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STORIA DEL TERMINE E ANALISI DELL'AMBIGUITA' DELLA PAROLA
In una civiltà scientifica, l'idea di Verità richiama subito quelle di obiettività, di comunicabilità, di unità. Per noi la verità si definisce a due livelli: da una parte come conformità a determinati principi logici, dall'altra come conformità al reale; in questo senso, è inseparabile dalle idee di dimostrazione, di verifica, di esperimento. Tra le nozioni elaborate dal senso comune, senza dubbio la verità è una di quelle che sembrano essere sempre esistite; non aver mai subito alcun cambiamento; che appaiono insomma relativamente semplici. Basti pensare, però che l'esperimento, su cui si basa la nostra immagine del vero, è divenuto un'esigenza solo in una società dove esso era una tecnica tradizionale, in una società dove la chimica e la fisica hanno conquistato un ruolo di primaria importanza. Dunque, ci si può chiedere se la verità, in quanto categoria mentale, non sia solidale a tutto un sistema di pensiero; se non sia solidale anche, alla vita materiale e alla vita sociale.
Tra il nostro sistema di pensiero ( la ragione occidentale) e la Grecia esistono rapporti stretti: infatti la concezione di una verità obiettiva e razionale, caratteristica dell'Occidente, è nata storicamente dal pensiero greco. Ne è prova il fatto che personaggi come Parmenide, Platone, Aristotele, sono di continuo invocati, confrontati e discussi nella riflessione sul Vero dei filosofi contemporanei. Inoltre, nel tipo di ragione elaborato dalla Grecia a partire dal VI secolo, una certa immagine della Verità occupa un posto fondamentale. Quando scopre l'oggetto proprio della sua ricerca, quando si libera dal terreno del pensiero mitico che ancora dominava la cosmologia degli Ioni, quando affronta deliberatamente problemi destinati a interessarla per sempre, la riflessione filosofica organizza il suo campo concettuale intorno ad una nozione centrale: Aletheia o la "Verità".
Nell'antichità le figure che portano sulla propria bocca Aletheia sono principalmente tre: l'indovino, che pone un significato in ambito mantico al termine; il poeta, che scorge la rivelazione del Vero nella parola poetica; il re di giustizia.
Ognuno di questi personaggi associa la parola Aletheia ad una o più potenze contigue, ma non similari.
Il re di giustizia sottintende la coincidenza tra Verità e Dike, ossia la giustizia: per lui ciò che è vero è giusto, ciò che è giusto è vero. In effetti, l'Aletheia è la "più giusta" di tutte le cose (Mimnermo). La sua potenza è fondamentalmente la stessa di Dike: a Dike " che conosce in silenzio ciò che avverrà e ciò che è avvenuto, risponde l'Aletheia, che sa tutte le cose divine, il presente e l'avvenire" (Euripide, Hel, 13 sgg.).
L'indovino vede associate ad Aletheia le potenze di Pistis e Peitho. Esse corrispondono l'una alla confidenza dell'uomo in un dio, oppure, in questo caso, la confidenza di un uomo nella parola di un dio; l'altra è la potenza della parola quale si esercita sugli altri, " la sua magia, la sua seduzione quale gli altri la subiscono" (M. Detienne). Mentre il dono di Peitho è topico e proprio della figura dell'indovino, Pistis si presenta, oltre che alla stregua di fede nell'oracolo, come confidenza nelle Muse: dote caratteristica del poeta. Quets'ultimo sfrutta Pistis per ottenere l'ispirazione dalle Muse affinché lo inducano a rivelare Aletheia attraverso parole giuste e sagge.
Per il poeta però Aletheia copre lo stesso valore di Mnemosyne, la Memoria: è in nome di quest' ultima, infatti che dichiara la Verità, affinché essa con cada nell' Oblio, Lethe.
Proprio in riferimento a questo, Aletheia e Mnemosyne mostrano un'equivalenza di significato: entrambe sono complementari a Lethe giacchè come la Memoria, Aletheia è "un'onniscienza che ingloba presente, passato e futuro" ( Iliade, I, 70; Teogonia, Esiodo, 32 e 38).
L'accostamento tra i due termini Verità e Memoria diviene ancor più evidente se si studia l'etimologia del corrispettivo greco del primo termine.
La parola greca " 'Alhqeia" è composta dall'elemento "a (alpha) privativo, particella proclitica che ha valore di negazione pura e semplice, affiancato al sostantivo "lhqe" (lethe) che significa "oblio". Di qui "aletheia" come equivalente di "non - oblio" e, in questo caso, memoria.
Anche se tutti i significati e le sfumature attribuitile dimostrano, come già visto, una certa contiguità con il termine, attraverso le medesime associazioni si nota come "aletheia" non venga colta nel suo significato intrinseco e puro.
Aletheia in se si pone come selezione dell'uomo: essa è la scelta coraggiosa, da lui operata, del rifiuto dell' oblio, di un sonno " tranquillo e dolce per gli uomini"(Esiodo, Teog., 758-766).
Essa rappresenta l'impegno assunto dall'uomo a non dimenticare la vicenda propria e del mondo che lo circonda : egli sceglie di ergersi titanicamente dalla Nebbia dell' oblio ( la medesima invocata da Pascoli affinché lo separi dal suo tristo passato) e di affrontare la realtà o "l'arido Vero", come indica Leopardi ne "la Ginestra", pur essendo consapevole dei propri limiti e delle proprie debolezze.
L'uomo- titano non si limita però all'accettazione della Verità, ma decide di farsene araldo, divenendo veicolo della sua denuncia attraverso l'analisi e la deplorazione degli atti della società di appartenenza, come è messo in essere da Giovenale ( nell'antichità) e Hannah Arendt ( nell' epoca a noi più vicina).
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