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Concetto di Rivoluzione
Osservando il nostro passato, possiamo notare che è stato caratterizzato da un continuo succedersi di cambiamenti, in alcuni casi di vere e proprie rivoluzioni, che hanno influito pesantemente sullo sviluppo della società moderna in cui viviamo. Ecco quindi nascere la necessità di fermarsi e di riflettere su cosa siano questi cambiamenti 'rivoluzionari' e analizzarli in tutte le loro caratteristiche. Quando si parla di rivoluzione si intende 'un mutamento radicale di una società, ottenuto dal suo interno con mezzi violenti da parte di un soggetto collettivo che si impadronisce dello stato' (S. Scamuzzi). Tuttavia non è una definizione completa. Una rivoluzione, senza aggettivi, è un profondo sconvolgimento socio-economico che contribuisce all'ammodernamento di una società; o comunque la porta a compiere passi in avanti verso un futuro migliore rispetto al passato. Dato che le rivoluzioni coinvolgono soprattutto il popolo sarebbe insensato per una così larga massa di persone agire contro il proprio bene. Quindi, l'atto rivoluzionario, ha alla sua base un ben definito messaggio ideologico o politico che attira a sé un esteso stuolo di consensi e che è sostenuto dalla concezione che la storia sia manipolabile dall'uomo. Che la storia possa essere padroneggiata razionalmente. L'uomo si erge sopra al tempo e modella il contesto in cui vive per apportarne radicali cambiamenti. Marx sosteneva che le rivoluzioni saranno 'le locomotive della storia' proprio perché è l'uomo stesso che deve progredire e migliorare la propria condizione, ed è attraverso tali movimenti che può raggiungere i propri obiettivi.
'Si è potuto dimostrare come si attribuisse al movimento degli astri e si salutasse come 'Rivoluzione' non ciò che in quegli anni era accaduto di rivoluzionario nel senso nostro, ma il ritorno alla quiete e al vecchio ordine' (K. Griewank) Questa è un'altra testimonianza che aggiunge, ai punti sopra citati, una connotazione di mutamento forte in funzione di un ritorno o percorso verso la tranquillità e la stabilità. Il termine stesso è composto dal prefisso 're' (ritorno) Inoltre il termine 'rivoluzione' è pressoché moderno, nato nel 1789 in Francia, poiché nell'antichità non si trova nessun momento che rientri della definizione precedentemente fornita. Infatti sia Greci che Romani non concepivano un mutamento così drastico. Basti pensare all''Eneide' di Virgilio nella quale egli esalta la storia passata di Roma fin dalla sua fondazione. Una visione che funge da modello per uno sviluppo lineare e maestoso dell'Urbe. Ma anche dal punto di vista prettamente storico non ci sono eventi paragonabili al diciottesimo secolo francese. A livello culturale un caso esemplare è quello della rivoluzione copernicana. Uno sconvolgimento che mina la verità stabilita da secoli in campo cosmologico e astronomico comportando anche un rovesciamento dello stesso modo di pensare, rivolgendosi contro le autorità, religiose e filosofiche, che sostenevano tale verità. Quindi contro altre loro verità, scientifiche in primo luogo ma anche sociali e politiche, ponendosi alla base del pensiero laico moderno.
A queste affermazioni, si muove parallelamente l'idea di Riforma. Anch'essa coinvolge un processo di miglioramento però differisce per i mezzi. Attraverso piccoli e impercettibili mutamenti si dirige la storia verso il bene comune. 'Dietro il riformismo sta una concezione evolutiva della storia, l'idea che la storia come la natura non facit saltus, e il progresso è il prodotto cumulativo di piccoli mutamenti []. Dietro i movimenti rivoluzionari sta una concezione progressiva, sì, della storia, ma insieme dialettica'. (N. Bobbio) La questione della dialettica dirige l'attenzione verso la dialettica Hegeliana per comprendere il pensiero ed il rapporto servo-padrone. Ma di questo ne parleremo più avanti. L'accostamento di queste due concezioni contrastanti è anche alla base della storia dell'unità d'Italia. Ideologie che, grazie a Turati, convivono in un'unica entità estremamente eterogenea. Una convivenza talmente instabile che porta lo stesso Turati a rifiutare l'occasione di formare un governo. In Europa sono evidenti i dissidi a partire dalla prima internazionale fino al Komintern sovietico. La prima venne sciolta nel 1876 a causa di inconciliabili contrasti interni tra, appunto, rivoluzionari e riformisti (massimalisti e minimalisti), mentre il secondo determinò la medesima divisione in Italia con la formazione del PCdI nel 1921 guidato da Antonio Gramsci. Su un piano diverso si trova la Rivolta; cioè un movimento spontaneo, circoscritto e violento che si oppone ad un sistema politico o, più semplicemente, ad una legge. Differisce dalla rivoluzione perché:
Sostenitori ed oppositori
Il processo che sto analizzando si rivolge ad un largo numero di uomini e vede come principali sostenitrici le classi sociali meno abbienti. Lavoratori salariati, poveri e 'proletari', come scrive Marx, ma anche medio-bassa borghesia. Questo tipo di persone non gode di molta libertà, anzi si ritrova asservito alla classe dirigente, generalmente sfruttatrice ed esosa. Si ricordi il Factory Act (1833) che vietava l'impiego di minori per più di 48 ore lavorative alla settimana oppure il Ten Hours Act (1847) il quale, come dice il nome, sanciva il limite di 10 ore di lavoro al giorno. Rispetto ad oggi, le condizioni di lavoro del diciannovesimo secolo rimangono brutali, tuttavia, tali Atti, sono stati il frutto di una lotta per migliorare le condizioni degli operai e per tutelarne l'attività produttiva e anche la salute. Anche la storia di Roma, della Roma repubblicana, è stata una continua lotta per l'affermazione dei diritti dei Plebei. Un passo importante si è avuto nel terzo secolo a.C. con il primo plebiscito, mentre l'azione più 'rivoluzionaria' è stata probabilmente la secessione sull'Aventino. Però, perché la povertà diventasse rivoluzionaria era necessaria una convinzione moderna, sconosciuta nell'antichità, e cioè che la miseria non era intrinseca alla natura umana ma poteva essere superata. Era necessario che fosse superata l'idea che la subordinazione e le differenti condizioni materiali degli uomini fossero un fatto naturale. Mi sto riferendo alla struttura sociale medioevale, chiaramente enunciata nel 'Carmen ad Robertum regem' di Adalberone di Laon. La società era suddivisa in 3 'classi': Oratores, Bellatores, Laboratores. La stessa idea ispirata al 'De Republica' di Platone. Quindi una struttura rigida che non ammetteva cambiamenti perché, nel medioevo, sarebbero stati oltraggiosi nei confronti del volere divino. L'evoluzione della società ha portato a confrontarsi Lavoratori e 'Proprietari dei mezzi di produzione'. Sono proprio questi ultimi, tra i quali rientrano gli aristocratici, che rappresentano le forze controrivoluzionarie. Queste forze si oppongono, molto spesso violentemente e quindi esasperando la situazione, perché temono di perdere il loro potere e la loro ricchezza. La paura di essere spodestata porta la classe nobiliare a ricorrere a ogni mezzo per conservare il proprio status. In molti casi, il mezzo più usato è il terrore, attraverso il quale i seguaci dei moti cercano di difendere un'ideale da una inesorabile degenerazione. Per realizzare un bene, molti sono disposti a ricorrere ad ogni mezzo, compreso il sacrificio di innocenti. E' questo il primo passo, all'apparenza romantico e nobile, verso una spirale autodistruttiva. Un'idealizzazione eccessiva del processo storico che conduce al sospetto del prossimo perché non fedele alla rivoluzione. Il sospetto è stato combattuto con l'eliminazione fisica degli indiziati; troviamo perciò una stretta somiglianza nell'ostracismo greco in quanto corrotto da un uso improprio. Da tentativo di preservare l'integrità della polis fino all'esilio di personaggi scomodi. I confronti più immediati sono con i 'nemici della rivoluzione' russi. Nonostante la legittimità di partenza, una ristretta cerchia di persone, dotate di potere, può manipolare a proprio vantaggio un ideale condivisibile dalla maggioranza.
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