Rosso Malpelo
Rosso Malpelo è un "ragazzaccio" dai capelli rossi che
lavorava in una cava di sabbia della Sicilia, un povero infelice, precocemente
indurito - fino ad apparire cinico e spietato - dai rigori della vita e
dall'atrocità della sua condizione di sfruttato. In realtà, Malpelo nasconde
dentro di sé una sua umanità e un suo bisogno di amore che riversa nel
rapporto, in apparenza violento e duro, con Ranocchio, un altro infelice
adolescente come lui ma di lui ancora più debole e, soprattutto, in quello,
tutto intimo e silenzioso, con il padre, morto in un incidente sul lavoro nella
cava, nella quale anche Malpelo finirà i suoi giorni, senza lasciare alcuna
traccia di sé.
Pubblicata nel 1880 nella raccolta Vita dei campi, la
novella Rosso Malpelo di Giovanni Verga contiene e sviluppa già i capisaldi
della poetica del grande scrittore siciliano sia dal punto di vista ideologico
sia dal punto di vista espressivo: l'attenzione al mondo degli umili, dei
perseguitati e dei reietti, la sostanziale visione pessimistica della
condizione umana, il procedere 'oggettivo' e analitico della
narrazione e l'adozione di un linguaggio 'popolare', volto a
riecheggiare i modi e le forme del parlato. Ma, nel momento stesso in cui si
presenta come un prodotto tipico della maniera 'verista', Rosso
Malpelo appare anche come il più compiuto esempio dei particolari caratteri del
verismo verghiano. Infatti, il distacco 'oggettivo' con cui Verga
racconta la storia di Malpelo è ben diverso dall'impassibilità scientifica
predicata dai teorici del Naturalismo e del Realismo: di fronte al suo
personaggio, Verga, pur senza dimenticare il suo programma di narratore esterno
ed estraneo ai fatti, non può non commuoversi e non esprimere amaramente la sua
profonda simpatia per gli umili come Malpelo, la cui stessa sofferenza rende
eroici e in qualche modo sacri, anche se, come Malpelo, sono stati
disumanizzati e resi malvagi, cinici e violenti dalle circostanze della vita.
Dal punto di vista stilistico-espressivo, Rosso
Malpelo si caratterizza come opera tipica del Verismo verghiano per la tecnica
con cui la vicenda è narrata. Il racconto, infatti, è un tipico racconto
verista d'ambiente: così non si svolge in modo organico, nel rispetto di una
rigorosa successione degli eventi, ma si sviluppa per aggregazione successiva
dei fatti, attraverso anticipazioni, riprese e aggiunte, proprio come se la
vicenda di Malpelo, anziché narrata dallo scrittore, fosse narrata dagli stessi
protagonisti, mediante i loro gesti oltre che mediante le loro parole.
CONTESTO
La novella è ambientata in
una cava di rena rossa, in Sicilia, nella seconda metà dell'Ottocento. Nella
cava lavorano il protagonista, Rosso Malpelo, suo padre e altri personaggi.
PERSONAGGI
Rosso Malpelo - il protagonista
della novella, chiamato così per il colore dei suoi capelli. Secondo un
proverbio sacro nel mondo popolare, -"Russu malu pilu" - chi ha i
capelli rossi è persona cattiva e ribelle; conseguenza di questo detto è
l'emarginazione ed il maltrattamento di tutti nei confronti di Rosso Malpelo.
In realtà egli è un ragazzo buono ma, a forza di sentirsi dire da tutti che è
un mascalzone, finisce per crederlo egli stesso. L'unica persona che vuole bene
al ragazzo è suo padre, ma alla morte di questi Rosso non ha più punti di
riferimento perché verrà abbandonato anche dalla madre e dalla sorella. Non
avendo più nessuno, il protagonista si dedica solo alla cava e per lui scavare
vuol dire solamente liberare il padre dalla rena che lo ha intrappolato,
facendolo morire soffocato. Tutta la rabbia che Malpelo accumula per il modo in
cui viene trattato, la riversa su un povero asino, che successivamente morirà,
e su un ragazzino di nome Ranocchio, al quale vuole molto bene, che morirà
anch'egli a causa di una malattia. Rosso Malpelo vede nella morte del padre, di
Ranocchio e dell'asino un'evasione dalla cava e crede che l'unico modo per
andare via da quell'orrendo luogo sia proprio la morte, che il ragazzino
incontra quando accetta consapevolmente i rischi legati ad una missione
esplorativa mortale che tutti avevano rifiutato.
Mastro Misciu Bestia - il padre di Rosso
Malpelo. Mastro (nome solitamente assegnato ai muratori) Misciu (diminutivo
di Domenico) Bestia (così soprannominato perché ritenuto la bestia da
soma di tutta la cava) lavora anch'egli nella cava, fino alla morte che avviene
mentre esegue un lavoro molto pericoloso.
Ranocchio - il ragazzino che Rosso
Malpelo incontra nella cava, molto debole fisicamente e chiamato così perché,
in quanto zoppo, ha un modo di camminare che fa pensare ad una rana.
COMMENTO
La novella è scritta con un
linguaggio non molto comprensibile perché ha una forma tipica del dialetto
siciliano di quei tempi. I fatti sono raccontati da un narratore onnisciente,
il quale conosce gli avvenimenti e gli stati d'animo dei personaggi. La
novella, anche se triste poiché si conclude con la morte del protagonista,
nonché con quella precedente del padre e di Ranocchio, è molto interessante
perché fa riflettere su problematiche che hanno interessato l'Italia, in
particolare la Sicilia, nel periodo della seconda metà dell'Ottocento, quali la
durezza delle condizioni di vita e di lavoro e la realtà di sfruttamento della
gente siciliana, senza escludere neanche i bambini.
Altri temi trattati da Verga sono:
la solitudine: il
protagonista, dopo la morte del padre, si ritrova da solo perché abbandonato
anche dagli unici familiari che gli sono rimasti (madre e sorella);
la discriminazione: Malpelo
è giudicato malamente a causa del colore dei suoi capelli;
la violenza: il ragazzo
viene maltrattato e preso a calci da tutti coloro che lavorano nella cava;
l'emarginazione: proprio per
il colore dei suoi capelli e quindi perché ritenuto cattivo, Malpelo viene
scacciato da tutti.
Questa novella, anche se scritta in un diverso periodo
storico, può rispecchiare perfettamente anche il mondo d'oggi, dove solitudine,
discriminazione, violenza ed emarginazione sono ancora problemi molto diffusi
in tutto il mondo e difficili da essere superati.
La novella "Rosso Malpelo"
di G. Verga risponde a due obiettivi di scrittura: il primo è quello di
produrre un testo realistico e oggettivo; il secondo è quello di documentare le
condizioni misere dei "vinti", verso gli ultimi anni del 1800. Ciò spiega il
pessimismo del Verga, che era convinto dell'impossibilità da parte delle
persone umili di migliorare le loro condizioni economiche e sociali.
Giovanni Verga
Nato a Catania nel 1840, fu il massimo esponente del
verismo.
La
sua prima formazione romantico-risorgimentale si svolse a Catania, dove
abbandonando gli studi giuridici, decise di dedicarsi esclusivamente alla
letteratura.
Trasferitosi
a Firenze nel 1865 compose i suoi primi romanzi Una peccatrice e Storia
di una Capinera. Successivamente a Milano frequentò l'ambiente degli
Scapigliati, rappresentando in modo fortemente critico il mondo
aristocratico-borghese (Eva, 1873; Tigre Reale, 1873; Eros,
1875).
In
seguito alla scoperta del naturalismo francese matura la sua svolta decisiva
verso il verismo che sarà segnato dai racconti e dai romanzi di ambiente
siciliano (Vita dei campi, 1880; I Malavoglia, 1881; Novelle
rusticane, 1883; Mastro don Gesualdo, 1889). Lo scrittore crede nel
progresso ma si interessa ai vinti e ai deboli; la sua è una visione della vita
tragicamente pessimistica che si pone in antitesi con l'ottimismo imperante nei
suoi tempi.
Rappresenta
un mondo di primitivi in lotta con il destino avverso cui inesorabilmente
soccombono quando si staccano dalla religione, dalla famiglia e dal lavoro. Il
linguaggio verghiano è arditamente innovatore: dando spazio al linguaggio
dialettale riesce a raggiungere effetti di grandiosa coralità.
Alla
produzione narrativa si accompagnò quella teatrale, connotata sempre da
un'intensa drammaticità (Cavalleria rusticana, 1884; La lupa,
1884; In portineria, 1885; Dal tuo al mio, 1903).
Lo scrittore muore nella sua città natale nel 1922.
Prima produzione
verghiana
Verga
scrive i suoi primi romanzi tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni
Sessanta dell'Ottocento (Amore e patria, I carbonari della montagna,
Sulle lagune), opere ancora legate a un romanticismo patetico e
risorgimentale, frutto di un gusto un po' antiquato lontano dalle novità di
altri ambienti culturali.
Accortosi
della ristrettezza del mondo letterario catanese, Verga sente il bisogno di
entrare in contatto con le correnti più moderne e avanzate della cultura
italiana; dal 1865 compie viaggi a Firenze, capitale dell'Italia unificata, con
una grande voglia di successo e mondanità; è qui che ha i primi contatti con
artisti e letterati all'avanguardia, tra cui Luigi Capuana. In questa occasione
ha modo di rivedere e arricchire il suo modo di scrivere e di pubblicare i suoi
primi due romanzi, Una peccatrice (1866) e Storia di una capinera
(1871).
Nel
1872 si trasferisce a Milano, realtà più dinamica e stimolante al tempo
rispetto alla città toscana, di maggiore apertura internazionale, luogo
d'incontro privilegiato di artisti e intellettuali. Qui, oltre a Luigi Capuana
che lo raggiunge, frequenta Boito e Praga, inizia a leggere Balzac, Zola, ad avvicinarsi
al naturalismo francese. La produzione dello scrittore si intensifica
velocemente, pubblica Eva (1873), Eros (1874) e Tigre reale
(1875), romanzi d'ambientazione borghese, nei quali sono esplicite le influenze
del gusto tardo-romantico e scapigliato, accanto ai quali, però, nascono i
primi esempi di novelle e bozzetti di ambientazione siciliana, Nedda
(1874) e Padron 'Ntoni, il primo progetto per I Malavoglia
(1881).
I
romanzi del decennio 1865-1875 hanno subito incontrato il favore del pubblico e
sono stati fonte di buoni affari per gli editori dell'epoca; sono opere che
hanno molto in comune, innanzitutto la storia ruota, quasi sempre, intorno alla
figura di un artista provinciale trasferitosi in una grande città, in secondo
luogo si tratta di una sorta di autobiografia in cui l'autore vuole evidenziare
le conseguenze dovute all'incontro con un mondo corrotto, immorale, che
minaccia l'integrità del protagonista. Questo nuovo mondo è rappresentato sempre
dalle donne, dalla loro artificiale e diabolica bellezza. Tema ricorrente è,
infatti, il mistero dell'innamoramento, legato al fascino della lontananza e
all'illusione che si nasconde dietro la figura femminile; ma anche il mito
dell'apparenza: una volta caduti gli apparati scenici, nel momento in cui
subentra la quotidianità, la realtà della donna si rivela in tutta la sua
povertà e suscita repulsione. Nelle sue opere c'è la volontà di analizzare le
passioni, affinché si raggiunga il fine dell'arte che, per Verga, è la
rappresentazione del vero. Questo è spiegato dallo scrittore nella prefazione
ad Eva, in cui, tra l'altro, Verga polemizza con la società a lui
contemporanea, che considera salottiera, frivola, avida di piaceri. L'autore,
con i suoi valori provinciali profondi, è affascinato dalla città cosmopolita,
dalla sua eleganza e cultura, ma allo stesso tempo vi si sente a disagio e non
ne può accettare l'ipocrisia, l'egoismo, il culto del denaro. E' molto
significativo allora che la quasi totalità dei protagonisti, ormai sconfitti
nelle passioni e già "vinti" dalla vita, possa trovare pace solo tornando nel
paese d'origine, riscoprendo il valore della famiglia, andando ad abitare in
campagna, fuggendo così dai mali della città.
In
questi primi racconti la personalità dello scrittore non è ancora ben definita,
è influenzata da esperienze diverse; ad esempio, Una peccatrice risente
molto del romanzo psicologico mentre la narrativa milanese è ispirata ai
romanzi francesi d'appendice e fa emergere maggiormente l'intento di denuncia
della corruzione e immoralità della società.
Proprio Una peccatrice è stato il primo romanzo
di questo "ciclo mondano", definito così da Lo Castro; una vicenda che è frutto
della sensibilità tardo-romantica dell'autore, dell'idea di un amore passionale
e travolgente che può condurre unicamente alla disperazione o alla morte. Già
in questo racconto la donna è oggetto di desiderio solo per mezzo
dell'artificio: modi eleganti, abiti sfarzosi, forme esteriori. Con il
passaggio dal mondano al quotidiano il suo fascino decade e la passione
dell'uomo si spegne. La figura femminile si abbandona all'avventura con il
giovane romantico perché annoiata dalla vita mondana, un atteggiamento che lo
scrittore attribuisce alla società borghese con cui polemizza; la protagonista
mostra una maggiore capacità di lasciarsi andare alla passione, di non restarne
delusa e di rinunciare alla vita quando capisce che il fallimento è definitivo.
Per distaccare il lettore dall'estremo romanticismo del protagonista maschile,
è inserito un terzo personaggio, il medico Raimondo Angiolini, che analizza la
storia con il suo sguardo scientifico. Ancora manca l'ambientazione che Verga
riterrà invece necessaria nelle opere veriste, soprattutto per rendere la
verosimiglianza dell'azione; la vicenda si svolge, infatti, lontano dalla vita
comune. Non si può certo parlare di verismo, ma di realismo sì, anche se visto
con un'accezione negativa, come un difetto dei personaggi che va corretto e
superato.
Storia di una capinera fa parte di questa
produzione ma è un'opera più autentica, già in linea con i futuri romanzi veristi.
Scegliendo il tema della clausura forzata di una giovane ragazza, tema molto
attuale all'epoca, Verga cerca di far presa sul pubblico femminile borghese. Ma
la novità sta proprio nel raccontare la storia dal punto di vista di una donna.
I vezzeggiativi e i sentimentalismi, di cui il testo è pieno, sono le
espressioni di una ragazza per bene, quale è la protagonista e quali sono le
destinatarie del romanzo. Lo scrittore verista si nasconde dietro ai personaggi
e preferisce far parlare loro, con il limite della loro cultura e delle loro
esperienze. La forma epistolare con cui viene costruito il racconto aiuta a
rendere ancora più invisibile la presenza del narratore, risultando come un
lungo monologo nel quale la ragazza descrive tutte le sue emozioni e le sue
angosce.
Contemporaneamente
a questo romanzo Verga scrive Eva, poi terminato e pubblicato a Milano;
ci troviamo di nuovo a contatto con uno dei primi personaggi femminili
verghiani, che vivono passioni amorose travolgenti ma proiettate verso la
delusione e la sconfitta, si avvalgono dell'artificio, del mascheramento
estetico. Come in Una peccatrice, si percepisce molto bene il contrasto
tra artificio e natura, una natura considerata volgare, da cui alla fine si
fugge.
In Eros, a differenza degli altri romanzi di
questa stagione letteraria, la vicenda non è racchiusa nel racconto di un'unica
passione, bensì introduce un quadro più vasto della vita di un uomo;
l'intreccio è più movimentato, la visuale narrativa è allargata a più
personaggi. Viene rivelato l'intero corso dell'educazione sentimentale del
giovane protagonista, il quale, come esito, non otterrà altro che scetticismo.
Verga non concepisce un riscatto morale o una catarsi nei personaggi per
risollevarli dalla loro vita, consumata nelle passioni e nella vuota mondanità.
Già con questi romanzi lo scrittore sta maturando la consapevolezza delle
difficoltà che l'esistenza offre a tutti i livelli sociali. Anche chi, come il
marchese Alberti, ha il privilegio di godere di una buona cultura e una
posizione sociale invidiabile, è comunque vittima delle menzogne che la società
mondana gli offre con amori futili e passioni illusorie. Contro il modello di
una vita dissipata e incerta Verga pone la sincera e schietta condotta di
Adele, ricca dei valori sani e fermi della vita domestica, di cui godrà anche
il marchese, seppure per un breve periodo, accanto alla cugina. Le altre figure
femminili che le sono affiancate sono, al contrario, l'emblema della
frivolezza, come Velleda, o dell'infedeltà matrimoniale, come la marchesa
Armandi. Le sensazioni immediate del marchese si scontrano con il continuo
freno posto dall'etichetta sociale. Verga delega ad un narratore esterno il
compito di parlare dei personaggi. Ma il narratore, che si appresta a
raccontare la vicenda, non riesce ad approfondire la loro psicologia e la sua
capacità di analisi del comportamento umano si ferma alla pura osservazione.
Come lo stesso Verga ammetterà nei successivi romanzi, più si sale nella scala
sociale, più le passioni degli uomini sono celate e filtrate dalla compostezza
imposta dalle regole del vivere civile. Poiché, però, l'uomo è dominato dalle
passioni, lì dove vige il buon costume e il silenzio può nascondersi la
menzogna di un'emozione non confessata. Una logica di inganno e simulazione,
quindi, regola le convenienze e la buona educazione dell'alta società.
Successiva
alla pubblicazione di Eros si colloca l'uscita di Tigre reale,
scritto in due momenti distinti. La prima stesura si avvicina molto al modello
di Una peccatrice, raccontando la storia della passione tra un giovane e
una baronessa, e riprende alcuni elementi dal repertorio d'appendice, come
un'avventura con i briganti e altri colpi di scena. Nella seconda e definitiva
redazione, Verga mette in primo piano la famiglia, rappresentata dalla figura
della moglie Erminia. In lei sono racchiuse le virtù femminili e le doti della
dolcezza coniugale, caratteristiche che la rendono capace di saper resistere
alle passioni proibite, contrariamente al marito Giorgio. Costui è
continuamente attratto dal forte coinvolgimento sentimentale per la baronessa
russa Nata. Con questa opera, l'ultima del gruppo dei "romanzi mondani", il
narratore si distacca sempre più dalla vicenda. La sua figura è quella di un
confidente del protagonista che si limita a riferire le stravaganti
disavventure dell'amico mondano, mostrando al contempo la sua distanza dai suoi
frivoli comportamenti.
Verga verista
Lo
scrittore concepisce le prime sperimentazioni veriste pochi anni dopo il suo
trasferimento a Milano, capitale e centro di diffusione culturale dell'Italia
unita.
Già
nel 1874, contemporaneamente alla pubblicazione di romanzi mondani, escono la
novella Nedda e il bozzetto Padron 'Ntoni dove, per la prima
volta, i protagonisti sono di umili condizioni economiche inseriti nella dura
realtà di un piccolo paese siciliano.
Il
1878 è, però, l'anno chiave nella svolta letteraria di Verga, in cui una serie
di eventi contribuiscono al cambiamento. Appaiono le novelle Rosso Malpelo
e Fantasticheria, dove l'autore dichiara esplicitamente la sua nuova
poetica. Inoltre, nell'aprile dello stesso anno, espone, in una lettera a
Salvatore Paola Verdura, il progetto di realizzare un ciclo di romanzi,
intitolato Marea, dove si propone di indagare i meccanismi che scatenano
le passioni dell'animo umano dai più bassi ceti sociali fino a quelli più
elevati. L'anno precedente approda a Milano anche il suo amico Luigi Capuana,
con cui condivide le idee delle nuove sperimentazioni narrative provenienti
dalla Francia.
Negli
anni Sessanta, infatti, i circoli letterari milanesi sono animati da dibattiti
sulle nuove correnti culturali, sulla scia di quelli sollevati in Francia già
intorno alla seconda metà dell'Ottocento, su come rappresentare la realtà e su
come avvicinare il mondo letterario al vero. Negli anni successivi prende forma
in Italia il Verismo, un nuovo modello narrativo, vicino alle esperienze del
Naturalismo francese ma caratterizzato da sue autonome specificità.
Il
Verismo assume vari aspetti nelle mani di diversi scrittori. Tra questi spicca
soprattutto l'operato di Verga e Capuana i quali, assieme al loro conterraneo
De Roberto, vivono il Verismo legandolo saldamente al forte interesse per le
proprie realtà regionali. Pur attraversando esperienze diverse, i tre scrittori
siciliani sono accomunati dal desiderio di inserirsi nel mondo della cultura
unitaria e, allo stesso tempo, sono testimoni della peculiarità culturale e
della condizione emarginata degli isolani, concentrando nei loro racconti tutta
le realtà siciliane e facendone il luogo dell'immaginario collettivo.
Le
due novelle pubblicate da Verga nel 1878 confluiscono nel 1880 nella più ampia
raccolta intitolata Vita dei Campi, in cui lo scenario delle storie è
una Sicilia arretrata e repressa abitata da poveri contadini. Le novelle
introducono le figure più caratteristiche tra tutte quelle della lunga sfilata
dei personaggi verghiani: l'ingenuo pastore Jeli, il selvaggio e
malefico Rosso Malpelo, il focoso Turiddu di Cavalleria Rusticana
e la passionale Lupa. Gli uomini e le donne che compaiono nei suoi
racconti sono fatti di carne ed ossa e come tali rispondono ai più primitivi
istinti umani.
Verga
sostiene che la scelta di una narrativa basata su persone appartenenti alle
sfere sociali più basse sia la condizione necessaria per indagare le pulsioni
dell'agire umano. Secondo la sua poetica è più facile ricercare negli individui
umili i meccanismi che portano alle azioni poiché queste sono comandate da un
unico bisogno: l'istinto per la sopravvivenza. Al contrario nelle classi più
agiate le necessità dell'uomo sono diverse e velate dall'etichetta sociale. Il
personaggio "primitivo" di Verga vede nel nutrirsi l'unico gesto utile per
vivere e le altre funzioni, come il pensare o il sentire con l'anima, ne sono
subordinate. In questo si differenzia la produzione verista di Verga da quella
dei suoi primi romanzi, in cui i personaggi vivono per soddisfare capricci o
per seguire illusioni perdendo di vista i bisogni primari.
Sono
molteplici gli stimoli che hanno agito sulla svolta narrativa di Verga verista.
In passato la critica ha voluto individuare varie ragioni, da quelle di tipo
sociale e politico a quelle più legate all'esperienza personale dello
scrittore. Secondo quest'ultima la scelta di voler trattare il mondo povero
siciliano nasce da una repulsione provata negli anni milanesi nei confronti
dell'ambiente cittadino borghese, a cui è seguita una volontà di ritorno alle
origini. In base ad altre letture critiche fondamentale è l'influenza del
naturalismo francese esercitata sui circoli letterari della città.
E'
difficile, però, misurare quale di questi motivi abbia pesato maggiormente nel
passaggio da una letteratura mondana di successo ad una di ambientazione
siciliana popolare.
I
recenti studi tendono a ridimensionare l'apporto del naturalismo nelle opere
dell'autore; la narrativa naturalista e quella verghiana hanno molti punti di
contatto ma non hanno le stesse finalità.
Il
più importante punto in comune è la tecnica dell'impersonalità nel racconto: i
personaggi sembrano rivelarsi da soli attraverso i loro comportamenti e le loro
azioni. Con questo metodo il narratore è invisibile e prende in prestito, di
volta in volta, la voce dei personaggi attraverso il discorso diretto o il
discorso indiretto. La sua figura è parte integrante dell'ambientazione e
ragiona con gli stessi criteri con cui ragionano i personaggi facendo in modo
che il lettore riesca a crearsi un'idea di loro non mediata dal narratore.
Inoltre la storia segue il naturale corso degli eventi e si costruisce da sola,
basandosi direttamente sui comportamenti dei soggetti narrati.
Anche
il naturalismo nei suoi racconti attinge alle sfere sociali più basse, ma si
propone uno studio clinico delle forme dei sentimenti umani. L'arte non è il
punto di partenza ma il mezzo per rendere al meglio l'analisi esatta degli
eventi. Il fine dell'opera è quello di guarire le malattie dell'uomo o della
società facendone una dettagliata denuncia. Contrariamente, nella poetica di
Verga verista l'analisi dei personaggi non è realizzata con un approccio da
medico, né da scienziato, ma da semplice conoscitore dell'animo umano
Tuttavia
il Naturalismo deve aver rappresentato per Verga un grosso stimolo, anche
tenendo conto della presa che la nuova narrativa francese aveva sul pubblico.
Quando infatti Verga pubblica il suo primo esperimento verista, Nedda,
la borghesia cittadina era già abituata a leggere storie di realtà umili,
narrate dal Naturalismo francese. Passare, quindi, da contesti nobili e
borghesi a quello di una povera venditrice di olive non avrebbe rappresentato
un grosso trauma per i lettori dell'epoca, né apportato problemi al suo
successo.
La sua produzione verista è stata così motivata da una
duplice pulsione: da una parte la volontà di raccontare storie della sua terra,
dall'altra quella di farlo seguendo dei canoni che già in Francia stavano
sperimentando con successo.
Il Verismo
Il
Verismo è un movimento letterario che si diffonde in Italia negli ultimi
decenni dell'Ottocento e nei primi anni del Novecento.
Il
termine Verismo deriva dalla parola "vero": secondo i veristi lo scrittore ha
il compito di riprodurre la realtà in modo oggettivo e di far emergere la verità
senza esprimere giudizi né partecipare emotivamente.
Il
verismo si colloca in una epoca storica in cui trionfa la borghesia industriale:
in questi anni si fanno grandi scoperte scientifiche, si inventano nuove
macchine, come quella a vapore, c'è un continuo progresso della tecnica. È anche
l'epoca in cui si sviluppa la "questione sociale": le masse dei lavoratori
prendono coscienza dei loro diritti e delle disuguaglianze sociali e cercano di
lottare contro il capitalismo.
Il
Verismo ha le sue radici nel Positivismo e nel Naturalismo.
Il
Positivismo , il cui nome deriva dall'aggettivo "positivo", è un movimento
filosofico: i positivisti affermano che la ricerca della verità deve essere
fatta con il metodo scientifico sperimentale e rifiutano tutte le idee astratte
come ad esempio la religione.
Il
Naturalismo è una corrente letteraria francese, i cui maggiori autori furono
Emile Zola e Guy de Maupassant: essa ritiene che il romanzo debba essere un
documento oggettivo della realtà. Perciò il romanziere deve rappresentare tutti
gli aspetti della realtà, anche i più penosi e sgradevoli, nella maniera più
fedele possibile.
I
caratteri del Verismo sono:
il regionalismo: gli scrittori veristi analizzano le
realtà sociali tipiche di una regione;
il pessimismo, poiché esprimono una concezione
pessimista della vita del destino del popolo;
l'impersonalità perché rappresentano la realtà in modo
oggettivo, senza commentarla o interpretarla;
il linguaggio: gli scrittori veristi adottano la
lingua nazionale della gente semplice, senza però far ricorso al dialetto.
Il
Verismo si sviluppa a Milano, dove si ritrovano intellettuali di regioni
diverse. Così la Sicilia è descritta nelle opere di Giovanni Verga, la Campania
nelle opere di Matilde Serao, la Sardegna nelle opere di Grazia Deledda.