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FRANCESCO BACONE
Nacque a Londra nel 1561 e si dedicò alla vita politica sotto il regno di Elisabetta I e di Giacomo I fu gran cancelliere del torbido periodo dei rivolgimenti politici inglesi. Nel 1620 fu accusato di corruzione e incarcerato ma l'anno successivo venne graziato ed egli si ritirò dalla vita politica per dedicarsi agli studi. Delle sue molte opere ricordiamo: novum organon (incompiuto). Bacone si ricollega alla tradizione positiva delle scuole inglesi instaurate da Ruggero Bacone (1200). Il principale intento di Francesco Bacone è di dare un'indirizzo pratico alla ricerca scientifica. Conoscere è dominare la materia, penetrare i suoi segreti, le sue energie intime per utilizzarle al servizio dell'uomo. La scienza deve svilupparsi nella tecnica, nella creazione di metodi e strumenti per l'utilizzazione di nuove forze e leggi scoperte. Sotto questo aspetto Bacone può essere considerato il precursore del moderno tecnicismo forse più che l'ideatore del metodo sperimentale di indagine scientifica benché le sue dottrine si rivelino utilissime anche nell'organizzazione del metodo sperimentale.
All'inizio del diciassettesimo secolo gli studiosi si dividevano in due correnti principali; da una parte gli scolastici, ed in genere gli aristotelici, legati alla dottrina di Aristotele e fedeli alla sua parola, dall'altra coloro che ricercavano le nuove vie di indagine sperimentale talvolta affascinati dalla magia, dall'alchimia e dalle altre forme più o meno occulte d'indagine della natura. Bacone critica entrambe le correnti prospettando un nuovo criterio più efficace e razionale la sua critica è esposta in un'allegoria; gli studiosi sono divisi in due gruppi:
Così gli scolastici e gli aristotelici costruiscono i loro sistemi con la tela dei loro oggetti e categorie e non sanno trovare nulla di nuovo oltre a ciò che può risultare nelle analisi dei medesimi concetti. Perciò si esauriscono e la loro dottrina diventa sterile, incapace di autentico progresso. Lo studioso che vuole veramente progredire deve imitare le api, le quali preparano il loro alveare ma pio vanno alla ricerca del nettare per sintetizzare il miele. Così lo scienziato deve costruire un metodo scientifico razionale nella propria mente ma poi deve arricchire il suo sapere con l'esperienza e renderlo fecondo inquadrandolo nel suo metodo. In questo modo egli potrà unire i vantaggi dell'esperienza con quelli delle inquadrature logiche della ragione. A tale scopo Bacone prepara la sua istauratio mània, la sua rivoluzione scientifica, dettando le leggi generali per attuare il desiderato rinnovamento. La sua principale, il novum organon, doveva essere la nuova logica che avrebbe sostituito quella di Aristotele, perciò egli diede ad essa quel nome in opposizione all'organon di Aristotele. L'opera non fu mai completata ma ci rimane l'esposizione dei criteri fondamentali del nuovo metodo.
IL NUOVO ORGANO
Il metodo proposto da Bacone comprende due parti:
Momento negativo o pars destruens
Il nuovo metodo si propone come primo risultato di liberare la mente da tutti i pregiudizi e le illusioni che impediscono la chiara ed esatta osservazione dei dati sperimentali e trattengono lo studioso dal ricercare nella prova dei fatti la conferma di tante osservazioni accettate comunemente senza nessuna revisione critica. Bacone chiama Idola tali pregiudizi e illusioni perché tengono legato a sé l'uomo quasi con idolatrica venerazione; come gli idoli antichi erano creazioni della fantasia umana ma non di meno erano adorati come fossero veri dei, così i pregiudizi frutto della fantasia umana sono accettate dall'uomo come assoluta verità. L'uomo immola agli idoli delle sue illusioni e dei suoi pregiudizi la sua stessa intelligenza invece di abbatterli con le armi della critica. Bacone enumera quattro classi di idoli:
Bacone propone un vero rivoluzionamento della mentalità dello studioso, ma siamo ancora nella fase negativa. Dopo aver distrutto bisogna ricostruire.
Momento positivo o pars costruens
Liberata la mente dai pregiudizi si può intraprendere fruttuosamente la ricerca seguendo la nuova dottrina dell'induzione o ricerca sperimentale. L'esperienza non può essere passiva limitandosi a constatare quello che accade, ma deve essere attiva, deve essere ricerca dalla natura o dalle leggi dei fenomeni sperimentati. I dati materiali, perciò, per l'esperienza devono essere controllati e organizzati severamente per essere certi della loro esattezza e del loro significato. Bacone propone tavole di raccolta e di selezione dei dati empirici:
Le tavole servono per analizzare il fenomeno nei suoi elementi costitutivi e nelle sue circostanze. Tale analisi serve soprattutto per stabilire il nesso di relazione tra i diversi elementi del fenomeno stesso e vedere come si riferiscono tra di loro; quali sono cause e quali effetti; quali sono essenziali e quali puramente concomitanti senza nessun nesso causale.
MOMENTO CONCLUSIVO
Compilate le tavole si tratta di concludere cioè di definire la natura di un essere o di stabilire il nesso causale tra i due fatti. Dall'analisi delle tavole si deduce una prima ipotesi: se ne cerca la verifica mediante successivi esperimenti: istanze prerogative. La prova decisiva si chiama istanza cruciale perché indica esattamente il rapporto necessario tra il fenomeno studiato e uno degli atti al quale è stato riferito. Qualora l'ipotesi non si verifichi si passa ad un'ulteriore ipotesi e così di seguito fino alla verifica sperimentale.
GALILEO GALILEI
Nacque a Pisa nel 1564. Si dedicò allo studio delle matematiche e insegnò nell'università di Pisa e di Padova. Sostenne energicamente la teoria eliocentrica di Copernico e volle provarla contro le obiezioni degli scienziati legati al geocentrismo tolemaico. La controversia fu portata dal terreno scientifico a quello teologico perché gli avversari dell'eliocentrismo pretendevano di trovare nella bibbia argomenti di autorità contro l'eliocentrismo e a favore del geocentrismo mentre Galileo dal canto suo cercava di interpretare i passi contestati in suo favore. La cosa interessò il tribunale del santo uffizio che nel 1619 condannò l'eliocentrismo come dottrina filosoficamente assurda e teologicamente pericolosa. Galileo poteva ritenerla quale ipotesi di studio, ma gli si proibiva di insegnarla. La passione per la scienza impedì a Galileo l'esecuzione delle imposizioni ed egli riprese la polemica specialmente contro il gesuita Padre Grassi (1623). Nel 1633 il santo uffizio condannava nuovamente Galileo costringendolo a ritirarsi dall'insegnamento e a vivere appartato nella sua villa di Arcetri presso Firenze. In questo ritiro lo coglie la morte a 78 anni nel 1642. Da alcuni anni era cieco. Delle molte sue opere ricordiamo: "Il dialogo sopra i suoi massimi sistemi" e "il dialogo delle scienze nuove".
L'AUTONOMIA DELLE SCIENZE
Galileo vive in un paese cattolico nel clima politicamente teso e rigido della controriforma. E' sua preoccupazione fondamentale precisare l'oggetto e l'ambito della sua dottrina, distinguendo l'ambito delle scienze positive sia dalla fede che dalla filosofia. Le scienze sperimentali si distinguono:
MATEMATICISMO E MECCANICISMO
Galileo, appassionato cultore della matematica considerava questa scienza come la più certa poiché fondata sulla necessità razionale, la quale è identica in Dio e negli uomini. Dio è il grande matematico che ha creato tutte le cose in peso, numero e misura, secondo l'espressione della bibbia. Lo studio efficace della natura, perciò deve consistere nell'applicazione delle leggi matematiche ai dati sperimentali, perché la matematica non è un esercizio logico senza contenuto, ma è l'espressione razionale dell'ordine e delle relazioni insite nelle cose. Questa convinzione rivoluziona il campo delle scienze con l'introduzione del metodo sperimentale.
L'applicazione della matematica alla fisica da origine alla visione meccanicista del mondo materiale. La matematica è essenzialmente misurazione, cioè riferimento di una serie di dati ad un dato principale considerato come un punto di riferimento o unità di misura; il rapporto tra l'unità di misura e gli altri dati è espresso dal numero. La misurazione richiede la commensurabilità delle cose che si vogliono misurare e la commensurabilità richiede l'omogeneità perché non si possano misurare cose eterogenee. Se le cose che si vogliono misurare non sono omogenee per natura è necessario ridurle a fattori omogenei e soltanto allora si possono misurare. La realtà fisica è composta di esseri eterogenei che non possono essere misurati tra di loro se prima non sono ridotti a fattori omogenei. Tale riduzione trova nei corpi due soli fattori omogenei: la massa (estensione) e l'energia (il moto). Conseguentemente dalla visione matematicista-scientifica del mondo materiale, viene esclusa ogni considerazione qualitativa che si riferisca a diversità esenziali costituenti la natura specifica e i diversi esseri. Un cavallo e un uomo, in questa visione, perdono le differenze essenziali della loro specie e rimangono come due masse diverse aventi energie diverse, ma soltanto quantitativamente diverse, cioè una massa e un'energia minore o maggiore o diversamente orientata. La visione meccanicista voluta da Galileo per i suoi intenti scientifici e per esigenze di metodo non esclude la diversa interpretazione della realtà data dalla filosofia o dalla religione, ma non viene considerata valida nell'ambito delle finalità che la scienza sperimentale si propone. Il meccanicismo di Galileo perciò non è materialista e filosofico ma puramente scientifico e metodologico come richiesto dalle esigenze del metodo sperimentale. Galileo riprende la distinzione già posta da Demolito tra qualità primaria (estensione, moto, peso, ecc.) che sono proprie dei corpi e quindi oggettive e le qualità secondarie (calore, sapore, odore, ecc.) che sono sensazioni umane e quindi soggettive.
METODO INDUTTIVO
Galileo ha il merito di essere stato l'ideatore e l'ordinatore del metodo induttivo. Francesco Bacone aveva dato preziose direttive per l'organizzazione di un metodo sperimentale veramente scientifico, ma l'intento principale dell'inglese era l'applicazione pratica delle scoperte scientifiche ed egli non poteva portare il contributo della propria maturità di cercatore. Galilei costruisce il suo metodo sulle proprie esperienze di studioso collaudandole con il duro lavoro di anni di indagine e garantendone l'efficacia con risultati concreti mediante esso ottenuti. Egli sostituisce all'esperienza spontanea l'esperimento vero e proprio, il quale non segue più il corso normale dei fenomeni naturali, ma provoca situazioni, circostanze e reazioni nuove ideate dallo sperimentatore per ottenere con assoluta certezza la verifica delle conclusioni che l'esperienza suggerisce. Il suo metodo si svolge in tre momenti o fasi:
L'aspetto nuovo del metodo di Galilei, consiste dunque, nella verifica e nella tecnica di essa, cioè nella combinazione di circostanze, situazioni, di reazioni artificiali, tendenti a provocare il ripetersi del fenomeno esaminato soltanto nel caso in cui l'ipotesi sia giusta. Tutte le scienze moderne si fondano su questo metodo induttivo e basano le loro conclusioni non sull'esperienza diretta dei fatti, sull'osservazione, ma sulla verifica. Il progresso delle scienze positive è proporzionale al progresso della tecnica dell'esperimento. Galileo è l'eroico sostenitore dell'eliocentrismo. Le teorie sull'eliocentrismo, sull'omogeneità dell'universo erano già state avanzate da altri, contro le predominanti teorie aristoteliche sul geocentrismo e sulla divisione dell'universo, un mondo sopralunare e sublunare, ma nessuno si era impegnato a fondo nella dimostrazione, ne aveva creato nuovi mezzi d'indagine che potessero portare nuovi argomenti a favore delle teorie antiaristoteliche. Galileo ha il suo merito di aver creduto e combattuto per liberare la cultura dai pregiudizi che incatenavano la scienza alla tradizione aristotelica. Per Galileo tutto l'universo è omogeneo e non ci sono sfere sostanzialmente diverse. I corpi pesanti cadono per la forza di attrazione su di essi esercitata dalla terra ed in genere tutti i corpi dell'universo si attirano con una forza direttamente proporzionale alla loro massa e inversamente alla loro distanza. Questa dottrina non è meno rivoluzionaria dell'eliocentrismo e completa la visione meccanicista dell'universo fisico.
RENATO CARTESIO
Nacque a Haye in Tureine nel 1596 da famiglia nobile; venne educato nel collegio gesuita da Le Flèshe e ne uscì esacerbato (esasperato) contro la scolastica decadente alla quale era stato iniziato. Si dedica alla carriera militare negli eserciti imperiali nella guerra dei 30 anni. Nel 1619 durante i quartieri d'inverno nella Baviera ha la rivelazione del suo metodo. Nel 1629 abbandona l'esercito e si ritira in Olanda per dedicarsi agli studi; nel 1649 si reca a Stoccolma alla corte della regina Cristina di Svezia; muore in quella città l'anno successivo nel 1650. Della vasta produzione delle sue opere ci interessano: Discorso del metodo (1637) e le Passioni dell'anima (1649). Cartesio fu educato nella religione cattolica e rimane sempre fedele al cattolicesimo, benché i facili contatti con il mondo protestante gli dessero un'autonomia di pensiero che lo pose in contrasto con la mentalità (in)tollerante cattolica della controriforma. Fu, avversario irriducibile della scolastica e contro di essa rivolse gli strali (strale = freccia) della sua critica. La sua dottrina filosofica ebbe inizialmente l'intento di sostituire la scolastica decadente, in lui domina la mentalità del matematico, poiché la sua genialità rifulse soprattutto nella matematica dove egli portò validissimo contributo allo sviluppo dell'algebra.
IL PROBLEMA DEL METODO
Egli vuole introdurre il metodo matematico nella filosofia spinto dai risultati eccellenti già ottenuti nel campo delle scienze. Presupposto fondamentale della sua filosofia è:
La crisi della filosofia è dovuta ad errore di metodo nel procedimento filosofico. Qualora si applichi alla filosofia un metodo preciso, analogo a quello delle matematiche, avremo anche nella filosofia, l'ordine, l'armonia e l'accordo raggiunti nella matematica. Il metodo matematico è assolutamente apolitico, cioè parte da una principio di assoluta evidenza a si svolge per deduzione da questo principio. E' necessario, perciò, trovare il principio assolutamente certo della filosofia e da questo ricostruire tutto il sapere filosofico. La ricerca di un principio assolutamente evidente esige che si pongano in discussione tutte le dottrine ritenute certe, è necessario ripartire da zero. Se questo è possibile in campo teoretico non è prudente farlo in campo pratico, perché ci sarebbe il pericolo di cadere nell'anarchia morale e politica. Cartesio, pertanto, propone una morale provvisoria che regoli la vita personale e sociale, fino a quando non si sarà costruita la morale ascientifica. Tale morale provvisoria è tradizionalista e conformista. Dobbiamo vivere secondo le usanze comuni, le tradizioni e le consuetudini sulle quali è fondato l'ordine costituito. L'uomo non deve pretendere che tutto il mondo si pieghi al suo volere, ma deve adattarsi al modo di sentire e di volere della maggioranza comportandosi secondo le norme della consuetudine. Messa al sicuro la vita morale e politica dall'anarchia individualista Cartesio detta le norme del nuovo metodo:
Stabilite queste norme si passa al dubbio metodico vero e proprio. Il dubbio metodico non è necessariamente il dubbio reale, ma è la sospensione del giudizio in vista di una revisione critica delle emozioni comunemente accettate. Si dubita per metodo, con uno scopo preciso, non per distruggere il sapere come facevano gli scettici ma per trovare la fonte della certezza. Il dubbio metodico richiede che si possano porre in dubbio tutte le conoscenze: dei sensi, della ragione, del mondo circostante e delle verità matematiche.
L'AUTOCOSCIENZA
Cogito, ergo sum: penso quindi sono. Tutto può essere messo in dubbio e la mente può eliminare ogni convinzione, ogni presunta scelta. In questo dubbio radicale una cosa non può essere inclusa, anzi è resa sempre più chiara dal dubbio stesso: la coscienza del mio pensiero. Quanto più respingo questa certezza tanto più si impone alla mente e si fa chiara e distinta. Se dubito, penso e non posso dubitare che pensando. Cogito! Ecco l'evidenza assoluta, la realtà del mio pensiero è indubitabile; il dubbio stesso l'afferma, poiché dubitare è pensare. L'intuizione del Cogito non è ristretta al puro pensiero, "Cogito ergo sum = penso quindi sono", include nella medesima intuizione anche il fatto della mia esistenza personale. Io penso, cioè esisto come essere individuale pensante. Il Cogito ergo sum è una pura intuizione, indivisibile, inseparabile, ugualmente chiara e distinta: è autocoscienza, intuizione originaria del proprio essere personale. L'intuizione del Cogito, da anche un criterio generale della certezza, perché non posso dubitare della mia esistenza di essere pensante? Perché ho di essa un'idea chiara e distinta. Conseguentemente il mio dubbio cadrà ogni volta che io mi troverò dinanzi a idee chiare e distinte. In esse devo porre il criterio generale della certezza e se lo trascurassi cadrei fatalmente nell'illusione e nell'errore. Non di meno il criterio dell'idea chiara e distinta si presenta subito insufficiente perché procedendo nell'analisi mi accorgo che ho l'idea chiara e distinta soltanto del mio essere e non delle altre cose, sulle quali posso sempre dubitare. Devo trovare perciò un supremo criterio di certezza che mi liberi da ogni perplessità. Tale criterio lo si trova partendo sempre dal Cogito che è la certezza prima ed assoluta per me.
DAL COGITO A DIO
L'autocoscienza mi presenta come un essere che pensa, ma dubita. Il dubbio è espressione vivente di imperfezione e limitatezza, infatti, se fossi perfetto e infinito non dubiterei, ma avrei l'assoluta certezza della verità, perché il mio pensiero sarebbe la verità somma. La coscienza della mia imperfezione implica l'idea chiara e distinta dell'essere perfettissimo, perché altrimenti non potrei considerarmi imperfetto; l'imperfezione è correlativa alla perfezione e non si può avere l'idea dell'una senza avere l'idea dell'altra. L'essere perfettissimo, però è Dio quindi l'autocoscienza mi porta alla conoscenza di Dio. Come si può provare che Dio realmente esiste? Cartesio porta alle seguenti prove:
L'essere perfettissimo esiste ed io lo intuisco come mia causa; ma se egli mi ha dato l'essere mi ha anche dato le idee chiare e distinte che sono insite nella mia mente. Se esse non fossero vere Dio, mi ingannerebbe; sarebbe il genio maligno di cui temevo all'inizio del mio dubbio. Questa ipotesi però contrasta con l'idea di perfezione propria di Dio, perciò devo escludere che Dio mi possa ingannare e devo ritenere vere e certe le idee chiare e distinte. La veracità di Dio è supremo criterio di certezza e mediante essa posso essere certo di quelle idee chiare e distinte che prima potevo pensare inganni di un genio maligno. Acquisto così la certezza dell'esistenza del mondo esterno che le mie idee mi rappresentano.
L'ERRORE
La raggiunta certezza della validità della nostra conoscenza urta contro l'evidenza di ogni giorno: l'errore. Se io mi sia dato le idee ed esse sono veraci come è possibile l'errore? Si impone una distinzione tra le idee:
Dio ci ha dato le idee innate e la sua veracità è garanzia di certezza soltanto per esse. Le idee avventizie sono certe nella misura della loro chiarezza e distinzione, cioè nella misura in cui derivano dalle idee innate come i teoremi di matematica derivano dai postulati di prima evidenzia. Le idee fittizie non hanno valore conoscitivo. L'intelletto è infallibile, perciò, quando giudica le idee chiare e distinte ed è fallibile in caso contrario. La fallibilità dell'intelletto pertanto non dipende da deficienza intrinseca della facoltà intellettiva, ma dall'influsso della volontà, la quale sotto la spinta della passione costringe l'intelletto a giudicare prematuramente le idee non sufficientemente chiare e distinte. Cartesio dunque riprende la dottrina augustiniana dell'ateoreticità dell'errore, secondo la quale, l'intelligenza è di persè infallibile nel suo ambito e l'errore nasce solo dall'influsso esterno della volontà; il problema dell'errore viene trasferito dal piano teoretico a quello morale.
DUALISMO METAFISICO
Raggiunta la certezza dell'esistenza nostra, di Dio e del mondo, Cartesio procede all'analisi della natura delle cose, partendo dall'idea di sostanza che è il primo attributo essenziale riferito dalla filosofia classica a Dio, all'uomo al mondo. Sostanza in senso proprio è ciò che esiste senza bisognare di null'altro per esistere. Tale definizione che Cartesio costruisce modificando quella scolastica e attribuibile propriamente solo a Dio, il quale esiste per natura sua senza dipendere da nessun altro essere, poiché da lui tutto procede; perciò solo Dio è sostanza in senso proprio. L'idea di sostanza, tuttavia, è attribuibile anche agli esseri creati sia pure in senso improprio e imperfetto; infatti, anch'io esisto per me stesso in forza del mio essere personale, benché l'abbia ricevuto da Dio. Quindi gli enti finiti sono sostanze nel senso che hanno un'esistenza propria, individuale, e dipendono solo da Dio causa universale. Per determinare la divisione delle sostanze create Cartesio si riferisce nuovamente all'autocoscienza. Nel Cogito l'essere personale dell'uomo si presenta con dualità:
Queste due idee, pensiero ed estensione, sono irriducibili ed ugualmente chiare e distinte; conseguentemente tutte le sostanze finite si riducono a due serie assolutamente diverse: Sostanze spirituali e Sostanze materiali (la cui essenza è estensione).
IL MECCANICISMO
Galileo aveva dato una visione meccanicista del mondo corporeo riducendo i corpi a massa in movimento; Cartesio invece, da al suo meccanicismo valore propriamente filosofico, metafisico. Non soltanto egli considera i corpi come massa in movimento, ma riduce tutta la loro natura all'esenzione (massa) e le loro proprietà al movimento. Il meccanicismo di Cartesio pertanto, non è metodologico ma propriamente metafisico poiché egli intende definire la natura intima dei corpi. A tale meccanicismo Cartesio arriva seguendo il suo principio dell'idea chiara e distinta. L'autocoscienza definisce l'uomo come essere pensante, tutto quello che appartiene all'attività cosciente è incluso nel Cogito, è pensiero (anche le sensazioni, il sentimento, la volontà). Il corpo non può essere ridotto al pensiero perché è sentito e non senziente; è una realtà totalmente diversa da ogni forma di coscienza. L'idea chiara e distinta che ci rappresenta il corpo e la materia è soltanto quella di estensione e non abbiamo altra idea chiara e distinta del mondo inferiore al pensiero le altre idee sono fittizie. L'idea di estensione definisce quindi l'essenza della materia e dei corpi mentre l'idea di movimento definisce l'unica loro proprietà essendo l'unica idea di azione che non includa la coscienza. Appare quindi chiaro che il meccanicismo cartesiano è filosofico e deriva dal suo principio filosofico: l'idea chiara e distinta. Anche la distinzione tra qualità primarie e secondarie viene inserita nel meccanicismo filosofico, infatti, le qualità primarie sono proprietà derivanti dalla natura dei corpi cioè dall'estensione, mentre le qualità secondarie sono dati di coscienza che appartengono al pensiero.
L'UOMO
Il dualismo metafisico di pensiero ed estensione è applicato all'uomo riprendendo la distinzione platonica di corpo e anima. Tutto ciò che appartiene alla coscienza e proprio dell'anima; il corpo umano è una macchina perfettissimo massa dall'anima. Il dualismo pone il problema delle relazioni tra anima e corpo. Esse sono vitali nel senso che l'anima e il corpo costituiscono un "sinolo" come per Aristotele. L'anima conosce il corpo come causa delle sue sensazioni e lo muove mediante la volontà. Questa mozione è possibile perché l'anima risiede nel centro del cervello (ghiandola pineale) dove affluisce tutta l'attività meccanica del corpo. Il corpo causa le sensazioni dell'anima, mediante gli stimoli meccanici che arrivano al cervello. Le sensazioni sono atti della sola anima e l'idea stessa di corpo mediante la quale l'anima conosce il proprio corpo non è causata direttamente dal corpo, ma è innata. Inoltre il corpo condiziona l'azione esterna dell'anima la quale essendo spirito non può comunicare con il mondo esterno se non mediante le passioni. L'etica di Cartesio è fondata sulla sua concezione dell'uomo; poiché l'aspetto fondamentale ed essenziale dell'uomo è dato dall'anima strettamente unita al suo corpo, l'etica interesserà direttamente l'anima e solo indirettamente il corpo nella misura in cui questo influisce nelle azioni dell'anima. Il Cogito è insieme pensiero e volontà e la volontà è la parte attiva dell'anima. L'unione dell'anima con il corpo causa la passività dell'anima cioè gli influssi che gli spiriti vitali esercitano in essa. Nella ragione abbiamo le sensazioni e le immaginazioni, nella volontà abbiamo le passioni. Come la vita intellettuale dell'uomo, cioè la scienza consiste nel distinguere l'idea chiara e distinta dalle immagini confuse della sensibilità, così la vita morale, consiste nel dominio della volontà sulle passioni. L'uomo è libero perché la volontà può agire senza subire la costrizione di agenti esteriori, siano oggetti esterni o influssi del corpo. Questo dominio è assicurato alla volontà a patto che si lasci guidare dalla ragione. Vivere moralmente è vivere secondo ragione, sottomettere la volontà alla guida della ragione e le passioni al dominio della volontà. Passioni fondamentali sono: tristezza e gioia.
Odio verso l'oggetto che ci rende tristi,
Timore, desiderio di sfuggire a tale oggetto,
Ira, desiderio di respingerlo.
Amore verso l'oggetto che ci rallegra,
Desiderio di averlo se non è presente.
Le passioni non sono in se collettive perché la volontà può indirizzarle al bene. Tuttavia Cartesio le considera una schiavitù per l'anima. Il sapiente deve liberarsene, lasciandosi guidare solo dalla ragione tanto che la volontà dominata dalla passione può indurre la ragione nell'errore e così privarsi della guida sicura. Se le passioni dominano la volontà, questa induce l'intelletto nell'errore; l'errore porta a sua volta la volontà al male facendola agire secondo un giudizio falso. Per questo i ragionamenti dei viziasi sono diretti al male e legano ancora più l'uomo al suo vizio, poiché l'anima dominata dalle passioni rende la ragione stessa schiava delle passioni.
L'OCCASIONISMO
Cartesio ebbe molti discepoli in campo ecclesiastico; ad essi si deve l'instaurazione di una scolastica cartesiana, cioè di un movimento teologico che si servì delle dottrine di Cartesio per risolvere problemi della teologia tradizionale cattolica. Nel secolo 17° si agitava in campo teologico la controversia sul rapporto tra grazia divina e libertà umana ( gesuiti e domenicani si trovarono al centro degli opposti schieramenti. La controversia sulla grazia si dibatte a lungo e si polarizza sui problemi della presenza divina e della predestinazione. Il fulcro del problema era di spiegare come si poteva conciliare la presenza divina con la libertà umana, tenendo presente che nel pensiero dei teologi la scienza divina è causa del creato ed è infallibile nei suoi decreti.). I cartesiani più convinti aderivano al giansenismo e sembrava loro che la dottrina di Cartesio meglio di ogni altra avrebbe potuto conciliare il primato della grazia con la libertà dell'uomo. Le radici dell'occasionalismo si trovano nel dualismo cartesiano tra anima e corpo. Nell'uomo corpo e anima sono due sostanze del tutto diverse perché l'anima è Res cogitans, mentre il corpo è pura estensione. Come sono possibili i rapporti tra l'una e l'altra sostanza? Cartesio aveva affermato che le due sostanze influiscono reciprocamente, ma non aveva esaurientemente spiegato il modo. I cartesiani negano la reciproca causalità tra l'anima e il corpo osservando che le azioni dell'uno sono soltanto cause occasionali delle azioni dell'altro e viceversa. In questo consiste l'occasionalismo, il quale riducendo ogni causalità particolare all'universale causalità di Dio, sul piano naturale, poteva attribuire alla grazia divina il primato sulla libertà umana, senza distruggerla, poiché la libertà umana in se stessa era frutto della causalità di Dio.
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