Herbert Marcuse e il movimento di emancipazione del Sessantotto
La
contestazione del '68 e Marcuse: l'Uomo ad una dimensione
Resoconto
della relazione del prof. C. Cutolo a cura di F. De Rosa
Il '68 fu l'anno
della contestazione in tutto il mondo e al riguardo un importante ruolo fu
svolto dagli studenti. La ribellione giovanile che ebbe origine negli USA per
poi dilagare nell'Europa occidentale e in alcuni paesi dell'est europeo fu
l'effetto di una crisi che si era andata preparando negli anni precedenti il
1968. L'intervento dell'URSS in Cecoslovacchia con il crollo del mito
dell'Unione Sovietica, guida del socialismo reale, l'aspro conflitto tra l'URSS
e Cina, la guerra USA nel Vietnam, le dubbie prospettive di uno sviluppo
indefinito anche delle economie più ricche, i movimenti di liberazione
dell'Africa nera, le lotte contro i regimi dittatoriali dell'America latina
furono altrettanti detonatori della protesta giovanile, e nella particolare
situazione italiana, la disoccupazione giovanile, la burocratizzazione del
sistema universitario, l'affermazione di un potere studentesco. In Italia e
all'estero l'irrequietezza degli studenti, il rigetto dell'ordine costituito,
lo smarrimento intellettuale assunsero una carica che può essere definita di
carattere rivoluzionario, la loro contestazione, attraverso vari stadi, diventò
globale. Essa cominciava nell'ambito della scuola: le condizioni arretrate in
cui si svolgevano in molti nostri atenei, la vita universitaria e la ricerca
scientifica, la rigidità della organizzazione degli studi poco aderente alle
esigenze di una società di sviluppo come la nostra, le sempre auspicate ma
sempre rinviate riforme degli studi, avevano offerto più di un motivo alla
protesta studentesca. La prima bandiera della contestazione fu la denuncia
dell'autoritarismo; molti ragazzi contestavano un certo modo di esercitare
l'autorità in modo sbrigativo, perentorio, assoluto che corrispondeva a modelli
culturali ormai respinti, si diffondeva l'utopia dell'uguaglianza assoluta di
una società in cui nessuno avrebbe comandato: l'orizzonte della contestazione
si allargava, le vibrazioni del movimento studentesco entravano in sintonia con
atre vibrazioni in Italia e fuori, maturava la sollevazione sindacale in una
lunga vigilia dell'autunno caldo. Il movimento studentesco diventava un
movimento di estrema sinistra, infiammato dalle speranze di rivoluzione. Dalla
scuola la contestazione si era estesa all'intera società, una società da cui
tutto discendeva, non solo la scuola stessa, vecchia, corrotta, inutile, ma
tutto quanto di male esisteva nel mondo, secondo la mentalità di ogni
rivoluzionario che attribuisce all'ordinamento vigente ogni ingiustizia dell'Universo.
Si voleva, quindi, trasformare il mondo del futuro si sarebbe poi deciso,
poiché importante era cambiare il sistema nel suo insieme. La realtà
studentesca, partita dalla prima occupazione di Pisa l'8 febbraio 1967 visse
momenti di duri scontri con la polizia come la famosa 'battaglia' di
Valle Giulia a Roma, 1 maggio tra gli studenti e forze dell'ordine. Gli
studenti che non si limitavano più a semplici rivendicazioni sugli esami,
accusati di pigrizia, di volere esami più facili per essere promossi senza
fatica, esigevano ormai obiettivi più importanti, tentarono di coinvolgere le
fabbriche, i sindacati ma queste non si lasciarono coinvolgere e così lo Stato
vinse e gli studenti ottennero ben poco. La scuola rimase quella che era,
eppure come ci dice Francesco Alberoni, che visse appieno questi anni,
'con il '68 l'italiano ha scoperto a fondo i suoi diritti, il gusto della
libertà ha perso la riverenza verso le tradizioni oppressive, ha rotto col
passato per poter evolvere'. Il '68 è stato visto quindi come un momento
positivo, un passo importante per lo sviluppo degli italiani, una presa di
coscienza delle proprie potenzialità, ma c'è anche chi, voluto porre l'accento,
come Piero Ottone, giornalista dal cui articolo abbiamo tratto riferimento
sulla frustrazione della sconfitta che potrebbe essere una delle reazioni del
nascente terrorismo che insanguinò il nostro paese negli anni che seguirono il
'68. Questi moti sessantottini non furono né improvvisati né tantomeno nacquero
spontanei, ma come ogni movimento ebbero una base ideologica nella 'Scuola
di Francoforte' e soprattutto nei testi di H. Marcuse (Eros e Civiltà,
edito nel 1955 e 'L'Uomo a una dimensione', edito nel 1964). La
scuola di Francoforte formatasi a partire dal 1922 presso il celebre 'Istituto
per la ricerca sociale', sul piano filosofico è sostanzialmente una teoria
critica della società presente alla luce dell'ideale rivoluzionario di
un'umanità futura, libera e disalienata. Essa intende porsi come un pensiero
critico e negativo nei confronti dell'esistente, teso a smascherarne le
contraddizioni profonde e nascoste mediante un modello utopico in grado che sia
un'incitazione rivoluzionaria per un suo mutamento radicale. Marcuse, uno dei
maggiori esponenti della scuola di Francoforte polemizza, appunto, contro la
società repressiva in difesa dell'individuo e della sua felicità, e con le sue
opere fomenta quindi e dà la base razionale, filosofica al movimento del '68.
Già in 'Eros e Civiltà' Marcuse ritiene che la società di classe si
sia sviluppata reprimendo gli istinti e la ricerca del piacere degli uomini
impedendo agli uomini la libera soddisfazione dei suoi bisogni, delle sue
passioni. L'istintività, il piacere sono stati asserviti da ciò che lui chiama
'principio della prestazione' cioè la direttiva di impiegare tutte le
energie psico-fisiche dell'individuo per scopi produttivi e lavorativi. Ma la
civiltà della prestazione non può far tacere del tutto gli impulsi primordiali
verso il piacere, la cui memoria è conservata dall'inconscio e dalle sue
fantasie. Inoltre Marcuse ritiene che tale principio di prestazione abbia
creato 'le precondizioni storiche per la sua stessa abolizione'
poiché lo sviluppo tecnologico e l'automatismo hanno posto le premesse per una
diminuzione radicale della quantità di energia investita nel lavoro, a tutto
vantaggio dell'eros, di un lavoro quale attività libera e creatrice. L'Utopia
di Marcuse è, in sostanza, il desiderio di un paradiso ricreato in base alla
conquista della civiltà. Nell'Uomo a una dimensione Mancuse riprende e
radicalizza i vari motivi di critica della società tecnologica avanzata. L'uomo
a una sola dimensione è l'individuo alienato della società attuale, è colui per
il quale la ragione è identificata con la realtà, per lui, non c'è più distacco
tra ciò che è e ciò che deve essere, quindi al di fuori del sistema in cui vive
non ci sono altri possibili modi di essere. Il sistema tecnologico ha, infatti,
la capacità di far apparire razionale ciò che è irrazionale e di stordire
l'individuo in un frenetico universo cosmico in cui possa mimetizzarsi. Il
sistema si ammanta di forme pluralistiche e democratiche che però sono
puramente illusorie perché le decisioni in realtà sono sempre nelle mani di
pochi. <<Una confortevole, levigata, ragionevole, democratica non libertà
prevale nella civiltà industriale avanzata segno di progresso tecnico>>,
la stessa tolleranza di cui si vanta tale società e repressiva perché è valida
soltanto per ciò che non mette in discussione il sistema stesso. Tuttavia la
società tecnologica non riesce ad imbavagliare tutti i problemi e soprattutto
la contraddizione di fondo che la costituisce, quella tra il potenziale
possesso dei mezzi atti a soddisfare i bisogni umani e l'indirizzo conservatore
di una politica che nega a taluni gruppi l'appagamento dei bisogni primari e
stordisce il resto della popolazione con l'appagamento dei bisogni fittizi.
Tale situazione fa sì che il soggetto rivoluzionario non sia più quello
individuato dal marxismo classico, il lavoratore solitario, ormai completamente
integrato nel sistema, bensì quello rappresentato dai gruppi esclusi dalla
benestante società, quello che Marcuse in un passo chiave del suo libro
descrive come: 'il sostrato dei reietti e degli stranieri, degli sfruttati
e dei perseguitati di altre razze e di altri colori, dei disoccupati e degli
inabili. Essi permangono al di fuori del processo democratico, la loro presenza
prova quanto sia immediato e reale il bisogno di porre fine a condizioni e
istituzioni intollerabili. Perciò la loro opposizione è rivoluzionaria anche se
non lo è la loro coscienza. Perciò la loro opposizione colpisce il sistema dal
di fuori e quindi non è sviata dal sistema; è una forza elementare che viola la
regola del gioco e così facendo mostra che è un gioco truccato'. Questi
gruppi possono incarnare il Grande Rifiuto, l'opposizione totale al sistema e
porre le basi per la traduzione dell'utopia in realtà, anche se le capacità
economiche e tecniche sono abbastanza ampie da permettere aggiustamenti e
concessioni a favore dei sottoproletari e le loro forze armate sono abbastanza
addestrate ed equipaggiate per far fronte alle situazioni di emergenza.
Tuttavia lo spettro è di nuovo presente dentro e fuori i confini delle società
avanzate. In uno scritto del 1967 Marcuse ha parlato di una fine dell'utopia,
alludendo al fatto che esistessero le precondizioni materiali e tecniche, i
'luoghi' dove le utopie potessero finalmente abbandonare i 'non
luoghi' dell'astrazione e concretizzarsi nella realtà, tuttavia, dobbiamo
ribadirlo, ciò era soltanto una possibilità e per questa possibilità, per il
grande rifiuto molti hanno dato e danno la loro vita. Parlando dell''Uomo
a una dimensione' il filosofo Luciano Gallino afferma che 'esso
anticipa i termini delle questioni odierne e ciò lo fa apparire moderno. Esso
può sembrare un libro scomodo, irritante, poiché non privo dell'arroganza di
chi presume di possedere un intelletto dalle capacità diagnostiche quasi
infallibili, come d'altronde appaiono la maggior parte delle opere della scuola
di Francoforte. Ma è anche un libro che obbliga a riflettere su ciò che
dobbiamo decidere e fare, qui e ora al fine di trasformare noi stessi e la
società in cui viviamo, in direzione di un'esistenza che non sia come
l'attuale, il regno di un'abile e previggente applicazione di mezzi efficienti
per scopi presi alla cieca, ma un'esistenza in cui la ragione oggettiva, con la
sua capacità di individuare l'essenza della realtà suggerisca i nostri scopi e
le correlative azioni, stabilendo e interiorizzando nuovi rapporti con società
fino ad ora sottoprivilegiate che non sono più disposte ad accettare l'attuale
disuguaglianza dei privilegi, prima che sia la storia, se non domani, ma forse
domani l'altro, a trasformare brutalmente noi in strumenti dei suoi scopi più
ciechi'.