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VITA
Giovanni Pascoli nacque a San Mauro di Romagna, quarto di dieci figli. Da ragazzo fu nel collegio dei Padri Scolopi ad Urbino, quindi nei licei di Rimini e di Firenze. Il 10 agosto 1867 il padre, mentre tornava dal mercato di Cesena, rimase ucciso da una fucilata sparata a bruciapelo da un ignoto, e fu quello il primo di una lunga serie di lutti che funestarono l'adolescenza del poeta. Lasciata la tenuta della Torre, la famiglia si stabilì a San Mauro, e nel volgere di un anno morirono la sorella Margherita e la madre, e nel 1871 il fratello Luigi. Giovanni stette ancora nel collegio di Urbino sino al 1871; frequentò la seconda liceale a Rimini e la terza a Firenze, conseguendo la maturità classica a Cesena. Essendosi classificato primo tra i concorrenti a sei borse di studio messe a bando dall'università di Bologna, poté iscriversi ai corsi di lettere. Moriva di lì a poco il fratello maggiore Giacomo. Il poeta, che in quegli anni strinse amicizia con Andrea Costa e aderì al socialismo, tanto s'infervorò dell'azione rivoluzionaria da venire incarcerato ( 7 settembre-22 dicembre 1879). Quando uscì di prigione la sua passione politica si era di molto affievolita e, anche per esortazione del Carducci tornò agli studi e conseguì la laurea nel 1882. Cominciò allora la sua carriera di professore liceale di latino e greco: a Matera prima, quindi a Massa dove ricostituì la famiglia ricongiungendosi con le sorelle Ida e Maria, la prima delle quali di lì a poco si sposò, mentre l'altra gli restò sempre vicina, affettuosa ma anche troppo gelosa custode della sua intimità. Dal 1887 al 1895 insegnò nel Liceo di Livorno, e nel 1895 si sistemò nella casa di Castelvecchio di Barga, presso Lucca, che non molto dopo poté acquistare e che fu poi sempre il suo porto di pace.
In quegli anni malinconici e sereni, assorbiti da un lavoro talvolta eccessivo, maturò la maggior parte delle liriche raccolte in Myricae delle quali solo poche sono anteriori al 1886: Il maniero, Rio Salto e Romagna. Pubblicate nel 1891, Myricae segnarono l'inizio della sua fortuna di scrittore; in questo stesso anno il Pascoli riportò il primo successo di poeta in latino aggiudicandosi la medaglia d'oro al concorso di Amsterdam con il poemetto Veianus. Nel 1895 passò all'insegnamento liceale a quello universitario tenendo per due anni l'incarico di grammatica greca e latina a Bologna. Nel 1897 scrisse i Poemetti, sdoppiati poi nei Primi Poemetti (1904) e nei Nuovi Poemetti(1909) i quali offrono una delle testimonianze dell'anima poetica del Pascoli. Nei prossimi anni sarà poi nominato titolare di letteratura latina all'università di Messina. Nel 1906 tenne a Pisa la cattedra di grammatica greca e latina, che lasciò per succedere al Carducci nell'insegnamento della letteratura italiana a Bologna.
Nel 1912 muore a Bologna, dopo aver celebrato con inni il cinquantennio dell'unità nazionale e aver salutato l'impresa libica come l'inizio di una nuova era della storia d'Italia. E' sepolto a Castelvecchio.
X Agosto
San Lorenzo, io lo so perché tanto
di stelle per l'aria tranquilla
arde e cade, perché si gran pianto
nel concavo cielo sfavilla.
Ritornava una rondine al tetto;
l'uccisero: cadde tra spini;
ella aveva nel becco un insetto:
la cena de' suoi rondinini.
Ora è là come in croce, che tende
quel verme a quel cielo lontano;
e il suo nido è nell'ombra, che attende,
che pigola sempre più piano.
Anche un uomo tornava al suo nido
l'uccisero: disse: Perdono;
e restò negli aperti occhi un grido
portava due bambole in dono.
Ora è là, nella casa romita,
lo aspettano, aspettano in vano:
egli immobile, attonito, addita
le bambole al cielo lontano.
E tu, Cielo, dall'alto dei mondi
sereni, infinito, immortale,
oh! d'un pianto di stelle lo inondi
quest'atomo opaco del Male!
Il 10 Agosto, San Lorenzo, è il giorno delle stelle cadenti e attraverso questo simbolo il poeta ricorda la misteriosa uccisione del padre. Quindi al dolore della famiglia partecipa anche il cielo, ma è una presenza lontana e impotente davanti al male e al dolore degli uomini. Le stelle cedenti diventano il simbolo del pianto che il cielo riversa sulla terra.
Forma metrica: sei quartine di endecasillabi e novenari alternati, secondo lo schema ABAB.
In questa poesia possiamo notare che la prima e la sesta strofa formano una sorte di cornice alla poesia, mentre le quattro centrali costituiscono il corpo.
Nella prima strofa il poeta dice di sapere perché un così gran numero di stelle sembra incendiarsi e cadere nel cielo('arde e cade') : è perché tante stelle che cadono così fitte sembrano le lacrime di un pianto dirotto che splendono nella volta celeste, 'nel concavo cielo'.
Nelle quattro strofe centrali immagina una rondine che, mentre tornava al suo nido, 'tetto', fu uccisa e cadde tra i rovi, ella avevo un insetto in bocca cioè il cibo dei suoi piccoli. Pascoli con una metafora, intende dirci che la rondine era l'unica fonte di sostentamento per i suoi piccoli così come suo padre lo era per lui. Descrive la rondine trafitta sui rovi spinosi con le ali aperte quasi come se fosse in croce. Mentre i suoi rondinotti rimangono in una vana attesa del cibo. Dopo passa a descriverci un uomo, suo padre, che mentre tornava a casa, 'nido' fu ucciso ma, aggiunge, mentre era in punto di morto pronunziò parole di perdono verso i suoi assassini. Negli occhi rimase la volontà di emettere un 'grido'. Invece Pascoli, con il particolare delle due bambole che l'uomo portava, voleva alludere alla tenerezza che avrebbe caratterizzato l'arrivo del padre a casa e delinea un mondo di consuetudini affettuose che la morte interruppe. Adesso, nella casa 'romita', solitaria, i suoi familiari lo attendono inutilmente come in precedenza avevano fatto i rondinotti. Il povero uomo 'immobile, attonito' indica le bambole al 'cielo lontano' che è descritto dal poeta molto distaccato e indifferente al dolore umano.
E infine nella sesta strofa, dice che il cielo, visto come una divinità, dall'alto della sua serenità lascia cadere fitte lacrime, 'pianto di stelle', su questa piccola parte dell'universo, 'atomo opaco del Male', che è il regno del male.
Il gelsomino notturno
E s'aprono i fiori notturni,
nell'ora che penso a' miei cari.
Sono apparse in mezzo ai viburni
Le farfalle crepuscolari.
Da un pezzo si tacquero i gridi:
là sola una casa bisbiglia.
Sotto l'ali dormono i nidi,
come gli occhi sotto le ciglia.
Dai calici aperti si esala
l'odore di fragole rosse.
Splende un lume là nella sala.
Nasce l'erba sopra le fosse.
Un'ape tardiva sussurra
Trovando già prese le celle.
La Chioccetta per l'aia azzurra
va col suo pigolio di stelle.
Per tutta la notte s'esala
L'odore che passa col vento.
Passa il lume su per la scala;
brilla al primo piano: s'è spento.
E' l'alba: si chiudono i petali
Un poco gualciti: si cova,
dentro l'urna molle e segreta,
non so che felicità nuova.
Il tema fondamentale della lirica è la prima notte di nozze dell'amico Gabriele Briganti, notte in cui è stato concepito il piccolo Dante Gabriele Giovanni.
Con quest'opera, il poeta ci descrive la prima notte di nozze e parla del rito di fecondazione, visto dal poeta come una violenza inferta alla carne. Egli ci trasmette la sua inquietezza e la sua infelicità nei confronti del sesso, rivelando un misto di attrazione e repulsione per il corpo femminile.
Forma metrica: quartine di novenari, a rima alternata (ABAB). In ciascuna quartina i primi due versi hanno l'accento sulla seconda, quinta e ottava sillaba, gli altri due sulla terza, quinta e ottava.
La lirica nella prima quartina comincia con la congiunzione 'E ', questo rappresenta il proseguimento di un discorso iniziato precedentemente. Sempre in questi versi il poeta, immerso in un'atmosfera di trepidazione e indefinibile smarrimento coglie il mistero che palpita nelle piccole cose della natura. Si accorge che la notte, quando tutto intorno è pace e silenzio, vi sono fiori che si aprono e farfalle che volano. Una vita inizia quando la vita consueta cessa.
Nella seconda quartina: avvolge la notte un senso di silenzio, cui si contrappone il misterioso agitarsi della vita 'là' nella casa: il bisbiglio desta fascino e curiosità, il verbo si riferisce al rumorio ed al bisbiglio di voci che provengono dalla casa. Questo verbo vuole, dunque, sottolineare la presenza di qualcuno ancora sveglio all'interno della casa; il tutto nel silenzio della notte dove solo quella casa è ancora illuminata. Nei versi successivi appare l'immagine dei nidi in cui i piccoli dormono sotto le ali della madre; il termine nido in questo caso, non si indica il rifugio in cui vivono gli uccelli, esso indica la protezione che gli uccelli trovano dormendo sotto le ali protettrici dei genitori. Questo termine può essere sicuramente contrapposto alla casa nuziale in quanto il nido, un tema fondamentale del poeta, è inteso come l'immagine chiusa, gelosa e rassicurante dove i piccoli sono protetti dal calore dei grandi, in cui vi sono solo i rapporti effettivi tra genitori e figli ed il sesso inquietante è assente, mentre la casa nuziale è il luogo in cui si consuma il rito amoroso, quindi è vista dal poeta come un luogo inquietante che contraddice l'ideologia che egli ha del nido.
Nelle terza quartina è presente una sinestesia 'l'odore di fragole rosse', in cui il profumo, una percezione olfattiva, sembra acuito dal colore roso delle fragole, percezione visiva, è evidente il tema dell'attrazione, della tentazione sensuale che si accosta nei versi successivi al risplendere della luce nella sala, alla curiosità per la vicenda degli sposi.
Nella quarta quartina l'ape, che, essendosi attardata, trova già prese le celle del suo alveare, rappresenta ed impersonifica la figura del poeta: solo, chiuso nel suo nido familiare e destinato a non avere una famiglia dove poter essere un sereno e appagato padre di famiglia. Nei versi successivi le Pleiadi nel cielo appaiono per un procedimento analogico come una chioccetta, che in un'aia si trascina dietro la covata dei suoi pulcini e il pigolio potrebbe offrirsi come una sinestesia che trasferisce nella percezione uditiva la percezione visiva del tremolio della luce stellare.
Nella quinta quartina all'intenso odore del fiore che passa col vento si accompagna il salire della luce lungo la scala e il suo spegnersi al primo piano con i puntini di sospensione che seguono e alludono al congiungersi degli sposi, ma soprattutto al mistero della vita che continua a palpitare nel buio.
La lirica si conclude nella sesta quartina con un ossimoro: 'E l'alba', il momento del risveglio, e 'si chiudono i petali un po' gualciti'. 'Nell'urna molle e segreta', che simbolicamente rappresenta il grembo della madre, si dischiude una vita nuova, si cova 'non so che felicità nuova', la maternità e la novella vita.
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