prima filosofiche, quindi politiche, raffreddarono l'amicizia, che terminò nel 1924 con una rottura completa. Nominato senatore nel 1910, partecipò al governo nel 1920-21 come ministro della Pubblica Istruzione. All'avvento del fascismo assunse un atteggiamento di prudente e moderato consenso, che si mutò in esplicita opposizione in occasione del delitto Matteotti, in seguito al quale C. si allontanò dalla vita politica attiva. Solo alla fine della guerra riprese per qualche anno l'attività politica, dedicandosi alla ricostruzione del Partito Liberale. Fu ministro e membro della Costituente, ma nel 1948 si dedicò di nuovo agli studi, che proseguì fino alla morte.

FILOSOFIA: LA FILOSOFIA DELLO SPIRITO, IL SISTEMA CROCIANO

Lo stesso C. definì il proprio sistema «filosofia dello spirito», intendendo per spirito tutta la realtà che viene posta e si sviluppa in quattro forme distinte di attività: la conoscenza dell'individuale nell'intuizione (arte) e la conoscenza dell'universale nel concetto (pensiero), che sono le due forme dell'attività teoretica o conoscitiva; la volizione del particolare (economia) e la volizione dell'universale (etica), che sono le due forme dell'attività pratica. Il sistema è compiutamente esposto nei tre libri Estetica come scienza dell'espressione e linguistica generale (1902), Lineamenti di una logica come scienza del concetto puro (1909) e Filosofia della pratica. Economia ed etica (1909).

FILOSOFIA: LA FILOSOFIA DELLO SPIRITO, L'ARTE

La prima forma dello spirito è l'arte come conoscenza delle cose singole nell'intuizione, che è differente dalla percezione, in quanto può riferirsi indifferentemente a una cosa reale o immaginaria, e dalla mera sensazione perché questa è soltanto passiva, mentre l'arte, intuendo, esprime, sicché si può dire che intuizione ed espressione s'identificano. Non esiste conoscenza reale che non sia compiutamente espressa: s'illude chi crede di aver molte cose da dire, ma di non saperle esprimere, sia pure solo tacitamente. Infatti l'estrinsecazione fisica dell'intuizione in suoni, colori, movimenti, e via dicendo, non è necessaria; l'oggetto fisico (il quadro, la frase pronunciata) non è che uno stimolo per riprodurre l'intuizione (immagine, proposizione) nata nella mente dell'autore. Questa è l'effettiva opera d'arte, e per coglierla bisogna porsi di fronte alla sua estrinsecazione fisica, ricostruendo in noi le stesse condizioni dell'autore nel momento della creazione. Quando ciò avviene, riproduciamo necessariamente, mediante il gusto, l'opera d'arte. La diversità dei giudizi critici è dovuta all'imperfetta esecuzione del procedimento, all'impossibilità soggettiva di ricostruire le condizioni dell'autore. C. sviluppò successivamente la propria estetica nei saggi raccolti in Problemi di estetica (1910), dove l'espressione artistica è riconosciuta come espressione di sentimento e il suo carattere discriminante nei confronti delle espressioni comuni viene scorto nella purezza da interferenze intellettuali o pratiche (cfr. il saggio su L'intuizione e il carattere lirico dell'arte), quindi nel Breviario di estetica, compreso in Nuovi saggi di estetica (1920), nell'Aesthetica in nuce del 1928 (raccolta negli Ultimi saggi, 1935), e infine in La poesia (1936) dove accanto all'espressione poetica vengono teorizzate le espressioni non poetiche che possono assumere valore artistico come «letteratura».

FILOSOFIA: LA FILOSOFIA DELLO SPIRITO, IL CONCETTO

La seconda forma dell'attività dello spirito è la conoscenza dell'universale nel concetto, in cui s'identificano espressività, universalità e concretezza. C. distingue dal concetto gli «pseudoconcetti empirici» (come cavallo, casa), che sono concreti ma non universali, e gli «pseudoconcetti astratti» (come triangolo), che non sono concreti. Gli uni e gli altri sono finzioni concettuali che hanno una finalità esclusivamente pratica. Tali sono tutte le nozioni che costituiscono le scienze naturali (pseudoconcetti empirici) e le matematiche (pseudoconcetti astratti). Mentre gli pseudoconcetti sono molteplici, il concetto, in quanto universale e concreto, deve essere contemporaneamente unico e distinto; di qui l'unità, nella distinzione, delle quattro forme dell'attività dello spirito. L'opposizione interna in ognuna delle forme (bello-brutto, vero-falso, utile-dannoso, bene-male) si risolve pertanto nel nesso dei distinti: non esiste un momento negativo reale in una forma di attività, ma solo l'interferenza di un'altra forma di attività, che, in sé positiva, diventa negativa quando viene colta per quello che non è. Così, p. es., il brutto non è che l'interferenza, nell'arte, del pensiero o dell'attività pratica, in sé positivi, e negativi solo in quanto vengono valutati nell'ambito estetico. L'attività pratica consiste nella volizione che è libera nella misura in cui non è arbitraria o contraddittoria. Immorale è unicamente l'azione, che, essendo economica (volizione del particolare), pretende di essere etica (volizione dell'universale). In sé l'azione economica non potrà mai essere morale o immorale: è sempre assolutamente amorale.

FILOSOFIA: LA FILOSOFIA DELLO SPIRITO, IL PROBLEMA DELLA STORIA

Il sistema crociano si conclude con le riflessioni sul problema della storia da cui si era inizialmente sviluppato. Al problema C. dedicò la Teoria e storia della storiografia (1917) e La storia come pensiero e come azione (1938). Riprendendo le riflessioni della Logica, la storia (che nell'Estetica era teorizzata come «arte») viene identificata con il pensiero, e la filosofia appare come «il momento metodologico» della storiografia che tratta sempre la storia insieme particolare e universale perché le attività dello spirito sono appunto distinte ma non separate. Mentre nei confronti del passato è impossibile pronunciare giudizi di valore, e lo storico non può che valorizzare positivamente ogni fatto cogliendolo nella sua necessità, il presente richiede la valutazione e la scelta degli avvenimenti in atto, che non devono essere accettati passivamente. Accanto all'attività filosofica C. sviluppò un'intensa produzione storiografica i cui risultati più importanti sono la Storia del Regno di Napoli (1925), la Storia d'Italia dal 1871 al 1915 (1928), la Storia dell'età barocca in Italia (1929) e, infine, la Storia d'Europa nel secolo XIX (1932).

LETTERATURA: LA CRITICA

Definendosi «idealista desanctisiano» in estetica, C. rivendica i diritti della fantasia contro i positivisti e mette in ridicolo la scuola storico-erudita con la sua aneddotica (questo fare «l'elenco del bucato»), volta a indagare elementi insignificanti della vita del poeta. Ma il ritorno a De Sanctis non era privo di motivi di dissenso: C. rimproverava al De Sanctis il suo eccessivo hegelismo che lo aveva spinto a costruire dialetticamente una storia della letteratura; a differenza del metodo desanctisiano e tenendo conto del carattere individualizzante che, in sede estetica, aveva rilevato nell'espressione artistica, C. concepisce la storia della letteratura e dell'arte al di fuori di schemi astratti, come una serie di monografie rivolte unicamente a mettere in luce il valore poetico di ogni singola opera. Si dissolvono pertanto i «generi» letterari: come l'arte è nello stesso tempo pittura, architettura, poesia, musica e scultura, così la poesia è sempre lirica ed epica, comica e tragica, e il romanzo è poesia allo stesso titolo di un'opera in versi. Per quanto concerne la critica letteraria, C. ritiene che il critico non sia artifex additus artifici, ma philosophus additus artifici: la sua funzione, cioè, è quella di distinguere la poesia dalla non-poesia e la parte poetica di un capolavoro dalla sua parte strutturale, la quale è però legata alla precedente da un nesso dialettico. Dal 1903 al 1914 compaiono su La Critica le Note sulla letteratura italiana della seconda metà del secolo XIX, raccolte poi sotto il titolo La letteratura della nuova Italia (6 vol., 1914-40). Soprattutto agli scritti apparsi su La Critica è legato il nome di C. come polemista brillante e scrittore limpido ed elegante. Già nel 1903 vedono la luce i saggi su Carducci, Fogazzaro, De Amicis, Verga, Serao, Di Giacomo; seguono i saggi sugli scapigliati, su D'Annunzio, Zanella, ecc. La ricerca concreta su tanti poeti e scrittori diversi porterà C. a ripensare i principi etico-politici e la sua concezione estetica. La letteratura contemporanea non è però il solo interesse: nel 1911 compaiono i Saggi sulla letteratura italiana del Seicento. Nello stesso anno C. esprime il desiderio di dar vita a «qualche monografia che risponda meglio al mio ideale di critica e sia dedicata a un soggetto più importante che non i letterati italiani dell'ultimo mezzo secolo». Da questa esigenza nascerà il saggio su Goethe, scritto quando ancora infuriava la guerra contro la Germania (1917), per quel bisogno di equilibrio e di rispetto per i valori ideali eterni che non possono venir toccati dalle passioni transeunti: un saggio che è un modello di organicità e di sintesi espositiva. A questo fanno seguito i saggi su Ariosto, Shakespeare e Corneille (1920) e La poesia di Dante (1921), che è forse uno dei suoi libri più discussi e influenti. Con Poesia e non poesia (1923) si conclude questa fase della critica crociana. Seguiranno altri studi, con proposte nuove e approfondimento dell'antico. Nascono così i volumi che vanno sotto i titoli di Conversazioni critiche (5 vol. 1918-39), Poesia popolare e poesia d'arte (1933), Poesia antica e moderna (1941), in cui si chiarisce e approfondisce lo stretto rapporto fra pensiero estetico e valutazione delle singole opere. Del periodo estremo si ricordano i Saggi sulla letteratura italiana del Settecento (1949), quelli, in tre volumi, sul Rinascimento (Poeti e scrittori del pieno e tardo Rinascimento, 1945-52), le Letture di poeti (1950) e le postume Terze pagine sparse (1955): ultimi contributi di un'attività straordinariamente ampia che ha fatto di C. la figura di maggior risalto nel panorama della cultura italiana del primo Novecento. A cura della figlia Lidia sono state pubblicate nel 1975 le Lettere di Antonio Labriola a Benedetto Croce (1885-1904).



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