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Relazione sui disordini di Parigi Marco Bossi
Siamo giunti alla fine delle rivolte nella Francia. Questo mese di rivolte continue, tuttavia, dimostra alla società francese la sua più grande lacuna: la sua manifesta incapacità di accogliere ed integrare le minoranze etniche. La presenza stessa di quelle banlieue tanto disprezzate dal ministro Sarkozy ne è la testimonianza e la dimostrazione: questi interi quartieri a maggioranza musulmana (sia etnica che religiosa) sono la prova della mancanza di possibilità di inserimento nella Parigi "vera e propria". Gli immigrati francesi sono infatti chiusi (non politicamente bensì economicamente) in questi ghetti, nei quali la povertà è molto diffusa.
Le
repubblica francese finora ha svolto un programma
di integrazione forzata: tutti dovevano essere uguali e per far questo tutti
dovevano adattarsi al costume occidentale. È ovvio che alcuni immigrati non
vogliono fare ciò e quindi, per conservare la propria differenza culturale non si integrano e diventano emarginati. Le banlieue, quindi, sono una diretta conseguenza della mancanza di
flessibilità e della considerazione degli immigrati come individui di serie B.
È questo che secondo me è mancato alla Francia delle banlieue e delle rivolte culturali di questo mese. I giovani immigrati lamentano infatti la mancanza di un posto di lavoro e il discorso di Sarkozy, che considera gli abitanti delle periferie "la feccia della società" non aiuta affatto a rasserenare gli animi, anzi aumenta gli scontri fra i rivoltosi e la polizia.
Non smetteranno mai rivolte di questo tipo finché non si riuscirà a tentare, almeno tentare, di mettere in pratica il messaggio evangelico del porgere l'altra guancia, intendendolo come cercare di evitare di imporre agli altri le nostre ideologie: così facendo, infatti, diverremmo come loro: integralisti, ortodossi e quindi rigidi. È questa rigidità che ha impedito a Sarkozy di ottenere il suo scopo, di fermare le rivolte. Le rivolte non sarebbero neppure iniziate se non si avesse pensato che l'integrazione fosse possibile tramite il semplice dare un posto di lavoro agli immigrati. L'integrazione significa considerare francesi, e perciò cittadini della Repubblica, anche gli abitanti delle balieue. Ciò non può ovviamente accadere in un paese che considera gli immigrati quali intrusi, e non anche solo (seppur anche questo punto di vista non sia molto umanitario) come una risorsa da poter utilizzare, come forza lavoro per quelle mansioni che i Francesi (così come gli Italiani) non hanno più intenzione di eseguire.
Quello che sembra aver capito meglio di tutti i Francesi la situazione è il sindaco di Évry, che guarda i roghi e commenta mesto: «La nostra integrazione è fallita, abbiamo creato un ghetto non una scala sociale».
Preoccupanti sono invece quei francesi che considerano giusta la politica di Le Pen: "Blocchiamo le barriere ed impediamo a questi di avere una vita in Francia, reprimiamo le rivolte". Questi (la maggioranza del campione di francesi intervistati) delineano un'immaturità sociale pronunciata, in quanto pensano che la repressione e la rigidità esagerata possano addirittura aiutare ad impedire le rivolte. Questo è un punto di vista errato, che non riconosce la cittadinanza francese ai rivoltosi, popolo di serie B e quindi non degno di essere francese.
Questo modo di
pensare è diffusissimo in molti Stati Europei odierni, tra i quali l'Italia. Anche
qui abbiamo leggi estremamente rigide
sull'immigrazione, le quali aspirano ad impedire il più possibile
l'immigrazione regolare, senza rendersi conto che così facendo l'unico
risultato è quello di aumentare l'immigrazione clandestina. Attenzione! C'è il
rischio che un giorno o l'altro
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