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SATYRICON: DA PETRONIO A FELLINI
Satyricon è uno dei pochi film di Fellini nato sulle ceneri di un'opera letteraria, di cui non sono rimasti che l'esile traccia e i nomi dei personaggi principali. Dal Petronius Arbiter allo schermo del cinema, Satyricon si presta bene alla congenialità poetica di Fellini, densa com'è di situazioni e di fatti straordinariamente adatti a rappresentare l'idea della morte, l'irrazionalità dell'esistenza, la malinconia della vita, la sessualità prorompente, anche nelle sue manifestazioni più perverse. Tutto il film è costruito su un'atmosfera di cupa pesantezza , di movimenti lenti, in una dimensione di glaciale indifferenza, come se i personaggi fossero statue che improvvisamente riuscissero a respirare e a muoversi. La romanità domina indiscutibilmente: il teatro, il casino, la pinacoteca, la casa di Trimalchione, la nave di Lica, il tempio dell'ermafrodito, la festa dei Lupercali sono i momenti più significativi dell'"amoralità" e della materialità tipica del mondo romano. La stupefacente e struggente ricostruzione della latinità, dominata dalla morte e dall' esaltazione fisiologica della vita, sembra venir meno nella seconda parte del film, che tende a presentare il consueto volto dell'antichità, rappresentandolo con una scenografia e un'enfasi che sono prodotte dall'immaginazione e che portano alla degenerazione avventurosa e picaresca. La forza espressiva del Satyricon è accentuata da un'affascinante e minuziosa ricostruzione della Roma imperiale, considerata nei suoi valori di assoluta ed amorale indifferenza nei confronti della "persona" umana e nell'esaltazione fisiologica della felicità, cui fa da contrappunto la presenza incombente e malinconica della morte. Il Satyricon di Petronio è ricco di riferimenti espliciti a questa concezione della morte:
<<Dama itaque primus cum pataracina poposcisset: "dies , inquit, nil est. Dum versas te, nox fit">>
(Petronio, Satyricon XLI; <<Dama per primo, dopo aver chiesto una coppa più grande esclamò:
"il giorno è quasi nulla; non appena ti volti, è subito notte">>)
L'intersecarsi della vita e della morte ha raggiunto forse il suo vertice, nel mondo latino, nella rappresentazione del funerale che Trimalchione fa di se stesso (e che Fellini ha tradotto nel suo Satyricon cinematografico con una sensibilità incredibilmente vicina a quella di Petronio).
Nessun personaggio del Satyricon petroniano si conforma con i valori superiori: non c'è responsabilità e nemmeno ricerca del senso della vita, ma è pura pulsionalità che si esprime liberamente attraverso l'istinto, lontano dalla coscienza. È passionalità senza ragione. Anche nel Satyricon di Fellini non si rintraccia alcuna tensione morale o religiosa e tutti i personaggi fluttuano in un mondo che non è capace di provare sentimenti e che soprattutto non prova il bisogno di soffrire per la miseria o il dolore altrui. Nel Satyricon tutto ciò che accade non è provocato da spinte morali; gli uomini agiscono come possono agire gli insetti. Il Satyricon offre a Fellini la possibilità di sprofondarsi direttamente in quel mondo ormai tanto lontano, ma pure così vicino al suo universo poetico. L'idea della morte, il sentimento tragico dell'esistenza, la malinconia e la gioia solare della vita, trovano in quest'opera una naturale sistemazione.
I sentimenti sono ridotti ad istinti, l'amore a sesso: nella storia di Encolpio e di Ascilto, si innestano i riti di una società che possiede un gran senso della vita una vita ridotta alle pure e semplici funzioni del corpo, come il mangiare, il bere e ogni tipo di piacere espresso nelle sue forme prettamente corporee. Tutto si riduce all'unica fonte che ci rende vivi: il godere. In tale dimensione materialistica tipicamente dei Romani, Fellini ha espresso la propria filosofia della vita, che certamente non si esprime nell'esaltazione di questo modo di vivere, ma piuttosto nel riconoscere questo come una risposta alla caducità della vita e alla presenza incombente della morte. Tra le parti che Fellini ha recuperato dal testo originale latino riconosciamo la cena di Trimalchione, l'aneddoto della matrona di Efeso, la perdita della potenza virile. Quello che probabilmente ha colpito la fantasia del regista e che lo ha indotto a tradurre il Satyricon in film è il senso di passaggio (che si avverte nel testo di Petronio) dello spirito romano da un atteggiamento di sicurezza di sé e di dominio, al lento maturare di inquietudini e di interrogativi senza risposta. Se il racconto di Petronio è uno specchio realistico della spietata società neroniana, è anche un documento sulle piccole città di provincia, che vivono ai margini del Potere, popolate da prostitute, lenoni, ladri, liberti, imbroglioni, gente da osteria. L'assoluto realismo con cui Petronio ha descritto i suoi personaggi si è coniugato con la fantasia di Fellini, tesa a cogliere nelle singole situazioni e nei singoli personaggi la materialità di un mondo che ha sentito con prepotenza il senso malinconico della vita. Infatti, sia la cena di Trimalchione, sia la novella della matrona di Efeso esprimono, in termini rovesciati, l'intrecciarsi della materia vivente con la morte. Nel primo episodio citato, il fisiologico, espresso dal mangiare e dalla sazietà, finisce nella finzione della morte, evocando il funerale; nella novella, invece, è la morte che produce il sesso, fino all'estremo degrado della donna, che per salvare l'amante usa il cadavere del marito. Tra le innovazioni apportate da Fellini si nota principalmente l'aggiunta di nuovi personaggi (che sono il comico Vernacchio, la coppia di Suicidi, l'Imperatore assassinato, l'Ermafrodito, la Ninfomane) e le vicende che li coinvolgono. Altra novità di Fellini è l'episodio del labirinto con la lotta tra Encolpio e il Minotauro, evidente richiamo al mito di Teseo e Arianna, che può essere inoltre inteso come un riferimento ad una delle tematiche del romanzo petroniano, in quanto le peripezie che Encolpio deve superare sono presentate come un "labirinto", poiché il giovane vive un continuo perdersi e ritrovarsi, caratterizzato, probabilmente, anche dalla frammentarietà dell'opera petroniana a noi giunta. E ancora l'aggiunta di nuovi luoghi, che finiscono per trascendere il semplice ruolo di ambientazione e diventano protagonisti essi stessi: l'Insula Felicles innanzitutto, ma anche il quartiere della Suburra e il Giardino delle Delizie. Avviene nel Fellini Satyricon il contrario di quello che solitamente è l'adattamento, che di norma si sovrappone al concetto di riduzione cinematografica.
'Come tentare di ricostruire un'anfora antichissima con i cocci ritrovati secoli dopo'
(F. Fellini, Fare un film, Einaudi, Torino 1980).
Tale ricostruzione è possibile soltanto se c'è il coccio, il frammento. Poiché il coccio non si inventa, è reale ed è il 'ricostruttore' che ha il compito di dare un senso al frammento, adattando organicamente i pezzi in un insieme. Che poi l'anfora ricostruita sia per sua natura diversa dall'originale, questo è ciò che avviene in un'operazione di tipo 'onirico' come il Fellini Satyricon; ma prima della valutazione dell'insieme, è pur sempre possibile quella dei cocci.
RECENSIONE DEL FILM "FELLINI- SATYRICON"
Dall'omonimo romanzo del Petronio Arbitro (I sec. d.C.), Fellini riproduce le peripezie di Encolpio (Martin Potter) e Ascilto (Hiram Keller), due giovani "scholastici" della Roma neroniana.
Su uno sfondo scenografico cupo, viene applicata una sintesi congeniale di amore e morte, di vitalità e piacere sessuale, simbolo di un'amoralità e di un degrado tipici della romanità imperiale.
I due protagonisti si innamorano follemente dell'efebo Gìtone (Max Born), che, passando tra le mani di entrambi, alla fine sceglie Ascilto. Encolpio, deluso e sconcertato da tale scelta, si lascia andare in mille avventure : passa da un terremoto ai suntuosi banchetti di una dimora di viziosi, fino ad arrivare alla nave del pirata Lica al servizio dell'imperatore. Un susseguirsi di violenze carnali e pericoli di ogni tipo, dalla forte componente suggestiva, che il film sprigiona in tutti i suoi 138 minuti di durata.
Fellini riesce con grande abilità a riprodurre stili di vita e comportamenti della Roma antica, trasportando lo spettatore in una dimensione indefinita, poiché riporta alla luce numerose tendenze comportamentali della società moderna.
Il suo cinema, infatti, ha l'obiettivo di sviscerare le contraddizioni della realtà e di riflettere sulla tragicità della condizione umana attraverso l'utilizzo di strumenti forti che possano scuotere lo spettatore, quali il grottesco, l'eccesso e l'onirico. Per tale motivo sceglie il testo di Petronio, non perché voglia farne una riproduzione fedele, ma perché le peripezie, a volte assurde, dei protagonisti sono congeniali per costruire un mondo che sconvolga anche dal punto figurativo con l'audacia delle immagini, della scenografia, della fotografia. Gli eccessi per lui sono l'unico modo per mettere in risalto le assurdità dell'uomo e, nonostante il film sia ambientato in un'altra epoca, Fellini intende compiere una critica forte alla società moderna, come a dire che i vizi umani sono sempre gli stessi.
I temi centrali sono gli istinti primordiali, il sesso, la morte e la decadenza che da sempre accompagnano la storia dell'umanità.
Tuttavia si rifiuta di dare giudizi moralistici; mostra lo scandalo ma al contempo afferma il valore assoluto della libertà umana. La censura lo aveva già colpito, così come la chiesa, ma la sua idea era quella di raccontare l'essenza della realtà senza buonismi e sentimentalismi. L'uomo è un essere imperfetto e a tratti delirante, perché nasconderlo?
Dunque, se il Satyricon di Petronio narra, il Fellini Satyricon descrive, o meglio, lascia che le cose si descrivano. È volutamente un film di quadri fissi; di contemplazione di una costruzione stilistica 'a palcoscenico', ottenuta con gli espedienti tecnici della mancanza di basamento mobile per la cinepresa e dell'uso dello zoom in sostituzione alla carrellata, che delimita la rappresentazione nello spazio quasi bidimensionale del teatro.
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