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Valorizzare le risorse umane significa sviluppare e pretendere che i collaboratori sviluppino, a fianco delle capacità strategiche, tecnologiche, commerciali, anche quelle particolari capacità che fondono e generano tutte le altre, soprattutto in periodi di cambiamento.
Il termine "risorse umane" si sta sempre più diffondendo nel linguaggio aziendale, andando il più delle volte a sostituire la "vecchia" nozione di "personale". Distinguere tra "personale" e "risorsa" significa distinguere tra "dipendenti" - intesi come "collaboratori" che producono merci ed erogano servizi - e "collaboratori" che diventano "risorse" in funzione di ruoli lavorativi che assumono nell'impresa e attraverso cui contribuiscono al raggiungimento degli obiettivi economici.
Una risorsa deve avere delle caratteristiche precise:
Deve "creare valore";
Deve essere "posseduta" e "controllata";
Deve essere "valutata" in termini economici.[1]
Ne consegue che anche le persone che lavorano in azienda, essendo appunto "risorse" umane, devono soddisfare tali aspetti.
Con un approccio di "gestione delle risorse umane" (Human Resource Management HRM), le persone che lavorano all'interno dell'azienda non sono più viste come dei costi, ma come delle risorse e delle opportunità di crescita.
All'origine si parlava di "forza lavoro", in analogia con la forza motrice, e in tale ottica il lavoro era un costo che si doveva ridurre. Intorno agli anni Sessanta, si è cominciato a parlare di "lavoratori" distinguendo tra operai, impiegati e dirigenti. Essi rappresentavano sempre un costo, ma meno governabile a causa dei contratti di lavoro.
Successivamente si è coniato il termine "risorse umane". Da un punto di vista culturale
il lavoro è oggi visto come un investimento. Non è più un costo d'esercizio, ma un costo di capitale. Il lavoro diventa patrimonio aziendale.[2]
Il passaggio successivo alle persone è dato da un cambiamento culturale drastico: entrano nell'impresa i sentimenti, che sono i valori che riescono a motivare e stimolare le persone.
Secondo autori quali Stewart[3], è avvenuto un salto epocale nello stile di direzione: "Si è passati dalla gestione delle risorse umane alla valorizzazione delle persone."
Dal momento che la fonte primaria di vantaggio competitivo è data dalla capacità di "produrre sistematicamente umana conoscenza" (Camuffo, 1996), il "capitale umano", inteso anche come formazione, esperienza, capacità di giudizio, di decisione e di relazione, è tra le risorse di diversa natura sulle quali si fonda il successo di un'impresa, quella più difficile da imitare. Essa si compone di diversi elementi quali il know-how tecnico, organizzativo, gli stili di direzione, e si tratta di aspetti propri di una certa azienda generati dalla stessa cultura d'impresa. E' in pratica il risultato di relazioni interpersonali, di fenomeni socialmente complessi che non è possibile spiegare, scomporre e tanto meno replicare. Si parla di "capitale umano" e non fisico o finanziario perché non è possibile separare una persona dal suo personale bagaglio di conoscenze, dalle sue abilità, dal suo stato di salute o dai suoi valori, come si può invece fare trasferendo i beni finanziari o fisici lontano dal loro proprietario.
Quella che è stata definita la "rivoluzione del capitale umano" è iniziata circa trent'anni fa. Fra i suoi pionieri troviamo Ted Schultz, Jacob Mincer, Milton Friedman, Sherwin Rosen, e numerosi altri professori dell'Università di Chicago.[5]
Il concetto di "capitale umano" viene ancora considerato con sospetto all'interno dei circoli accademici che fondano la loro analisi del sociale sulla convinzione che il capitale sfrutta il lavoro. E' facile comprendere i problemi generati dal concetto di capitale umano: infatti, se il capitale sfrutta il lavoro, anche il capitale umano lo sfrutta? Ci sono lavoratori che ne sfruttano altri? Ma il mondo, oggi, è molto cambiato e il concetto di capitale umano è entrato nell'uso comune, non solo nella sfera delle scienze sociali, ma persino nei mass media.
L'istruzione e la formazione sono i più importanti investimenti in capitale umano. La tensione all'apprendimento non può che derivare dalla propensione a vedere e pensare in modo diverso rispetto al passato, da una cultura capace di mettere in discussione e cambiare i propri paradigmi e quindi di rinnovarsi costantemente. E' necessario realizzare una vera trasformazione organizzativa e culturale.
In tale contesto, il direttore del personale deve sganciarsi da una logica di prevalente gestione di risorse e diventare il responsabile dello sviluppo e della crescita della conoscenza nell'organizzazione. Deve superare il modello tradizionale della direzione del personale per evolvere in quello dell'Intellectual capital manager. In tale accezione il manager è un "allenatore", è colui che garantisce la vitalità dell'impresa e quindi la sua tensione all'apprendimento.[6] Il nuovo direttore del personale, ad esempio, deve guidare questa trasformazione, formando le persone e promuovendone la crescita. Deve saper ascoltare, consigliare, aiutare, guidare e motivare, oltre che valutare le potenzialità delle persone. Deve altresì creare le condizioni che favoriscano la massima espressione del potenziale di ogni individuo. L'approccio tradizionale si basa sulla "conformità"; l'approccio moderno su "impegno, responsabilità e reciprocità".
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Conformità |
Impegno/Responsabilità reciprocità |
Contratto psicologico |
Equo giorno lavorativo Per un Equo compenso |
Impegno e responsabilità reciproche |
Luogo di controllo |
Esterno |
Interno |
Principi organizzativi |
Meccanici Formali/Definizione dei ruoli Top- down Accentramento |
Organici Flessibilità dei ruoli Bottom-up Decentramento |
Relazioni di lavoro |
Pluraliste Collettive Bassa fiducia |
Unitarie Individuali Alta fiducia |
Obiettivi |
Efficienza amministrativa Standard di Performance Minimizzare i costi |
Work force adattabile Miglioramento delle performance Massimizzare uso risorse |
Fonte: CASTELLI F., "Perché si crea valore attraverso le persone", Ticonzero, n. 22 luglio/agosto 2001
Nella realtà aziendale l'uomo non viene considerato come semplice variabile strutturale, ma come autentico principio di eccellenza.[7]
Un'impresa che opera all'interno di un sistema innovativo non può reggere in modo durevole alla concorrenza se non è in grado di riorientare strategicamente la propria formula imprenditoriale. E questo implica che le varie aree funzionali si correlino sinergicamente in una visione unitaria ed armonica all'interno della missione aziendale.
L'innovazione deve estendersi a tutte le risorse costituenti il patrimonio tecnologico, commerciale, direzionale. Si fa riferimento, soprattutto, ai radicali mutamenti di mentalità, che devono coinvolgere con un grado di particolare intensità le risorse dell'uomo.
Per poter competere in modo duraturo è necessario non solo rinnovare impianti e prodotti, ma anche coinvolgere intelligenze e volontà. Precisamente per un processo innovativo non è sufficiente saper pianificare, orientare e decidere, occorre anche attuare e realizzare, con la partecipazione di tutte le persone presenti nel processo aziendale.
L'analisi del capitale umano presuppone che l'istruzione faccia aumentare gli stipendi e la produttività principalmente fornendo alle persone la conoscenza e la capacità e insegnando loro ad analizzare i problemi. Il vero limite di una tale impostazione è che alle imprese interessa relativamente conoscere i voti scolastici dei candidati. Ad esse importa vedere cosa le persone sono in grado di fare, qual è il loro comportamento nel contesto della vita lavorativa, in rapporto alla disciplina imposta in fabbrica, al bisogno di soddisfare i clienti e di andare d'accordo con i compagni di lavoro, per esempio.[8]
Naturalmente, l'istruzione e la formazione avvengono anche al di fuori delle scuole, in particolare nei posti di lavoro.
Consistenti sforzi devono essere dedicati in ambito aziendale alla manutenzione culturale, finalizzata ad un coerente sviluppo delle risorse umane. Sforzi di accrescimento culturale in azienda che devono tenere in considerazione la necessità di comunicare e di diffondere all'interno della stessa un flusso di informazioni più ricco ed adeguato. Si arriva a "fare cultura" anche quando si riesce a creare un sostrato concettuale comune, quando si giunge a concepire la comunicazione come dialogo, relazione e intersoggettività. La cultura e la formazione aiutano anche a far fronte ai cambiamenti tecnologici e alla nuova produttività nel settore manifatturiero e dei servizi. Studi recenti hanno messo in luce che le industrie che si evolvono più velocemente attraggono i lavoratori meglio istruiti e forniscono una migliore formazione sul lavoro.
Innovativo è quell'imprenditore che sa aprire le intenzioni dei suoi uomini al bene economico aziendale considerato in sé e in rapporto agli altri obiettivi sociali, competitivi, di sviluppo, coniugando di volta in volta interessi individuali con quelli collettivi, competenze personali con quelle di gruppo, in una comune tensione di crescita.
BACCARANI C., Corso di Tecnica industriale e commerciale, Università degli Studi di Verona, Anno accademico 1998/1999
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