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RECENSIONE
Titolo del libro "Il cacciatore di aquiloni"
Autore Khaled Hosseini
Casa Editrice Piemme
Anno di pubblicazione gennaio 2006 ( XI edizione)
La storia dell'Afghanistan degli ultimi decenni è una storia terribile, fosca e tragica, un puzzle d'orrori composto con le tessere di vite spezzate, di esistenze straziate ed umiliate, di infanzie rubate. Il cacciatore di aquiloni, narrando le vicende di due bimbi, Hassan e Amir, per creare un affresco che rappresenti tutte le vicissitudini che hanno messo in ginocchio quel paese - dall'occupazione russa alla piaga talebana, dai bombardamenti americani alla presa del potere da parte del governo fantoccio dell'Alleanza del Nord - parte da una metafora splendida: c'è stato un tempo in cui nei cieli di Kabul volavano gli aquiloni (sport nazionale afgano), le cui eleganti evoluzioni rappresentavano la libertà del paese. Poi gli aquiloni non volarono più: era iniziata la tremenda odissea del popolo afgano.
La storia inizia così.
"Sono diventato la persona che sono oggi all'età di dodici anni, in una gelida giornata invernale del 1975. Ricordo il momento preciso: ero accovacciato dietro un muro di argilla mezzo diroccato e sbirciavo di nascosto nel vicolo lungo il torrente ghiacciato. È stato tanto tempo fa. Ma non è vero, come dicono molti, che si può seppellire il passato. Il passato si aggrappa con i suoi artigli al presente. Sono ventisei anni che sbircio di nascosto in quel vicolo deserto. Oggi me ne rendo conto."
Amir, figlio del ricco commerciante Baba, vive col padre in una grande, lussuosa villa con giardino; la madre - con grande sconforto del padre - morì nel mettere alla luce il bimbo, cosa che Baba non ha mai effettivamente perdonato al figlio. A far loro compagnia Alì, servitore di Baba da sempre, ed il figlio Hassan, inseparabile ed adorante compagno di Amir: i due, oltre a trascorrere insieme le spensierate giornate dell'infanzia, formano una formidabile coppia nei tornei cittadini di combattimenti tra aquiloni. Il ricco Amir è il 'pilota', Hassan il suo 'secondo': difficile che il filo svolto dal rocchetto degli avversari riesca a rimanere integro quando si scontrano con questo formidabile duo. In più Hassan, col suo viso da bambola ed il labbro leporino, è il più forte cacciatore di aquiloni di Kabul: quando un filo viene reciso in combattimento e l'aquilone vaga in cielo in preda al vento, lui saprà sempre dove andrà a cadere, facendone una preda di guerra per Amir. Ma l'armonia tra i due ragazzini si spezza quando una cosa terribile accade ad Hassan per colpa di Amir. Dopo un torneo di aquiloni, in un vicolo buio di Kabul, Hassan viene assalito, picchiato e stuprato da una banda di ragazzini capeggiati da colui che Amir scoprirà essere diventato in futuro un capo dei talebani. Amir assiste impotente alla scena decidendo di non intervenire in aiuto all'amico per paura e vigliaccheria. In aiuto a quell'Hassan che lo aveva difeso da sempre. Scappa, e con la sua fuga decide che tipo di persona sarebbe diventato. L'atteggiamento di Amir nei confronti dell'amico muterà, dettato da "un'ostilità figlia del rimorso covato nell'ombra della propria coscienza". L'arrivo dei russi a Kabul porterà alla separazione delle due mezze famiglie: Amir e Baba fuggiranno in America, Alì ed Hassan resteranno chissà dove in Afghanistan. Dopo venticinque anni Amir ha realizzato il suo sogno - nonostante l'ostilità del padre che avrebbe voluto vedere il figlio seguire le sue orme - di diventare scrittore, si è sposato, ha una buona vita nella sua casa di San Francisco. Ma a sollevare le nebbie faticosamente accumulate su un passato scomodo ci pensa una telefonata dall'Afghanistan, che non gli lascia scelta: in barba alla viltà di cui si è accusato per tutta la vita parte alla volta di Kabul, alla ricerca di Sohrab, il figlio di Hassan reso orfano dalla crudeltà dei Talebani. Ma ad attenderlo a Kabul non ci sono solo i fantasmi del passato: quello che trent'anni prima era il suo paese ora è una landa desolata in cui vagano donne invisibili, dove i marciapiedi sono carichi di relitti umani ammassati gli uni sugli altri, dove avere un padre od un fratello maggiore è un lusso dopo gli stermini talebani, dove gli occhi della gente restano incollati al selciato per timore di incrociare fatalmente lo sguardo sbagliato, dove gli aquiloni non volano più
"Guardai verso oriente e mi sorpresi a pensare che, al di là di quelle montagne, Kabul esisteva veramente e non era solo un mio antico ricordo. Oltre quelle montagne dormiva la città dove avevo lanciato gli aquiloni con il mio fratellastro dal labbro leporino. Al di là di quelle montagne l'uomo con gli occhi bendati che avevo visto in sogno era morto di una morte insensata. Un tempo, laggiù avevo fatto una scelta. E ora, dopo un quarto di secolo, quella scelta mi aveva riportato qui, nella mia terra."
Inizia dapprima la ricerca di Sohrab, in una casa dove vengono accolti i bimbi orfani. Qui scopre che Sohrab è stato venduto allo stesso talebano che in passato aveva fatto del male al padre del bambino. Finalmente trova il coraggio di fare quello che avrebbe dovuto tanti anni prima. Dopo una lotta furibonda con il talebano, che ormai l' ha riconosciuto, riesce a scappare e a portare con sé Sohrab.
Amir fa i conti con il proprio passato e finalmente riesce a chiuderli.
Porterà con sé Sohrab in America e cercherà di ricucire la vita di quello che ha scoperto essere il figlio di suo fratello Hassan.
In occasione dei festeggiamenti per l'anno nuovo afgano, in primavera, gli aquiloni tornano a rivestire il cielo, degli Stati Uniti questa volta, della loro colorata melodia. Il cuore di Amir palpita mentre nell'atto stesso di stringere di nuovo fra le mani un aquilone si riappropria del suo passato. Una frase che risuona in lui da tempo immemorabile affiora alle sue labbra e acquista finalmente consistenza, liberandolo da un antico e doloroso fardello. " Per te questo e altro". La frase che anni prima avrebbe voluto dire col cuore ad Hassan.
E il piccolo Sohrab, accanto lui, si lascia incantare dalla magia multicolore del cielo, mentre una luce nuova attraversa i suoi occhi tristi.
Khaled Hosseini tesse
una storia indimenticabile, commovente e straordinaria. Questo romanzo è un
canto poetico di padri e figli, di amicizia e tradimento, di fughe e ritorni,
fino al riscatto finale, toccante e inaspettato. Sullo sfondo l'annientamento
di un mondo, l'Afghanistan, che assiste impotente al crollo di ogni certezza e
che nulla può contro l'incedere della Storia, incarnata dai Sovietici prima e
dai Talebani in un secondo tempo.
Con la stessa minuziosa cura con cui Amir e Hassan bambini si preparavano
all'evento più importante per i ragazzi di Kabul, la gara degli aquiloni,
l'autore ritrae il mondo della sua infanzia. Delicatamente tocca le corde della
memoria per far rivivere il calore di quella realtà sicura e ospitale,
"dall'odore inebriante e inconfondibile della terra bruciata d'estate e
dell'aria frizzante dell'inverno mista al sapore rassicurante del the". Con la
stessa passione Hosseini costruisce un ponte di vetro attraverso cui poter
accedere un'ultima volta a quell'epoca lontana e spensierata, a quella natura
meravigliosa e sconvolgente che faceva da cornice ai momenti indimenticabili
trascorsi col padre e gli amici in quella sua amata patria che non esiste più.
Quella realtà, che una volta era patria e casa, oggi ha soltanto il rancido
odore del sangue e della morte.
Lo sguardo dell'autore è un caleidoscopio pieno di frammenti che ci portano
dagli Stati Uniti all'Afghanistan e viceversa, intrecciando passioni passate e
presenti che si confondono e seguono un'ondata di ricordi, di sensazioni
assopite ma mai dimenticate, di vuoti da colmare. Il viaggio che Amir
intraprende verso la sua patria è prima di tutto un viaggio in se stesso, per
confrontarsi e riscattarsi da quell'antica e dolorosa colpa, "un blocco di
ghiaccio represso dentro di lui". Un peso che Amir ha sopportato in solitudine
nel suo esilio americano, intrappolato nel suo stesso dolore. Al richiamo del
suo passato però l'adulto Amir si fa trovare pronto.
La tragedia dell'Afghanistan prende
forma da un sottofondo di voci stridenti e di feroci apparizioni. Un vortice di
emozioni scaturisce dagli abissi delle anime dei personaggi che Amir incontra
dando vita a una "danza multiforme e incantata dai vividi colori". Una danza a
tratti armoniosa e poetica come il volo colorato degli aquiloni sul cielo terso
di una Kabul ormai svanita. Una danza, in altri momenti, tinta dai colori
violenti della crudeltà e dell'indifferenza umana e dalle buie sfumature del
dolore e della vergogna.
Lo sgomento di Amir di fronte al suo passato, la sua ansia di colmare una vita
piena di occasioni perse avvolgono il lettore e lo coinvolgono in un viaggio
verso la scoperta dei lati oscuri della propria coscienza. È un confronto
aperto e coraggioso con debolezze e paure, con rimorsi e pentimenti.
Il cerchio tracciato da Hosseini si chiude, inaspettatamente, in una Fremont
tinta dai colori, dai suoni e dagli odori dell'Afghanistan ai tempi di Zahir
Shah.
Il volo poetico degli aquiloni è un abbraccio alla vita: il cerchio del riscatto si realizza nelle parole inconsapevoli di Amir e nella scintilla silenziosa che illumina gli occhi di Sohrab.
"Era solo un sorriso, niente di più. Le cose rimanevano quelle che erano. Solo un sorriso. Una piccola cosa. Una fogliolina in un bosco che trema al battito d'ali di un uccello spaventato.
Ma io l' ho accolto. A braccia aperte. Perché la primavera scioglie la neve fiocco dopo fiocco e forse io ero stato testimone dello sciogliersi del primo fiocco.
Correvo. Ero un uomo adulto che correva con uno sciame di bambini vocianti. Ma non mi importava. Correvo con il vento che mi soffiava in viso e sulle labbra un sorriso ampio come la valle di Panjsher.
Correvo."
Khaled Hosseini è figlio di un diplomatico. Nato a Kabul, in Afghanistan, la sua famiglia ha ottenuto l'asilo politico negli USA nel 1980. Vive nel nord della California e fa il medico. Il cacciatore di aquiloni è il primo grande romanzo epico afgano, uno straordinario caso letterario pubblicato in 12 paesi. Dreamworks, la casa di produzione di Steven Spielberg, ha acquistato i diritti per trarne un film.
l'arrogante AMIR, voce narrante del libro, figlio di un importante uomo d'affari, ricco, istruito ed appassionato lettore. Nato tra i privilegiati, conoscerà alterne fortune, portando sempre con sé il peso di una grande ingiustizia contro la quale lui non è stato capace di ribellarsi. E sarà questa consapevolezza che riscatterà il protagonista, trasformandolo in un eroe: così pagherà il suo pegno d'amore nei confronti del 'ragazzo dal viso di lepre' e l'aquilone che si leverà in volo sarà forse preannuncio di una ritrovata voglia di vivere.
il leale HASSAN, "figlio" del servo del padre di Amir, un ragazzo povero e analfabeta, abilissimo nel tradizionale gioco di far volare gli aquiloni.
La dedizione assoluta di Hassan nei confronti del suo amico e 'padroncino', la sua forza d'animo e il suo grande coraggio, la sua rassegnata accettazione di norme che sembrano scritte nel codice genetico di chi appartiene alla schiera degli umili e dei sottomessi, toccano le corde più segrete del nostro animo, coinvolgendoci emotivamente con sentimenti di grande pietà e di grande indignazione, di grande tristezza e di grande voglia di cancellare tutte le violenze del mondo.
Hassan bambino aveva il viso perfettamente tondo, come quello di una bambola cinese di legno, con il naso largo e piatto, gli occhi a mandorla, stretti come una foglia di bambù, giallo oro, verdi o azzurri come zaffiri a seconda della luce.Piccole orecchie dall'attaccatura bassa, mento appuntito e quel labbro spezzato, un errore del fabbricante di bambole, cui forse era sfuggito lo scalpello, per stanchezza o disattenzione.
Baba. Uno dei commercianti più ricchi di Kabul, padre di Amir e Hassan. Ama modellare il mondo intorno a sé ma fallisce con il figlio, in quanto non assomiglia abbastanza a sé stesso. Non ha mai perdonato ad Amir di aver ucciso la madre mentre lo metteva al mondo.
Durante la vita non si è mai fatto riconoscere come padre da Hssan.
Alì è il padre (che alla fine del libro si scoprirà adottivo) di Hassan.Ha tratti mongolici caratteristici degli hazara,zoppo e con una paralisi ai muscoli della mascella che gli impedisce di sorridere.Si dice che gli occhi siano lo specchio dell'anima, niente di più vero per Alì, che solo attraverso gli occhi rivela se stesso.
Sohrab è un bambino che ha perso la propria infanzia.
Somiglia in modo impressionante al padre: lo stesso viso tondo di Hassan,il mento appuntito, le orecchie come conchiglie e la stessa corporatura snella.
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