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Emile Durkeim
Biografia
Nasce in una famiglia modesta ma erudita di ebrei praticanti e, anche a causa delle
responsabilità derivategli dalla morte del padre, rabbino,
avvenuta lui neppure ventenne, sviluppa un carattere impegnato e severo e la
convinzione che al progresso intellettuale gli sforzi e le sofferenze contribuiscano
più delle situazioni piacevoli. L'esperienza di vita di Durkeim è fortemente
condizionata dalla sconfitta della Francia contro
Nel 1902, diventa titolare della cattedra di scienza dell'educazione alla Sorbona, che, nel 1913, prenderà il nome di cattedra di educazione e sociologia. Vicino al partito socialista, dreyfusardo, fermamente convinto dell'evoluzione parallela dei progressi scientifici e tecnici da un lato e dei progressi sociale e morali dall'altro, ma anche dell'armonizzazione razionale e pacifica delle relazioni tra nazioni, cade nella disperazione all'atto della deflagrazione del conflitto mondiale del 1914 che infranse questo suo ottimismo intellettuale e che inghiottì numerosi collaboratori e anche il figlio André, nel 1916. Durkheim sopravvive alla sua morte solo un anno: morirà infatti nel 1917. Al di là dell'ambito prettamente accademico, le tesi durkheimiane si diffusero in Francia, in ambito storico (scuola delle Annales ), linguistico (Ferdinand de Saussure) ed etnologico grazie a Marcel Mauss. Furono introdotte nei paesi anglosassoni da R. Radcliffe-Brown (scuola di Chicago) e Br. Malinowski (Gran Bretagna), ma sotto una forma mutilata (la teoria funzionalista di Malinowski) o molto semplificata (la concezione del rito di Radcliffe-Brown). Le teorie di Durkheim conoscono un rinato interesse a partire degli anni '50 del Novecento, soprattutto per via del suo rifiuto dello psicologismo e per i suoi lavori di sociologia della conoscenza.
Introduzione
E.Durkheim è il
fondatore della scuola sociologica francese. Le due opere più importanti di
Durkheim. sono pietre miliari della cultura umanistica moderna: 'La divisione
del lavoro sociale' e 'Sociologia del suicidio'.
Ne 'La divisione del lavoro' il sociologo distingue tra
solidarietà meccanica e solidarietà organica. La prima appartiene alle società
primitive, in cui legami e vincoli sociali sono strutturati da una coscienza
collettiva comune, la cui elevata intensità provoca sia reciprocità tra i
membri e soccorso immediato nel momento del bisogno di uno di essi, che
repressione per chi trasgredisce le norme e i principi vigenti.
La solidarietà organica invece è propria delle società moderne, in cui esiste
una ripartizione di ruoli complessa, dovuta all'interdipendenza e ad
un'accresciuta divisione del lavoro. Se la società moderna ha come pregio
quello di permettere una maggiore libertà di scelta agli individui, dall'altro
lato si possono riscontrare fenomeni come l'alienazione, la riduzione dell'uomo
a macchina nella grande industria, la perdita dei piccoli gruppi e la comparsa
delle folle.
Nella società moderna
microcosmi sociali si intersecano e si compenetrano, le reti dei rapporti
informali si intrecciano caoticamente con le reti dei rapporti informali. Allo
stesso tempo la giornata tipo di un cittadino sembra essere suddivisa in due
parti nettamente distinte: le relazioni lavorative, improntate sulla gerarchia
e sull'esecuzione di ordini, e il tempo libero, in cui idealmente dovrebbe
gestire i suoi veri interessi.
Per Durkheim quindi una maggiore divisione sociale del lavoro non comporta solo
la presenza della solidarietà organica, ma anche problematiche difficili da
affrontare e risolvere. La riduzione dell'uomo a macchina nella grande
industria ad esempio per il sociologo è determinata da una divisione errata del
lavoro: dalla divisione anomica del lavoro. Non solo, ma per Durkheim esiste
anche la divisione costrittiva del lavoro, che è propria di società in cui ai
cittadini non vengano date in partenza le stesse opportunità di crescita
individuale e di istruzione.
Nell'opera 'Sociologia del suicidio' Durkheim non esclude, come molti
erroneamente potrebbero pensare, le cause di natura psichica, che secondo la
psichiatria moderna determinano l'estremo gesto, ma mette in luce sopratutto il
rapporto tra scarsa coesione sociale(definita 'anomia') e suicidio.
La società moderna per Durkheim è caratterizzata da una crisi del rapporto tra
individui, dal disordine delle norme sociali e tutta questa sregolatezza
collettiva porta alcuni soggetti più predisposti a sopprimersi.
Tra egoismo e anomia
Durkheim propone una prima e incompleta definizione: "si chiama suicidio qualsiasi tipo di morte che derivi mediatamente o immediatamente da un atto positivo o negativo compiuto dalla vittima stessa".
Considerando l'intenzionalità una categoria sostanzialmente insondabile, Durkheim pone l'elemento del "sacrificio sicuro della vita", come tratto distintivo del suicidio. Può dunque proporre una seconda, e definitiva, definizione: "si chiama suicidio qualsiasi tipo di morte che derivi direttamente o indirettamente da un atto positivo o negativo compiuto dalla vittima stessa, la quale sapeva che esso doveva produrre tale risultato". Pertanto, la ricerca dello studioso esclude il suicidio degli animali, per via del fatto che la nostra limitata comprensione della loro intelligenza preclude la possibilità di una rappresentazione dei processi della loro mente.Durkheim afferma, sulla base delle sue ricerche e delle sue indagini sul tasso di mortalità-suicidio, che "ogni società, in ciascun momento della sua storia, ha una determinata tendenza al suicidio". considerato perciò, che questa tendenza si verifica in ogni società, allora l'analisi di tale "predisposizione" deve esser studio di competenza della Sociologia.Lobbiettivo dunque non è inventariare le condizioni compresenti nella genesi dei suicidi individuali: ma evidenziare quelle che costituiscono il "tasso sociale" dei suicidi.
"sociologia e suicidio
Il libro "sociologia e suicidio" è strutturato in tre parti: la prima, "I fattori extrasociali", è dedicata all'analisi dell'influenza delle cause extrasociali e delle cause propriamente sociali. La seconda, "Cause sociali e tipi sociali", indaga la natura delle cause sociali e i loro rapporti con gli stati individuali corrispondenti alle diverse specie di suicidi. La terza, "Il suicidio come fenomeno sociale in genere", ha carattere di sintesi e approfondimento dei rapporti tra suicidio ed altri fatti sociali, e propone un nuovo atteggiamento nei confronti del male del nostro tempo: l'anomia.
I FATTORI EXTRASOCIALI
Durkheim sostiene che due siano le cause extra-sociali alle quali si attribuisce la capacità d'incidere sul tasso dei suicidi: le disposizioni organico-psichiche (costituzione individuale) e la natura dell'ambiente fisico (clima, temperatura e via dicendo).
Durkheim giudica la follia una malattia e, in parte, un fenomeno sociale. È una malattia variabile, sensibilmente, a seconda dei popoli. Tuttavia,è difficile stabilire una stretta connessione tra alienazione e suicidio. Non necessariamente l'alienato è suicida: del resto, non dobbiamo dimenticare che presupposto chiave della definizione di suicidio, per Durkheim, è la "presenza a se stesso" del suicida. Pertanto, al di là dell'opportunità o meno di forzare le interpretazioni dei dati, la ricerca di Durkheim non può che enfatizzare l'assenza di connessione tra quella che giudica una malattia (la follia) e il suicidio.
Riferendosi alle categorie adottate da Jousset e Moreau de Tours, Durkeim classifica i suicidi degli alienati in quattro tipologie:
Nel caso dei non alienati, Durkheim riflette a proposito dell'incidenza della nevrastenia come - se non innesco - "humus" del suicidio. Considerando il dolore come "scossa troppo forte del sistema nervoso", e il nevrastenico alla stregua d'un ipersensibile per via della sua peculiare fragilità, lo studioso non esclude che la nevrastenia possa contribuire al suicidio; tuttavia in maniera non determinante, o almeno non esclusiva. Infatti: "in una società, la cui organizzazione è definita, l'individuo può mantenersi solo a condizione d'avere una costituzione mentale e morale ugualmente definita. Questo è proprio quel che manca al neuropatico". Ovviamente, nell'ottica durkheimiana, è la società contemporanea - e la vita nelle grandi città, in particolare - ad aver determinato la proliferazione dei nevrastenici.
Sulla base delle statistiche analizzate, lo studioso non manca di ricordare come il suicidio sia più diffuso nelle
città che nelle campagne; che sia più frequente nelle classi più colte e
agiate; particolarmente diffuso tra gli uomini (rapporto uomini-donne:
Il suicidio è estraneo a qualunque concetto di "ereditarietà". Il suicidio è una attitudine: una
predisposizione dell'individuo innescata dall'ambiente famigliare e dalle
vicissitudini della vita sociale.
CAUSE SOCIALI E TIPI SOCIALI
Nell'ambito dell'indagine sulle cause sociali, Durkheim, servendosi d'una quantità di dati impressionante,conclude che, l'incidenza della società coniugale sull'immunità degli uomini sposati sia minima; e che siano invece la società religiosa, domestica e politica ad avere un'influenza moderatrice sul suicidio.
A proposito delle religioni, di particolare interesse risulta l'analisi dei dati legati ai suicidi tra i protestanti. Durkheim paragona cattolicesimo, ebraismo e protestantesimo, e osserva come il cattolicesimo pretenda "una cieca sottomissione della coscienza" e come la variazione sia "in orrore" al suo pensiero; questo tratto distintivo è alieno allo spirito del libero esame di coscienza protestante. Quanto all'ebraismo, l'analisi potrebbe essere inficiata dalla cultura originaria dello studioso, figlio e nipote e pronipote di rabbi: tuttavia, considerando il suo problematico rapporto con la fede originaria, è encomiabile percepire e riconoscere l'equilibrio e il primitivo distacco nell'interpretazione dei suicidi tra i suoi fratelli. Suggestiva e tragica l'interpretazione che vuole che ridotto sia il numero dei suicidi, tra gli ebrei, per via della solidarietà derivata dalle barbare persecuzioni dei cristiani. Fascinosi gli excursus legati alla sostanziale assenza di norme riservate al suicidio nella Bibbia.
Tre sono i tipi di suicidi analizzati in questa parte del
libro: il suicidio egoistico, il
suicidio altruistico, il suicidio anomico. Il suicidio egoistico deriva
da un'eccessiva affermazione dell'io individuale a danno dell'io sociale: è un
segno del nostro tempo, contraddistinto da un eccessivo individualismo. Il
suicidio altruistico è diviso in tre varietà: "il suicidio altruistico
obbligatorio, il suicidio altruistico facoltativo, il suicidio altruistico
acuto, di cui il suicidio mistico è il modello perfetto. In queste tre diverse
forme, esso contrasta, nel modo più impressionante, col suicidio egoistico.
L'una è legata alla dura morale che ritiene cosa da nulla quello che interessa
solamente l'individuo; l'altra è solidale a quell'etica raffinata che mette
così in alto la personalità umana da non volerla subordinata a nulla. Fra le
due varietà vi è perciò tutta la distanza che separa i popoli primitivi dalle
nazioni più colte" Il suicidio anomico è il rovescio della medaglia del
suicidio egoistico.
Non dipende da come gli individui entrano a far parte di una società: ma da
come ne sono sottomessi. Dipende dal disordine della nostra società: non dalle
crisi economiche o dalle fasi di recessione, ma - più in generale - dalle fasi
di trasformazione e di frantumazione dell'equilibrio sociale. Da tutto quel che
turba l'ordine collettivo: scrive Durkheim: "ogni rottura d'equilibrio,
anche se apportatrice di un maggior benessere e di aumento della vitalità
generale, spinge alla morte volontaria"
In conclusione: "il suicidio egoistico deriva dal fatto che gli uomini non trovano più una ragion d'essere nella vita; il suicidio altruistico, dal fatto che questa ragione gli sembra al di fuori della stessa vita; il suicidio anomico, dal fatto che la loro attività non è più regolata, e ne soffrono". Non possiamo parlare, in sostanza, di "un suicidio": Durkheim è persuaso che molteplici, complesse e spesso antitetiche siano le cause dei suicidi. Rimedi non ne esistono: argini, probabilmente sì. Ma: "solo il contatto diretto delle cose può dare agli insegnamenti della scienza quella precisione che non hanno. Una volta stabilita l'esistenza del male, in cosa esso consista e da cosa dipenda, quando conosceremo, di conseguenza, i caratteri generali del rimedio ed il punto in cui dovrà esser applicato, l'essenziale non è aver formulato un piano che prevede tutto: l'essenziale è mettersi risolutamente all'opera" (E. Durkheim, 1897).
Della divisione del lavoro
In Della divisione del lavoro sociale, Durkheim si domanda come mai l'individuo diventa sempre più autonomo e al tempo stesso viene sempre più a dipendere dal resto della società. Infatti, lo sviluppo dell'individuo che caratterizza la modernità non è accompagnato da un indebolimento dei legami sociali, ma piuttosto da un cambiamento di questi ultimi. Le società premoderne (prive della divisione del lavoro) non conoscono spazi per le differenze e per le individualità, le unità sociali stanno insieme perché sono tutte simili e ugualmente sottoposte all'unità di grado superiore di cui fanno parte (l'individuo alla famiglia, la famiglia al clan, il clan alla tribù).
E' una solidarietà "meccanica", come quella delle molecole di un corpo inorganico: e che sia una solidarietà meccanica appare evidente non appena si considerino i sistemi giuridici che vigono all'interno delle società premoderne, che sono tutti sistemi che adottano sanzioni repressive contro chi viola le leggi. Al contrario, nelle società moderne, in cui fortissima è la divisione del lavoro, ogni individuo e ogni gruppo svolge funzioni diverse: la solidarietà non si fonda più sull'uguaglianza ma sulla differenza; gli individui e i gruppi stanno infatti insieme perché nessuno è autosufficiente e tutti dipendono da altri. E gli stessi sistemi giuridici mirano non a reprimere, bensì a ristabilire l'equilibrio infranto da chi ha violato le norme (sono cioè sanzioni restitutive).
Questo tipo di solidarietà è detta "organica" da Durkheim. Interrogandosi sui fondamenti del consenso sociale che stabilizzano le società, Durkheim intende dimostrare che l'anomia crescente nelle società moderne industriali non è una mera fatalità ma è da mettere in stretta connessione con l'instaurazione, modifica e sviluppo di una morale corrente, di un sistema di valori condiviso e con la loro degenerazione.
A tale scopo Durkheim studia i tipi principali di stratificazione sociale in funzione del loro modo di determinare la coesione sociale. Fondamentale è a tal proposito la nozione di solidarietà, ovvero la coscienza sempre più interiorizzata che gli individui hanno di convivere in società e di sposarne i valori fondativi-aggregativi. Secondo Durkheim, con una legge di complessità strutturale crescente, sotto l'influenza del fattore demografico, le società passano dalla prevalenza della solidarietà "meccanica" a quella della solidarietà "organica".
Ma l'aumento in volume e in densità della popolazione ha realmente un effetto soltanto in virtù della densità "morale" o "dinamica" (numero e frequenza degli scambi sociali), la cui crescita causa a sua volta l'evoluzione dei quadri sociali. La solidarietà meccanica è caratterizzata dalla giustapposizione di segmenti sociali equivalenti (ordini, clan), e l'accettazione da parte dei singoli dei presupposti della coesione collettiva tramite funzioni repressive. In questo stadio gli individui vengono colti per somiglianza e la personalità individuale è assorbita in quella collettiva.
In quest'ambito prevale un diritto di tipo prescrittivo (o penale). Il vincolo di solidarietà sociale al quale corrisponde il diritto repressivo è quello la cui rottura costituisce il reato; chiamiamo così ogni atto che, in qualche grado, determina contro il suo autore la reazione caratteristica denominata pena. La solidarietà organica si manifesta attraverso la differenziazione di funzioni specializzate (altrimenti detta divisione del lavoro) che implica la cooperazione cosciente e libera degli agenti sociali, quindi lo sviluppo della contrattualizzazione delle relazioni sociali e la nascita dello Stato moderno democratico, centralizzato, gestionale, e la conseguente concezione dell'individuo come persona. In quest'ambito prevale l'adozione di un diritto di tipo restituivo (o privato).
Più specificamente per diritto restituivo Durkheim intende un sistema definito che comprende il diritto domestico, il diritto contrattuale, il diritto commerciale, il diritto delle procedure, il diritto amministrativo e costituzionale. Le relazioni regolate da tali diritti sono completamente diverse dalle precedenti: esse esprimono un concorso positivo, una cooperazione che deriva essenzialmente dalla divisione del lavoro. Durkheim riconosce alla divisione del lavoro soprattutto un carattere morale. Infatti in virtù di essa l'individuo ridiventa consapevole del suo stato di dipendenza nei confronti della società e del fatto che da questa provengono le forze che lo trattengono e lo frenano. In una parola, diventando la fonte eminente della solidarietà sociale, la divisione del lavoro diventa anche la base dell'ordine morale.
Le regole del metodo sociologico (1895)
La stesura dello scritto Della divisione del lavoro sociale del 1893 indusse Durkheim a misurarsi con le categorie da lui impiegate in quello scritto: in particolare, a domandarsi quali fossero e come funzionassero, in concreto, le "regole del metodo sociologico". Non tutto è "sociale" in una società: e il fatto sociale - ossia "l'integrazione degli individui in una comunità morale di significazione" - è poi irriducibile ai fatti psicologici e biologici. Si tratta di un fatto collettivo, obiettivo, non soggettivo né mentale, e rispondente a "leggi sociali" autonome dalla psicologia e dalla biologia.
"Quando adempio ai miei compiti di fratello, di coniuge o di cittadino quando onoro gli impegni che ho contratto, io eseguo dei doveri che sono definiti fuori di me e dei miei atti, nel diritto e nei costumi. Proprio quando sono d'accordo con i miei sentimenti più profondi e ne sento interiormente la realtà, questa non cessa di essere oggettiva; poiché i miei doveri non sono io ad averli fatti, ma li ho ricevuti con l'istruzione [.] La caratteristica essenziale dei fatti sociali consiste nel potere che essi hanno di esercitate dall'esterno una pressione sulle coscienze degli individui. [.] Un fatto sociale si riconosce dal potere di coercizione esterno che esso esercita o è suscettibile di esercitare sull'individuo".
E' dunque la coercizione o sanzione (contrainte) ai voleri dell'individuo che istituisce il fatto sociale. Posso decidere di portare le scarpe appese al collo, ma la riprovazione collettiva, non il fatto in sé, mi scoraggerà dal farlo.
D'altra parte, una società si manifesta come un "tutto": in ciò riposa l'olismo durkheimiano. Non è il risultato della somma di individui o di gruppi: è un luogo in cui le norme sono funzione dell'interdipendenza delle sue componenti (olismo). È vero che la società è composta da individui: ma è anche vero che essa è qualcosa di più che la semplice somma di individui, alla luce del fatto che "aggregandosi, penetrandosi, fondendosi, le anime individuali danno vita ad un essere (psichico, se vogliamo) che però costituisce un'individualità psichica di nuovo genere". Detto altrimenti, nel caso della società, "è la forma del tutto che determina quella delle parti" (in opposizione a Durkheim, Max Weber muoverà dai singoli individui per spiegare la società).
Per questo motivo, bisogna guardarsi dallo spiegare i fatti sociali come frutto dei fatti psichici degli individui: piuttosto, nella maggior parte dei casi, i fatti psichici sono il "prolungamento" (così dice Durkheim) di fatti sociali all'interno della coscienza. Ciò appare evidente se, come suggerisce Durkheim, prestiamo attenzione al caso del matrimonio: è l'organizzazione sociale del matrimonio che fa nascere i sentimenti parentali, e non viceversa. Si può così valutare la normalità o il carattere patologico di un fatto sociale soltanto riportandolo al proprio contesto, alla tipicità esibita dalla società osservata in un periodo dato della propria evoluzione strutturale.
Di più: ogni società è un insieme di "fatti morali", una combinazione sui generis di istituzioni. Con istituzione, Durkheim designa ogni forma organizzata - famiglia, istruzione, giustizia - tesa ad un fine sociale, una funzione, che il criterio d'utilità non definisce né spiega: in effetti, "l'organo è indipendente dalla funzione", poiché "le cause che lo hanno posto in essere sono indipendenti dal fine a cui tende". L'analisi di Durkheim implica che se l'intersezione dei gruppi, l'interdipendenza costante delle istituzioni determinano il sociale, tutto, in una società, non dipende dalla funzione.
Così si trova in anticipo negato ogni valore esplicativo alle teorie funzionaliste del sociale nelle quali ogni item - idea, abitudine, oggetto, ecc. - è ritenuto, in quanto esistente, atto ad adempiere un fine necessario che si raggiungerebbe in un'unità fuori dalla storia: la soddisfazione di bisogni psicobiologici fondamentali. Al contrario, per Durkheim, se l'essere umano ha una capacità indefinita di desiderio, ed è ciò che segnalano i periodi d'anomia, l'espressione dei bisogni è sempre socialmente condizionata. Essi insomma non esistono fuori dalla società e solo in essa si soddisfano.
Durkheim farà delle istituzioni il suo oggetto primario di studio perché sono particolarmente obiettivabili, distinguono le società umane delle società animali e attestano l'unità del tipo umano. La sociologia comprenderà la morfologia sociale, che studia il substrato della vita collettiva (forma e ripartizione del gruppo sul territorio, dell' habitat, delle comunicazioni), e la fisiologia sociale, che studia la genesi ed il funzionamento delle istituzioni, le "correnti sociali libere", fonti delle trasformazioni o della creazione delle istituzioni.
Obiettività dei fatti sociali
Proporre "di considerare i fatti sociali come delle cose", come fa Durkheim, non significa assimilarli a fatti materiali o classificarli in questa o quella categoria del reale, ma invitare a osservarli proprio come delle cose, le quali si oppongono all'idea come ciò che si scorge dall'esterno rispetto a ciò che si coglie dall'interno.
Ora la "familiarità" che ciascuno intrattiene con la sua società grazie a formulazioni "spontanee" (è spontaneo portare le scarpe ai piedi), le prenozioni, diffuse in ogni società e più o meno razionalizzate, sono, per Durkheim, "il primo ed il più grande ostacolo" alla comprensione scientifica dei fenomeni sociali, poiché sono essi stessi un fenomeno sociale. Inoltre, rappresentazioni e pratiche collettive soverchiano l'individuo con il loro numero, non sono perché gli preesistono e gli sono trasmessi attraverso l'educazione, ma anche perché esercitano su di lui un ascendente, un' autorità morale. Poiché l'introspezione conduce a razionalizzare degli "a priori", occorre abbordare i fenomeni sociali "staccati dai soggetti coscienti che se li rappresentano, "isolarli dalle manifestazioni individuali», cioè «studiare il fatto sociale con il fatto sociale".
Nella Divisione del lavoro sociale, Durkheim
individuerà le forme della solidarietà sociale attribuendo loro quelle del
diritto, individuabili ed analizzabili per mezzo delle sanzioni prevalenti. La
generalità o la frequenza di un ordine di fenomeni, la costrizione/sanzione
(contrainte) che esercitano possono fungere da indicatori ma non ne danno né la
definizione né
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