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Perché il Romanticismo?
" Un dio è l'uomo quando sogna, un mendicante quando riflette e, quando l' estasi si è dileguata, si ritrova come un figlio fuorviato che il padre cacciò via di casa e contempla i miseri centesimi che la pietà gli ha dato per il suo cammino."
Forse potrebbero bastare le emozioni suscitate da una frase come questa per spiegare perché ho scelto il Romanticismo come periodo storico-culturale di sfondo per il mio elaborato: la convinzione che le risposte alle Domande dell'Uomo non siano incastrate negli ingranaggi della ragione speculativa ma nascoste negli abissi dell'animo di ognuno ha affascinato gli uomini di ogni tempo, trovando la massima espressione nella sensibilità romantica.
Ho poi cercato di studiare quest'età andando alla ricerca di un particolare (e spero originale) denominatore comune che potesse accomunare un gruppo di intellettuali europei: partendo da Holderlin, passando per Foscolo, Keats e Byron e giungendo infine a Delacroix, ho cercato di evidenziare gli influssi del mito della Grecia classica (vissuti in maniera problematica) sulla loro personalità e ,soprattutto, sulla loro produzione artistica.
Vorrei in ultimo precisare che lo stampo umanistico-letterario su cui si informa tutto l'elaborato non vuole essere un segno di incoerenza nei confronti dell'indirizzo scientifico finora scelto per i miei studi né tanto meno di disinteresse verso le materie scientifiche qui non trattate: ho semplicemente preferito approfondire tematiche che avessero come scopo finale non la comprensione della realtà che ci circonda ma lo scavo nella problematicità del nostro io.
Il percorso
Questo elaborato nasce per essere (pur nella sua modestia e limitatezza) una sorta di viaggio culturale che, passando per i principali Paesi europei (Germania, Italia, Inghilterra e Francia), abbia come scopo quello di dare una panoramica dell'Europa Romantica vista attraverso un particolare "filtro": la figura e il mito della Grecia classica.
Ho scelto come punto di partenza per il mio percorso uno dei testi simbolo del Romanticismo tedesco: l'Iperione, di Friedrich Holderlin. Ho poi cercato di individuare al suo interno le tematiche peculiari del movimento romantico, come la scissione tra anima e mondo o la contrapposizione tra arte e scienza, prestando particolare attenzione all'influenza che il mito della Grecia classica esercita sul protagonista.
A questo punto ho fatto un "salto geografico" e ho spostato la mia attenzione in Italia: per quanto la figura di Ugo Foscolo non sia ancora perfettamente inscrivibile nel clima romantico europeo, ho ritenuto che fosse senza dubbio l'autore italiano in cui meglio emerge il debito culturale dovuto alla Grecia classica: lo spunto della mia analisi segue qui una sorta di itinerario culturale che, partendo dal sonetto "A Zacinto", passando per il carme "Dei Sepolcri" e arrivando al poemetto del "Le Grazie", evidenzia le diverse sfaccettature con cui l' Ellade classica si manifesta nella produzione foscoliana.
La terza tappa del "viaggio" coincide con l'Inghilterra di Keats e Byron, due dei più affascinanti e tormentati poeti romantici. Dall'illusione dell'arte all'ideale di libertà, dalla volontà di essere "immortale" a quella di essere cavaliere, dalla consapevolezza della propria transitorietà alla nostalgia per qualcosa di indefinito ma comunque precluso: questi i temi che ho scelto di analizzare attraverso una serie di citazioni tratte da "Ode to a Nightingale", "Ode on a Grecian Urn" e "Don Juan".
L'ultima nazione presa in considerazione è stata la Francia di Delacroix, la cui pittura è diventata simbolo dell'arte romantica. Ho scelto di presentare due dei quadri più significativi del pittore francese: "La Grecia spirante sulle rovine di Missolungi" e "La Libertà", il primo omaggio indiscusso all'eternità della Grecia antica, il secondo traduzione figurativa degli ideali byroniani.
Il mio percorso culturale si conclude dunque così, nel tentativo di evocare, grazie alla forza dell'arte, la luce della Grecia classica nei cuori romantici d'Europa.
L'Iperione
L'Iperione di Holderlin rappresenta senza dubbio uno dei maggiori capolavori dell'arte romantica; scritto in un periodo di tempo lungo circa sette anni (1792-1799), il testo fu soggetto a numerosi cambiamenti e rimaneggiamenti da parte del suo autore che, mai soddisfatto a pieno del proprio operato e smanioso di effondere tra le righe il proprio cuore romantico, trasmise l'irrequietezza del proprio carattere alla letteratura da lui prodotta.
L'exordium dell'opera, con la sua connotazione negativa e disperata, rappresenta il punto di partenza dell'esperienza di Iperione e quindi il fallimento esistenziale di chi non riesce a dare un senso alla propria vita. Tuttavia, per quanto sul protagonista aleggi l'ombra della morte ("ritorno solo e senza gloria e mi aggiro per la mia patria che giace ampia intorno a me come un cimitero, e forse mi attende il coltello del cacciatore, che considera noi Greci soltanto come selvaggina del bosco"), il romanzo prende una strada diversa rispetto a quella seguita da altri testi epistolari ad esso contemporanei (come il "Werther" di Goethe o l'"Ortis" di Foscolo): la contemplazione e la fusione con la Natura sono infatti gli elementi salvifici che permetteranno a Iperione di superare il fallimento iniziale e conquistare un'armonia superiore con il mondo.
Le prime pagine del testo introducono subito le tre grandi tematiche affrontate da Holderlin, tutte strutturate su una contrapposizione dialettica tra due poli opposti (tema romantico della scissione).
Il primo importante concetto riguarda il contrasto che si è andato delineando tra Grecità e modernità, mondo ellenico e mondo moderno ("Il grido dello sciacallo che scioglie fra le macerie dell'antichità il suo selvaggio canto funebre mi strappa, spaventandomi, ai miei sogni; quando qualcuno mi ricorda la mia patria e quando qualcuno mi chiama greco, mi pare sempre che mi si serri la gola con il collare di un cane"). Per Holderlin, così come per tutti i Romantici, l'universo greco aveva rappresentato l'ideale della perfezione, dell'equilibrio, della misura, un paradiso perduto in cui il metafisico si fondeva col sensibile e l'uomo godeva di un rapporto privilegiato con la divinità. Iperione, dunque, pur nella consapevolezza di come il presente abbia perso la profondità e la tragicità degli antichi ("Simile a un ululante vento del nord, il presente passa sulla fioritura del nostro spirito e la brucia in boccio") non si rassegna ad abbandonare il sogno di ricostruire un Eden classico e, infervorato dall'attivismo dell'amico Alabanda ("Non devi voler nuotare nel fango. Vieni dunque, tuffiamoci nel mare aperto"- 'Sono diventato troppo ozioso, esclamai, troppo amante della pace troppo etereo, troppo pigro! Alabanda guarda verso il mondo come un nobile pilota, Alabanda è attivo, e cerca nell'onde la preda. E a te dormono le mani in grembo?"), decide di andare a combattere per liberare la Grecia e restituire ad essa il suo glorioso passato. Nonostante l'entusiasmo iniziale, tutto ciò che Iperione trova è la meschina violenza dell'uomo moderno ("I nostri soldati si sono dati al saccheggio, hanno assassinato senza distinzione, sono stati uccisi anche i nostri fratelli; gli innocenti ora errano intorno senza protezione alcuna e i loro volti cadaverici invocano dalla terra e dal cielo vendetta contro i barbari, alla guida dei quali io mi trovavo") la cui bramosia ottusa e materiale fa precipitare il protagonista nell'abisso dello sconforto ("Ignoro quello che ora accadrà. Il destino mi precipita nell'incertezza, e l'ho meritato." ) e della disperazione esistenziale ("Come può vivere un sacerdote quando il suo dio non esiste più? O genio del mio popolo, o anima della Grecia! Devo scendere a cercarti nel regno dei morti."), fino a renderlo succube del fascino sinistro e catartico della morte ("Considero questa battaglia come un bagno per togliermi di dosso la polvere, e troverò forse ciò che desidero; desideri come il mio vengono facilmente appagati."."Oh, se almeno il gettarsi in mezzo alla folla pazza e farsi smembrare da essa non fosse cosa così disprezzata! vi fossero Termopili ove io potessi versare, con onore, il mio sangue"). La soluzione del dramma di Iperione (aggravato anche dalla morte dell'amata Diotima) si avrà solo con la riconciliazione del soggetto con la Natura, unica vera madre e consolatrice dell'uomo.
La seconda tematica fondamentale è incentrata sulla contrapposizione tra arte e scienza, sapere estetico-intuitivo e conoscenza logica-mediata. Durante i suoi studi nel 1791 al collegio protestante di Tubinga, Holderlin insieme a Schelling e a Hegel aveva dato vita ad un 'system program" filosofico che vedeva nell'arte, nella poesia e nell'intuizione i supremi organi di conoscenza in grado di scandagliare i segreti più intimi dell'uomo e della Natura; sul banco degli imputati sedeva naturalmente la ragione illuminista che, colpevole di aver sbarrato all'uomo le porte della metafisica, lo aveva relegato in una condizione di incomunicabilità con l'Assoluto. In quest'ottica si può comprendere il disprezzo di Iperione verso il sapere ufficiale del tempo: "Oh! non avessi mai frequentato le vostre scuole! La scienza che ho seguito sino al fondo del suo pozzo e dalla quale io, giovanilmente folle, attendevo la conferma della mia pura gioia, mi ha sciupato ogni cosa. Sono diventato presso di voi un individuo così ragionevole, ho imparato a distinguermi perfettamente da ciò che mi circonda e sono ormai isolato in questo mondo bello, sono stato scacciato dal giardino della natura, dove ho vissuto e sono fiorito, e mi inaridisco nel sole del meriggio.". Tale considerazione si estende poi ad una riflessione sulla condizione universale dell'umanità: per quanto l'uomo cerchi continuamente il contatto e la fusione con la natura e nei suoi sogni aspiri a comunicare col divino, l'atto razionale fondato su un intelletto che divide, atomizza e specializza ("l'intelletto brillava sulle rovine del sentimento, come l'occhio di un avvoltoio che si sia posato sulle rovine di un palazzo) distrugge l'armonia tra uomo e cosmo, precludendo con la propria interpretazione limitata e specialistica (tema caro a Schiller delle Letture sull'educazione estetica dell'umanità), una globale comunione con l'Infinito ("Oh, un dio è l'uomo quando sogna, un mendicante quando ragiona"). La pochezza e la piccolezza del sapere scientifico, definito da Iperione 'superficiale', emergono in vari punti dell'opera ("Che cosa è mai al mondo tutto il sapere superficiale, che cosa è mai tutta l'orgogliosa maggiorità del pensiero umano di fronte agli accenti spontanei di questo spirito che non sapeva quello che sapeva, e che non sapeva che cosa fosse? Che cos'è la saggezza di un libro di fronte alla saggezza di un angelo?") e trovano la loro massima espressione nelle righe in cui il protagonista cerca di chiarire ruoli e differenze tra intelletto e ragione: 'L'intelletto, privo della bellezza dello spirito, è simile a un servizievole garzone che costruisce una staccionata con del rozzo legno così come gli è stato prescrittoLa ragione, priva della bellezza dello spirito e del cuore è come un guardiano che il padrone di casa ha imposto ai servi; quegli sa altrettanto poco quanto i servi che cosa debba nascere da tutto quel lavoro interminabile e grida solo 'sbrigatevi'. Dal puro intelletto non nasce filosofia alcuna, perché la filosofia è più semplice e limitata della conoscenza di ciò che è. Dalla pura ragione non nasce filosofia alcuna perché la filosofia è più di quanto sia la cieca esigenza di un interminabile progresso nell'analisi e nella sintesi di una qualsiasi possibile materia." Parafrasando le parole dell'autore si può notare come tanto l'intelletto (inteso come ragione illuminista), quanto la ragione (vista come esigenza di conoscenza) si perdano in sterili e inutili percorsi gnoseologici se non vengono illuminati dalla bellezza e dal senso del divino, uniche guide in grado di dare consapevolezza e produttività alle ricerche umane. Inoltre, secondo Holderlin, la limitatezza di conoscenza si traduce in una limitatezza dell'essere che, mortificando lo spirito che vive in ogni uomo, ne soffoca gli aspetti totalizzanti e tendenti all'infinito ("Ognuno deve essere soltanto, con serietà e con amore, quello che è; in tal modo vive uno spirito nel suo agire e se egli si trova costretto in una specializzazione nella quale il suo spirito non può vivere, la rifiuti con disprezzo e impari ad arare!")
Il terzo grande tema riguarda il motivo fortemente romantico della 'scissione', definito dal grande germanista Ladislao Mittner come il tema fondamentale della poetica romantica, ovvero della frattura che si viene a creare tra io e mondo, tra uomo e natura, tra sentimento e ragione. L'artista scopre infatti che esiste una contraddizione irrisolvibile tra finito e infinito, tra ragione e natura e trasforma la propria vita in una continua tensione verso l'Assoluto ("Per quale motivo l'uomo nutre desideri così grandi, perché mai questo infinito nel suo petto? Infinito? dov'è? chi lo ha percepito? Egli vuole più di quanto può!"). L'unica possibilità che l'uomo ha di entrare in comunicazione con l'Infinito e partecipare della sua armonia è fondersi con la natura: tuttavia questo contatto è un istante instabile e irripetibile che viene a sgretolarsi sotto i colpi delle facoltà razionali che lasciano l'uomo solo, abbattuto ed estraneo al cosmo ("Sovente mi innalzo a quest'altezza, ma un momento di riflessione mi butta giù. Rifletto e mi ritrovo, così come ero prima, solo con tutti i dolori di ciò che è mortale, e infranto è l'asilo del mio cuore, il mondo eternamente uno, la natura mi chiude le sue braccia e io sto davanti a lei come un estraneo e non la comprendo.Sovente mi pareva come se gli oggetti terreni si purificassero e si fondessero, come oro, dentro il mio fuoco e che da essi e da me prendesse forma alcunché di divino; ma non per lungo tempo perché tutto si spense in me come una luce e io me ne stavo là muto e triste come un'ombra, e cercavo la vita scomparsa"). Dunque, proprio per il carattere labile e fugace di questa comunione, l'animo di Iperione oscilla da momenti di pace, serenità ed estasi contemplativa ("Avevo assorbito in me così felicemente la bellezza della natura per non colmare con essa le lacune della vita umana.Come il sole del cielo si rifletteva nel multiforme mutare della luce, così il mio spirito si riconosceva nella pienezza della vita che lo circondava e che lo assaliva da ogni lato.Come l'aquila di Giove ,il canto delle muse così ascoltavo io l'infinita, meravigliosa armonia che è in me.") ad attimi di disperazione e sconforto ("Ah! come era senza speranza tutto ciò che udivo e vedevoUno straniero sono io, come gli insepolti quando salgono su dall'Acheronte, e se anche fossi nei giardini della mia giovinezza, sarei pur sempre uno straniero sulla terra e nessun dio mi ricongiungerebbe con il passato. Oh dio! io stesso non sono più nulla"); il sogno di riedificare un nuovo Eden classico viene così a coincidere col progetto di educare l'umanità sul modello del periodo in cui 'la natura era sacerdotessa e l'uomo il suo dio', ridando così vitalità e felicità a un mondo ormai povero e insensibile ("Esisterà allora una sola bellezza; natura e umanità si fonderanno in una sola divinità nella quale tutto sarà contenuto").
E' importante sottolineare come la natura di Holderlin si ponga in modo nettamente antitetico al "grande libro scritto a caratteri geometrico-matematici" di Galileo. Ad una concezione meccanico-quantitativa che analizza i fenomeni secondo i rapporti di causa-effetto e le leggi matematiche che li descrivono, si sostituisce infatti una visione organico-qualitativa che rivaluta gli aspetti energetico-vitalisti-spiritualisti del cosmo ("Simile a un vittorioso semidio, il golfo splendente spingeva le sue onde fra la magnificenza selvaggia dell'Elicona e del Parnaso, dove l'aurora gioca intorno a mille cime nevose e fra le paradisiache pianure di SicioneOra, come con i genii, vivevo con gli alberi fioriti e i limpidi torrenti che là sotto scorrevano; con il loro sussurro, simile a una voce divina, trascinavano via dal mio petto il doloreSiamo viventi note, noi, in accordo con la tua armonia, o natura!").
Un'altra rilevante osservazione riguarda il debito che il testo paga nei confronti di quel "patto filosofico" a cui si è accennato in precedenza: l'EN KAI PAN trova infatti esplicita menzione nelle prime righe del testo e introduce quello che sarà l'iter formativo di Iperione attraverso la solitudine, l'amore, l'attivismo e, infine, la fusione con la natura ("Essere uno con il tutto, questo è il vero vivere degli dei; questo è il cielo per l'uomo. Essere uno con tutto ciò che vive e ritornare, in una felice dimenticanza di se stessi, al tutto della natura, questo è il punto più alto del pensiero e della gioia.Essere uno con tutto ciò che vive! Con queste parole la virtù depone la sua austera corazza, lo spirito umano lo scettro e tutti i pensieri si disperdono innanzi all'immagine del mondo eternamente uno").
L'avventura di Iperione si presenta infatti come il progressivo raggiungimento di tappe che lo portano alla presa di coscienza di sé e del suo rapporto con l'Assoluto: dalla solitudine all'amicizia con Alabanda, dall'amicizia all'amore per Diotima, dall'amore al desiderio di rendere partecipi anche gli altri uomini dell'entusiasmo per la Grecia antica e, in ultimo, dall'attivismo bellico alla comunione con l'Infinito che lo circonda.
In ultimo, si può osservare come l'Iperione sia stato valutato dalla critica anche come simbolo dell'estetismo romantico, cioè come celebratore di una Bellezza che si erge a principio primo dell'arte e della coscienza umana: 'O voi, che cercate quanto vi è di più alto e di più perfetto ,nella profondità della sapienza, nel tumulto dell'azione, nel buio del passato, nel labirinto del futuro, nelle tombe e al di sopra delle stelle! conoscete il suo nome? il nome di ciò che è uno e tutto? Il suo nome è bellezza La prima creatura della bellezza umana e della bellezza divina é l'arte. In essa l'uomo divino si ringiovanisce e si rinnova. Vuol prendere coscienza di sé, per questo egli si colloca di fronte alla propria bellezza. In tal modo l'uomo creò i suoi dei. Perché in principio l'uomo e i suoi dei erano una cosa sola, quando, ignota a se stessa, esisteva l'eterna bellezza."
Ugo Foscolo: il figlio italiano della Grecia classica
Pochi anni dopo la pubblicazione dell'Iperione, anche l'Italia pagò il suo tributo culturale alla Grecia classica. Tuttavia il "riconoscimento" italiano non si concretizzò solo in opere letterarie o in circoli culturali, ma fu sancito da un vero e proprio "legame di sangue" grazie alla figura di Ugo (in realtà Niccolò) Foscolo.
Il rapporto tra Foscolo e Grecia classica segue un iter compositivo che trova i propri capisaldi in 3 opere fondamentali: il sonetto "A Zacinto", il carme "Dei Sepolcri" e il poemetto de "Le Grazie". In ciascuno di questi componimenti l'autore riscopre una delle innumerevoli facce dell'Ellade antica.
La prima tappa della riflessione foscoliana coincide con la produzione del sonetto "A Zacinto", composto tra il 1802 e il 1803.Il nucleo centrale dell'opera risiede nella condizione di smarrimento ed esilio a cui è condannato il poeta; per sottolineare la drammaticità e l'irrevocabilità di tale condizione, Foscolo propone un parallelismo tra se stesso e l'eroe classico per eccellenza: Ulisse. Dal punto di vista letterario, ciò equivale alla contrapposizione tra due codici: quello classico (che prevede la conclusione felice delle peregrinazioni dell'eroe) e quello romantico (che condanna l'uomo all'infelicità, al vagheggiamento dei propri sogni e alla impossibilità di realizzarli). Così, mentre al termine delle proprie peripezie Ulisse ha la possibilità di baciare il suolo della patria, il poeta è condannato ad una "illacrimata sepoltura" che lo terrà per sempre lontano dagli affetti familiari. [Equivalentemente, dal punto di vista sintattico, se il nome di Ulisse è accostato in modo inscindibile e definitivo a quello di Itaca (v.11), d'altra parte il figlio Foscolo è separato dalla "materna terra" da una forte pausa (dovuta alla virgola di fine verso) che evoca l'impossibilità del ricongiungimento e la malinconia del "canto" elegiaco dello scrittore (v.12), secondo il motivo tipicamente romantico della scissione tra io e mondo, sogno e realtà. ]
Tuttavia questa forte scissione (tema squisitamente romantico) che si presenta tra Foscolo e Ulisse (ma più in generale tra uomo moderno e uomo classico) viene lenita da una fitta rete di corrispondenze e legami che si instaura tra Zacinto e Venere, le due grandi figure materne che spiccano nel componimento. Lo stretto rapporto tra isola e dea è introdotto subito al primo verso mediante la presenza dell'aggettivo "sacre", che fa intuire, in un'atmosfera velata e implicita, la connessione mitica e superiore che lega le due immagini. Il parallelismo diventa via via sempre più forte e trova il proprio apice nella fusione tra Zacinto e Venere, tra maternità e fecondità nell'unica grande figura della Grande Madre, protettiva, feconda e rassicurante. Dunque, poiché la terra madre è terra greca e il poeta è condannato all'eterna separazione dalle sue rive, il mondo ormai precluso degli affetti familiari, della sicurezza e della serenità viene a coincidere con quell'Eden classico irrimediabilmente perduto da cui Foscolo era "orgoglioso di essere stato allevato" (nell' ode "All'amica risanata" il mar Jonio è visto come una "culla" che infonde nel poeta il "nativo aer sacro"). In altre parole, in questa prima opera Foscolo riscopre l'aspetto materno della Grecia classica, che trasmette il proprio "legame di sangue" sotto forma di una struggente ma consapevole malinconia per ciò che è stato perduto e non potrà più essere ritrovato.
La seconda tappa fondamentale riguarda la composizione del carme "Dei Sepolcri", che fu pubblicato nel 1807 e che si apre con una citazione dal "De legibus" di Cicerone: se tale incipit ricopre un indiscusso valore tematico (in quanto anticipa il contenuto dell' opera), d'altra parte è un chiaro simbolo del ruolo fondamentale che la civiltà classica assume all'interno del testo. Il rapporto tra Foscolo e classicità si esprime nel carme in relazione al tema della morte e può essere evidenziato in due fondamentali sezioni: la prima relativa al culto dei morti (vv.114-129), la seconda alla funzione eternante della poesia. L'immagine che il poeta vuole trasmettere è quella di una Grecia serena, armoniosa, equilibrata, innalzata alla vita eterna grazie ai valori poetici da cui è stata glorificata. La prima delle sequenze sopra citate si colloca nel testo in contrapposizione alla visione buia, oscura, superstiziosa e terrorifica della morte, tipica del periodo cristiano medievale. Nel passaggio alla riflessione sui costumi dell'età classica, il ritmo dei versi rallenta, si fa pacato, si musicalizza con eleganti allitterazioni e si inserisce in una sfera semantica (legata alla luminosità) che diventa metafora della vittoria della vita sulla morte. Anche il paesaggio sullo sfondo diventa espressione di forza e vitalità: le fontane, gli alberi sempreverdi, gli zefiri e gli amaranti contribuiscono infatti a proiettare il lettore in quella dimensione di superiore serenità ed armonia che aveva caratterizzato il mondo classico. Il carme "Dei Sepolcri" si chiude poi con una lunga sequenza dedicata ancora alla civiltà classica: dagli eroi di Maratona al personaggio di Aiace, dalla Troade di Omero a Ettore, da Elettra a Cassandra e così via. L'intento di Foscolo è quello di consacrare definitivamente il legame tra Grecia antica e poesia eternante ("Il sacro vate, placando quelle affiltte alme col canto, i prenci argivi eternerà per quante abbraccia terre il gran padre Oceano"), rendendo così l'Ellade classica un modello ideale dove l'armonia e la serenità illuminavano la vita di tutti gli uomini (si veda l'immagine finale del Sole che risplende in tutto il proprio vigore sulle "sciagure umane").
La terza e ultima tappa dell'iter classico di Foscolo è rappresentata dall'elaborazione del poemetto de "Le Grazie", un testo che segna il superamento, da parte del poeta, delle iniziali posizioni romantiche a cui era approdato e l'avvicinamento alle concezioni neoclassiche del Winckelmann sulla "nobile semplicità e quieta grandezza" dell'arte classica ("Come la profondità del mare che resta sempre immobile per quanto agitata ne sia la superficie, l'espressione delle figure greche, per quanto agitate da passioni, mostra sempre un'anima grande e posata."). Se nel sonetto "A Zacinto" dominava l'immagine della Grecia come terra materna per sempre irrimediabilmente preclusa agli affetti dello scrittore, "Le Grazie" rompono questo velo pessimistico che avvolge la precedente produzione foscoliana e aprono in esso una sorta di spiraglio luminoso: la bellezza dell'Ellade classica può tornare a vivere grazie alla poesia, unico mezzo in grado di restituirle (con la propria funzione catartica) il ruolo di guida e di consolatrice nei confronti del genere umano. E' importante sottolineare come quello di Foscolo non sia un semplice sogno estetizzante, ma si configuri come la risposta al periodo di violenze e barbarie che stava caratterizzando la storia europea (si veda come esempio la contemporanea campagna di Napoleone in Russia). Ciò significa che l'ideale di bellezza civilizzatrice personificato dalle Grazie non vuole essere l'espressione di una cieca fuga dalla realtà verso un paradiso terrestre ormai perduto (cioè quello dell'Ellade antica), ma anzi l'estremo tentativo di dare agli uomini un barlume di luce su cui informare e plasmare la propria esistenza, nel rispetto di un impegno civile che deve sempre accompagnare la figura dell'intellettuale.
Per quanto riguarda la funzione civilizzatrice (a cui sopra si è accennato) delle Grazie, essa si lega ad uno degli aspetti più interessanti del mito della Grecia classica: la coesistenza del sublime e del tragico. Se da una parte il compito delle figlie di Venere è quello di moderare le impetuose passioni umane e di temperare tanto l'eccessiva gioia quanto l'eccessivo dolore, dall'altra il velo tessuto per proteggerle dagli uomini porta raffigurati sia temi gioiosi sia temi cupi, secondo una continua alternanza di felicità e sofferenza. Ne discende dunque una visione del mondo classico profondamente diversa da quella di una fantastica età dell'oro di spensieratezza infantile e paradisiaca: il privilegio degli antichi risiedeva infatti non tanto nell'assenza del dolore dalla loro vita, quanto piuttosto nell'armonia, nell'equilibrio e nella serenità con cui gioia e sofferenza, bene e male e dunque, in ultima analisi, vita e morte trovavano conciliazione nell'animo di ognuno (probabili, a questo proposito, gli influssi di una visione filosofica in cui il "tragico" viene hegelianamente superato nella bellezza artistica).
BEAUTY AND FREEDOM IN ANCIENT GREECE
IN John Keats and George Gordon Byron
Life and the illusion of art:
John Keats
"When I have fears that I may cease to be
Before my pen has glean'd my teeming brain,
Before high piled books, in charactry,
Hold like rich garners the full ripen'd grain;
When I behold, upon the night' s starr'd face,
Huge cloudy symbols of a high romance, And think that I may never live to trace
Their shadows, with the magic hand of chance;
And when I feel, fair creature of an hour,
That I shall never look upon thee more,
Never have relish in the fairy power
Of unreflecting love; - then on the shore
Of the wide world I stand alone, and think
Till love love and fame to nothingness do sink."
John Keats is the deeply thoughtful and troubled student of life and poetry, he is the great Romantic striving toward a vision beyond mortal limits.
Keats celebrates sexual love and sensuous beauty, immediate sensations which will turn into eternal happiness; he is a young man in love with Love, an artist who can live in the moment, in the setting sun, who can listen to the song of a Nightingale but who is also deeply conscious of the oppressive sense of mortality.
He feels "the agonies, the strife of human hearts", he longs "for a life of sensations rather than of thoughts", but he is doomed to die young and he fears he will pass into nothingness.
The disillusioned sense of actuality and the heavy weight of mortality make him feel the need of an answer to man' s longing for permanence in an everlasting world. The answer may be the beauty of art, even if he doesn' t feel so much the joy of the imaginative experience as the painful anthitesis between transient sensation and enduring art. The power of imagination and the immortality of art offer no adequate recompense for either the fleeting joys or the pains of mortality. The need to overcome the limitations of human understanding, the awareness of the gulf between life and death become in "Ode to a Nightingale" the desire for death, the highest sensation; however the poet manages to achieve only a momentary illusion: "Was it a vision or a waking dream? Fled is that music: do I wake or sleep?" ("Ode to a nightingale")
The visit to the British Museum, which housed the Elgin Marbles (the metopes and the famous frieze from the Acropolis in Athens), influenced Keats' conception of art, in this case Greek art and beauty.
In a world of inexplicable mystery and pain, the experience of beauty is the one sure revelation of reality.
Beauty lives in particulars, which pass away but which have a unity behind themselves. If beauty is reality, so the reality of intense human experience and of suffering can also possess beauty in itself and in art.
The urn is the symbol of the classical art of Ancient Greece, which is seen by the Romantics as the highest example of beauty and perfection, even if perfection is reached only through stillness. In "Ode on a Grecian Urn" the sensations evoked are almost wholly concerned with young love, but once again Keats cannot convince himself that love and beauty on marble are better than "flesh-and-blood experience", however brief and unhappy they may be.
Therefore we can see a parallelism between Keat' s thought and Leopardi' s; in the same way as immortality and eternal beauty are reached at the expense of "action" ("Bold Lover, never, never canst thou kiss, / though winning near the goal - yet, do not grieve; / she cannot fade, though thou hast not thy bliss, / for ever wilt thou love and she be fair"; "Ode on a grecian urn"), according to the Italian poet, "action" is the cause which fades or even destroys human pleasure. Infact Leopardi says that " Saturday is more beautiful than Sunday because real pleasure comes from expectation and not from fulfilment ". He is conscious that the materiality of earthly things will never be able to fulfil men' s wish for eternity, so the longing for happiness is the only source of joy ("Il piacere è sempre passato o futuro, e non mai presente"; "Zibaldone"). Anyway action takes men backward from their trip to hope, and it shows that illusion and wait are only the golden envelope of an almost empty case ( "La libertà più piena ed assoluta si sarebbe accompagnata ad un sentimento di finitezza, all' implacabile lutto dell' anima." / "Il più solido piacere di questa vita è il piacere vano delle illusioni."; "Zibaldone")
So, according to Keats there is no solution, or rather ART" is the only solution to mortality and, even if the urn -a work of art- is brought to life again by the poet' s imagination, Art sublimates life and turns the real into the ideal.
However, as said before, Beauty, Eternity and so Immortality are reached at the expense of life: Keats realizes he is contemplating the "frozen" beauty of classical Greek figures sculpted on a vase, but he also knows that art is the only chance of victory over the transience of time.
In the end, Keats is reconcilied between the problem of the fluidity of experience and the enduring truth of art: that' s why his poetry is not merely beautiful but it manages to speak to everybody' s heart, since he has seen "the boredom and the horror as well as the glory".
The outcast, the rebel: G. G. Lord Byron
"When a man hath no freedom to fight for at home,
Let him combat for that of his neighbours;
Let him think of the glories of Greece and Rome,
And get knocked on his head for his labors.
To do good for mankind is the chivalrous plan,
And is always as nobly requited;
Then battle for freedom wherever you can,
And, if not shot or hanged, you' ll get knighted."
A passionate, restless and mysterious man, who hides some horrible sin or secret in his past; he has a proud individualism and rejects the conventional moral rules of society; he is an outsider, isolated and attractive at the same time. He is of noble birth but wild and rough in his manners; his looks are hard but handsome. He has a great sensibility and beauty, but he has grown bored with his own time. He is a rebel, a solitary man, a disappointed lover, but he is always ready to start again.
This is the prototype of the Romantic hero, this the the prototype of the Byronic hero: handsome, aristocratic and doomed: this is Byron himself.
All his life was led by a deep sense of rebellion against the hypocrisy of the time, fighting against a public opinion which had turned savagely against him.
He expressed the "spleen", l' "ennui" which appealed so much the contemporary Europe and shared with Shelley the myth of Prometheus, the rebellious Titan who challenged Jupiter.
Moreover, as the idea of rebellion is always linked to the idea of freedom, Byron wrote "When a man has no freedom to fight for at home". In 1809 he travelled, visiting the Mediterranean before arriving in Greece. Here, Byron' s love of Greece, already begun through his readings, was reinforced. He was dismayed by the fallen glories of Greece and the general degradation of the country under the oppressive Ottoman rule, but he enjoyed the friendship, vitality and warmth of the Greek people. Greece had always been in his mind and (above all) in his heart: infact, some of the best passages in "Don Juan" are taken from Greece and the Aegean, from the land and the sea which he loved so much because in them he had escaped from the ties and responsibility which harassed him. Infact, in "Don Juan", he put scenes which came from his first delight in the Greek lands, sunlit, solitary and washed by an azure sea.
Byron had the most enchanting memories of Greece because in no country does the evening come with more unexpected splendour, when the whole landscape changes from colour to colour and the light reflected from the sea gives a limpid purity to the outlines of the mountains ("It was the cooling hour, when the rounded / red sun sinks down behind the azure hill, / which then seems as if the whole earth it bounded, / circling all nature, hushed and dim and still, / with the far mountain-crescent half surrounded / on one side, and the deep sea calm and chill / upon the other, and the rosy sky / with one star sparkling through it like an eye."; "Don Juan").
It is this incomparable beauty that fills his heart, and the scenes he describes have a peculiar charm because he writes from loving memory and recalls what this splendid land once meant to him, where his spirit had been at peace.
Infact, it is on a Greek island that the love between Don Juan and Haidee comes suddenly and naturally and needs no explanation: " As if there where no life beneath the sky save theirs, and that their life could never die"; "Don Juan" ).
In the care-free happiness of this Greek island he understood what freedom means and insisted that other men must be free too.
He was content to do his best by attacking tyrants wherever they existed and by pleading the cause of oppressed humanity: "For I will teach, if possible, the stones to rise against earth' s tyrants." ("Don Juan")
Now, it' s easy to understand why he committed himself to the Greek struggle for indipendence from Turkey, as Greece had become the historical symbol of the ideal home country.
He arrived in Missolonghi in January 1824 and he received a hero' s welcome from the local people, even if, unfortunately, he didn' t live to see the success of the Greeks.
In conclusion, we can have the record of a remarkable personality, a poet and a man of action, a dreamer and a wit, a great lover and a great hater, a noble and a revolutionary democrat, a man who wanted to make Death a Victory.
Eugène Delacroix: un genio romantico al servizio dell'arte
"Niente regole per le grandi anime:
le regole sono per gli uomini che hanno
soltanto il talento che si può acquisire".
Eugène Delacroix è senza dubbio uno dei massimi esponenti della pittura romantica francese: amico e ammiratore di Théodore Géricault, la sua arte fu concepita per essere uno "specchio dell'anima" dell'artista: "Il pregio di un quadro sta nell'indefinibile, ovvero in ciò che l'anima ha aggiunto ai colori e alle linee per andare all'anima". La chiave di lettura delle opere di Delacroix non si identifica dunque nella scelta dei soggetti pittorici o nell'analisi dei fatti storici che li hanno suggeriti, quanto piuttosto nella capacità da parte dello spettatore di cogliere lo spirito personale che l'autore ha voluto effondere nell'opera. In altre parole i quadri di Delacroix non sono mai statiche e fredde fotografie di un avvenimento storico, ma al contrario, si configurano sempre come l'espressione dei sentimenti e delle reazioni soggettive dell'artista posto davanti a una determinata visione: "Per l'artista è più importante avvicinarsi alla visione ideale che porta in sé e che gli è propria []: soltanto la sua immaginazione crea la bellezza, appunto perché egli segue il suo genio."
Anche Delacroix, come del resto tutti i Romantici, fu affascinato dal mito della Grecia classica, a cui egli dedicò una delle sue opere più significative: "La Grecia spirante sulle rovine di Missolungi".
Tale quadro (datato 1826) si ispira a uno dei più terribili episodi della guerra di indipendenza greca (verificatosi il 22 aprile 1825, quando i difensori di Missolungi preferirono saltare in aria con le donne e i bambini piuttosto che arrendersi ai turchi) e celebra con un'efficace allegoria la strenua resistenza dei valori classici di armonia e bellezza contro l'oppressione e l'incedere della barbarie e della violenza.
La composizione segna la nascita del cosiddetto genere dell'"allegoria reale": la donna raffigurata non è una qualsiasi abitante della città, ma simboleggia la Grecia che sopravvive (come ideale) alla distruzione fisica. Questa figura si integra nella rappresentazione di un disastro, come ricorda crudamente il braccio di un morto che viene fuori dalle macerie (particolare ispirato dai "Frammenti anatomici" di Géricault), ma adempie comunque alla sua missione di "risvegliare ed esortare".
Per le sue eroine antiche, Delacroix usa una formula di pathos di origine barocca che aveva fissato per la prima volta in un taccuino di schizzi: la Madre-Grecia, inginocchiata, allarga le braccia per proteggere in un ultimo disperato tentativo, i propri figli. Questo gesto era comparso negli studi per La Madonna del Sacro Cuore del 1820, ma non era stato utilizzato. Si capisce così chiaramente da dove provenga la "Grecia" di Delacroix: la donna tra le rovine è una madre di Dio secolarizzata e investita di una nuova missione laica; incarnando la Grecia, essa soddisfava infatti il bisogno d' identificazione ideologica risvegliato dalla Rivoluzione francese, rappresentando la Nazione in tutta la sua eroica forza di sopravvivenza.
A mio parere si può notare come l'arte di Delacroix sia in alcuni tratti l'espressione figurativa degli ideali byroniani: se probabilmente è solo una coincidenza che l'omaggio di Delacroix alla Grecia classica ruoti intorno alla città dove Byron trovò la morte combattendo per l' indipendenza greca, d'altra parte il legame tra i due artisti si fa più stretto nel momento in cui il primo celebra in pittura l'ideale per cui il secondo fu disposto a morire: la Libertà.
"La libertà che guida il popolo" è senza dubbio il più famoso dei quadri (un olio su tela) di Delacroix: dipinto in occasione dei moti rivoluzionari francesi del luglio 1830 (che in sole tre giornate rovesciarono il regno di Carlo X), l'opera è tutt'altro che la fredda documentazione di un fatto storico contemporaneo: se in primo luogo si può ricordare come l'autore stesso partecipò in prima persona a questi moti (pur non ricoprendo un ruolo di protagonista), non è secondario notare come, mentre artisti come Friedrich o Géricault dipingevano fatti contemporanei trasfigurandoli in una dimensione onirica o speculativa, Delacroix vive queste esperienze in modo diretto senza alcun tipo di evasione spirituale verso tempi e luoghi remoti e lontani: "Se non ho vinto per la patria, almeno dipingerò per essa".
La composizione presenta in primo piano la figura di una giovane popolana dalle forme ellenizzanti che guida il popolo francese attraverso le barricate. La donna appare sia nei suoi aspetti di sensualità sia in quelli di forza e carisma, dando corpo ad una retorica ma comunque elegante ed efficace allegoria: essa rappresenta infatti la Libertà, che unisce sotto la propria guida tutta la nazione francese. E' importante sottolineare come la Francia al seguito della Libertà non sia una massa omogenea e indifferenziata di sudditi e figure anonime: la tecnica compositiva adottata qui da Delacroix consiste (secondo rimandi caravaggeschi) nell'isolare l'una dall'altra le principali figure del dipinto, mostrando, così, come lavoratori, contadini, intellettuali e soldati siano le componenti responsabili, attive e integre (nella loro individualità) di una unica grande nazione. Per quanto riguarda la dinamicità della composizione, l'azione si sviluppa in modo concitato e drammatico, secondo un convergere dei movimenti dei personaggi verso la figura centrale della Libertà: tuttavia, a differenza della "Zattera della Medusa" di Géricault (simile alla "Libertà" nella struttura compositiva) gli uomini non si allontanano verso un destino di morte e sofferenza, ma si dirigono con decisione e consapevolezza verso il riscatto dei loro diritti. Sullo sfondo, Parigi è semplicemente evocata dal suo simbolo per eccellenza, la cattedrale di Notre-Dame; la sezione inferiore del quadro è invece occupata dai corpi dei caduti in guerra, dipinti con tonalità verdastre e livide che suscitano nello spettatore un sentimento di orrore e sgomento nei confronti della morte. Dal punto di vista cromatico, su uno sfondo essenzialmente grigio e nero prevalgono le sfumature del rosso, del blu e del bianco, senza tuttavia che questi colori spicchino in modo vistoso od eccessivo dal resto della composizione.
La "Libertà" venne presentata da Delacroix al Salon del 1831, scandalizzando i critici per la forza dei sentimenti evocati e l'audacia delle scelte cromatiche: acquistata dal governo e relegata in un corridoio, diventerà in seguito fonte d'ispirazione per il Gavroche de "I miserabili" di Victor Hugo ma, soprattutto, manifesto indiscusso della pittura romantica francese.
Bibliografia
"Iperione", Friedrich Holderlin, Universale Economica Feltrinelli.
"Filosofi e filosofie nella storia", Abbagnano-Fornero, Paravia.
"Dal testo alla storia dalla storia al testo", Baldi-Giusso, Paravia.
"Shelley, Keats e Byron: i ragazzi che amavano il vento", U. E. Feltrinelli.
"L'arte in Italia", Piero Adorno, G. D' Anna.
"Arte_ Immagine", Benemia-Billo-Nuccetelli, Calderini.
"I classici della pittura: Delacroix", Armando Curcio Editore.
"Delacroix", Gérard-Georges Lemaire, Art Dossier, Giunti.
Appunti su: mito della grecitC3A0 classica romanticismo, riassunto di when a man hath no freedom di byron in italiano, |
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