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DEPRESSIONE DERIVATA DA TRAUMA O STRESS
Il trauma è una lesione o un forte shock emotivo che si può
subire in una situazione di immediato e diretto pericolo di morte o nel caso si
perda una persona cara.
Fra le conseguenze dei traumi vi è lo stress, cioè l'alterazione dello stato di
benessere mentale o fisico.
Per stress post-traumatico s'intende la condizione
psicologica conseguente ad un trauma.
Uomini e donne possiedono geneticamente dei campanelli d'allarme che li
predispongono ad affrontare il pericolo, ma la maggior parte non è preparata
alle situazioni forti tanto da cambiare loro la vita.
L'individuo rimane fermo al campanello d'allarme senza
riuscire ad elaborare un meccanismo di risposta comportamentale adeguata a
proteggerlo dal pericolo.
Stando alle esperienze passate, chi ha subito stress post-traumatici ha alte
probabilità di avere problemi rappresentati da irritabilità, fragilità emotiva,
incubi.
Tutti questi disturbi fanno parte di quella che è nota come sindrome da stress post-traumatico (PTSD).
Chi è esposto a disturbi da stress post-traumatico?
Per
definizione i disturbi da stress post-traumatico sono la conseguenza
dell'essere stati esposti ad un avvenimento traumatico inteso come una forma
qualsiasi di danno importante.
Questa definizione è oggi stata allargata anche all'essere stato presente a o
all'essere stato informato di morti inaspettate o violente, di lesioni fisiche
importanti o il sapere che un familiare o una persona cara è stata esposta al
pericolo di morte o di traumi fisici significativi.
E' ovvio che più il contatto con l'esperienza traumatica è stato diretto,
maggiore sarà l'impatto emotivo e fisico e più alte le probabilità che si vada
incontro a disturbi.
Alcune
persone hanno una reazione forte a traumi remoti, mentre altri affrontano
esperienze terribili senza subirne conseguenze. Si possono soltanto individuare
alcune regole generali.
La maggioranza degli studi ha messo in evidenza che le donne hanno una
probabilità maggiore degli uomini di andare incontro alla disturbi da stress
post-traumatico.
Un'esperienza
traumatica è più facile che sfoci in disturbi se il soggetto ha avuto in
precedenza esperienze dello stesso tipo; le persone più vulnerabili sono quelle
che hanno dimostrato in precedenza una fragilità psichiatrica quali i soggetti
che avevano sofferto di depressione, di ansia o di un'anomalia della
personalità.
Alcuni ricercatori hanno cercato risposte nell'anatomia del cervello attraverso
studi che hanno rilevato come la presenza di un ippocampo (una regione
del cervello) molto piccolo sarebbe associato con una maggior probabilità di
disturbi da stress post-traumatico.
I sintomi da stress post-traumatico
Il tutto si trasforma in processi di elaborazione psicologica che portano ai sintomi classici dei disturbi da stress post-traumatico: ipervigilanza, ipersensibilità, ricordi ricorrenti dell'evento, incubi, comportamenti di fuga, sintomi di depressione, disturbi del sonno, dell'appetito ed instabilità caratteriale.
Questa
elaborazione emotiva è un processo incontrollabile, imprevedibile e che si può
presentare subito, ma anche dopo mesi.
I traumatizzati mettono in atto comportamenti che li tengono lontani dagli
stimoli temuti e la mancata elaborazione emozionale della reazione all'evento
stressante porta ad un accumulo di ansia e tensione che con il passare del
tempo si cronicizza in un vero e proprio stato depressivo.
Non esiste consenso sul modo di curare le vittime di disturbi da stress post-traumatico. Nei casi più gravi si fa uso di antidepressivi per diminuire l'irritabilità del sistema nervoso o psicoterapie che interrompono la sequenza di pensieri negativi o risposte condizionate che sono diventate automatiche.
Alcuni
analisti applicano tecniche note come debrifing o defusing che
consistono, aldilà della pomposità del nome, nel lasciar parlare le persone
colpite dai disturbi, preferibilmente in gruppo, della loro esperienza dando
sfogo alle loro emozioni.
L'insicurezza delle nostre città, notizie economiche non buone, l'immigrazione mettono a nudo i nervi di molta gente, siamo tutti nervosi e aumenta l'ansia generale. Televisione e giornali contribuiscono non poco ad aggravare la situazione con un allarmismo quotidiano e immagini angoscianti che vanno a sedimentarsi nella mente della gente.
Siamo tutti colpiti da PTSD?
Si può
parlare legittimamente di sindrome da stress post-traumatico quando si
registrano sintomi acuti e questi durano per più di un mese.
Per prevenire in un certo senso la depressone post-traumatica occorrerebbe
discernere le situazioni pericolose da quelle definite allarmanti solo dai mass
media e applicare alcune semplici regole:
limitare l'esposizione ai mezzi d'informazione particolarmente allarmistici;
parlare dei fatti, delle emozioni e dello stress con esperti o amici;
usare molta ironia e frequentare ambienti che non generino ansia.
L'autoprotezione è una regola fondamentale da tenere sempre presente: bisogna proteggere sé stessi e salvaguardare la propria incolumità mentale per tutelarsi, e nel caso in cui ci si trovi in una situazione critica, tutelare gli altri in un certo qual modo per tutelare la collettività.
È quindi necessario condividere le proprie esperienze con altri, apprendere sia dai propri che dagli altrui successi e fallimenti, confidare nelle proprie capacità conoscendone i limiti, e, nelle situazioni difficili non vergognarsi di chiedere aiuto perché è naturale che i soccorritori prima d'incoraggiare e sostenere le vittime di disastri hanno bisogno di rafforzare sé stessi.
Un trauma fisico o un avvenimento,come ad esempio un incidente di qualsiasi tipo,può portare dei disturbi, più o meno forti, alla memoria. Essi possono manifestarsi in modi diversi:
Deficit di recupero dell'informazione
Se il trauma cranico risparmia le aree temporali danneggiando esclusivamente i lobi frontali, è possibile diagnosticare un problema di memoria piuttosto specifico, caratterizzato da un deficit di recupero dell'informazione.
Pazienti con danno frontale tendono ad avere buone capacità di riconoscimento dell'informazione e cattive prestazioni nella produzione di materiale appreso. La prestazione deficitaria nei test di fluenza verbale, soprattutto nei test di fluenza fonemica, costituisce in fondo un caso particolare di deficit di recupero del materiale mnestico.
Per quanto concerne la memorizzazione di nuove informazioni, è possibile che il danno frontale possa portare ad un deficit di categorizzazione: le informazioni vengono memorizzate in maniera non strutturata, e questo ne rende difficoltoso il successivo recupero. Vengono dunque meno alcune strategie semantiche e contestuali che, in condizioni normali, giocano un ruolo importante nel memorizzare e nel recuperare le informazioni.
L'amnesia post traumatica può aver luogo nel periodo immediatamente successivo al risveglio di un trauma cranico con perdita di conoscenza. L'amnesia post traumatica si caratterizza da due tipologie di sintomi: disorientamento e confabulazione.
Possiamo distinguere fra disorientamento spaziale (incapacità di identificare il luogo fisico dove il paziente si trova) e disorientamento temporale (incapacità di stabilire una collocazione temporale agli eventi). Il disorientamento temporale risulta più frequente durante l'amnesia post traumatica e pare correlata ad una difficoltà a riconoscere l'ordine temporale degli eventi (memoria cronologica).
v Confabulazione
La confabulazione si caratterizza come una produzione verbale senza senso, dove il paziente inventa avvenimenti falsi, inconsistenti, fantasticherie. Alcuni autori attribuiscono la confabulazione ad una forma di amnesia: il soggetto inventa le cose perché non le ricorda. In realtà vi può essere confabulazione senza amnesia ed amnesia senza confabulazione. Appare più probabile che la confabulazione produttiva sia uno degli epifenomeni della disinibizione frontale: il flusso associativo di pensieri, che nei soggetti normali viene inibito, nel traumatizzato cranico affetto da sintomi di confabulazione viene verbalizzato, senza che il soggetto si preoccupi della veridicità, plausibilità od accettabilità sociale di quello che dice.
L'amnesia post traumatica può costituire un predittore delle conseguenze a lungo termine del trauma cranica: se lo stato di disorientamento dura a lungo, risulta più difficoltoso il recupero delle funzioni cognitive normali.
Uno dei prerequisiti dell'orientamento temporale consiste nella capacità di collocare in corretto ordine temporale gli eventi. Tale capacità può risultare deficitaria nella sindrome frontale.
In alcuni studi di genetica è stato osservato che le persone, indipendentemente dal genere, che presentano nel proprio patrimonio genetico la versione alterata del gene 5-HTT che codifica per il trasportatore della serotonina, sono a rischio depressione. Non solo, in 81 famiglie di soggetti con sintomi depressivi, sono state identificate 19 regioni cromosomiche comuni che probabilmente contengono le sequenze geniche che promuovono la depressione. Ebbene, quattro di queste sono state osservate solo nelle donne mentre solo una è risultata essere peculiare per gli uomini: va da sé che la probabilità di ereditare la predisposizione è più alta. Nelle quattro regioni interessate è stato anche isolato un gene, il CREB1, che sembra avere delle interazioni con i recettori degli estrogeni. In realtà non si tratta di una stretta relazione causa-effetto tra presenza del gene e sintomi depressivi, ma più che altro il segnale di una suscettibilità maggiore.
I confini quindi sono, ancora una volta, labili: non si può attribuire l'origine della depressione né a un fattore né a un altro, certo è che esiste una vulnerabilità di fondo nelle donne che non è solo genetica, ne molecolare, né comportamentale. I ricercatori tuttora sono alla ricerca di strumenti per riconoscerla e magari misurarla, con l'obiettivo di migliorare la qualità della vita (e l'umore) delle donne.
FONTI
www.neuropsy.it/patologie/trauma /09.html
disturbi di memoria
www.psicolinea.it/G_T/trauma.htm
trauma
www.qlmed.org/Paradigma/dic2000.htm
www.comune.monza.mi.it/NS/protez_civile/giornata_11.0_01.12.pdf
disturbi da stress post traumatico
www.grazia.net/psicoterapia/articolo2.htm
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