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Soren Kierkegaard (1813-1855)




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Soren Kierkegaard


Opere principali

Il concetto di ironia (1841), Aut-aut (1843), Timore e tremore (1843), Briciole di filosofia (1844), Il concetto dell'angoscia (1844), Stadi sul cammino della vita (1845), Postilla conclusiva non scientifica (1846), La malattia mortale (1849), Esercizio del cristianesimo (1850); da ricordare inoltre i Diari, pubblicati postumi.

La filosofia come risposta esistenziale

L'originalità della proposta di Kierkegaard sta nell'affermare che oggetto dell'indagine filosofica è l'esistenza individuale: non è la storia universale a darci il senso della verità, ma la vita dell'individuo, del singolo, 'la categoria attraverso la quale l'epoca, la storia, l'umanità devono passare'; non è dal tutto che possiamo ricavare la verità, ma dalla esperienza vissuta di ognuno; la verità non è insita nel sistema, si manifesta in ogni singolo atto della vita di ogni individuo.

'Qual è la condizione della mia esistenza, qual è il senso del mondo in cui vivo?' è la domanda fondamentale della filosofia. La risposta non può venire dal mondo sensibile oggetto dell'esperienza quotidiana, ma dalle profondità insondabili dell'animo. L'analisi della propria esistenza è la via della scoperta della verità.

A questo esame l'esistenza si rivela come disperazione, malattia mortale, perché il peccato è la dimensione necessaria dell'esistere, l'uomo è perennemente alla ricerca dell'infinito che gli sfugge.

La vita estetica

Il primo stadio esistenziale è quello estetico, impersonato nelle figure dell'artista e di don Giovanni, il seduttore per eccellenza. L'esteta è colui che ispira la sua vita al sogno di vivere poeticamente; è sensibile, scaltro, attratto solo dalla bellezza che la donna impersona.

Il seduttore, per raggiungere il suo fine, non può accontentarsi di possedere la donna che gli ha acceso il desiderio, deve impadronirsi di tutta la sua persona per goderne esteticamente, è l'amante spirituale che si avvale delle sue doti intellettuali per spingerla all'abbandono totale, all'annullamento di se stessa. E' questo il fine, ma anche il limite della vita estetica: se la seduzione non giunge al suo fine, l'esteta si dispera; così pure, quando giunge al completo possesso dell'amata ha fine il desiderio che ha animato la seduzione e il vuoto totale riprende il sopravvento. Disperazione e noia sono i sentimenti che caratterizzano la vita estetica.

La disperazione è il sentimento fondamentale dell'esteta: cercando il piacere, egli cerca di sfuggire alla disperazione, ma rinuncia ad essere se stesso perché crede di trovare il proprio appagamento negli altri; la disperazione è il sentimento, il bisogno e quindi la possibilità di scegliere una vita diversa.

La vita etica

Per rompere il circolo che chiude la vita estetica, è necessario scegliere la disperazione come elemento dell'esistenza, scegliere di essere se stessi. All'esistenza vissuta attimo per attimo si sostituisce un'esistenza diversa, la vita etica, che ha la sua ragione fondamentale nella volontà e nella responsabilità. La figura del marito rappresenta il modello di questo stadio dell'esistenza, per il marito 'la bellezza della donna cresce con gli anni', la sua regola di vita è l'impegno familiare e la fedeltà a questo impegno, per cui assume su di sé la responsabilità di tutto ciò che è avvenuto nella famiglia anche di azioni dolorose non compiute direttamente.

Questo impegno determina il senso del tempo, della continuità e, perciò, della storia. La vita etica in questo modo si manifesta come universalità: la contraddizione dell'esistenza viene riconosciuta e superata nell'accettazione di una regola e di un fine che permettono al singolo di vincere la passione illusoria e incostante dell'esistenza estetica, e di avere ragione della disperazione accettandola.

Il passaggio dallo stadio estetico a quello etico non è un fatto che avvenga naturalmente, è un salto qualitativo, implica una scelta consapevole che si fonda sul riconoscimento dell'esistenza come nulla, come male.

[Il mio aut-aut non indica la scelta tra il bene e il male; indica la scelta con la quale ci si sottopone o non ci si sottopone al contrasto fra bene e male. Qui la questione è sotto quale punto di vista si voglia considerare tutta l'esistenza e vivere. Che chi sceglie tra il bene e il male scelga il bene è si vero, ma questo appare soltanto dopo; poiché l'estetica non è il male, ma l'indifferenza, ed è perciò che dissi che è l'etica a fondare la scelta. Perciò non importa tanto scegliere di volere il bene o il male, quanto scegliere di volere; ma in questo modo vengono posti nuovamente il bene e il male. Chi sceglie l'etica sceglie il bene, ma qui il bene è completamente astratto, il suo essere con ciò è solo posto, e non ne consegue affatto che chi sceglie non possa di nuovo scegliere il male, nonostante che scelse il bene'.] (Aut aut).

La vita religiosa

La scelta etica, vivere la propria disperazione, per essere radicale, deve essere scelta dell'assoluto, determinare un rapporto diretto del singolo con Dio; ma essa non raggiunge questo livello, perché in essa il singolo si pone davanti a Dio e non in Dio. Vivere fino in fondo la propria disperazione significa arrivare a comprendere la necessità di scegliere fra la disperazione dell'esistenza, determinata dalla separazione fra il singolo e Dio, e la fede mediante la quale il singolo si abbandona completamente a Dio. L'esistenza è infatti peccato che solo la fede può superare; ecco perché la scelta etica richiede un nuovo e radicale salto: la scelta religiosa.

Anche in questo caso va affermato che fra vita etica e vita religiosa non c'è continuità, l'abisso che divide le due scelte è più profondo di quello che si apriva fra vita estetica e vita etica: la vita religiosa, mettendo l'uomo in rapporto con Dio, lo pone al di sopra di qualsiasi elemento su cui possa fissare la propria esistenza perché l'Assoluto, Dio, non è riducibile ad alcuna categoria.

[L'uomo è di fronte al bivio: credere o non credere. Da un lato è lui che deve scegliere, dall'altro ogni sua iniziativa è esclusa perché Dio è tutto e da lui deriva anche la fede. La vita religiosa è nelle maglie di questa inesplicabile contraddizione.] (Timore e tremore).

Abramo è la figura-simbolo della vita religiosa: Abramo che, avendo sempre vissuto nell'assoluta osservanza dei precetti morali, riceve da Dio l'ordine di uccidere il figlio infrangendo la legge morale. Il comando divino è superiore sia alla legge morale che agli affetti naturali; sono condizioni inconciliabili e la scelta fra l'una o l'altra non può essere aiutata da alcuna considerazione razionale. Abramo, uomo di fede, seguirà l'ordine divino anche contro il parere dei familiari; così chi sceglie la vita religiosa seguirà l'ordine divino anche contro il resto del mondo, anche contro la legge morale.

La fede infatti, proprio perché non può essere risolta in categorie, è una dimensione assolutamente personale, inesplicabile; l'uomo di fede risolve il generale nella singolarità della propria esistenza. La fede è quindi dolore che nasce dall'incertezza dell'esistere, è angoscia proprio perché paradosso.

Il Cristianesimo è l'unica religione che esprime questa verità esistenziale profonda, intima. E' nell'interiorità che l'esistenza si rivela come disperazione alla quale solo Dio rappresenta una risposta.

Il rifiuto dell'hegelismo, la scelta e il paradosso

Deriva da tutto ciò la polemica antihegeliana. Hegel, con la tesi per cui la ragione è base della ricerca dell'assoluto, ha distrutto l'uomo, lo ha spersonalizzato e ha minato ogni possibilità di costruire una vita etica fondata sulla coscienza personale. La contraddizione dialettica non deve essere sanata in una sintesi perché l'esistenza è essenzialmente legata alla contraddizione, all'aut aut, la base di ogni scelta; se la ragione è mediazione di aspetti diversi raccolti in una identità, la fede è rottura con la razionalità, è salto, rischio, paradosso. E' necessaria la consapevolezza che non tutto l'esistente è riducibile a conoscenza. Questo è il paradosso della fede, ciò per cui la fede è superiore a qualsiasi altra condizione in cui l'uomo si possa trovare.

La fede così diventa la via per vincere la disperazione e l'angoscia, strutture essenziali dell'esistenza, proprio perché è totale abbandono del singolo a Dio.

GLOSSARIO

ANGOSCIA

In Kierkegaard è il sentimento fondamentale dello stadio di vita religioso, quando la fede viene vissuta in tutta la pienezza che il messaggio cristiano ha rivelato. L'angoscia nasce dal fatto che la fede è paradosso, è dolore accettato in sé. Questa accettazione determina anche la possibilità di superare l'angoscia attraverso il totale abbandono dell'uomo a Dio.

ARTE

In Schopenhauer è la prima via che è data all'uomo per liberarsi dalla volontà, perché nell'arte l'uomo riesce a contemplare l'idea, l'essenza universale, sottraendo la propria rappresentazione ai vincoli della causalità che caratterizzano invece il principio di ragione. Dal momento che l'arte è contemplazione di essenze immutabili e eterne ha la capacità di staccare l'uomo dai dolori della vita quotidiana proiettandolo oltre la volontà, al di là di ogni dolore. In questo stato non esiste la felicità o l'infelicità, esiste solo il soggetto puro della conoscenza, 'l'occhio puro del mondo'. La visione unitaria delle pure idee che l'arte consente non annulla il fatto che la natura sia contrasto lotta incessante della volontà per emergere. Per questa ragione l'arte non offre una liberazione permanente, appena la coscienza percepisce una relazione fra l'oggetto intuito e la volontà la vita riprende il sopravvento. L'arte quindi non rappresenta una vera liberazione dalla volontà di vivere, ha solo una funzione consolatoria. Come le idee sono la rappresentazione di gradi diversi di oggettivazione della volontà che vanno dalla natura all'uomo, così anche le arti hanno una scala gerarchica: dall'architettura, che rappresenta le forze naturali, alla scultura, alla pittura alla poesia, alla tragedia, in cui il contrasto della vita viene espresso in tutta la sua violenza, e infine la musica. La musica è la più alta manifestazione artistica perché, mentre tutte le arti sono in qualche modo rappresentazione delle idee, essa è idea in sé. Se la musica potesse essere spiegata completamente sarebbe filosofia pura.

ASCESI

In Schopenhauer è il livello più alto del processo di liberazione dalla volontà, è 'l'orrore dell'uomo per l'essere di cui è espressione il suo proprio fenomeno, per la volontà di vivere, per il nocciolo e l'essenza di un mondo riconosciuto pieno di dolore'. I livelli che costituiscono l'ascesi sono la castità, il rifiuto dell'impulso alla generazione e quindi della volontà di vivere, la rassegnazione, la povertà e il sacrificio e la morte. La morte che ci libera dalla volontà di vivere non può venire dal suicidio, il momento massimo di sconfitta perché l'uomo soccombe di fronte alla volontà, ma dalla assoluta serenità d'animo, dall'assenza completa di passioni, dal 'puro nulla'.

CAUSALITÀ

In Schopenhauer è la categoria che fonda la conoscenza razionale, 'il principio di ragione'. Conoscere significa chiedersi il 'perché' delle cose. Dal momento che nella ricerca della causa gli oggetti possono esser considerati sotto ottiche diverse, non si può parlare di una causalità generica e si rende necessario esaminarne le possibili forme; Schopenhauer individua quattro forme possibili di causalità:

1 )la forma del divenire che si manifesta negli oggetti naturali, nel mondo fisico, è il fondamento della necessità fisica

2)la forma del conoscere sulla quale vengono determinate le relazioni fra premesse e conseguenze, è il fondamento della necessità logica

3)la forma dell'essere che determina i rapporti fra gli oggetti nello spazio e. nel tempo, fonda la necessità matematica

4)la forma dell'agire per la quale gli oggetti vengono considerati non in se stessi, ma in funzione del soggetto di cui muovono l'agire determinando in lui stimoli e motivazioni, è il fondamento della necessità morale.

Queste varie forme della causalità non appartengono né al soggetto, né all'oggetto, ma sono il fondamento della rappresentazione, che è il rapporto che si instaura fra il soggetto e l'oggetto nell'atto del conoscere. La causalità permette quindi la rappresentazione di un mondo tutto determinato, ma non esaurisce il mondo stesso perché la rappresentazione, che resta legata al fenomeno richiama la volontà; nella rappresentazione forma e contenuto sono tutt'uno, fenomeno e noumeno non possono essere separati, la prima verità di cui l'uomo ha esperienza, 'il mondo è mia rappresentazione', diventa 'il mondo è la mia volontà'.

COMPASSIONE

Per Schopenhauer l'arte rappresenta una liberazione dalla volontà transitoria e momentanea; una liberazione definitiva deve passare attraverso il momento etico. La giustizia, che rappresenta il superamento dell'egoismo, permette ancora una visione dell'io e degli altri e quindi non supera completamente l'antagonismo che c'è fra gli individui; sopprimere la divisione fra sé e gli altri, riconoscere che in ogni individuo opera la stessa volontà è un compito superiore, è il livello della 'bontà', della 'compassione' per la quale si riconosce il dolore altrui come proprio; 'Ogni amore puro e sincero è pietà'.

CONOSCENZA

Schopenhauer distingue due livelli di conoscenza: la conoscenza razionale, fondata sul principio di ragion sufficiente, sulla causalità, legata alla rappresentazione del fenomeno e la conoscenza delle pure essenze, delle verità eterne che è compito della filosofia; due infatti sono le fonti della conoscenza: il senso esterno e il senso interno. La conoscenza razionale si ferma all'apparenza delle cose, ma nella sua superficialità fa intendere che il dolore è l'essenza ultima della vita e del mondo. Il passaggio dalla conoscenza razionale a quella delle essenze è mediato dal corpo che non è solo oggetto di rappresentazione, è anche volontà di cui ognuno ha conoscenza immediata. L'esame della volontà fa nascere la consapevolezza della dimensione necessaria del dolore; questo riconoscimento determina la possibilità di costruire una esperienza diversa, di negazione della volontà, di negazione del dolore; essendo la volontà azione, il processo di liberazione che parte dalla conoscenza ha necessariamente bisogno di terminare nell'etica, attraverso la giustizia, la compassione e l'ascesi. A questo livello di conoscenza, che ha superato l'apparenza del fenomeno, il 'velo di Maya', il mondo si rivela come nulla.

ESISTENZA

E' la categoria centrale del pensiero di Kierkegaard; è infatti dall'analisi della propria esistenza che ogni uomo può trovare la verità che ricerca. Questa ricerca mostra l'esistenza come libertà: essa infatti è caratterizzata essenzialmente dalla 'scelta' che in ogni atto il singolo compie. Capire il senso della propria esistenza significa quindi capire il senso del mondo, del divenire, in una parola, della storia. Se il mondo è la storia, cioè il contingente, l'uomo non trova in esso la verità che cerca; essa verrà invece dall'introspezione che, oltre il contingente, mostra la verità necessaria: l'esistenza è malattia mortale, disperazione, e perciò angoscia, l'uomo infatti è perennemente alla ricerca dell'infinito che gli sfugge. Se la conoscenza non produce la verità, allora essa potrà venire solo dalla fede. E' questa ricerca dell'infinito che determina le modalità dell'esistenza, gli stadi della vita: estetico, etico e religioso.

FEDE

Per Kierkegaard è l'accettazione totale della volontà divina, è 'vivere in Dio'; proprio perché scelta totale, non segue le mediazioni della ragione perché l'Assoluto, Dio, non può essere risolto in categorie. La fede rappresenta la scelta più radicale che l'uomo ha di fronte a sé e poiché non è riducibile a criterio razionale rappresenta una dimensione di vita assolutamente personale, intima, inesplicabile. Per questa ragione la fede è solitudine, dolore, consapevolezza di non 'potere e non dovere comprendere, e quindi 'salto', 'rischio', 'paradosso'. Ma l'irrazionalità, il paradosso è anche il motivo per cui la fede è una condizione superiore a qualsiasi altra in cui l'uomo possa trovarsi. Se il mondo e l'esistenza sono la dimensione della razionalità e del dolore, la fede, che è dimensione dell'irrazionalità, è l'unica via che consente il superamento della disperazione.

GIUSTIZIA

Schopenhauer vede nella giustizia il primo grado di liberazione dalla volontà. Esso si realizza attraverso il superamento dell'egoismo, che porterebbe l'uomo a soddisfare i suoi bisogni calpestando gli altri; la giustizia permette a un uomo di riconoscere tutti gli altri come rappresentazione della stessa volontà, e rivela l'illusorietà dell'esistenza individuale.

MONDO

Per Schopenhauer è il concetto che contiene sia il fenomeno, la realtà che ci appare e che rende possibile la rappresentazione, che il noumeno, la cosa in sé che Schopenhauer non considera limite invalicabile della conoscenza, ma la verità profonda che l'uomo può scoprire attraverso l'analisi di se stesso, della propria vitalità. A questa analisi il mondo si rivela come fatto dinamico caratterizzato dal continuo bisogno, cioè dalla mancanza, dal dolore.

NOLONTA'

In Schopenhauer è la negazione della volontà; tale negazione non implica l'annullamento di una sostanza, è 'il puro atto del non volere: ciò che prima voleva, ora non vuole più. Poiché noi conosciamo questo essere, la Volontà, come cosa in sé, soli in e per l'atto del volere, noi non possiamo sapere né dire che cosa esso sia o faccia ancora dopo che ha rinunciato all'atto del volere: perciò la negazione è per noi, che siamo una manifestazione del volere, un passaggio nel nulla'. La nolontà rende possibile la liberazione dal dolore che la vita porta necessariamente con sé; nasce dalla conoscenza di quel male che è la volontà dalla cui negazione, e soltanto da essa, può venire liberazione dell'uomo che si realizza attraverso i vari gradi dell'etica, la giustizia, la compassione, l'ascesi.

RAGIONE

In Schopenhauer è la facoltà attraverso la quale la rappresentazione assume significato perché collegata alle altre secondo il principio causale, il principio di ragione; la conoscenza quando arriva alla verità determina la possibilità di intraprendere il cammino della liberazione dal dolore, della nolontà.

RAPPRESENTAZIONE

In Schopenhauer è il rapporto che si instaura fra soggetto e oggetto nel momento della conoscenza; in quanto 'rapporto', è un fatto che viene sperimentato da ognuno e precede l'intuizione del tempo, dello spazio, della causalità che possono sussistere solo nella rappresentazione e non sono pertanto condizione di essa; nella rappresentazione l'oggetto esiste solo in quanto agisce nello spazio e nel tempo e questo agire acquista un senso dal rapporto causa-effetto: 'il mondo è mia rappresentazione. () Se c'è una verità che si può affermare a priori è proprio questa: essa infatti esprime la forma di ogni esperienza possibile e immaginabile, la quale forma è più universale di tutte le altre e cioè del tempo, dello spazio e della causalità, perché tutte queste implicano già la prima'.

SINGOLO

In Kierkegaard è la categoria che permette la vera comprensione dell'uomo: esso infatti non è la specie cui appartiene, ma l'individuo concreto che vive la vita quotidiana. La verità non deriva dall'universale, ma dall'esperienza di vita di ogni persona; è 'la categoria attraverso la quale l'epoca, la storia, l'umanità devono passare'. Se l'unica realtà è il singolo allora l'unica domanda che ha senso per il filosofo diventa: qual è la condizione della mia esistenza, qual è il senso del mondo in cui vivo.

STADI DELLA VITA

Gli stadi che Kierkegaard indica sono quello estetico, quello etico e quello religioso. Il primo è caratterizzato dal sogno di una vita poetica e impersonato dalle figure dell'artista e di don Giovanni che hanno l'illusione di trovare l'infinito nell'arte o nella bellezza femminile. E' una stadio di vita il cui sentimento fondamentale è la disperazione da cui l'esteta cerca di fuggire attraverso la ricerca del piacere, ma in cui ricade necessariamente il piacere infatti è una dimensione irraggiungibile perché pone in qualcosa fuori di sé la ragione per cui vivere: 'chiunque viva esteticamente è disperato, lo sappia o non lo sappia; la disperazione è l'ultimo sbocco della concezione estetica della vita'. Proprio perché la disperazione è il sentimento fondamentale della vita estetica rappresenta anche il bisogno e la possibilità di una scelta diversa. Scegliere di non fuggire dalla disperazione, ma accettarla come dimensione connaturata all'esistenza è il carattere fondamentale della vita etica; scegliere la disperazione significa scegliere di essere se stessi; la vita allora non viene più vissuta attimo per attimo, secondo il modello estetico, ma viene costruita nel tempo; la figura tipica di questo stadio è il marito, la cui regola di vita è l'impegno familiare e la responsabilità che esso comporta. La scelta fra vita estetica e vita etica non è la scelta fra bene e male, ma fra l'accettazione o meno del contrasto fra bene e male che si manifesta nell'esistenza. La vita etica non risolve in maniera radicale questo contrasto, solo la scelta della vita religiosa lo risolve: nello stadio religioso l'uomo non si pone di fronte a Dio, ma annulla se stesso in Dio vivendo fino in fondo la propria disperazione; l'esistenza è disperazione perché è peccato e solo la fede può superare questo status.

VOLONTÀ

In Schopenhauer è l'essenza più profonda del mondo, per la quale esso si riproduce continuamente; il desiderio che muove la volontà non è determinato dalle categorie della conoscenza razionale (spazio, tempo, causalità), la volontà pertanto è assolutamente cieca, irrazionale, libera, unica e indivisa, è 'il nocciolo di ogni singolo e ugualmente



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