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Struttura generale del romanzo d'appendice




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Struttura generale del romanzo d'appendice


Volendo attingere il più possibile dalle fonti, vediamo subito una testimonianza di Louis Reybaud, che nel suo Jérome Paturot, che con molta ironia compie le prime riflessioni sulle caratteristiche comuni ai feuilleton.

Prendete, signore, prendete, per esempio, una donna giovane e infelice, e perseguitata. Le metterete vicino un tiranno sanguinario e brutale, un paggio sensibile e virtuoso, un confidente ipocrita e perfido. Quando avrete in mano tutti questi personaggi, mescolateli insieme, vivacemente, in sei, otto, dieci feuilleton: e servite caldo. Bisogna proprio dire che siete riuscito ad essermi simpatico, signore, perché io vi confidi il segreto del mestiere.

- Vi ringrazio mille volte - dice l'interlocutore.

- E' soprattutto nel taglio, signore, che si vede il vero "feuilletonista". Bisogna che ogni numero cada bene, che sia legato al successivo con una specie di cordone ombelicale, che chiami, che provochi il desiderio, l'impazienza di leggere il seguito. Parlavate d'arte poco fa; l'arte è questa. E' l'arte di farsi desiderare, di farsi rispettare. Voi avete, immaginiamo, un certo Arturo a cui il pubblico s'interessa. Manovrate questo tizio in modo che nessuno dei suoi fatti o gesti faccia cilecca, non vada perduto per l'effetto. A ogni fine di feuilleton una situazione critica, una parola misteriosa, e Arturo, sempre Arturo alla fine! Più il vostro pubblico mangia Arturo e più dovete sfruttarlo, adoperarlo come esca. E se, in una situazione determinata, riuscite a mettere Arturo a cavallo di un rinnovo d'abbonamenti, minacciando i ritardatari di ignorare il destino del loro beniamino, avrete realizzato il più bel successo artistico a cui possa aspirare un uomo di classe come siete voi.[1]


Il primo punto su cui porre attenzione, come il testo mette in luce implicitamente, è la "teatralità" dei personaggi, e soprattutto del protagonista. Vale a dire che in un romanzo d'appendice di buona qualità (il brano precedente di Reybaud ironizza infatti su Balzac e Sue, che erano considerati veri scrittori) occorre un personaggio che "occupi la scena" ed intorno al quale ruotino tutti gli altri personaggi secondari, e sul quale cada il sipario ogni puntata.

Siamo così giunti al secondo elemento importante: la chiusura sensazionale di ogni puntata, che deve lasciare il lettore col fiato sospeso e la curiosità di conoscere il proseguimento della storia.

Ancora, sensazionale deve essere anche la chiusa, il cosiddetto twist, cioè "un giro di vite, dell'intreccio alla chiusura della puntata" (Bianchini) . Non a caso Charles Reade (1814-1884), uno dei più celebri romanzieri a puntate inglesi, così come Alexandre Dumas père, avesse esordito come drammaturgo e fosse dunque in grado di riportare nei suoi romanzi semplici procedimenti drammatici atti a stimolare il pathos del lettore.

Prima di passare ad un prototipo schematico della trama del feuilleton, ricordiamo ancora la componente sociologica del romanzo, cioè l'attenzione alla vita e ai problemi dei ceti bassi (ne parleremo a proposito di Sue) e la tematica dell'agnizione, nome tecnico d'origine latina che indica il riconoscimento della vera identità di una persona. Si tratta di un tema alla base di gran parte della produzione popolare della seconda metà XIX secolo e dei primi anni del XX, fino a diventare un luogo comune, che nasconde l'ansia per il riconoscimento sociale, per la rivalutazione di un'individualità precedentemente negata.

Generalmente, il romanzo d'appendice si apre con un evento drammatico (che può essere anche taciuto) e da cui parte la motivazione della storia: abbandono o rapimento di un bambino, morte dei genitori, ecc. Segue un lungo periodo, che in genere costituisce l'ossatura principale della narrazione, dove il protagonista ignora la sua vera identità , lotta per sopravvivere o è oggetto di gravi ingiustizie che ne temprano lo spirito. Infine, nella parte finale si assiste allo scioglimento di ogni nodo, al superamento di ogni ostacolo e all'atteso riconoscimento (già intuibile attraverso una serie di segni premonitori), al trionfo dell'eroe. Romanzi che si basano abbastanza fedelmente a questo schema e di cui non parleremo in seguito, sono: Romanzo di un giovane povero (1858) di Octave Feuillet (1821-1890), Il fabbro del convento (1869) di Ponson du Terrail (1829-1871), Senza famiglia (1878) di Hector Malot (1830-1907), che descrive il vagabondaggio e le disavventure del bambino Rémy alla ricerca dei genitori, e Le due orfanelle (1875) di Alphonse Ph. D'Ennery (1811-1899), dove il duplice riconoscimento segue strade diverse e contorte per congiungersi nel lieto fine.

In altri romanzi troviamo anche una visione paternalistica della società, attraverso la retorica di un datore di lavoro, un padrone che fa il bene degli operai. Attraverso questo elemento l'autore vuole contribuire alla pacificazione sociale e dimostrare come, attraverso la rinuncia e la sottomissione all'autorità e alle regoli sociali, si possa raggiungere la felicità che non si ottiene col denaro. Esempi sono i romanzi Il padrone delle ferriere (1882) di Georges Ohnet (1814-1918), La portatrice di pane (1890) di Xavier de Montèpin (1824-1902) e lo stesso David Copperfield (1850) di Charles Dickens (1812-1870).

Nei testi nei quali sono prevalenti l'azione e l'avventura troviamo anche il "riconoscimento dell'individualità borghese trionfante" (Bordoni - Fossati) , vale a dire l'opposizione tra l'insieme delle giustizie e delle violenze subite e la realizzazione della feroce vendetta, eseguita con fredda determinazione da super-eroi che combattono per un ideale astratto di giustizia o per il compimento di una vendetta personale. Il piacere derivante dal riconoscimento del protagonista dopo un viaggio, una sottomissione, un sacrificio, ne esalta le virtù e ne sancisce il livello sociale. Ma il riconoscimento dell'autentico eroe non è sufficiente: chi legge è portato a proiettare nel testo le proprie frustrazioni e a godere di un appagamento fantastico quanto crudele. Legato a questa figura è anche il tipico self-made man, l'uomo che raggiunge il successo grazie alle sue sole forze, che parte da condizioni di miseria o di emarginazione e pian piano emerge, in un contesto sociale pronto a riconoscerlo e a premiarlo. Implicita è l'esaltazione della figura borghese corrispondente a una fase di crisi, di ripensamento delle certezze conquistate. Un esempio per tutti: di nuovo David Copperfield.

Il personaggio maschile del feuilleton si è dunque evoluto dalla semplice figura di eroe ribelle votato al male del precursore romanzo gotico; più simile alla Pamela Richardsoniana è invece la donna, che si presenta in quattro tipi femminili: la vergine, la madre, l'amazzone e la cortigiana. Il Romano studia attraverso uno schema i rapporti tra eroe ed eroina:

madre

angelico asse della partecipazione


vergine asse del distacco amazzone


demoniaco

cortigiana


"L'eroe ha 4 possibilità di rapporto con l'eroina: sull'asse della partecipazione - reverenza filiale (madre) o godimento amoroso (cortigiana); sull'asse del distacco - rispetto religioso (vergine) o ostilità distruttiva (amazzone). Riguardo alla finalità del comportamento, l'eroina può essere angelica (la donna che salva) o demoniaca (la donna che perde)" (Romano)[4]. In particolare la donna fatale è caratterizzata da una violenta potenza distruttiva, che rende folle l'eroe, minacciandone la tranquillità effettiva e borghese e conducendolo alla rovina o alla depravazione.




si veda: A. Bianchini, op. cit., pp.18-19

A. Bianchini, op. cit., p.11

C. Bordoni e F. Fossati, Dal feuilleton al romanzo d'appendice, ed. riuniti, Roma, 1985, p.24

M. Romano, op. cit., p.15

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