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Alì Akbar Hashemi Rafsanjani, "lo squalo" (1989-1997)
La Repubblica Islamica dell'Iran ai tempi della presidenza Rafsanjani fu definita "Seconda repubblica" o "Repubblica della borghesia mercantile".
"Seconda repubblica"23 fu la definizione data a un Iran rimasto orfano del suo principale artefice, l'ayatollah Khomeyni, e uscito da una lunga guerra con il vicino iracheno. Con il termine delle ostilità e una mitigazione dell'idea di esportare la rivoluzione si aprì l'era della ricostruzione e del rilancio economico del paese. Il conflitto aveva lasciato un paese devastato, oltre alle città, vittime dei bombardamenti furono i principali porti, stabilimenti industriali e raffinerie. Il reddito pro-capite degli iraniani era sceso di circa il 40% mentre l'inflazione raggiunse il 520%24. L'area dello Shatt al-Arab, forse la principale causa del conflitto, era completamente rasa al suolo e vi erano 1,6 milioni di persone rimaste senza casa25. Mentre il governo cercava di occuparsi di queste, cui vanno aggiunti coloro che avevano prestato servizio nell'esercito o nelle milizie ed erano rimasti invalidi, si trovò impegnato a gestire il problema dei rifugiati provenienti ora (inizi anni Novanta) dall'Iraq, coinvolto nella Guerra del Golfo, e dall'Afghanistan (dove all'invasione sovietica terminata nel 1989 fece seguito la guerra civile).
Fu poi denominata "Repubblica della borghesia mercantile"26 poiché, con le riforme
attuate per stimolare la ripresa economica, si assistette all'ascesa della potente classe dei bazaari. Tradizionalmente vicini al clero e convinti, quanto cruciali, sostenitori della rivoluzione del 1979, grazie a Rafsanjani riuscirono finalmente a ottenere l'accesso nell'arena politica. Non a caso Rafsanjani proviene proprio dal ceto dei bazari, più precisamente da una famiglia nota nel settore della produzione di pistacchi. Egli è un "turbante bianco", cioè un religioso non appartenente a una famiglia discendente dal profeta Maometto (Sayyid), che si arricchì durante l'espansione del settore immobiliare degli anni Settanta. Così come tutti i politici arrivati ai vertici della Repubblica Islamica, anche per costui valsero le credenziali rivoluzionarie. Già prima di divenire Presidente della Repubblica, fu presidente del Majlis e, in quanto posto a capo delle forze armate, egli convinse l'ayatollah Khomeyni a terminare le ostilità con l'Iraq. Fu
sempre Rafsanjani a giocare un ruolo importante, anche se da dietro le quinte, nell'ascesa di Khamene'i alla carica di Guida Suprema. I due erano collaboratori da molto tempo ma, come si vedrà, entrarono progressivamente sempre più in conflitto durante gli anni Novanta.
L'hujjat ol-Islam Alì Akbar Hashemi Rafsanjani fu quindi eletto alla presidenza della repubblica il 28 luglio 1989 con 15.550.528 voti (94%)27.
La vittoria sul rivale Abbas Sheybani fu facile, il popolo iraniano desiderava più di ogni altra cosa la ricostruzione del paese e Rafsanjani fu abile nel farne il proprio slogan. Da non tralasciare che godeva comunque del supporto di quasi tutte le forze politiche ed economiche.
Sfruttando gli emendamenti alla Costituzione che eliminarono la figura del Primo Ministro, i cui poteri confluirono in toto al Presidente della Repubblica, e la momentanea carenza di autorità di Khamene'i, Rafsanjani fece tutto il possibile per accentrare il potere decisionale nella sua persona28. Appoggiato da una schiera di tecnocrati, si mosse per attuare le manovre necessarie per lo sviluppo del paese. Per far decollare l'economia vi era bisogno di far uscire l'Iran dall'isolamento internazionale di cui era fautore, e vittima, in modo da attirare capitali stranieri e al tempo stesso favorire un processo di liberalizzazione su larga scala.
I primi passi compiuti dall'Iran verso l'apertura al mondo delle relazioni internazionali furono in direzione della Russia e delle ex-repubbliche sovietiche dell'Asia Centrale, dopodiché verso l'Europa alla ricerca di ciò che venne definito un "dialogo critico" con le vicine potenze occidentali29. I rapporti con gli altri paesi mediorientali rimasero tesi, nonostante una forte moderazione dei toni rivoluzionari della élite iraniana. Durante gli anni Novanta l'Iran non costituì più una minaccia rivoluzionaria per i regimi limitrofi e la propaganda di matrice islamica divenne invece di priorità pakistana e saudita, tra l'altro paesi a maggioranza sunnita. Tuttavia, anche se vennero compiuti dei progressi,
per stringere nuovamente dei legami con i vicini si dovette attendere le presidenze Khatami.
Sul piano economico l'operato di Rafsanjani fu inizialmente favorito da un alto prezzo del petrolio che garantì generose entrate, le quali permisero, coadiuvate da un seppur
tenue processo di liberalizzazione, la ricostruzione del settore industriale, seriamentecompromesso dalla guerra, e un aumento delle estrazioni petrolifere. Tuttavia gli sforzi di Rafsanjani si dimostrarono insufficienti. Egli basò il suo programma di ripresa economica su piani quinquennali, ma già nel 1992 la situazione iniziò a sfuggirgli di mano, complici le variazioni del prezzo al barile di petrolio e il raggiunto consolidamento della posizione di Khamene'i.
La crisi del 1992, causata da un abbassamento del prezzo del greggio, vide il ryal perdere valore, mentre il governo dovette limitare i suoi interventi in ambito economico. Khamene'i fece la sua parte, ora che era in grado di condizionare fortemente l'azione di governo, con la sua tipica ostilità nei confronti degli altri paesi. Riuscì a far fallire i tentativi di Rafsanjani di attirare capitali esteri facendo bocciare diverse leggi orientate a tal fine, e lo stesso fece per le privatizzazioni. Il Rahbar, nei primi anni della presidenza Rafsanjani, sostenne quest'ultimo per limitare l'azione nel Majlis dei radicali (la vecchia élite khomeynista) dopodichè, grazie all'appoggio dei conservatori, riuscì a limitare lo
stesso Rafsanjani30.
Le poche privatizzazioni che il governo fu in grado di effettuare andarono a favorire i bazari, forti dell'appoggio reciproco con la corrente conservatrice del Majlis, e altri individui appartenenti all'apparato statale. Paradossalmente, l'ingerenza dello Stato nell'economia si può dire che crebbe ulteriormente, anche se con una configurazione piuttosto peculiare. Si costituì un mercato controllato da monopoli e oligopoli in mano a uomini del regime e tutto ciò favorì ampiamente la corruzione dilagante a livello burocratico-amministrativo. Tale corruzione fu finanziata tramite i massicci fondi occulti presenti nel bilancio iraniano, tra i cui principali generatori si trovano le fondazioni, come la già citata Bonyad-e Mustazafin. Le bonyad nacquero grazie alle espropriazioni dei beni dello shah con lo scopo di finanziare la costruzione di case per i poveri e fornire loro aiuti, ma vennero anche utilizzate per finanziare le milizie, durante e dopo la guerra con l'Iraq, e successivamente fecero il loro definitivo ingresso nell'economia iraniana tramite l'acquisto d'imprese commerciali. Nate quindi come meccanismo per la ridistribuzione della ricchezza, esse hanno finito per incrementare le distorsioni interne al mercato. A tal proposito si deve fare riferimento anche ad altri meccanismi che hanno gravato sull'equilibrio dell'economia sotto forma di sussidi. Tali
sussidi sono frutto dell'idea che la Repubblica Islamica per autolegittimarsi deve farsi carico delle fasce povere della popolazione. Ad esempio, i prezzi della benzina e del grano non hanno mai seguito l'andamento internazionale, ma sono stati mantenuti a un livello decisamente inferiore, così com'è stata agevolata la concessione di crediti a numerose imprese31.
Tramite i monopoli e gli oligopoli, in mano a elementi appartenenti al mondo politico, tramite i sussidi e la corruzione, lo Stato riusciva a controllare l'andamento dei prezzi praticamente in ogni settore. Non si creò quindi un'economia competitiva e fu evidente il fallimento dei tentativi di riforma di Rafsanjani. Quest'ultimo si ricandidò per il secondo mandato nel 1993, con un'immagine decisamente deteriorata rispetto agli anni precedenti. Rafsanjani, oltre alla propria ricchezza accumulata negli anni, riuscì a favorire elementi della sua famiglia, o a essa collegati, nell'ottenere notevoli vantaggi economici o cariche di rilievo in ambito politico-amministrativo. Molti di questi furono perseguiti dalla magistratura manovrata da Khamene'i, il quale, con il suo seguito di conservatori, riusciva sempre più a ostacolare i tentativi di apertura del presidente sia in materia economica che di politica estera.
Tuttavia Rafsanjani riuscì a vincere nuovamente le elezioni dell'11 giugno 1993 con 10.566.499 voti (63%)32. Il margine di vittoria mostrò però la perdita di popolarità del presidente. Infatti egli non ebbe sfidanti particolarmente competitivi, ma, rispetto alle elezioni del 1989, perse un notevole numero di voti (circa cinque milioni), nonostante l'affluenza alle urne fosse calata di neanche quattro punti percentuale.
Rafsanjani proseguì con i tentativi di attuare le sue politiche mentre Khamene'i e i suoi mantennero la loro condotta di opposizione. La spuntarono nuovamente i secondi, i quali riuscirono a ostacolare e bloccare quasi tutti i tentativi di riforma, quantomeno quelli che avrebbero sortito un qualche mutamento dello status quo. Rafsanjani, per tentare di arginare l'allontanamento della popolazione dagli ideali della repubblica e risanare la sua immagine, optò per includere nel suo programma dei tentativi di riforma in ambito politico-culturale. La popolazione iraniana era, ed è tuttora, composta prevalentemente da giovani sempre più ostili ai costumi imposti loro dalla élite clericale al potere. Anche su questo terreno di scontro l'opposizione conservatrice fu tenace e i risultati furono limitati. Degno di nota fu l'impegno per l'emancipazione femminile della
figlia di Rafsanjani, Faezeh Hashemi, deputata nel Majlis dal 1996 al 2000 ed editrice della rivista "Zan" (Donna), sopravvissuta però solo per pochi mesi alla censura33. Ennesimo insuccesso si registrò con il fallimento nel tentativo di riforma del sistema politico, dove non fu possibile reintrodurre l'organizzazione delle fazioni in partiti, negando così ai cittadini l'opportunità per una migliore rappresentanza34.
Tra i pochi successi ottenuti durante gli otto anni di presidenza Rafsanjani molto importante fu, nel campo dell'istruzione, l'ammodernamento delle università, le quali videro il loro numero d'iscritti aumentare esponenzialmente nel giro di pochi anni grazie anche alle migliori condizioni di accesso per le ragazze.
Nonostante le buone premesse iniziali, l'esperienza di governo Rafsanjani si può definire nel complesso negativa, costretta a continui aggiustamenti di rotta e contrasti tra le varie forze in campo che hanno finito per prosciugarne energia e contenuti. Frutto di questi anni fu una maggior presa di coscienza degli iraniani e un mutamento di determinati aspetti culturali. Lo si notò nelle elezioni del Majlis del 1996, quando la corrente vicina al presidente riuscì a mantenere una buona posizione e da lì si preparò per le presidenziali dell'anno successivo riuscendo a ottenere un inaspettato successo. Rafsanjani non poté ricandidarsi alle elezioni del 1997 per un terzo mandato consecutivo (vietato dalla Costituzione). Tuttavia non è mai uscito dai meccanismi della politica, né tantomeno ha perso rilevanza. Durante i due mandati presidenziali di Mohammad Khatami, "lo squalo" ha mantenuto la sua influenza all'interno del Majlis e nel 2006 entrò a far parte dell'Assemblea degli Esperti, divenendone poi presidente l'anno seguente. Al momento è a capo del Consiglio per il Discernimento (in cui milita dal 1997) ed è considerato uno dei possibili candidati alla carica di Guida Suprema.
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