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La concezione moderna del lavoro
In età moderna, con la Riforma protestante l'aspetto servile del lavoro subisce un'ulteriore accentuazione, per arrivare poi alla concezione successiva del lavoro come pura utilità strumentale. Nella Riforma si dichiara l'universalità del lavoro come universale servitù dell'uomo.
Santoni Rugiu[1] ricorda che Calvino sosteneva l'assoluta predestinazione del genere umano e che quindi era azione inutile pregare e operare nella speranza di
ottenere la salvezza eterna. Gli uomini devono comunque testimoniare quotidianamente la loro fede come preciso dovere di rispondere alla vocazione divina, quindi al compito terreno che gli è stato dato. Sempre Santoni Rugiu riporta una frase di Calvino "Dio comanda a ciascuno di noi di rispettare con il massimo rigore la sua vocazione in ogni azione della sua vita (.). Dunque, ognuno di noi deve avere chiaro che la propria condizione è come una consegna che viene da Dio. È quindi necessario pensare sempre che la vocazione è principio e orientamento fondamentale che ci governa in tutto"[2].
Calvino, inoltre, abrogò la regola cattolica che il dare denaro a prestito con interesse era peccato e capovolse l'idea che non era degno occuparsi di affari finanziari. È nota la teoria di Max Weber che sottolinea la relazione esistente fra
la diffusione del protestantesimo e la nascita del capitalismo. Rugiu[3] sostiene che il nesso esiste ed è evidente, non come causa effetto, ma come correlazione. I germi del capitalismo esistevano già all'epoca di Calvino, tra i movimenti sociali legati all'attivazione di traffici in seguito alle scoperte geografiche, all'allargamento dei mercati e via dicendo. Esiste anche un altro nesso, in genere trascurato e cioè quello fra protestantesimo e adattamento alla condizione non remunerativa, una volta che essa era considerata come volontà di Dio. Molti protestanti non erano uomini di successo, altri falliranno o ricadranno in povertà e non per questo si sentiranno in colpa, l'importante era continuare a svolgere la volontà di Dio e vivere con intatta moralità e partecipare al benessere materiale e spirituale della comunità.
Il calvinismo sollecita in tutti uguale impegno morale, indipendentemente dalla fortuna, uguale istruzione e ricerca della verità, in vista di un destino che potenzialmente è uguale per tutti. Lo spirito calvinista ha inoltre contribuito a fortificare un'altra componente che sarà tipica dell'educazione moderna: l'autodisciplina e quindi l'autoeducazione, la responsabilità personale della condotta, così la coscienza intima sia il primo e vero tribunale per ognuno.
Con Comenio si consolida 'l'idea di una cultura il più possibile unitaria e messa alla portata di tutti'[4], così da poter raggiungere l'educazione universale di tutta l'umanità; egli, infatti, ci presenta una proposta che interpreta in chiave pedagogica la teologia rispetto alla filosofia calvinista. Anche Giorgio Bocca fa notare come Comenio ponga attenzione all'azione operosa alla portata di tutti, giungendo a concepire il fare concreto delle mani "come essenziale al fine di determinare lo sviluppo armonioso delle facoltà umane" . Tutti gli uomini devono imparare a conoscere le cose, a comprenderle e a servirsene appropriatamente; l'istruzione diventa essenziale al raggiungimento di questo obiettivo. Il lavoro assume per Comenio molteplici funzioni: è importante amare il lavoro, allontana l'uomo dall'ozio; se tutti si dedicassero al proprio lavoro, tutti vivrebbero nell'agio, distanti da furfanterie; il lavoro è fonte di vita dignitosa; è altresì modalità didattica, poiché "è facendo che si deve imparare a fare. Gli artigiani non intrattengono i loro apprendisti con lezioni teoriche, ma li mettono subito all'opera, perché imparino a forgiare forgiando" .
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