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VAN GOGH e "I MANGIATORI DI PATATE"
VITA E OPERE
Mentre Gezanne e Seurat portavano l'impressionismo a uno stile più severo, classico, Vincent van Gogh (1853-1890) seguì la direzione opposta, convinto che l'impressionismo non consentisse all'artista una sufficiente libertà per esprimere le sue emozioni. Van Gogh non si accontentava di ciò che egli considerava il superficiale naturalismo di questo gruppo che lui pensava ora ingannasse il pubblico più compiacendone il gusto che educandone lo spirito. Poiché questa libertà era la sua massima aspirazione, egli è stato talvolta definito "espressionista", ma l'attributo va riservato a un gruppo di pittori successivi. Van Gogh, il primo grande maestro olandese dal diciassettesimo secolo in poi, non si diede alla pittura fino al 1880 e morì solo 10 anni dopo. Dapprima si interessò alla letteratura e alla religione, profondamente insoddisfatto dei valori morali della società industriale e animato da spirito missionario, fu per qualche tempo predicatore laico tra i miseri lavoratori delle miniere di carbone. Questo stesso senso di solidarietà verso i poveri si ritrova nei dipinti del suo periodo pre-impressionista, dal 1880 al 1885. E' questo il periodo olandese detto delle "opere nere". E qui si pone il suo ultimo capolavoro : "I mangiatori di patate" (1885). Un anno dopo a Parigi, dove suo fratello Theo dirigeva una galleria d'arte moderna, conobbe Degas, Seurat e molti altri artisti francesi di primo piano. L'effetto che tali incontri produssero su di lui fu elettrizzante: ora i suoi quadri fiammeggiavano di colore; sperimentò perfino per breve tempo la tecnica divisionista di Seurat. Questa fase impressionistica durò tuttavia meno di due anni benché fosse d'importanza vitale per la sua evoluzione artistica. Le esperienze acquisite nei primi anni gli permisero di rivelare completamente il suo genio. Parigi gli aveva aperto gli occhi sulla inebriante bellezza del mondo visibile e gli aveva insegnato il linguaggio pittorico delle macchie di colore, nondimeno la pittura rimaneva per lui il veicolo delle sue emozioni più segrete. Per esprimere questa realtà spirituale con i nuovi mezzi allora a sua disposizione, si recò ad Arles, nella Francia Meridionale. Fu là che, tra il 1888 e il 1890, dipinse le sue opere maggiori.
Come Gezanne, Van Gogh in seguito dedicò ogni sua energia creativa alla pittura di paesaggio, ma la campagna mediterranea arsa dal sole suscitò in lui una sensazione del tutto diversa: egli la vedeva piena di movimento, non di stabilità e di solidità architettonica. Nel suo "Campo di grano e cipressi", terra e cielo sono pervasi da un fremito di estrema violenza: il campo di grano pare un mare in tempesta, gli alberi scaturiscono dal terreno come fiammate e le colline e le nubi s'innalzano con il medesimo moto ondeggiante. Il dinamismo contenuto in ogni pennellata fa di ciascun elemento non solo un gruppo di colore, ma un incisivo testo grafico.
Per Van Gogh era il colore, e non la forma, ha determinare il contenuto espressivo dell'opera pittorica. Le lettere che durante questo periodo indirizzò al fratello parlano molto delle sue scelte cromatiche e del valore emotivo che attribuiva loro. Pur ammettendo che il suo impulso ad "esagerare l'essenziale e lasciare indeterminato ciò che è ovvio" facesse apparire i suoi colori arbitrari nei confronti dei canoni impressionisti, rimase tuttavia attaccato al mondo visibile. A paragone del "Fiume" di Monet i colori del "Campo di grano e cipressi" sono più carichi, più puri e più vibranti, ma non certo - e in nessun senso - innaturali. Ci parlano di quel "regno della luce" che Van Gogh aveva trovato nel sud, della sua fede nella forze creatrici che animano ogni forma di vita: una fede mistica non meno ardente del fanatismo religioso dei suoi primi anni. Il missionario era ora divenuto profeta. Lo vediamo in questo ruolo nell'"Autoritratto" (fine agosto 1889), il volto emaciato, luminoso, con gli occhi ardenti sottolineati da ombre scure. "Voglio dipingere uomini e donne con qualcosa di eterno che l'aureola simboleggia", scriveva al fratello, tentando di definire l'umana essenza che si proponeva di togliere in quadri come questo. Gli autoritratti sono quasi come un ossessivo diario intimo; così come nelle nature morte i semplici oggetti diventano simboli di una realtà vitale: le sue scarpe sembrano alludere al girovagare incessante che lo porta, tappa dopo tappa, più vicino alla tragedia finale; la pipa, i libri sono la testimonianza dei pochi momenti di riposo. Questi oggetti vengono ad essere una specie di autoritratto morale del pittore, oggetti che conservano lo spirito di chi li tocca.
Quando dipinse l'"autoritratto", aveva già cominciato a soffrire di crisi di follia che gli rendevano sempre più difficile dipingere. Disperando della possibilità di guarire, un anno più tardi si toglieva la vita, comprendendo che soltanto l'arte poteva rendere la sua esistenza degna di esser vissuta.
I MANGIATORI DI PATATE
"I mangiatori di patate" è l'ultimo capolavoro del periodo olandese o delle "opere nere". Mentre gli impressionisti dipingevano gli aspetti della vita moderna, Van Gogh rappresentava come un antico fiammingo la vita povera dei contadini olandesi. Quando si osserva nel suo complesso l'arte di Van Gogh nel periodo olandese, con le opere dipinte in patria, e che giunge fino al 1886, si capisce che Van Gogh ha avuto come maestro il grande conterraneo Rembrandt. Certo il suo "Romanticismo" è molto diverso da quello prevalso durante il corso dell'Ottocento. Questo periodo, nonostante di Van Gogh si sia scritto e detto tanto, è ancora in parte da studiare, perché è stato sottovalutato rispetto a quello che si è aperto subito dopo con l'arrivo di Van Gogh a Parigi (1886). Prima del 1886 Van Gogh era un "realista" nel senso che proveniva da un'esperienza pittorica fatta in provincia, lontano dalle grandi città, con una pittura piena dei contenuti popolari del suo tempo, alla Millet, che egli amava profondamente. In questo periodo comincia ad impegnarsi con decine di studi su alcuni temi particolari, come i tessitori o i mangiatori di patate.
"I mangiatori di patate" rappresenta la sintesi di una serie di studi di teste tipiche di contadini e di artigiani chiusi in se stessi, che Van Gogh dipinge nei mesi invernali nelle povere casupole del villaggio. Come per i tessitori ha bisogno di una serie di quadri per avvicinarsi a questi uomini caparbi e strambi. Questa volta comunque il lavoro seriale porta al capolavoro. L'opera definitiva è dell'aprile 1885. In questo dipinto già emerge il segno aggressivo dell'artista, che porta quasi a deformare questi personaggi che sembrano scolpiti nel legno, come statue del tardo gotico cinquecentesco. Ne "I mangiatori di patate" si ritrova ancora un ingenuo impaccio che tradisce la sua mancanza di educazione artistica, ma è proprio questo ad aggiungere un elemento di singolare interesse alla potenza espressiva del suo stile. Ripresi leggermente dal basso, questi cinque personaggi rivelano la loro dignità interiore, tutta l'integrità di un'esistenza legata alla natura. Sono uomini che sanno elevarsi da soli dall'anonimato in cui li condanna la società. Per questa famiglia di contadini il desinare ha l'importanza solenne di un rito, così qui, ancora una volta, Van Gogh sembra coinvolto dai contenuti mistico-sociali di Millet. Così "I mangiatori di patate" sembrano elevarsi a manifesto del realismo sociale vangoghiano.
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