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Dai valori alle norme




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Dai valori alle norme


Nel linguaggio comune sentiamo spesso parlare di valori, ma che cosa sono? Il concetto di valore assume significati diversi a seconda dei contesti in cui viene usato. Comunemente viene spesso usato per indicare qualcosa che non appartiene al mondo delle cose reali ma a quello degli ideali, dei desideri; è usato anche per indicare qualcosa di reale di cui si teme la perdita. In entrambi i casi il valore orienta l'azione: nel primo caso per la sua realizzazione, nel secondo per la sua difesa.

In filosofia e nelle scienze sociali, il concetto di valore assume significati diversi. Per esempio, in filosofia morale, il valore incarna l'idea del bene, in contrapposizione a quella del male; in estetica il valore corrisponde a qualche ideale di bellezza; in economia il valore è tutto ciò che è desiderabile e richiede uno sforzo, un costo, per essere realizzato o acquisito. «Il concetto di valore è quindi polisemico e il suo significato varia a seconda dell'uso, da una disciplina all'altra e anche all'interno di ogni singola disciplina» . Anche in sociologia ci sono una pluralità di significati che gli autori del Corso di Sociologia hanno identificato in questo modo:

i valori sono come orientamenti dai quali discendono i fini delle azioni umane. Valori e fini sono concatenati: i valori sono i fini ultimi dell'azione, per realizzare i quali gli esseri umani devono perseguire dei fini di ordine inferiore che quindi a loro volta sono nello stesso tempo fini e mezzi;

i valori sono sempre in qualche misura trascendenti rispetto all'esistente, indicano cioè un dover essere che va al di là dell'essere. Sono collocati in un orizzonte sia terreno che ultraterreno. Nel primo caso, stimolano l'impegno per la loro realizzazione su questa terra e favoriscono un atteggiamento attivo e positivo nei confronti del mondo; nel secondo caso invece stimolano un atteggiamento passivo, la perfezione può essere raggiunta solo attraverso la fuga dalle cose terrene e i valori si realizzano solo nel "regno dei cieli";

i valori esistono come "fatti sociali", in quanto vengono fatti propri da individui o gruppi sociali i quali orientano in base ad essi il loro agire. In questo senso i valori diventano forze operanti poiché forniscono le motivazioni dei comportamenti;

infine, i valori vengono fatti propri da individui o gruppi mediante processi, più o meno consapevoli, di scelta. Nella società esiste una pluralità di valori, a volte fortemente integrati tra loro, a volte in competizione o in conflitto. In questo senso i valori sono sempre "soggettivi" in quanto esistono perché vi sono dei "soggetti" che li scelgono, ma sono anche "oggettivi" poiché tutti i valori sono prodotti da dinamiche sociali di lungo periodo in cui agiscono una pluralità di soggetti.[3] Anche se ci sono valori universali, cioè condivisi "universalmente", come il valore della pace, della vita, della libertà, dell'uguaglianza, della dignità dell'uomo, del rispetto ecc., la nostra epoca è caratterizzata dal «pluralismo dei valori», che a volte creano conflitti tra i gruppi che ne sono portatori. Anche lo stesso individuo può trovarsi in una situazione di "dilemma etico", ossia una situazione in cui il singolo fa propri alcuni valori in conflitto tra loro. In questo caso si è costretti a scegliere, cioè dare una certa priorità a quei valori ritenuti più importanti.

Infine è necessario ricordare che i valori mutano con il tempo. Questo può avvenire soprattutto grazie all'opera di nuovi movimenti sociali che mobilitano energie e formulano nuovi criteri per distinguere ciò che è bene da ciò che è male. Si pensi, ad esempio, ai valori ecologici, sostenuti da movimenti ambientalisti, condivisi da larghi strati dell'opinione pubblica delle società avanzate; oppure ai valori del rispetto del "diverso", rivendicati da movimenti sociali, che hanno portato all'affermazione delle società multietniche.

Molto spesso, nel linguaggio comune, non si fa una distinzione chiara tra valori e norme. Per alcuni le norme non sono altro che specificazioni dei valori, cioè «prescrizioni per orientare le condotte alla luce dei valori» . In pratica la norma ci direbbe che cosa dobbiamo, o non dobbiamo, fare per realizzare un determinato valore, quindi si configurano come dei "mezzi" per raggiungere determinati fini (valori). Se ci poniamo dal punto di vista dell'attore sociale le norme si presentano principalmente come dei vincoli che prescrivono o vietano certi comportamenti (obbligazioni) e che consentono altri (permissioni). Quindi possiamo intendere «le norme come delle obbligazioni e i valori come delle guide capaci di orientare i comportamenti nell'ambito consentito dalle norme» .

Un soggetto può darsi delle norme oppure riceverle dall'esterno: nel primo caso si parla di autonomia, nel secondo di eteronomia. In filosofia morale «il binomio autonomia/eteronomia è stato spesso [.] adottato per distinguere fra morale e diritto». Per esempio Kant afferma che «la norma morale promana dalla coscienza di ognuno», quindi è autonoma, «mentre la norma giuridica promana dall'esterno, cioè dall'autorità che detiene poteri normativi», quindi è eteronoma . In sociologia è stato messo in luce il carattere sociale, ossia imposto dall'esterno e di conseguenza "non autonomo", della norma morale. Questo concetto sta alla base della convinzione che non vi sia "una sola morale, ma tante morali quante sono le società stesse" . Tenendo presente quanto sin qui detto, si può dare una definizione generale di norma sociale, che può riferirsi a tutti i tipi di norme, siano esse giuridiche o non giuridiche. Con "norma sociale" si allude a qualsiasi regola vigente in una collettività, della quale «il contenuto prescrittivo o proscrittivo impone o vieta comportamenti facendo riferimento alle aspettative di almeno una parte della medesima collettività, regola ritenuta vincolante da almeno una parte della [stessa] collettività, la cui violazione può comportare una reazione sociale» . Se volessimo trovare un criterio sostanziale per distinguere le norme sociali di tipo giuridico dalle altre norme sociali, dovremmo utilizzare la distinzione tra eteronomia e autonomia. Ma facendo ciò dovremmo anche vedere la relazione che c'è da un lato tra le norme e la ineguale distribuzione del potere nella società, dall'altro che la società, per questa ragione, si presenta come un luogo di conflitti sociali. Basta ricordare, al fine del nostro proposito, che proprio dal conflitto per il potere nasce la ragion d'essere delle norme giuridiche e la condizione necessaria della loro esistenza. D'altra parte non si può pensare che esista una società così omogenea tanto da non ritenersi necessaria un'organizzazione politica (uno Stato) che possa gestire la differenziazione del potere. Anzi si può facilmente affermare che, «quanto più una società è differenziata, tanto più le regole giuridiche sono preponderanti, al contrario delle norme sociali di tipo non giuridico, che appaiono più diffuse e rilevanti quanto più la società è omogenea» .

Proprio questa relazione tra il diritto e il potere consente di dare alle regole giuridiche il carattere della eteronomia e a quelle sociali di tipo non giuridico il carattere dell'autonomia. In realtà hanno tutte un carattere eteronomo, nel senso che entrambe si indirizzano all'individuo dall'esterno e entrambe recano il carattere della coattività (anche la trasgressione delle norme dell'uso o del costume porta ad una sanzione). Tuttavia bisogna notare la diversa percezione del destinatario delle norme: egli percepisce le norme sociali non giuridiche come adeguamento spontaneo a una regola che gli pare nascere da se stesso e dalla sua libera scelta, mentre percepisce quelle giuridiche, anche quando queste sono interiorizzate, come provenienti dall'esterno e non corrispondono ad una sua libera scelta.

È necessario a questo punto fare una classificazione delle norme, dato che fanno parte di un complesso estremamente eterogeneo. Un primo criterio proposto dal filosofo americano John Rawls (1967) distingue tra regole costitutive e regole regolative. Le prime pongono in essere delle attività che non esisterebbero all'infuori delle regole stesse, non ammettono eccezioni. Fanno parte di questa categoria, ad esempio, le regole del gioco degli scacchi: se a qualsiasi giocatore gli venisse in mente di muovere il cavallo in modo diverso da quello prescritto dalle regole, egli si porrebbe automaticamente fuori dal gioco e la partita non potrebbe continuare. Infatti nel gioco degli scacchi non c'è bisogno di un arbitro. Le regole regolative, invece, indicano ciò che è prescritto (prescrittive) o ciò che è vietato (proscrittive) nell'ambito di un'attività già costituita. Esse sono molto più frequentemente violate, ma ammettono eccezioni e consentono in genere ampio spazio all'interpretazione.

Un secondo criterio distingue tra norme consuetudinarie e norme statuite. Le prime sono quelle che si sviluppano spontaneamente e si impongono per effetto di un uso prolungato sorrette dall'opinione sociale secondo cui esse non devono essere trasgredite. Le norme statuite promanano da una volontà creatrice, cioè da un soggetto a cui è riconosciuto, all'interno di un gruppo sociale, il potere di normazione. Comunque, sovente, molte norme statuite non fanno altro che formalizzare precetti già esistenti e radicati nella consuetudine. In questi casi la statuizione non è «creativa» ma «rafforzativa di una prassi già consolidata»[10]. In quest'ambito si può fare una distinzione anche tra norme scritte, come sono quelle giuridiche e norme non scritte, non giuridiche e di carattere informale.

Un'altra distinzione che è importante fare è quella tra norme implicite e norme esplicite. Le prime sono quelle che si danno per scontate, cioè si seguono senza essere consapevoli che esistono. Per esempio, quando parliamo con una persona la norma ci dice che dobbiamo farlo ad una certa distanza per non violare lo spazio personale, in caso contrario l'interlocutore farà un passo indietro per ristabilire la distanza appropriata. Naturalmente questa regola non vale in un autobus affollato. In realtà, ci accorgiamo che questo tipo di norme esistono solo quando vengono trasgredite; per esempio, non c'è alcuna norma che vieti di andare a lezione indossando uno smoking, ma se qualche studente lo facesse susciterebbe sicuramente una qualche reazione. Le norme delle "buone maniere" o del "galateo", sono normalmente seguite dalla maggior parte delle persone senza essere esplicitate.

Infine, un altro grande criterio per classificare le norme sociali riguarda l'ambito entro il quale sono in vigore. Un esempio di tali norme sono i codici deontologici degli ordini professionali (medici, notai, avvocati, giornalisti ecc.) che «stabiliscono i principi e le modalità ai quali si devono attenere gli appartenenti nell'esercizio delle loro attività professionali, sulla base di specifiche etiche professionali» .Anche le organizzazioni criminali possono sviluppare un loro codice normativo, in opposizione al sistema normativo delle società entro le quali si formano. La mafia, com'è noto, ha un proprio codice d'onore che contempla regole molto rigorose (nel cap. 3 si vedrà come queste regole "mafiose" influiscono sulla popolazione detenuta).




Bagnasco A., Barbagli M., Cavalli A., (1997), Corso di Sociologia, pag. 123, Il Mulino, Bologna.

Ivi.

Ivi, pagg. 124-125.

Ivi, pag. 130.

Ibidem.

Ferrari V., (2000), Lineamenti di sociologia del diritto. I. Azione giuridica e sistema normativo. Editori Laterza, Bari.

Durkheim E., (1925), L'éducation morale, in Ferrari V. cit. pag. 169.

Pocar V., (2002), Guida al diritto contemporaneo, Editori Laterza, Bari.

Ivi, pag. 18.

V. Ferrari, (1997), Lineamenti di sociologia del diritto. Azione giuridica e sistema normativo, pag. 186, Editori Laterza, Bari.

Bagnasco A., Barbagli M., Cavalli A., (1997) Corso di Sociologia, pag. 135, Il Mulino, Bologna.

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