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O IUBELO DEL CORE
di Iacopone da Todi
La lauda è la poesia religiosa sorta nei secoli XII e XIII, il cui maggior esponente è Iacopone da Todi vissuto negli anni che vanno dal 1230 al 1306.
Per comprendere bene il suo pensiero è necessario analizzare le opere pervenuteci tra cui una lauda molto significativa intitolata " O iubelo del core". In questi versi Iacopone esprime l'intensità dell'esperienza mistica, i sentimenti che un uomo può provare nel momento in cui sui trova a contatto con Dio, la gioia smisurata che lo porta a dei comportamenti tali da essere considerato un pazzo privo di senno. Il tema prevalente della poesia è, infatti, la "Santa Pazzia", che rappresenta la felicità immensa con cui è vissuta l'esperienza mistica, che porta l'uomo a comportamenti innaturali, come il balbettare, l'urlare e l'impulso irrefrenabile di esternare ciò che si prova senza però riuscirci. Nella lauda "o iubelo del core" Iacopone non mira ad esprimere in prima persona il suo empito mistico, ma ci descrive i comportamenti di chi vive questa esperienza d'incontro irrazionale con Dio. Gli effetti che derivano dall'intima fusione del credente con il Signore, determinano tutta una gamma di comportamenti insoliti, quali il balbettare e il gridare perché l'uomo, non trovando parole adeguate per esprimere la sua gioia, ha bisogno di esternare in qualche modo i suoi sentimenti. Ed è talmente convinto di ciò che prova che non manifesta vergogna.
Un altro dei temi fondamentali di questi versi è il disprezzo del mondo, in quanto coloro che non vivono questa esperienza mistica non sono in grado di comprendere la gioia di colui che la interiorizzata e quindi lo considerano pazzo per i suoi atteggiamenti particolari. Il mistico non si accorge della realtà esterna che lo circonda, si comporta secondo i propri istinti, esternando le proprie emozioni di gioia e di dolore senza trattenersi, incurante dell'impressione che può dare agli altri. Viene, infatti, considerato saggio colui che riesce a celare la propria condizione dal momento che è giusto che a coloro che non comprendono non venga svelata la vera essenza dell'amore. Questo disprezzo del mondo manifestato da Iacopone da Todi contrasta con la poesia il "Cantico delle creature" di San Francesco perché, secondo quest'ultimo, è proprio attraverso tutte le cose create da Dio che l'uomo può capire la sua potenza. Anche dal modo in cui è scritta la poesia di San Francesco possiamo notare questa differenza. Egli infatti adotta uno stile chiaro e luminoso a differenza del primo che nel "O iubelo del core" si esprime in modo violento, incisivo, forte, irrequieto, frenetico ed incalzante. Il linguaggio in cui è espressa questa laude è il volgare. Le parole chiave presenti nel testo sono soprattutto l'ineffabilità ed il clamore ed è proprio grazie al loro alternarsi che si crea quell'atmosfera inquieta e mistica. Il suo modo di esprimersi tramite un linguaggio volutamente rozzo vuol significare l'avversione da parte di Iacopone ad ogni mollezza e mondanità. Infatti egli non è stato un incolto o un improvvisatore ma un uomo di grande cultura perché sono molti gli echi da lui lasciati nella letteratura latina, volgare, provenzale e nella filosofia che testimoniano la sua coscienza dotta. Se la costruzione del linguaggio è involuta, irregolare, oscura, ciò dipende dallo sforzo dell'autore di indicare grovigli sentimentali o ebbrezze ineffabili. Abbandoni amorosi in Dio, ansia d'annullamento, disperazioni per la propria indennità sono motivi tutti dominati da questo tormento espressivo, dal contrasto tra l'impossibilità di non dire e l'inadeguatezza delle parole. Anche la sintassi soprattutto paratattica contribuisce a creare questo ritmo incalzante, frenetico e veloce.
Le figure retoriche dominanti sono l'anafora e la ripetizione: l'anafora consiste infatti nel ripetere nel corso del testo quella che è stata la frase d'apertura o principale (.Oh iubelo del core..Quano iubel è acceso..Quano iubel ha preso O iubel, dolce gaudio) mentre la ripetizione è una frase o una parola che viene ripetuta con insistenza attraverso l'accumulazione di sinonimi (cantare.clamare.gridare/ impazzitodesvanito.). Tali figure retoriche hanno una funzione di potenziamento dei concetti della poesia. L'isotopia semantica dominante è invece il gridare (barbaglia..clamare..) e il fuoco (acceso.si scalda.) termini necessari per sottolineare la situazione drammatica.
Io ho apprezzato molto questa poesia perché Iacopone da Todi è stato molto convincente nel descrivere questa esperienza eccezionale, insolita alla comune dimensione umana e ho tentato d'immedesimarmi per poter immaginare i sentimenti che si possono provare in una situazione del genere. Ciò non mi e stato difficile perché, anche noi ragazzi, per motivi totalmente diversi da quelli descritti nella poesia, quando proviamo una gioia intensa facciamo i "pazzerelli" cantando e gridando. Quindi mi ha particolarmente colpito il modo in cui l'autore sottolinea la natura dell'uomo intrinsecamente limitata dato che non riesce a comprendere colui che vive un'esperienza così particolare. Per quanto riguarda invece la mia concezione della religione posso dire che non condivido il suo modo di pensare in quanto ho una visione filosofica della vita del tutto differente da quella di Iacopone da Todi. Non disprezzo il mondo, ma apprezzo la vita e tutto ciò che mi circonda, rimango estasiata nella contemplazione di un tramonto, davanti all'immensità del mare ecc, credo nell'amore e nella fratellanza per cui mi avvicino di più alla poetica di San Francesco che non a quella di Iacopone. Penso inoltre che quest'ultimo, sia stato così preciso e vitale in questa descrizione proprio perché ha vissuto in prima persona questa drammatica tensione, nel momento della sua vocazione, in quanto soltanto chi arriva ad interiorizzare sentimenti così esaltanti e profondi, è capace di trasmettere agli altri ciò che prova.
Appunti su: https:wwwappuntimaniacomumanisticheletteratura-italianoo-iubelo-del-core-di-iacopone-64php, o iubelo del core analizza il componimento dal punto di vista lessicale e individua le parole chiave, |
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