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L'invecchiamento della popolazione




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L'invecchiamento della popolazione




Sommario:     1. L'invecchiamento dell'individuo, delle famiglie, della popolazione; 2. Implicazioni economiche ed ambientali dell'invecchiamento demografico.




I.1.    L'invecchiamento dell'individuo, delle famiglie, della popolazione.


L'attività di controllo delle nascite indesiderate e dei fenomeni di morti precoci - sempre più intensa, diffusa e presente in quasi tutte le parti del mondo - ha comportato la riduzione dei tassi di fecondità e di mortalità, contribuendo nel corso del tempo a ridurre il numero delle nascite e ad aumentare la probabilità che i nati vivi sopravvivessero il più a lungo possibile. Questo è il meccanismo che lega in maniera solidale il processo della transizione demografica all'invecchiamento della popolazione, che consiste, quindi, nella parallela diminuzione del numero e della proporzione delle persone giovani e nell'aumento del numero e della proporzione delle persone anziane e vecchie.

Il XX secolo ha fatto registrare delle trasformazioni demografiche così rapide e profonde che hanno modificato, per non dire sconvolto, in modo radicale la struttura della società e la visione che essa ha di se stessa e dell'individuo.

Uno dei temi emergenti, soprattutto nelle società occidentali, è quello dell'invecchiamento della popolazione. Tale fenomeno, e lo scenario demografico ad esso collegato, ha delle ripercussioni tali, a livello sia macro che micro economico, da essere ormai diventato oggetto del dibattito politico quotidiano e delle conferenze mondiali, soprattutto per i paesi europei.

"Una trasformazione che non si è esitato a definire con incisive e fantasiose espressioni "rivoluzione grigia", si è detto, a significare il rapido aumento, carico di conseguenze economiche, sociali e culturali (oltre che demografiche), della quota di popolazione anziana (di età superiore ai 60, 65 o 75 anni, a seconda degli studi)"[1].

A questo punto è forse opportuno puntualizzare quelle che sono le cifre di un fenomeno tanto allarmante per poterne capire la sua portata: fra il 1950 e il 2000 nella popolazione mondiale, cresciuta del 140%, gli ultrasessantacinquenni saranno aumentati del 221% (da 131 a 419 milioni), e gli ultraottantenni del 407%; l'aumento stimato fra il 2000 e il 2050 potrebbe essere del 47% per il totale della popolazione mondiale, ma del 248% e del 433% rispettivamente per gli ultrasessantacinquenni e per gli ultraottantenni.

È naturale che la preoccupazione, in questo caso, non è limitata al solo invecchiamento, ma coinvolge anche l'andamento della fecondità, visto che per aversi invecchiamento è necessario che il calo della fecondità trascini con sé in parallelo anche il calo o la stazionarietà delle nascite; sono queste in valore assoluto che anno dopo anno subentrano nella popolazione alle nascite dell'anno precedente; tale fenomeno fa sì che la base della piramide delle età resti larga o si restringa[2].

Non c'è dubbio che la situazione attuale sia una delle più annunciate, visto che i suoi presupposti erano già da tanti anni iscritti nella dinamica demografica e tutte le previsioni sulla popolazione, effettuate dopo il secondo dopoguerra, ne preannunciavano l'avvento, mentre gli organismi internazionali promuovevano studi e formulavano raccomandazioni, affinché venissero predisposte le misure idonee a fronteggiarle.

Nelle popolazioni del XX secolo si possono rintracciare differenze di struttura per età e di invecchiamento quali, con ogni probabilità, mai si sono avute nella storia dell'umanità, ma prima di parlare di invecchiamento occorre definire i confini entro i quali ci muoveremo.

Il concetto di vecchiaia è molto esteso e difficile da circoscrivere, soprattutto perché diverse sono le opinioni a riguardo da parte degli studiosi[3]. A livello individuale si può definire l'anziano in termini biologici, psicologici, demografici e previdenziali; a livello collettivo in una società si può parlare di invecchiamento dall'alto (riduzione della mortalità in età avanzata) e dal basso (riduzione della fecondità).

Per arrivare ad avere una visione complessiva del fenomeno ed utilizzare una chiave unificante tra le varie definizioni potremmo utilizzare una "soglia" al di là della quale si può parlare di vecchiaia.[5] Ovviamente il solo elemento anagrafico non dovrebbe essere inteso come elemento discriminante tout court, per l'ingresso nella vecchiaia, ma come termine di riferimento relativo.

Per tentare di dare una identificazione a tale soglia è opportuno ridefinire il concetto stesso di vecchiaia alla luce degli ultimi cambiamenti che hanno direttamente influenzato tale periodo della vita umana.

I progressi della scienza medica, i miglioramenti delle situazioni igienico-sanitarie, nonché lavorative hanno prolungato la vita ed hanno spostato l'età della decadenza fisica; ciò ha comportato il passaggio da un'analisi statica della vecchiaia, come condizione globale, ad un'analisi dinamica dei processi di invecchiamento[6].

Secondo Ryder (Ryder, 1975) l'anziano è colui che ha ancora una speranza di vita non superiore a dieci anni[7], vedi tab. 1, per cui secondo tale parametro, l'età anziana si è spostata in avanti.


Tabella 1 - Speranza di vita a 65 anni nei paesi

dell'Unione europea, 1980 e 1990


PAESI

MASCHI


FEMMINE


Danimarca

13.7 14.3(e)

17.6 17.8(e)

Finlandia

12.8(a) 13.9(e)

16.6(a) 18.1(e)

Irlanda

12.6 12.6(b)

15.7 16.2(b)

Svezia

14.3 15.4(f)

17.9 19.2(f)

Gran Bretagna

12.9 14.4(e)

17.0 18.1(f)

Grecia



Italia

13.4 14.8(d)

17.1 18.8(d)

Portogallo

13.3(a) 14.2(e)

16.3(a) 17.5(e)

Spagna



Austria

12.9 14.9(e)

16.3 18.3(e)

Belgio



Francia

14.0 15.7(e)

18.2 20.1(e)

Germania



Lussemurgo



Olanda

14.0 14.7(f)

18.4 19.2(f)

Legenda:

(a) = 1981

(b) = 1987

(c) = 1988-89

(d) = 1991

(e) = 1992

(f) = 1993

Fonte: Consigilio d'Europa, 1994.

Ma tale semplice meccanismo non è sufficiente a definire in maniera esaustiva il fenomeno dell'invecchiamento; infatti sarebbe più coerente fare riferimento ad una situazione complessiva, attraverso la quale arrivare a definire l'invecchiamento, che non sia solo collegata alla collocazione in una certa fascia d'età, ma che sia una base per poter stabilire una soglia oltre la quale "è molto probabile essere anziani". Poiché è estremamente difficile integrare in una valutazione complessiva tutti questi dati, si accetta il criterio operativo di Ryder[8].

Per ciò che concerne la diversa tipologia dei processi di invecchiamento, si può sottolineare il ruolo centrale occupato dall'invecchiamento biologico, cui si connettono l'invecchiamento demografico[9], funzionale , legale , psicologico e sociale (Sarno Prignano e Natale, 1989).

"È destino di tutti gli organismi viventi, che appartengono al regno vegetale o animale, di andare incontro nell'ultima tappa della vita a una progressiva decadenza, preludio del cessare di ogni attività vitale.

Negli individui della specie umana, il declino senile assume aspetti più vistosi e drammatici che negli altri esseri viventi, per tre motivi.

Il primo è la maggiore lunghezza della vita; il secondo è il degrado degli organi derivante dall'usura che si rivela particolarmente nelle componenti somatiche in misura maggiore o minore; il terzo motivo è il rifiuto dell'anziano da parte della società"[13].

Un dato molto importante che risalta oggi agli occhi degli studiosi, ma anche dell'uomo comune è l'allungamento della durata media della vita, soprattutto nei paesi economicamente avanzati, laddove il limite ha superato ormai quello che un tempo era definito possibile dagli scienziati della specie umana. Tutto ciò però non ha ancora risolto il problema di quanto sia la durata massima della vita umana.

Ma se si vuole avere una valutazione di massima della probabilità che ha una generazione reale, attualmente intorno alla metà della durata della vita media, di sopravvivere 75 anni, si possono prendere i dati delle stime e delle proiezioni della popolazione effettuate dall'O.N.U., dalle quali si vede come la probabilità di un bambino, nato fra il 1945 e il 1950 di essere ancora in vita dopo 75 anni, risulta essere pari al 60% per i maschi e al 77 per le femmine.

Per quanto riguarda la valutazione sulla durata media della vita che potrebbe aversi in futuro, nei prossimi decenni, nei paesi economicamente più progrediti, si contrappongono studiosi "ottimisti" e "pessimisti".

Gli ottimisti - come Myers, Manton, Walford - ritengono che la durata media della vita possa arrivare anche a 150 anni e anche oltre, riducendo tutti i fattori di rischio e, soprattutto, se si seguissero i suggerimenti alimentari, o addirittura se l'ingegneria genetica riuscisse a rallentare o a bloccare i processi di invecchiamento.

Studiosi meno ottimisti - come Fries, Olshansky, Carnes - valutano in circa 85 anni la durata media della vita, dal momento che il nostro patrimonio genetico contiene in sé dei limiti alla durata della vita; inoltre questi ultimi studiosi ritengono che non ci sia nessun vantaggio per la specie umana prolungare di tanto la durata dalla vita, dal momento che nella vecchiaia l'uomo non è più riproduttivo.

Per i paesi più poveri la situazione è diversa e piena di numerose difficoltà, dal momento che si registrano ancora casi di gravissime malattie, alcune ormai debellate nei paesi avanzati, altre strettamente vicine alle infezioni più gravi, quali l'HIV[14].

Naturalmente l'invecchiamento delle singole persone non è solo funzione dell'età cronologica, infatti Peter Laslett dice che: " un individuo può essere concepito come avente parecchie età, in qualche misura collegate l'una all'altra, ma con caratteristiche sufficientemente diverse da permettere una distinzione, per quanto imperfetta. Oltre alla sua età all'ultimo compleanno, espressa in anni e interamente legata al calendario, si può dire che un individuo abbia un'età biologica, un'età personale, un'età sociale, e infine un'età soggettiva.

Dei cinque tipi di età di un individuo, l'età cronologica e l'età biologica, sono le uniche che tendono a coincidere. Di fatto l'intero sistema di gradazione delle età di uso comune - infanzia, giovinezza, mezza età, età anziana, ecc.- si basa sull'assunto che gli anni coincidano, a partire dalla nascita, con stadi successivi dello sviluppo del corpo e della personalità. Ciò, non toglie che individui con la stessa età anagrafica differiscano in termini di sviluppo o declino corporeo; è proprio per questi motivi che i biologi adottano come punto di riferimento il numero di età compiuti all'ultimo compleanno.

L'età personale può essere, invece, definita come quel momento del corso della vita di un individuo che lo stesso giudica di aver raggiunto; essa può essere espressa anche non in termini di anni, ma di fasi.

L'età sociale è l'età pubblica attribuita a una persona da familiari, amici, conoscenti, datori di lavoro e funzionari statali.

"Tutte queste età saranno, inevitabilmente diverse, dall'età soggettiva di una persona, poiché l'età soggettiva non può essere computata per mezzo di un calendario, ma non è altro che la successione interna all'individuo, di una serie di avvenimenti, ma non dello scorrere del tempo"[15].

La posizione del citato studioso non fa altro che acuire un dato ormai riconosciuto: l'età non dipende solo dal calendario, ma soprattutto dalle condizioni ambientali di cui l'uomo è circondato. (vedi tab. 2)


Occorre tenere presente che questi cambiamenti nella durata media della vita di un essere umano e nella fecondità delle donne, insieme ad altri meccanismi sociali ed economici, stanno cambiando la struttura della famiglia, attraverso la modifica dei comportamenti degli individui.

Questo significa che laddove si registra una bassissima mortalità aumenterà la probabilità, per un bambino, di conoscere un esteso numero di parenti tra nonni e bisnonni.

Per arrivare a tali conclusioni basta guardare al caso dell'Italia dove, la vita media era arrivata nel 1994 a 74.3 per i maschi e a 80.7 per le donne, la proporzione di bambini che alla nascita avevano viva la nonna era dell'80%, mentre quelle che riuscivano a conoscere anche la bisnonna era del 15%.

È evidente, dunque, che aumenta moltissimo la probabilità di avere in vita a 10-15 anni, almeno un nonno e almeno un bisnonno: ciò significa che si estende la famiglia multigenerazionale per effetto dell'aumento del numero di generazioni coesistenti.

Il beneficio di tale fenomeno è che diminuisce drasticamente, è arrivata a zero per i paesi industrializzati, di trovare bambini orfani di entrambi i genitori, al contrario di ciò che succedeva un tempo, sia per effetto delle guerre, sia per gli effetti delle devastanti epidemie. Quest'ultima problematica resta ancora molto sentita, invece, nei paesi in via di sviluppo.

L'invecchiamento della famiglia si accentua ancora di più dal momento che il numero di bambini diminuisce sempre di più; questo è il risultato di una scelta volontaria per le coppie dei paesi ricchi, mentre è imposta da politiche governative in alcuni paesi in via di sviluppo.

Nei paesi a bassissima fecondità e mortalità, la struttura per età della famiglia multigenerazionale, nella quale spesso coesistono 4 generazioni, acquista la forma di un fuso, con pochissimi bambini alla base e pochissimi bisnonni al vertice e un gran numero di adulti, genitori e nonni, al centro.

Questo fenomeno suscita preoccupazioni non solo perché ci si chiede chi si prenderà cura degli anziani, ma anche per i giovani.

Laddove il bambino si troverà attorniato di un numero anziani, sempre crescente, sempre pronti a soddisfare ogni suo bisogno, quale sarà il clima emozionale in cui questo sarà destinato a crescere?

L'allungamento della vita media influenza anche la durata delle unioni matrimoniali, infatti da un'indagine svolta sulla vedovanza in Italia è risultato che la durata media del matrimonio, poi, sciolto per morte di uno dei due coniugi, è, generalmente, di 41 anni circa; la durata media di vita residua per le donne vedove è di circa 17 anni, mentre per i vedovi è di 11.

Queste differenze comportano la creazione di molte famiglie unipersonali, costituite molto spesso da una vedova anziana sola; queste situazioni, incappano, spesso, in situazioni di povertà, dal momento che nel passato non era abituale che una donna svolgesse un lavoro fuori casa, per cui si potrebbero trovare a gravare sui bilanci dei figli, quando ci sono, altrimenti si spera che siano affidate alle cure del sistema sociale di cui fanno parte, affinché anche loro possono continuare a vivere dignitosamente.

Le enormi difficoltà derivanti dalla fortissima crescita della popolazione anziana saranno presenti dapperttutto: nel complesso dei paesi in via di sviluppo gli ultrasessantacinquenni fra il 2000 e il 2050 dovrebbero passare da 248 milioni a 1 miliardo e 160 milioni, un aumento di 912 milioni all'eccezionale tasso medio annuo del 3.1%. Dal canto loro i paesi sviluppati potrebbero veder passare, sempre fra il 2000 e il 2050, la proporzione di anziani rispetto al totale della popolazione dal 14.4% al 25.9%. Questo significa che un ulteriore possibile crescita nella durata media della vita comporterebbe necessariamente ad un ulteriore e consistente invecchiamento.

I meccanismi demografici ci insegnano che quanto più rapide, prolungate ed intense saranno la discesa delle nascite e della mortalità, più, a parità di altre condizioni, sarà rapido, prolungato ed intenso il processo di invecchiamento della popolazione.

Ciò significa che nel futuro i paesi sviluppati si troveranno ad affrontare una elevatissima proporzione di anziani, mentre quelli meno sviluppati subiranno una fortissima crescita nel numero.

In ogni caso l'invecchiamento sarà il carattere dominante del prossimo secolo, per la demografia, ma non solo per essa.

Ormai tutto ciò è un dato certo, per cui l'unica cosa da fare è far sì che le istituzioni e l'opinione pubblica se ne rendano conto, per poter organizzare in modo tempestivo, progressivo e dinamico le formule giuste per gestire tale fenomeno.

Questo fenomeno ha sicuramente una grande importanza all'interno di ciascuna singola realtà geografica, ma grande valenza ha anche a livello internazionale[16].

I problemi che derivano ad un singolo paese dal processo di invecchiamento sono aggravati dalla circostanza che cadenza, velocità e intensità nel calo delle nascite e della mortalità sono molto differenziati territorialmente - a partire dalla classica contrapposizione fra paesi più e meno sviluppati - provocando quindi uno squilibrio territoriale nella cadenza, velocità e intensità del processo di invecchiamento e della crescita differenziale delle varie classi di età, come effetto della quale quindi si possono avere fasi di forte contrapposizione demografica fra paese e paese.

Ma non è solo una questione di squilibri demografici, piuttosto si tratta di riflettere sul fatto che, se per esempio, nel 2030 la metà della popolazione italiana avesse più di 54 anni e la metà di quella etiopica meno di 20, una tale differenza comporterebbe anche questioni di cultura e di possibilità di dialogo, di relazioni politiche, di capacità produttiva, di spirito di iniziativa e più in generale di atteggiamenti e di comportamenti, forse finanche di attitudini alla pace.

Per quanto riguarda più da vicino la realtà europea è da registrare la sua continua diminuzione a livello di peso demografico rispetto agli altri due poli economici mondiali Usa e Giappone. Essa rappresenta andamenti e strutture tipici di tutti i paesi economicamente avanzati, infatti già nel 1950 la fecondità era già relativamente bassa e la vita media relativamente alta, così che la eccedenza fra nascite e morte non è mai stata particolarmente alta. Il sorpasso delle morti sulle nascite e, dunque, degli anziani sui giovani è avvenuto intorno agli anni '90; ciò significa che l'Europa potrà contare, da un lato, su un carico di giovani non ancora produttivi e, dall'altro, su persone non più produttive, cioè gli anziani e i vecchi; il tutto almeno fino al 2015, dopo di che la componente anziana peserà sempre di più fino a livelli molto elevati.

Già adesso l'area europea è quella più vecchia del mondo e con ogni probabilità continuerà ad esserlo nei prossimi dieci anni.

La globalizzazione finanziaria e il coordinamento macroeconomico a livello delle grandi aree industrializzati ha man mano imposto le relazioni con il Giappone e gli Usa, aumentandone tra loro le interrelazioni economiche.

Il problema che si pone ora è innanzitutto di saper mettere in moto meccanismi di aggiustamento sociale ed economico che siano in grado di fronteggiare l'attesa diminuzione della popolazione attiva e il suo progressivo invecchiamento e, successivamente, mantenere fra questi tre poli un equilibrio accettabile, attraverso la compensazione di tutta una pluralità di fattori, dalla quale non si può escludere quello demografico.

Più complessa sarà la ricerca di un equilibrio con altri paesi al di fuori dalle aree interessate dal fenomeno invecchiamento; infatti proprio perché in molte altre aree la popolazione è interessata da una crescita intensa e consistente, alla quale è collegata un'altrettanto aumento, più o meno accelerato, del reddito pro-capite, nuove potenze economiche si potranno profilare all'orizzonte dei prossimi venti o trenta anni.

Si tratta di paesi che potranno acquisire un peso industriale ed economico tali da renderli capaci di influenzare il sistema degli scambi commerciali multilaterali ed internazionali.

Si segnalano innanzitutto la Cina, il cui reddito pro-capite si potrebbe avvicinare a quello europeo, se riuscisse a mantenere il ritmo di crescita attuale; l'India che, negli ultimi anni, ha cercato di coniugare il tasso di crescita economica con quello della popolazione e l'Indonesia che si trova ad un livello promettente dal punto di vista economico.

Per la prima volta ci potremmo ritrovare dinnanzi ad un numero allargato di giganti economici-demografici, e non più alle classiche quattro tigri asiatiche che ormai stanno riducendo anche il loro peso demografico. Proprio il calo anticipato e veloce della fecondità asiatica ha raffreddato molto la crescita demografica, accelerando, però, il processo di crescita della popolazione in età lavorativa (15-64 anni) e dell'invecchiamento della popolazione. Fra il 2000 e il 2020 ci si aspetta che la popolazione asiatica cresca di 863 milioni, dei quali 727 concentrati nell'età lavorativa, il che costituisce una sfida di portata eccezionale, proprio per la difficoltà di creare sufficienti posti di lavoro.

Per quanto concerne il continente africano è quello che, rispetto agli altri, presenta i ritmi di crescita più elevati, soprattutto nella fascia della popolazione in età lavorativa. Il calo ritardato della fecondità in Africa provocherà ancora per molto tempo un incremento fortissimo di popolazione, nonostante la mortalità relativamente ancora molto alta. Ciò significa che l'Europa dovrà sempre di più organizzarsi per difendersi da queste forte spinte migratorie provenienti e dall'est, ma soprattutto dai paesi dell'Africa sud-orientale.

È quindi interesse fondamentale dell'Europa intensificare lo sviluppo dei paesi della riva sud-orientale del continente africano, oltre che dei paesi dell'est europeo, sia attraverso interventi di carattere bilaterale, sia a livello multilaterale e con la regolamentazione degli scambi commerciali. Sicuramente anche la regolamentazione dei flussi migratori avrebbe i suoi benefici, dal momento che si alleggerirebbe, da un lato, il peso demografico dei paesi d'origine, accelerandone lo sviluppo con le rimesse degli emigrati e, dall'altro, si guarderebbe più al futuro e alla crescita professionale di tali forze che potrebbero costituire la struttura portante dei loro rispettivi paesi d'origine.


Tabella 3 - Struttura per età della popolazione stimata

e attesa nel PSA e nei PVS al 1950, 1990 e 2025


GRANDI SEGMENTI D'ETÀ (%)

Epoca





PSA















PVS

















Fonte: ONU, 1995.



Se da un lato ci facciamo vincere dalla paura delle catastrofi demografiche, dall'altro c'è chi sostiene che "già negli anni '30, dopo il crollo delle nascite seguite alla Grande depressione, si levarono numerosi voci sottolineando il rischio che la popolazione scendesse troppo. Poi negli anni '60, il baby boom suscitò il terrore della sovrappopolazione mondiale. Ora si teme l'invecchiamento globale. Non c'è limite all'invadenza dei catastrofismi"[17].


I.2.       Invecchiamento della popolazione e le implicazioni di natura sanitaria.


Ciò che viene naturalmente in mente quando si parla di invecchiamento della popolazione sono le conseguenze di tale fenomeno sul sistema socio-economico e, in particolare, sui sistemi previdenziali[18] e sanitari. L'impatto su quest'ultimo settore è notevole, sia a livello individuale che a livello collettivo, in termini di necessità di strutture, di fondi e di personale preparato per la cura e l'assistenza degli anziani.

Su questo punto esistono diverse posizioni, in molti casi, assolutamente divergenti; Fries (1981) affermava che l'aumento della vita media è già segno di un miglioramento della qualità della vita, per cui ciò porterà ad un declino naturale delle persone con malattie croniche e ad una concentrazione dei problemi di salute gravi e, dunque, più impegnativi anche dal punto di vista assistenziale, tra i più vecchi.

Studi recenti sembrano, però, smentire tale posizione, poiché nei paesi in cui la vita media è molto elevata, il suo ulteriore incremento è caratterizzato da una maggiore presenza di malattie croniche e disabilità (Dooghe, 1992 a). Resta, comunque, fermo il fatto che in una determinata popolazione ed in un determinato periodo di tempo, malattie e disabilità colpiscono di più le persone anziane.

È inevitabile che l'invecchiamento della popolazione non sia destinato ad influire sulla domanda dei servizi sanitari incrementandola; i bisogni degli anziani, in termini di servizi sanitari saranno, comunque, superiori a quelli richiesti dalle altre fasce della popolazione. Lo stesso Bernassola, nello studio in cui calcolava la popolazione equivalente per la programmazione dei servizi sanitari[19], evidenziava come i consumi dei servizi ospedalieri, in particolare, sarebbero cresciuti durante tutto l'arco degli anni '90 e nel prossimo primo quarto del XXI secolo.

La causa dell'incremento della domanda dei servizi non è completamente imputabile all'aumento della vita media, né semplicemente all'aumento del numero delle persone anziane, perché il fenomeno citato comporta parimenti uno spostamento in avanti di quel periodo della vita umana, in cui il consumo sanitario ed ospedaliero aumenta, visto che secondo i geriatri negli ultimi anni di vita le malattie subiscono una impennata e non una crescita logaritmica.

Inoltre è certo che l'allungamento della vita implica un maggior numero di anni pro-capite di domanda di servizi sanitari[20], ed un allungamento della quarta età implica una richiesta di assistenza per malattie croniche. Ma non bisogna dimenticare che un maggiore numero di persone anziane significa, anche, una maggiore richiesta di servizi puramente socio-assistenziali.

In questo stimato aumento della domanda di servizi sanitari gioca un ruolo rilevante il mutato atteggiamento dei "nuovi anziani" (Hanau, 1987), i nati tra le due guerre, sia nei confronti della medicina che nelle aspettative del sostegno da parte dello Stato.

La maggiore fiducia nutrita dalla nuova generazione di anziani, nei confronti della medicina, li ha spinti ad una minore rassegnazione alla malattia, sia per gli oggettivi progressi della scienza medica che per la migliore conoscenza che di essa ha l'anziano stesso. Il nuovo anziano ha inoltre una forte percezione dei suoi diritti di sostegno da parte dello stato tramite il sistema di solidarietà sociale per cui ha versato i contributi tutta la vita.

In sostanza possiamo dire che il quadro del fenomeno dell'invecchiamento della popolazione è quello di una popolazione più longeva, in migliori condizioni generali di vita e di salute, ma che ha che fare con un maggior numero di malattie croniche degenerative che spesso ingenerano dipendenza psicofisico.

A tali malattie, che durano per molti anni, e che interessano un numero sempre maggiore di persone anziane, con nuove e più esigenti aspettative, i Servizi sanitari nazionali dei vari paesi europei, si trovano inadeguati, essendo stati predisposti anni fa per una popolazione nettamente più giovane, senza esser mai stati adeguati all'andamento demografico in corso.

Per quanto concerne l'ambito più ristretto europeo, possiamo notare come non tutti i paesi presentano le stesse potenzialità di assistenza nei confronti di questa parte della società contemporanea, e gli sforzi maggiori dovranno essere intrapresi proprio da quelli in cui l'invecchiamento della popolazione è più intenso (Italia, Spagna, Grecia). Sebbene le politiche sanitarie all'interno dell'Unione stiano cercando di omogeneizzarsi da questo punto di vista, le differenze continuano ad esistere per ciò che riguarda la popolazione coperta dal servizio, la tipologia delle prestazioni erogate, le caratteristiche pubbliche o private degli erogatori, le modalità di finanziamento[21].

La stessa Oms ha più volte affermato che l'assistenza agli anziani deve divenire parte integrante dell'assistenza sanitaria di base, per poter perseguire gli obiettivi fondamentali della prevenzione e della ricerca di alternative alla assistenza sanitaria in istituzioni.

Non meno importante a tale proposito è l'influenza esercitata dalla condizione socio-economica-ambientale sulla situazione sanitaria della popolazione anziana. Infatti il contesto familiare, il livello di istruzione, la condizione professionale, la situazione economica, la localizzazione geografica, influiscono pesantemente sullo stato di salute e sulla presenza o meno di malattie croniche o disabilità degli anziani.

A questo punto prima di analizzare lo stato di salute in senso stretto di una popolazione anziana, occorre fare attenzione alle condizioni socio-economiche per conoscere il quadro completo di tutti quei fattori che agiscono sulle variabili che potremmo definire di salute.

Le disuguaglianze sociali nella salute sono, infatti, un fenomeno registrato in tutti i paesi sviluppati, anche se si registra con intensità diversa, a seconda del contesto a cui ci si riferisce. Queste differenze si acuiscono per gli adulti uomini, mentre per le donne e per gli anziani in genere, lo sono in misura inferiore. Queste affermazioni si basano sui numerosi studi[22] relativi alla mortalità e, quindi, per deduzione logica possiamo affermare che se la morte colpisce in maniera diversa, a seconda della professione, del livello di istruzione, del reddito, dello stato civile, insomma del tipo di vita che si conduce in base a queste ed ad altre variabili demografiche, lo stesso avviene per le malattie, anche se queste non saranno cause di morte immediata.

Occorre affermare che, sempre sulla base degli studi sopra accennati, si è riscontrata una minore differenziazione sociale nella malattia rispetto alla morte e, ciò, è spiegato, soprattutto in età avanzata, dal fatto che la stessa mortalità abbia già giocato un ruolo di selezione, per cui intense differenze sociali, nell'età adulta, lasciano sopravvivere solo soggetti meno portati a manifestare tali differenze[23].

La salute non è equamente distribuita rispetto al grado di istruzione: gli anziani e i vecchi con un titolo di studio più elevato, non solo godono di un migliore stato di salute rispetto ai loro coetanei meno istruiti, ma presentano indici di prevalenze di malattie croniche e disabilità nettamente inferiori a questi ultimi. (Vedi Prospetto 1).

Indagando sulle cause di un così forte legame, appare evidente il ruolo giocato da due importanti fattori: uno dovuto al tipo di vita condotto (a livelli di istruzione inferiore corrispondono solitamente occupazioni manuali maggiormente dannose e faticose per la salute e, quindi una più prolungata ed intensa esposizione a fattori di rischio per l'insorgenza di molte patologie oltre che, mediamente minore redditi da lavoro); l'altro alla minore capacità informativa circa la prevenzione e la corretta cura delle malattie.


Prospetto 1.       Prevalenza di persone ultrasessantenni in non buono stato di salute, con almeno una malattia cronica o disabilità secondo il livello di istruzione. Italia, 1990.


PREVALENZA


LIVELLO DI ISTRUZIONE

Laurea

Diploma

Licenza

Media

Licenza

Element.

Nessun

titolo

Totale

Salute non buona






Con almeno una malattia cronica






Con almeno una disabilità






Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT, 1994.

Un altro aspetto importante strettamente correlato allo stato di salute e, dunque, alla presenza o meno di malattie croniche e di gravi disabilità, è rappresentato dal reddito disponibile, che risulta generalmente inversamente proporzionale all'età. Infatti la maggior parte degli anziani che considera le proprie risorse economiche "adeguate" o "abbastanza adeguate" al proprio status, percepisce per sé un migliore stato di salute ed una minore diffusione di patologie di tipo cronico e di disabilità rispetto ai meno agiati economicamente, rispecchiando un legame inverso tra indicatori di salute e risorse economiche. (Vedi prospetto 2)


Prospetto 2. Prevalenza di persone ultrasessantenni in non buono stato di salute, con almeno una malattia cronica o disabilità secondo le risorse economiche. Italia, 1990.


PREVALENZA


RISORSE ECONOMICHE

Adeguate

Abb. adeguate

Scarse

Insuffic.

Totale

Salute non buona






Con almeno una mal. Cronica






Con almeno una disabilità






Fonte: Cfr. prospetto 1.


Sono, dunque, gli ultrasessantenni in condizioni economiche precarie a presentare il quadro patologico più grave, in quanto maggiormente afflitti da problemi di salute e dalla più elevata diffusione di malattie croniche o di disabilità. Ciò è valido sia per gli anziani (60-79 anni) quanto per gli ultraottantenni.

Questo fatto è da ricollegare da un lato alle maggiori cure mediche ed alle terapie a cui si può sottoporre chi dispone di un reddito più elevato, soprattutto se le cure di cui sopra non sono finanziate dal sistema sanitario, ma ricadono direttamente ed in toto sulle finanze dell'anziano, e dall'altro alla maggiore attenzione riservata alla prevenzione dalle persone anziane senza problemi economici.

Di notevole importanza è anche il ruolo esercitato dalla tipologia familiare sulla presenza o meno di malattie croniche e forti disabilità; infatti le migliori condizioni di salute sono dichiarate proprio da anziani che vivono in famiglia con i figli oppure ancora in coppia. Le situazioni peggiori si riscontrano, invece, per le persone sole e per gli anziani che vivono in famiglie monogenitore, oltre che per coloro appartenenti a famiglie classificate con "altro", ossia comprendenti nuclei estranei formati da amici o da lontani parenti. (Vedi prospetto 3).


Prospetto 3. Prevalenza di persone ultrasessantenni in non buono stato di salute, con almeno una malattia cronica o disabilità secondo la tipologia familiare. Italia, 1990.


PREVALENZA


TIPOLOGIA FAMILIARE

Persone sole

Mono genit.

Coppie

senza figli

Coppie con figli

Due o più nuclei

Altro

Totale

Salute non buona








 

Con almeno una mal. Cronica








 

Con almeno una disabilità








 

Fonte: Cfr. prospetto 1.

La situazione cambia per gli ultraottantenni per i quali è normale pensare che se vivono da soli godono di un ottimo stato di salute.

D'altra parte se è vero che esiste un quadro patologico dell'anziano fortemente influenzato dalla tipologia familiare, è anche vero che quest'ultima spesso cambia in funzione della situazione sanitaria e dello stato di salute dello stesso.

Questo significa che, comunque, nell'età anziana cresce il bisogno di aiuto e di assistenza, per cui si è costretti a rivolgersi o alla famiglia oppure a strutture appositamente predisposte e, dunque, come si nota è lo stato di salute che influenza maggiormente le tipologie familiari che si vengono a creare.

In definitiva questi due fattori interagiscono tra loro attraverso un legame di causa-effetto richiedendo la loro valutazione simultanea, insieme ad altri fattori sociali e di stato civile. Molto della vita di un anziano dipende, oltre che dal loro stato i salute, anche dalle relazioni sociali di cui si circondano, nonchè dal loro stato civile: questa affermazione trova conferma nelle relazioni esistenti tra stato civile e malattie croniche. Queste colpiscono soprattutto i vedovi, che sono di conseguenza coloro che dichiarano uno stato di salute non buono. Occorre dunque tenere presente, nell'analisi del fenomeno dell'invecchiamento e delle sue implicazioni che quel concetto di salute, universalmente valido, come " stato di benessere fisico, mentale e sociale,"si applica in maniera integrale alla condizione della popolazione anziana, in cui lo stato di malattia il più delle volte è frutto dell'interrelazione dei fattori fisici, mentali e ambientali.




Cfr., V. Egidi, Strutture di popolazione, in Demografia, a cura di M. L. Bacci, G. C. Blangiardo e A. Golino, Edizioni Fondazioni Agnelli, 1991, p. 349.

Cfr., A. Golini, La popolazione del pianeta, il Mulino, Bologna, 1992, p. 70 ss.

L'indice di vecchiaia esprime il rapporto tra la popolazione ultrasessantacinquenne e la popolazione fino a 14 anni [ (pop. >= 65/pop. 0-14)*100].

L'invecchiamento dall'alto di una popolazione può essere considerato una fase inevitabile e inarrestabile dell'evoluzione demografica se riteniamo, come giusto, inevitabili i miglioramenti delle condizioni complessive di vita che lo determinano. Un esempio di questo invecchiamento è quello rappresentato dal fatto che il 93% di una generazione di donne al 1990 è arrivata a toccare il traguardo dei 60 anni, contro l'89% del 1975..Il conseguimento di questi traguardi può tuttavia non essere a priori positivo, dato che il guadagno di longevità potrebbe tradursi in anni aggiuntivi di malattia cronica, anche se secondo i geriatri questo non è necessariamente vero.

Cfr., G. Fuà, Conseguenze economiche dell'evoluzione demografica, Bologna, il Mulino, 1987, p. 30.

La tendenza a suddividere l'esperienza di vita in un certo numero di fasi è antica quanto lo studio dell'età e dell'invecchiamento, e se ne trovano esempi frequenti nella letteratura. Molti sono i termini e i principi di suddivisione che sono stati proposti. Di questi, una certa parte è passata nell'uso, e alcuni hanno goduto di grande fortuna e sopravvivono ancora. Il termine che si è imposto più di recente è quello di "terza età". Tale termine è di origine francese e fu usato nell'espressione Universitès du Troisieme Age quando queste istituzioni iniziarono ad essere fondate in Francia negli anni '70. Il motivo per cui si parla di terza età sembra essere collegata alla seguente suddivisione dell'arco di vita: per prima viene una fase di dipendenza, di socializzazione, di immaturità e di educazione; a questa fase fa seguito un periodo di indipendenza, di maturità e di responsabilità, in cui l'individuo ha la possibilità di guadagnare e di risparmiare; è quindi la volta di una terza fase di realizzazione personale. Da questo segue logicamente che le diverse età non dovrebbero essere considerate come sequenze successive di anni mutuamente esclusive, ma si deve contemplare la possibilità che la terza età possa essere vissuta contemporaneamente alla seconda, o anche alla prima.

Un tempo la vecchiaia era il tempo della saggezza e dell'equilibrio morale. Il vecchio era la memoria storica della società, il custode della tradizione e il detentore di un prezioso patrimonio di esperienza professionale che era possibile tramandare. Oggi la cultura professionale è quella della last information, dell'aggiornamento a tutti i costi: si è proiettati in avanti e molto meno sulla tradizione. Per la società l'anziano ha meno "significato" di un individuo in età attiva: si riduce il suo ruolo sociale ed economico al momento del pensionamento con il termine dell'attività lavorativa ( in genere i redditi da pensione sono inferiori rispetto a quelli da lavoro).

Cfr., B. Canalini e R. Vivio, Strategie ed interventi per una popolazione che invecchia, in A. Golini, Tendenze demografiche e politiche per la popolazione, il Mulino, 1994, p. 156.

Un approccio che consente di ottenere indici dinamici consiste nel determinare la soglia d'ingresso utilizzando i concetti di sopravvivenza e di vita media residua; l'età non viene quindi più misurata sulla base degli anni vissuti, ma in relazione a quelli che, mediamente restano da vivere. Il Ryder prende in considerazione una sola soglia, facendo riferimento ad una vita media residua non superiore ad un dato valore che pone convenzionalmente pari a 10 anni.

Cfr., L. Di Comite, Invecchiamento della popolazione e transizione demografica, Cacucci, Bari, 1995, p. 31.

A proposito Vedi: M. B. Ryder, Notes on stattionary populations, in Population Index, 1975, vol. 41, n. 1, pp. 3-28.

L'invecchiamento demografico è determinato in genere in relazione al numero di anni vissuti, per cui tale soglia è stata posta per molti anni, da tutti i demografi, a 60 o 65 anni.

L'invecchiamento biologico o funzionale costituisce l'aspetto più rilevante e studiato, in quanto con l'incremento della vita media è diventato fondamentale analizzare la relazione esistente tra l'impoverimento progressivo del patrimonio individuale delle capacità funzionali e la comparsa dei fenomeni di disabilità.

La definizione giuridica di anzianità è legata all'età al pensionamento; in questo ambito la soglia di ingresso nella vecchiaia legale, determinata dalla presunzione di una determinata capacità di partecipare al processo produttivo, vorrebbe essere individuata sulla base di esigenze socio-economiche collegate, almeno in linea di principio, ad una riduzione dell'efficienza fisica.

L'invecchiamento sociale deve essere considerato un fenomeno autonomo e originale, in quanto legato da un lato al ciclo di vita della famiglia e dall'altro all'età di uscita dal mercato del lavoro.

Cfr., R. Levi Montalcini, L'asso nella manica a brandelli, Baldini &Castaldi, Milano, 1998, p. 11.

Sono 34 i paesi del mondo che alla fine del Novecento presentano un elevatissimo tasso di popolazione infetta, 29 dei quali sono nell'Africa subsahariana, 3 in Asia e 2 in America latina. Dei 30 milioni di individui che vivono nel mondo si stima siano affetti da HIV, l'85% (26 milioni) risiede in questi 34 paesi nei quali si registra anche il 91% delle morti da Aids del mondo intero.

Cfr., A. Golini, La popolazione del pianeta, op. cit. p. 78.

Cfr., P. Laslett, Una nuova mappa della vita, il Mulino, Bologna, 1992, p. 74 ss.

I differenziali nella velocità di crescita della popolazione nel vecchio continente rispetto a quella di tutti gli altri farà ha fatto sì che nel 1995 si poteva contare un europeo su undici e che intorno al 2025 potrebbe esserlo soltanto una persona su diciotto. Nel 1995 la popolazione dell'Europa avrebbe dovuto rappresentare il 35% di quella dell'intero mondo industrializzato, mentre al 2025 questa proporzione dovrebbe scendere di molto. Se gli abitanti dell'Europa rispetto al mondo nel giro di sole due o tre generazioni saranno passati da 1 su 6 a 1 su 18, allora vuol dire che i rapporti politici, culturali, economici, commerciali fra l'Europa e il resto del mondo dovranno necessariamente mutare.

A proposito vedi: A. Golini, Perché le politiche demografiche in Europa, in A. Golini e altri, Famiglia, figli e società in Europa. Crisi della natalità e politiche per la popolazione, Torino, edizioni Fondazione Giovanni Agnelli, 1991

Cfr., E. Pedemonte, Italiani, fate figli o sarà guerra, Articolo pubblicato su L'Espresso, 23 aprile 1998.

In quasi tutti i paesi del mondo, il limite di età per accedere ai benefici della pensione è determinato da leggi dello Stato; tale limite è più elevato nei paesi industrializzati che in quelli in via di sviluppo, e in molte nazioni è previsto un trattamento differenziato tra uomini e donne, che anticipano in genere di cinque anni il pensionamento rispetto agli uomini. In molti paesi sono state introdotte norme per rendere meno rigido il sistema pensionistico obbligatorio. Le forme più diffuse sono le seguenti:

pensionamento anticipato (massimo cinque anni) su richiesta dell'interessato con riduzione dei benefici economici (dal 5 al 7% all'anno);

pensionamento anticipato dopo un certo numero di anni di servizio e di contributi assicurativi;

pensionamento anticipato per disoccupazione;

pensionamento anticipato per lavoratori impiegati in mansioni rischiose per la salute e invalidi;

pensionamento graduale: come in Svezia dove è prevista una "pensione parziale" per i lavoratori oltre i 60 anni che optano per attività part-time;

in alcuni paesi è prevista la possibilità di lavorare oltre l'età pensionabile; in certi casi la dilazione è illimitata, in altri il limite è fissato a 70 anni.

Nei paesi industrializzati dell'Occidente tale flessibilità si è il più delle volte risolta nel favorire il ritiro precoce dal mondo del lavoro.

Cfr., F. M. Antonimi e G. Ma ciocco, op cit. p. 125 ss.

Cfr., A. Bernassola, L'utilizzazione della popolazione equivalente nella programmazione dei servizi sanitari, in Atti del Congresso Nazionale di biometria e statistica medica, Pavia, 1989.

Nel maggio 1977 la XXX Assemblea all'Organizzazione mondiale della sanità stabiliva che il principale obiettivo sociale dei governi e dell'Oms per gli anni futuri doveva essere il raggiungimento entro il 2000 di un livello sanitario che permettesse di condurre una vita produttiva, sia dal punto di vista sociale che economico, da parte di tutti gli abitanti della terra. A questa storica decisione seguiva nel settembre 1978 la dichiarazione di Alma Ata ( nella Repubblica sovietica del Kazakistan) sulla medicina di primo intervento. Nel novembre 1979 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite facevo appello agli stati membri e agli altri organismi delle Nazioni Unite per collaborassero con l'Oms, invitandoli a dare il loro contributo nella strategia sanitaria mondiale.La delegazione dell'Oms all'Assemblea mondiale sull'invecchiamento sottolineò l'importanza degli orientamenti della dichiarazione di Alma Ata anche nel campo dell'assistenza ai cittadini anziani.

Cfr., F. M. Antonimi e G. Macciocco, L'invecchiamento della popolazione, NIS, Roma, 1983, p. 74.

Cfr., M. Geddes, Rapporto sulla salute in Europa, Ediesse, 1995.

A proposito vedi: A. Silvestrini, La condizione dell'anziano anche in relazione al suo stato di salute, relazione relativa ad un incarico professionale presso IRP-CNR, 1996.

Ancora: Costa G. e R Crialesi, Differenze territoriali e socio-economiche di morbosità e mortalità. Convegno nazionale "La salute degli anziani in Italia", Roma 21-22 marzo, 1995.

Da un'indagine sulla salute svolta in Francia nel 1991-92, emerse che nell'età compresa tra gli 8 ed i 64 anni la più stretta correlazione si ha tra stato di salute e livello di istruzione, mentre la più debole si ha con le risorse economiche. Dopo i 65 anni al contrario, il livello di istruzione sembra avere pochissima importanza, mentre l'occupazione del capofamiglia, rappresenta la variabile di maggior rilievo nella determinazione dello stato di salute.

Cfr., A. Golini, P. Bruno, P. Calvani, Aspetti e problemi dell'invecchiamento della popolazione, IRP, 1997, p. 75.

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