CONSIDERATE SEMPRE COME
FUNZIONE DELL'UOMO
Nell'antichità, e più ancora nel Medioevo, la società umana era
impostata sul genere maschile e le donne comparivano in questa realtà solo
sotto forma di idee, di idoli e di immagini prevalentemente prodotti dalla
fantasia maschile. Desideri e aspirazioni delle donne potevano essere intuiti
solo attraverso l'azione di tutela e di regolamentazione esercitata da padri,
mariti, fratelli e confessori che ne facevano spesso strumenti dei loro fini.
In epoca micenea la donna, seppur sottoposta alla tutela dell'uomo, godette di
relativa autonomia di movimento e di grande considerazione. Più dura fu la sua
condizione nell'Atene classica: aveva scarse possibilità di movimento e se
nubile doveva evitare certe stanze della casa paterna; migliore era la
condizione delle etere, prostitute
dell'alta società. La donna romana, pur sottoposta al marito, era più
indipendente: aveva libera circolazione diurna, poteva avere cultura ed era
spesso consigliera e confidente del marito, che peraltro era libero di
ripudiarla quando lo volesse. Il cristianesimo non migliorò la condizione
femminile, se non per il rifiuto del ripudio, e irrigidì i modelli del
comportamento sessuale. Nel suo ambito si impose, dal IV secolo, un nuovo
modello di donna: la vergine. Nell'alto Medioevo la donna era sottoposta alla
protezione e all'autorità del parente più vicino; il matrimonio era assimilato
a una compravendita. Nel tardo Medioevo (XIV-XV secolo) si trovarono donne sul
trono di molte regioni europee e ciò contribuì a far cadere l'idea di una
limitata capacità di agire delle donne, naturalmente solo nell'ambito ristretto
dei ceti aristocratici. Le nubili ottennero progressivamente maggiore
autonomia, potendo disporre più liberamente di ciò che possedevano; le vedove
poterono esercitare la tutela sui figli minorenni. Le donne sposate, al
contrario, rimasero sotto la tutela del marito. Tuttavia il matrimonio restava
la condizione civile fondamentale per le donne. La scelta matrimoniale era
subordinata alla necessità di mantenere strutture di potere e di possesso
soprattutto nelle classi più elevate, ricche e potenti; solo nei ceti inferiori
si riscontrava una relativamente maggiore autonomia nelle decisioni.
L'oppressione della donna per mezzo dei matrimoni combinati si traduceva in
un'esistenza opaca, sotto il rigido controllo (complice il complesso dogmatico
cristiano imperniato sul peccato originale e sul tabù della sessualità e del
concepimento) esercitato sul suo corpo e sulla vita sessuale. In tutti gli
strati sociali, comunque, mettere al mondo figli e allevarli era uno dei
compiti principali delle mogli, un vero e proprio mestiere. E solo a questo
fine era prevista l'attività sessuale femminile, mentre quella maschile era
libera da vincoli morali e anche giuridici. Con il Rinascimento negli uomini
parve crescere la misoginia, che portò a un'emarginazione sempre maggiore della
donna dal lavoro e a una sua dipendenza sempre più stretta dall'uomo. Fin dalla
nascita essa veniva definita in base alle sue relazioni con l'uomo: il padre
prima, il marito poi erano responsabili legalmente per lei; a entrambi essa
doveva onore e obbedienza, da loro dipendeva economicamente. La situazione era
ancora peggiore per le donne delle classi più povere, che si dovevano mantenere
da sole sia prima sia dopo il matrimonio senza che, in cambio, si prospettasse
loro alcuna forma di indipendenza. Quando, per lavorare, la donna doveva uscire
di casa veniva ricreato per lei un ambiente altrettanto protettivo: entrava a
far parte della famiglia del datore di lavoro, che assumeva verso di lei il
ruolo tipico delle figura maschile. Nella prima età moderna si accentuò anche
la diffidenza nei confronti del corpo, delle sue pericolose inclinazioni, delle
sue molte debolezze, proprio (e non a caso) mentre si diffondeva una cultura
artistica che esaltava il bello anche nella figura umana e riscopriva il nudo.
Con la Controriforma, nei paesi cattolici la via del convento divenne una
scelta quasi obbligatoria per le donne che non si sposavano: ricca fu di fatto
la partecipazione delle donne alla vita spirituale, numerosi e impressionanti
gli esempi di devozione femminile. Alle laiche, per contro, fu precluso
l'accesso alle scuole. Ma anche nei paesi protestanti erano previste forme di
esclusione totale e di condanne drastiche per quelle che uscivano dalla norma:
contro prostitute, streghe, criminali e rivoltose il potere si espresse con una
severità fuori dal comune.
SOGGETTO PRODUTTIVO NELLA SOCIETÁ
INDUSTRIALE. Con la Rivoluzione francese e con la rivoluzione industriale
dell'Ottocento cominciò a cambiare anche la prospettiva di vita della donna,
che poté aspirare a divenire soggetto attivo, individuo a pieno titolo, futura
cittadina. Si parlò allora di emancipazione,
parola-simbolo a cui si accompagnarono lenti mutamenti strutturali (lavoro
salariato, diritti civili, diritto all'istruzione). Il lavoro femminile aveva
già contribuito in larga misura allo sviluppo economico della società
tardomedievale. In un ambiente che si andava trasformando furono via via
attribuiti alle donne specifici campi di competenza: casa, cortile, giardino,
cura dei bambini, dei lavoranti, del bestiame minuto e, infine, i settori della
produzione tessile, alimentare e del commercio al dettaglio. Si ricominciò
anche a parlare di istruzione femminile e nelle scuole, in parte sottratte ai
religiosi, apparvero le prime maestrine; di grande rilievo fu poi la presenza
delle donne nel campo della medicina e in particolare della ginecologia, dove
del resto esse erano gà apparse secoli prima con la scuola medica di Salerno
(IX-XII secolo). Nell'ambito di una riscossa dell'individuo nella sua
generalità, anche all'individuo femminile, in quanto simile a quello maschile
(lavoratore e cittadino) cominciò a essere faticosamente riconosciuto il
diritto a rompere i legami economici e simbolici che lo legavano al padre e al
marito.
PROTAGONISTE DELLA PROPRIA LIBERAZIONE.
Pur nel cambiamento, tuttavia, l'era democratica non fu di per sé favorevole
alle donne: in contraddizione con la conclamata parità dei diritti
'dell'uomo' all'inizio si tentò di escluderle dalla vita pubblica, di
rinchiuderle tra le mura domestiche. I movimenti femminili colsero questa
contraddizione con l'obiettivo del raggiungimento della parità di sessi,
provocando l'ingresso della donna nell'ambito della politica, fino ad allora di
esclusivo dominio degli uomini. Nasceva così il modello della donna moderna e
le identità femminili si moltiplicarono, vissute spesso in modo contraddittorio,
soggette a tensioni che preludevano alla vita delle donne nel XX secolo. Con i
rivolgimenti della seconda metà dell'Ottocento, e soprattutto con la belle
époque, un sintomo del mutamento fu la maggiore libertà di movimento acquisita
dalle donne nella vita sociale, sia in quanto individui sia nei rapporti con
gli uomini. Anche la moda ne fu un esempio: se infatti il cambiamento nel
vestire espresse in modo vistoso l'emancipazione della donna solo dopo la prima
guerra mondiale, l'abbandono di stoffe pesanti e di stecche che imprigionavano
in pubblico la figura femminile era già anticipata nelle vesti sciolte e
fluenti che la moda dell'estetismo intellettuale degli anni ottanta
dell'Ottocento, l'art nouveau e
l'alta moda avevano largamente diffuso. La pratica sportiva, poi, permetteva ai
giovani dei due sessi di incontrarsi al di fuori delle pareti domestiche e
della parentela; la villeggiatura, dove le donne della borghesia erano
raggiunte saltuariamente dai mariti, significò nuova libertà, accompagnata però
da pesanti polemiche anche perché i bagni di mare rivelavano del corpo
femminile più di quanto il perbenismo dell'epoca ritenesse tollerabile. Sul
piano legislativo, nel 1840 negli Stati uniti fu sancito il diritto alla libera
disponibilità dei guadagni, che venne poi man mano riconosciuto anche in molti
paesi d'Europa insieme ad altri diritti patrimoniali; assai importante fu
inoltre l'apertura alle donne delle università. Il primo paese a riconoscere i
diritti politici alle donne fu la Nuova Zelanda (1893) seguita da dodici stati
degli Stati uniti (1914) e da alcuni paesi europei; ma la storia del suffragio universale fu ancora lunga e
tortuosa. Una donna nuova si presentò al XX secolo. La prima parità raggiunta
dalla donna nel secolo delle masse fu quella della condivisione degli orrori
che le guerre e gli stermini disseminarono sul suo cammino. Ma il secolo della
tecnologia e della scienza, nella sua seconda metà e nei paesi industrialmente
avanzati, fornì a uomini e donne una maggiore longevità e una migliore salute,
più alti livelli di educazione e nuovi modelli di vita alimentati dalla
moltiplicazione dei beni e dei consumi. Per le donne ciò significò innanzitutto
una trasformazione del lavoro casalingo e del regime di maternità che,
diminuendo il tempo necessario a tali attività, permetteva loro una maggior
partecipazione alla vita sociale. In Italia le donne ebbero nel 1956 il diritto
di sedere nelle giurie, nel 1960 il libero accesso alle cariche pubbliche; nel
1966 fu vietato il licenziamento per causa di matrimonio e nel 1977 ogni
discriminazione legata al sesso sul lavoro; nel 1981 fu abolita la possibilità,
per il colpevole di violenza sessuale, di evitare la condanna sposando la donna
violentata. Ma soprattutto, per le donne a lungo prigioniere nella trappola di
quella comunità naturale che era la famiglia e a lungo tenute lontane dalla
dinamica dei diritti individuali, la modernità fu la conquista di una posizione
da soggetto, da individuo a pieno diritto, da cittadina; la conquista di
un'autonomia giuridica, economica e simbolica dai padri e dai mariti, che
permetteva loro di lottare meglio, e più coscientemente, contro la differenza
di genere persistente in tutte le società. Diversa fu l'evoluzione della
condizione femminile nei paesi non toccati dalla rivoluzione industriale né
dalla successiva diffusione dei consumi di massa. Vincoli religiosi e di
tradizione rimasero molto forti, così che per esempio nei paesi arabi a regime
coranico continuarono non solo la poligamia maschile, ma anche forme di
repressione sessuale, di dipendenza economica e di disparità giuridica assai
rilevanti; in molti paesi africani continuarono pratiche di primitiva chirurgia
rituale sulle bambine come l'asportazione del clitoride e l'infibulazione (chiusura delle grandi
labbra vaginali) talora importate dalle famiglie immigrate nei paesi europei in
stridente conflitto con le leggi e il costume locali (processi contro madri
africane che avevano operato o consentito interventi di infibulazione sulle
proprie figlie furono intentati in Francia, su iniziativa di organizzazioni
femminili, nei primi anni novanta del Novecento); in Cina continuò, anche dopo
che il regime comunista l'ebbe vietata per legge, la pratica, tradizionale
nelle famiglie contadine, di uccidere le figlie neonate per evitare di dover
provvedere in futuro alla loro dote. Nei paesi dell'est europeo, rimasti
estranei allo sviluppo capitalistico fino all'ultimo decennio del Novecento, fu
garantita alle donne una parità giuridica totale o quasi che divenne reale nel
campo degli studi e del lavoro, ma non furono superate le tradizioni che, nel
privato, obbligavano le donne a farsi carico comunque della quota maggiore del
lavoro domestico. Inoltre il crescente squilibrio tra paesi poveri e paesi
ricchi portò, negli ultimi decenni del secolo, allo spostamento a volte
volontario, a volte organizzato in una sorta di tratta, di donne dagli uni agli
altri destinate alla prostituzione, a matrimoni combinati, al servizio
domestico nelle famiglie.