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Recensione del libro:
Il fu Mattia Pascal
di Luigi Pirandello
Dato che ero rimasta molto colpita
dal romanzo dello stesso autore, "Uno, nessuno, centomila", ho deciso di
affrontare anche la lettura de "Il fu Mattia Pascal" e non me ne sono certo
pentita! Il protagonista di questo romanzo, un po' come il protagonista di
"Uno, nessuno, centomila" è l'esemplare testimone di questa assurda condizione
dell'uomo prigioniero delle maschere sociali contro cui lotta
ininterrottamente, ma inutilmente, la vita tutta la crisi storica ed
esistenziale dell'uomo viene così rappresentata in un romanzo Mattia
Pascal vive in un immaginario paese ligure,
Miragno, dove il padre, che si era arricchito con i traffici marittimi e il
gioco d'azzardo, ha lasciato in eredità alla moglie e ai due figli una discreta
fortuna.
A gestire l'intero patrimonio è un avido e disonesto amministratore, Batta
Malagna, la cui nipote, Romilda, viene messa incinta da Mattia dopo che non è
riuscito a farla sposare all'amico Pomino. Mattia viene costretto a sposare
Romilda e a convivere con la suocera vedova che non manca di manifestare il suo
disprezzo per il genero che considera inetto.
Tramite l'amico Pomino, Mattia ottiene un lavoro come bibliotecario
ma dopo un po' di tempo, infelice per il lavoro che trova umiliante e per il matrimonio
che si è rivelato sbagliato, decide di fuggire da Miragno e di tentare
l'avventura in Francia.
Di passaggio a Montecarlo, gli capita una grossa vincita, che gli fa assaporare
una nuova vita e la libertà anche perché casualmente dal giornale apprende
la notizia del suo suicidio, avvenuto nella gora del mulino della sua
proprietà. Dapprima sconvolto comprende presto che, se Mattia è morto, può ora
ben diventare qualcun altro! Così, con il nome di Adriano Meis, inizia a
viaggiare prima in Italia
e poi all'estero; i primi tempi, i diversi viaggi gli fanno assaporare
esperienze nuove, ma ben presto si accorge che senza stato civile, la sua nuova
esistenza non è piena, anzi, è ben misera finché decide di stabilirsi a Roma in una camera ammobiliata sul Tevere.
Si innamora, ricambiato, di Adriana, la dolce e mite figlia del padrone di
casa, Anselmo Paleari, e sogna di sposarla e di vivere un'altra vita, ma presto
si rende conto che la sua esistenza è fittizia. Infatti, non essendo registrato
all'anagrafe, è come se non esistesse e pertanto non può sposare Adriana, non
può denunciare il furto subito da Terenzio Papiano, un losco individuo che lo
ha raggirato, e non può fare tutte quelle cose della vita quotidiana che necessitano
di una identità. Sente allora che l'unico modo per uscire da questa situazione
è quello di distruggere il personaggio che ha cercato di creare, e inscena un
finto suicidio, quello di Adriano Meis: lasciando il suo bastone e il suo
cappello vicino a un ponte del Tevere,
ritorna a Miragno come Mattia Pascal.
Sono intanto trascorsi due anni e arrivato al paese, Mattia viene a sapere che
la moglie si è risposata con Pomino e ha avuto una bambina. La tenerezza
suscitatagli dalla nuova figlia della sua ex moglie lo induce a rimanere
nell'ombra: si ritira così dalla vita e trascorre le sue giornate nella
biblioteca polverosa dove lavorava in precedenza a scrivere la sua storia e
ogni tanto si reca al cimitero per portare sulla sua tomba una corona di fiori consapevole di
essere per sempre 'il fu Mattia Pascal'. Il Fu Mattia Pascal è il
romanzo di un impossibile riscatto da una vita grigia, per un uomo nato due
volte. Impossibile perché in realtà la sconfitta di Mattia è una sconfitta
universale, poiché ci accorgiamo che l'uomo è incapace di liberarsi delle maschere
artificiali che regolano i rapporti sociali: inizialmente Mattia soffre il fatto di avere
un'etichetta che lo vuole uomo infelice, racchiuso in una piccola e asfittica
realtà. Ma ecco che liberatosi da questa etichetta, sembra aver raggiunto la
sua vera vita, la sua vera identità: ciò che egli è, solo per sé
stesso, ciò che egli è, per sé e non per gli altri, ciò che egli è, e non ciò
che appare. Ma si può essere veramente e intimamente se stessi, solo per sé, e
non per gli altri? Sì, ma non si può vivere, tant' è vero che Mattia si sente
solo e riprende a vivere, ossia ad assumere un'altra identità E' possibile una vera identità se non quella che ci
danno gli altri. E poi: qual è il nostro vero volto? La maschera che ci danno
gli altri o la nostra vera e intima essenza? Nel momento in cui come Mattia
siamo pura vita non possiamo
vivere, ma nel momento in cui ci accontentiamo di vivere secondo gli altri non
siamo più noi stessi, e veniamo chiusi in una forma che ci soffoca. Un libro ironico e divertente, ma nello
stesso tempo, un libro profondo credo sia difficile, al termine della
lettura, non farsi domande a proposito della propria esistenza o sul proprio
essere
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