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Scheda di lettura - Fontamara, Ignazio Silone




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Scheda di lettura

Titolo Fontamara.

Autore Ignazio Silone.

Riassunto per molto tempo a Fontamara si pensò che non l'avrebbero mai fatto, ma dato che da molto tempo nessuno pagava più le bollette la corrente elettrica fu staccata. Nei primi giorni ciò creò grande scompiglio, ma dopo poco i fontamaresi si abituarono a questa nuova condizione e tutto tornò come prima.
La sera in cui la luce venne tagliata arrivò a Fontamara un forestiero che fece firmare agli abitanti un foglio di carta, bianco. Il giorno seguente arrivarono alcuni cantonieri con pale e picconi per deviare il corso d'acqua che riforniva la riserva idrica del paese e convogliarne le acque sulle terre dell'Impresario.
Le donne partirono allora alla volta del capoluogo per protestare contro questo sopruso. I cantonieri, vedendo arrivare verso di loro una fitta schiera di persone che sollevavano un gran polverone, scapparono e si rifugiarono nelle vigne. Giunte al capoluogo le donne andarono al comune e chiesero di parlare con il sindaco. Dopo essere state a lungo derise, senza che esse ne conoscessero il motivo, furono informate che il sindaco non esisteva più e che al suo posto c'era il podestà, l'Impresario.
Le fontamaresi si recarono allora all'abitazione dell'Impresario ma non lo trovarono. All'interno si stava però svolgendo una festa per la nomina dell'Impresario a podestà. Più tardi arrivò anche l'Impresario ma non prestò attenzione alle donne di Fontamara, che tentavano invano di far valere le loro ragioni, perché era troppo occupato a inveire con gli operai che erano vicino a lui.
Intervenne allora don Circostanza che cercò di operare una mediazione. Alle fontamaresi venne spiegato che i fogli da loro firmati il giorno precedente erano una petizione per la deviazione del ruscello e con un giro di parole vennero convinte ad accettare la seguente proposta:
tre quarti dell'acqua del ruscello al podestà ed aifontamaresi i tre quarti dell'acqua che restava.
Nei giorni seguenti i cantonieri sotto la protezione di due guardie armate ripresero a scavare il nuovo percorso del fiume. A Fontamara si discusse a lungo su come fosse possibile dividere il ruscello in quello strano modo, ma nessuno aveva l'istruzione necessaria per sciogliere quell'imbroglio.
Una mattina arrivò a Fontamara un camion e il conducente invitò i contadini a salire, dicendo che quel giorno le autorità avrebbero preso delle decisioni riguardo alla questione del Fucino e che loro, insieme a molti altri, avrebbero assistito. Il camion giunse ad Avezzano e i Fontamaresi, assieme agli altri cafoni vennero fatti sedere nella piazza. Ogni volta che passava qualche autorità i carabinieri li facevano alzare ed essi dovevano emettere grida di gioia. Più tardi tutti i contadini vennero invitati a tornare ai camion che li avrebbero riportati ai paesi di provenienza. I fontamaresi però decisero di scoprire come fosse stata risolta la questione del Fucino, ma soprattutto se a loro fosse stata assegnata della terra. Con loro grande delusione scoprirono che, non solo non gli era stata assegnata la terra, ma che questa era stata data ai contadini ricchi e tolta a tutti i piccoli fittavoli. Ad Avezzano essi furono anche avvicinati da un uomo, il quale li intimava alla ribellione contro il governo e disse loro di aspettalo in quel luogo se la sua proposta fosse loro interessata. Un giovane che aveva sentito il discorso li mise in guardia avvisandoli che quello era un poliziotto e disse loro di allontanarsi da li.
Una sera arrivarono a Fontamara moltissimi camion carichi di uomini armati, vestiti con camicie nere. Essi perquisirono tutte le case e radunarono tutti gli uomini nella piazza. Dopo averli radunati e circondati un uomo con la fascia tricolore chiese loro, ad uno ad uno: Chi evviva?. I fontamaresi non avevano la più pallida idea di cosa rispondere e andarono per tentativi. Nessuna delle loro risposte soddisfaceva però quell'uomo il che, in base alle risposte date li definiva: refrattari, anarchici, socialisti, comunisti, costituzionali, liberali. La situazione venne salvata dal degenero grazie all'astuzia di due donne che sfruttando un abito bianco ed il suono di una campana inscenarono una visione biblica, spaventando le camice nere.
Arrivò alla fine il giorno della spartizione delle acque, in cui i fontamaresi impararono finalmente la soluzione della complessa formula ideata da don Circostanza; l'acqua destinata ai campi di Fontamara era i tre quarti del quarto non deviato verso le terre dell'Impresario. Di fronte a quest'ennesimo sopruso i contadini protestarono, ma un nuovo intervento di don Circostanza li sedò; si stabilì che il dominio dell'Impresario sulle acque di Fontamara sarebbe durato dieci lustri, una misura temporale equivalente a cinquanta anni, visto che la dicitura in termini annuali era parsa così sgradevole per i cafoni che tanto per cambiare non capirono nulla.
Berardo Viola, un robusto giovane di Fontamara, restato senza terra e lavoro, si diresse a Roma per trovare il denaro necessario a sposare la ragazza amata, Elvira. Giunto alla capitale con un ragazzo del paese riesce soltanto a farsi arrestare quando la polizia si informa sulla sua provenienza e lo scova in una latteria a bere con il
solito sconosciuto che ad Avezzano mise in guardia i fontamaresi contro la retata. Nel buio di una cella, Berardo e lo sconosciuto si accordarono per includere Fontamara nelle stazioni di stampa dell'antifascismo. Purtroppo però Berardo ed il compaesano restarono i cella, mentre lo sconosciuto venne liberato. Gli interrogatori della polizia si susseguirono, mentre dall'esterno la continua produzione di volantini sul caso di Berardo attirarono velocemente su Fontamara una violenta repressione, che incluse anche i due carcerati. Berardo venne ucciso ed il ragazzo, pur di salvarsi la vita, depose di averlo trovato impiccato.
Tornato a Fontamara il ragazzo vide l'attuarsi dell'accordo che era costato la vita a Berardo; Fontamara venne arricchita di apparecchi per la stampa dei volantini abusivi. Recatisi a portare uno dei primi prodotti della stampa a dei familiari, il ragazzo e la sua famiglia furono gli unici superstiti alla violenta repressione che le camicie nere attuarono al paese. I sobillatori antifascisti permisero la fuga della famiglia all'estero, che raccontò questa storia.
Personaggi: non c'è un protagonista principale nella prima parte del romanzo, il protagonista è il popolo dei cafoni. Nella seconda parte invece emerge la figura di Bernardo Viola, il cafone più forte tra tutti, che ci appare inizialmente come ribelle ma poi cambia e diventa un uomo silenzioso e riservato. Verso la fine ritorna il suo carattere impetuoso ma i suoi ideali si trasformano sacrificandosi per il bene degli altri. Questa figura così energica si impone sugli altri con forza e coraggio, ma soprattutto con determinazione, assumendo il ruolo quasi di un capo-condottiero.

Significato l'autore vuole trasmetterci vari messaggi in questo racconto. Raccontandoci delle sfortunate vicende dei cafoni vuole mettere in evidenza la loro situazione, provocandoci. In questo modo vuole farci capire 1' importanza della cultura, come mezzo per la nostra salvezza, e degli ideali come espressione di se stessi. Vuole anche darci un' idea del fascismo, del male e dei danni che ha portato.
Il linguaggio utilizzato è semplice e comprensibile; lo stile è un po' lento, privo di suspance, monotono.

Commento personale dal mio punto di vista il libro è un po' pesante, la lettura non è scorrevole e non invogliano il lettore dato che mancano suspance e colpi di scena che possono incuriosire. Anche le vicende sono molto monotone ma utili per avere un idea generale della situazione del popolo in quel periodo storico.


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