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Bharata-Natyam
Tra i principali stili della danza classica indiana uno dei più perfetti e importanti è il Bharata-Natyam, praticato in tutta l'India del sud principalmente nella regione di Tanjavur. Questo stile mantiene fedelmente le regole enunciate nel 'Natya-Shastra', trattato sull'arte drammatica e la danza, codificato nel I secolo a. C. Se si osservano le innumerevoli sculture dei templi si può constatare la similitudine delle pose delle danzatrici di pietra e delle danzatrici d'oggigiorno.
Nel passato la danza veniva eseguita esclusivamente nei templi dalle 'devadasi', danzatrici destinate già dall'infanzia a diventare le spose e le servitrici del Dio. Le danze facevano parte del rituale quotidiano ed era l'atto di devozione più importante. I libri sacri dicono: 'Nessuna preghiera, nessuna offerta è gradita da Dio più della danza'.
Il Bharata-Natyam è una danza solista, la sua tecnica, molto difficile, richiede lunghi anni di allenamento. Tutti i muscoli del corpo sono sollecitati, compresi quelli del viso, poichè l'arte dell''abhinaya', cioè espressione delle emozioni e dei sentimenti, è la caratteristica essenziale di tutti gli stili di danza in India.
Questa tecnica esige vigore e grazia, equilibrio e scioltezza dei movimenti, una grande resistenza fisica e un infallibile senso ritmico. I movimenti sono ampi e precisi, sempre simmetrici. Il vocabolario tecnico comprende dei salti, delle spaccate profonde, delle piroette e delle pose che richiedono un grande equilibrio. Le danze possono presentare tre caratteristiche: danze di pura tecnica, nel solo scopo di procurare il piacere estetico attraverso la bellezza dei movimenti e la complessità dei ritmi; danze che esprimono uno stato d'animo, un sentimento, secondo un tema scelto, mescolanza di tecnica e d''abhinaya'; danze narrative, o 'padam', dove l'artista mima con l'aiuto del linguaggio simbolico della gestuale delle mani, o 'mudra', le più sottili sfumature del canto d'invoco o d'adorazione.
Nella danza tradizionale indiana, i gesti delle mani hasta rappresentano un vero e proprio linguaggio muto. Siano essi rappresentativi o simbolici, i gesti aiutano la danzatrice a esprimere un'enorme varietà di cose e concetti, fino al nome stesso delle divinità (deva hasta) .
La danza, da puro divertimento coreutico, diventa nat, ossia teatro, azione scenica, come previsto dai trattati sanscriti sull'argomento. L'ausilio dei gesti è fondamentale, per non ridurre la danzatrice a un mimo, ma farla parlare con vere parole, ancorché mute. Il linguaggio dei gesti prevede nomi, verbi, congiunzioni, perfino numeri.
La serie di gesti è fissata in una sequenza ordinata secondo la forma del gesto stesso: ad esempio partendo dal primo pataka si ha il palmo della mano aperto verso lo spettatore con le dita vicine, mentre il secondo, dalla medesima posizione, flette il solo dito anulare, quando poi il terzo piega insieme anche il medio, e così via (nella foto: mano destra gesto shikara, mano sinistra pataka: questo deva hasta rappresenta il dio Siva nella sua forma di lingam, elemento primordiale maschile). Ogni gesto ha un nome in lingua sanscrita che si riferisce a uno solo dei suoi utilizzi; il gesto poi ne vedrà svariati altri. Si imparano eseguendoli in sequenza e ripetendone i nomi sulla melodia di una cantilena che ricorda la salmodia dei Veda, i testi sacri indù che si recitano cantandoli, come nella liturgia cristiana pre-Concilio Vaticano II, quando la messa era in latino e in canto gregoriano. La ripetizione cantilenata è sicuramente uno straordinario metodo didattico, poiché la melodia ne facilita la memorizzazione, ma soprattutto inserisce la danza in tutti i suoi diversi aspetti di apprendimento, pratica, esecuzione e insegnamento nel contesto di una pratica sacra.
Questi 'mudra' sono imitativi, evocativi o puramente simbolici. Sono chiamati 'divya-kriya', o 'azioni divine', poichè essi permettono di ottenere il risveglio delle forze spirituali associate a certi movimenti e gesti, i quali favoriscono la concentrazione. Essi hanno il potere di risvegliare la coscienza e di raggiungere le zone profonde dell'essere, la danza essendo considerata come una forma di yoga.
Si legge nell'antico trattato ABHINAYA DARPANAM lo 'Specchio del gesto' : 'Dove vanno le mani l'occhio le segue; là dove va l'occhio va la mente; là dove va la mente si trova il cuore; là dove si trova il cuore è la realtà dell'essere'. Questa realtà interiore è risvegliata non soltanto nella danzatrice, ma anche nello spettatore. Così quest'arte che si confonde con il sacro, ridà all'uomo il sapore della sua origine. Tutto nella danza dell'India è significato, profondo insegnamento, congiuntamente al piacere estetico e alla gioia che essa procura. Come tutte le arti, la danza non è destinata al solo piacere dei sensi, essa è Conoscenza e la sua vera funzione è attraverso la bellezza, l'armonia e con l'eco dei sensi, di risvegliare l'essere a lui stesso e di accordarlo così all'Universo.
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